MARCO da Oggiono

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 69 (2007)

MARCO da Oggiono

Alessandro Serafini

Figlio di Cristoforo e di Isabella da Civate, nacque con ogni probabilità a Milano tra il 1465 e il 1470 (Shell, 1998, p. 163).

Il suo nome completo, come testimoniano i pochi documenti giovanili, era Giovanni Marco, ma preferì nominarsi sempre e solamente Marco. Il padre era nativo di Oggiono, nella Brianza, e nel 1466 si era stabilito a Milano, nel quartiere di S. Galdino, dove esercitava l'arte dell'oreficeria e, soprattutto, si dedicava ad amministrare i beni immobili che deteneva in città e nelle campagne del Pavese (Longoni, 1998, pp. 122 s.). M. aveva un fratello maggiore, Giovanni Battista, che morì nel 1500, come si deduce dal testamento che il padre dettò nel settembre di quell'anno: con quell'atto, da cui risulta anche che la madre Isabella era già morta, M. fu nominato erede universale (ibid., pp. 122, 124 s.).

I dati sicuri sulla formazione artistica di M. sono molto scarsi. Si può supporre che il padre si fosse direttamente impegnato a insegnargli le basi del mestiere e che lo avesse poi avviato allo studio della pittura presso un maestro più qualificato, di cui non si conosce l'identità, ma vicino all'ambito di Bernardo Zenale o di Bernardino Butinone. M., comunque, fu presto in grado di aprire bottega da solo.

Il primo documento che lo riguarda, risalente al 1487, afferma che, residente a Milano, aveva preso con sé come apprendista Protasio Crivelli per istruirlo nell'arte della miniatura (Shell, 1995, pp. 190, 241). La sua competenza nell'enluminure può spiegare la tecnica impeccabile che caratterizzò tutta la sua produzione.

Nel gennaio del 1490 il padre incaricò un procuratore di recuperare un credito che M., chiamato già "magister", vantava nei confronti di Benedetto Saltarelli da Firenze (Longoni, 1998, pp. 128-130). Qualche mese dopo si data il celebre documento che associa il nome di M. a quello di Leonardo da Vinci: l'incontro avrebbe segnato in maniera decisiva la sua carriera e la maturazione del suo stile.

Il 7 sett. 1490 Leonardo annotò su uno dei suoi taccuini che un suo assistente di dieci anni, Gian Giacomo de' Caprotti detto Salaj, aveva rubato "uno graffio di valuta di 22 soldi a Marco, che stava con meco", probabilmente una preziosa matita a punta d'argento, che fu poi ritrovata a Firenze (ibid., p. 129). Il documento è rilevante, perché certifica quell'alunnato di M. presso il maestro che l'antica letteratura artistica aveva da sempre raccontato ma mai documentato.

In quegli anni M. iniziò una proficua collaborazione con Giovanni Antonio Boltraffio: nel 1491 i due artisti ottennero una commissione che si sarebbe rivelata decisiva per il loro affrancamento professionale. Il 14 giugno i fratelli del defunto Leonardo Griffi, arcivescovo di Benevento, commissionarono ai "compagni depinctori" M. e Boltraffio, che erano ancora soggetti alla potestà paterna, una pala d'altare per la cappella di S. Leonardo, eretta nella chiesa di S. Giovanni sul Muro a Milano (Shell - Sironi, Giovanni…, 1989, pp. 142-144).

Secondo il contratto, che sembra alludere a una sorta di società tra i due pittori, la pala doveva essere terminata entro la fine del 1491, ma fu consegnata solo nel giugno del 1494 (ibid., pp. 145-148). Anche se il compenso fu modesto, si trattava comunque di un'impresa prestigiosa perché i Griffi erano una delle famiglie più stimate e influenti della corte sforzesca. Dell'opera rimane soltanto il pannello centrale, un olio su tavola di grandi dimensioni (cm 230 x 183) che raffigura la Resurrezione di Cristo tra i ss. Leonardo e Lucia (Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie). La pala esibisce un profilo così profondamente eppure scolasticamente leonardesco che non sorprende come la critica, prima della scoperta del contratto citato, ne avesse assegnato l'invenzione a Leonardo e l'esecuzione alla bottega (Suida, 1929, pp. 103 s.). Leonardesca è senz'altro la composizione piramidale, con al vertice Cristo e agli angoli della base i due santi inginocchiati; rientra pure nel repertorio vinciano lo sfondo con il sarcofago rosso e la valle fluviale, i dirupi brulli e la nuvola arricciata. Eppure proprio in questo paesaggio, che segue non senza finezza il brumoso modello della Vergine delle rocce, come anche nel Cristo in torsione, è possibile riconoscere la mano di M.; al compagno spetterebbero i due santi, ottimi nell'impostazione e invece un poco goffi nei particolari delle mani e dei piedi, di Lucia soprattutto. Sta di fatto che, se si escludono questi pochi difetti, l'opera funziona meravigliosamente e si può affermare che nessuno dei due raggiunse mai più una tale altezza di esecuzione, insieme viva, nervosa e aggraziata.

È probabile che dopo quest'impresa la collaborazione si replicasse in altre commesse, nessuna delle quali rintracciabile con sicurezza.

Fra le tante ipotesi su tali opere è la celebre Madonna Litta dell'Ermitage di San Pietroburgo. L'attribuzione dell'opera è ancora dibattuta tra M. (Brown) e Boltraffio (Fiorio, 2000, pp. 27-33, 81-83), anche se recentemente Bertelli ha rilanciato l'ipotesi di un'autografia leonardesca con la partecipazione dei due allievi, in particolare di M., che se ne sarebbe ricordato in opere successive.

La collaborazione di M. con i pittori della cerchia di Leonardo non durò a lungo. Sullo scorcio del secolo, infatti, si accavallano le notizie di una sua attività del tutto autonoma ed estranea al mercato milanese: è però una grave lacuna il fatto che di questa attività rimangano quasi soltanto i documenti scritti e pressoché nulla delle opere. Si sa, comunque, che nel 1498 M. lavorò a Venezia per una confraternita lombarda, la Scuola di S. Ambrogio presso i Frari, ma le tele sono andate perdute (Shell, M. …, 1992, pp. 360 s.). Nel marzo del 1501 ricevette dei pagamenti per una serie di affreschi (anche questi distrutti), che decoravano la chiesa di S. Nicolò a Lecco (Id., 1995, p. 298). All'inizio del secolo ottenne numerose commissioni in Liguria.

La più importante fu la realizzazione di affreschi nel vecchio duomo di Savona (S. Maria del Castello), ordinati a M. e al pittore milanese Ambrogio Zaffaroni nel 1501 dal cardinale Giuliano Della Rovere, il futuro papa Giulio II, per la cappella di famiglia dedicata alla Vergine: nel documento (Suida, 1935-39, pp. 130 s., 149-152) M. risulta ancora sotto la tutela del padre, che in effetti per tutta la vita si occupò di controllare gli affari del figlio. Il protagonista della commissione dovette essere soltanto M., visto che l'anno successivo Zaffaroni dichiarò di essere malato di gotta e di non poter raggiungere Savona (ibid., pp. 152-155). Nel marzo del 1503 M. accettò di dipingere, in collaborazione con Battista da Vaprio, un'ancona per la chiesa di S. Giovanni di Andora su commissione di Paolo Iura: dell'opera, che raffigurava La Vergine col Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, si sono perse le tracce fin dal 1624 (Varaldo, pp. 166-169). Sembra inoltre che in quegli anni M. abbia fornito alcuni disegni per la realizzazione degli stalli del coro ligneo del duomo di Savona, nuovamente sotto diretto intervento economico del cardinale Della Rovere (Sedini, 1989, pp. 52 s.).

Essendo perdute le opere di cui riferiscono i documenti, è particolarmente importante, per ricostruire un piccolo catalogo giovanile, l'unica opera certa di questi anni: la Resurrezione di Berlino.

Molto simili in termini stilistici sono, per esempio, due oli su tavola provenienti da un polittico smembrato: il S. Rocco dell'Accademia Carrara di Bergamo e il S. Sebastiano del Poldi Pezzoli di Milano, al quale è accostabile un modello anatomico eseguito a sanguigna (Milano, Ambrosiana). Ugualmente precoce, primi anni Novanta, deve essere il Cristo giovane che benedice della Galleria Borghese di Roma: la tavola, dipinta a olio con tecnica ineccepibile, raffigura Cristo adolescente, iconografia già sperimentata da Leonardo, ripreso a mezzo busto e ruotato leggermente di tre quarti, con la mano destra alzata nel gesto della benedizione e la sinistra che regge il globo terracqueo, la cui definizione geografica rappresenta fedelmente la superficie terrestre secondo le conoscenze del tempo (Hermann Fiore). Le mappe dovettero affascinare M. per tutta la vita: dall'inventario dei beni redatto dopo la sua morte risulta che ne possedeva una gran quantità, tra cui due mappamondi e due carte della Lombardia, e pare anche che egli si fosse direttamente cimentato nella realizzazione di carte geografiche (Shell, 1995, pp. 103, 174). Maniera simile al Cristo della Borghese e analoga diretta ispirazione leonardesca mostrano la Madonna col Bambino della City Art Gallery di Auckland, la Madonna delle violette già nella collezione Davenport-Bromley di Londra e il S. Giovanni Battista a mezzobusto già nella collezione Nicholson di Londra.

È molto probabile che nel 1504 M. fosse tornato a Milano.

La prima opera nota di questo secondo soggiorno meneghino risale al giugno del 1506, quando il prevosto del monastero di S. Spirito, Gabriel Goffier, gli commissionò una grande pala d'altare che doveva rappresentare Scene della Passione e della Resurrezione di Cristo; nello stesso tempo Goffier gli ordinava una copia del Cenacolo di Leonardo (Shell - Sironi, Documents…, 1989, pp. 105-107, 111-115). Anche in questo caso le opere citate dai documenti sono andate perdute, tuttavia è nota un'altra copia del Cenacolo dipinta più tardi da M. e conservata a écouen (Château, Musée de la Renaissance, in deposito dal Louvre). Non è questa l'unica replica da Leonardo che M. eseguì: databile all'inizio del sec. XVI è la Vergine delle rocce conservata nelle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano, copia di piccole dimensioni della versione parigina, che sul retro presenta tra eleganti grottesche in oro su fondo blu la firma in caratteri greci: evidentemente M. si faceva vanto di essere un pittore umanista, anche se si sa che non possedeva neppure un libro (Shell, 1995, p. 195). Ancora da Leonardo viene il tema, più volte replicato, dei Due fanciulli che si baciano e si abbracciano, soggetto molto popolare nell'Europa del Nord, la cui versione migliore è quella conservata nella Royal Collection di Hampton Court.

Nel novembre del 1508 M. sposò Ippolita di Tommaso Buzzi, appartenente a una famiglia benestante di origine bergamasca, che portò una dote di 1600 lire imperiali e consistenti proprietà immobiliari.

Dal matrimonio nacquero quattro figli: Elisabetta e Antonia, che morirono precocemente, Cinzio e Francesca; M. aveva un'altra figlia, illegittima, di nome Isabella (Longoni, 1998, pp. 134, 141).

In quegli anni si consolidò la posizione sociale e professionale di M. all'interno e all'esterno della piazza milanese.

Chiamato per commissioni di alto prestigio e di notevole compenso, M. era responsabile di una bottega molto stimata che sapeva rispondere con solerzia e precisione alle richieste dei committenti: si sa, da una convenzione del 1509, che vi erano aspiranti artisti, tra cui Giovanni Agostino Begni della Coltura, pronti ad addestrarsi alla sua scuola e disposti a lavorare per tre anni senza compenso e con spese di vitto e alloggio a loro carico (Shell, 1995, p. 223).

Nel 1509 M. terminò una pala d'altare, scomparsa, per Nicolò Raimondi, destinata alla chiesa di S. Agostino a Como (ibid., pp. 145, 268). Il 3 maggio 1511, a coronamento della sua scalata professionale, durante una seduta dell'università dei pittori milanesi M. fu eletto procuratore della Scuola di S. Luca (Longoni, 1998, pp. 138 s.). All'inizio del 1512 morì il padre e M. ne ereditò quasi per intero il ricco patrimonio.

Negli anni successivi egli si adoperò per gestire la rendita, continuando con acume gli investimenti paterni, vendendo terreni a Oggiono, raccogliendo gli utili che gli spettavano da altre proprietà, ma anche acquistando nuovi beni (Shell, 1995, p. 190).

Nel maggio del 1512 M. terminò il trittico su tavola della parrocchiale di S. Stefano di Mezzana Superiore di Somma Lombardo, raffigurante al centro l'Assunta e ai lati S. Giovanni Battista e S. Stefano.

L'opera, finanziata da Battista Visconti, era giudicata dai suoi contemporanei "anchona una pulcherrima" (ibid., pp. 195, 267). Oggi appare stilisticamente attardata; mentre la predella con Storie della Vergine e il martirio dei due santi sorprende per la sua finezza pittorica. All'incirca degli stessi anni dovrebbe essere il S. Giovanni Battista e donatore in abiti di cavaliere di Malta in S. Maria delle Grazie a Milano. Affine è anche il Polittico Crespi (Musée des beaux-arts di Blois, in deposito dal Louvre), databile tra il 1515 e il 1519, firmato, raffigurante in basso S. Giovanni Battista e donatore, la Madonna col Bambino e due angeli musicanti, S. Pietro e donatore, in alto S. Tommaso d'Aquino, S. Agostino e S. Monica (o la Beata Veronica da Binasco). L'opera è di incerta provenienza, anche se l'iconografia sembra parlare a favore di un contesto agostiniano. In queste opere di non eccelsa fattura si definisce la tipologia preferita da M.: i corpi sono masse dall'anatomia incerta, gli incarnati hanno i contorni marcati, i volti piuttosto tristi sono caratterizzati da lunghe arcate sopraccigliari rialzate, sotto le quali si annidano occhi affinati come nel Bergognone (Ambrogio da Fossano), ma nascosti nel profondo delle ombre, e le labbra sottili e serrate; un'altra sigla si scorge nei lunghi capelli delle donne o degli angeli spartiti al centro della fronte e ricadenti sulle spalle. Tutto questo ricorre anche nelle figure del trittico dell'Ambrosiana di Milano, La Vergine col Bambino, S. Giovanni Evangelista e S. Giovanni Battista, destinato alla chiesa di S. Mattia alla Moneta a Milano (Sedini, 1989, pp. 85-87). È quest'ultima un'opera di qualità migliore rispetto alle precedenti; ugualmente riuscita è la Madonna col Bambino e s. Giovannino di Greenville (Bob Jones University Art Gallery), un olio su tavola di forma circolare databile intorno alla metà del secondo decennio.

Intorno al 1516 si può collocare la pala con i Tre arcangeli (Milano, Brera), un olio su tavola firmato (la scritta "Marcus" appare incisa, come un'iscrizione latina, sulla roccia che si squarcia per far precipitare Lucifero negli inferi).

La pala fu eseguita per la cappella di S. Michele del convento agostiniano di S. Marta a Milano, epicentro in quel giro di anni di un cenacolo religioso e culturale d'ispirazione amadeita, noto come Circolo della Divina Provvidenza, politicamente schierato dalla parte dei Francesi (ibid., pp. 20, 102-108). Il legame di M. con questo milieu è documentato anche da una miniatura di sua mano raffigurante Cristo che appare ad Arcangela Panigarola (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., O.165 sup., c. 39r), l'ascetica badessa che determinò l'iconografia, basata sulla visione simbolica del futuro rinnovamento della Chiesa, della pala di Brera, la cui composizione si fonda sullo schema piramidale scolastico e rigido, ma i dettagli sono eseguiti con grande accuratezza. Basata invece su un prototipo del Bergognone è la S. Barbara di Chantilly, Musée Condé, un olio su tavola più o meno degli stessi anni, che mostra reminiscenze anche da Raffaello.

Varcata la seconda metà del decennio, la parabola della carriera di M. raggiunge il suo apice grazie a committenze sempre più importanti e a una condizione economica di tutto rispetto; viceversa la sua arte sembra rassegnarsi a una raffinata ma statica collazione di invenzioni sue o leonardesche risalenti agli anni della giovinezza, assemblate invero con maestria e furbizia, ma senza alcuna ispirazione nuova o vitale, come per il polittico realizzato da M. verso il 1518 per Bona Trivulzio Bevilacqua, anche lei rappresentante dell'aristocrazia lombarda filofrancese, originariamente destinato all'altare maggiore della chiesa dei minori osservanti di S. Maria delle Grazie a Maleo, nel Lodigiano, ora smembrato e conservato incompleto in varie collezioni pubbliche.

Secondo la ricostruzione di Marubbi (pp. 100 s.), rimangono lo scomparto centrale con la Sacra Famiglia e i ss. Elisabetta, Zaccaria e Giovannino (Parigi, Louvre), dove lo scollamento tra primo piano e sfondo segnala il definitivo oblio del magistero vinciano, le tavole laterali con S. Francesco d'Assisi e Bona Trivulzio Bevilacqua (vestita a lutto per la morte della sorella Lucia, avvenuta nel 1517), S. Antonio da Padova e Giulia Trivulzio (entrambe a Milano, Brera), S. Chiara e S. Caterina d'Alessandria (Milano, arcivescovado).

Subito dopo M. collaborò con Giovanni Agostino da Lodi a un polittico per l'altare maggiore della chiesa francescana di S. Maria della Pace a Milano, altro snodo fondamentale della vicenda religiosa ambrosiana di inizio Cinquecento, ma anche della vita artistica visto che, oltre a M., vi lavorarono Bernardino Luini, il Bramantino (Bartolomeo Suardi) e Gaudenzio Ferrari.

Di quest'opera, smembrata, si conservano a Brera le tavole con il Battesimo di Cristo (in cui è stato riconosciuto l'intervento di Giovanni Agostino da Lodi) e S. Paolo, mentre a Berlino, Staatliche Museen, si trova la tavola con S. Giovanni Battista e Giovanni Battista Bagarotti, vescovo di Bobbio (Sedini, 1989, pp. 126-131).

Tra il 1520 e il 1522 M. tornò a lavorare in S. Maria della Pace, realizzando una serie di affreschi per la cappella funeraria di Bagarotti, oggi staccati e conservati in varie collezioni milanesi (Id., 1987).

La Morte della Vergine e gli Apostoli al Museo della scienza e della tecnica, Adamo ed Eva a Brera (all'Ambrosiana si conserva uno studio a sanguigna per la figura di Adamo) e le Nozze di Cana presso le Civiche Raccolte del Castello Sforzesco; per l'altare della cappella, M. dipinse a olio la tavola con l'Assunzione della Vergine, oggi trasportata su tela e conservata a Brera. L'opera è quanto mai bistrattata dalla critica novecentesca, eppure la drammatizzazione dell'evento attraverso l'enfasi degli "affetti" e il drastico spezzarsi su due piani della scena (quello celeste e quello terreno) dicono che M. stava cercando di seguire lo stesso percorso che aveva portato Raffaello e Tiziano alle macchine profondamente teatrali ed emotivamente coinvolgenti della Trasfigurazione e dell'Assunzione. Vicini per stile all'impresa Bagarotti sono la Visitazione (Strasburgo, Musée des beaux-arts) e la quasi sorella dell'Assunzione di Brera, l'Elevazione della Maddalena (giunta a Brera nel 1989), una tavola lasciata incompiuta da M. e portata a termine dopo la sua morte da un valente paesaggista (Marani - Shell, 1992, pp. 62, 67). Dopo le commissioni in S. Maria della Pace va datata anche la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista, Eufemia, Senatore, Caterina d'Alessandria e tre angeli musicanti, pala d'altare della chiesa di S. Eufemia di Milano (olio su tavola ora trasportato su tela): nei gesti caricati dei santi e nella mancanza quasi claustrofobica di spazio si può ravvisare la declinazione manierista dell'ultima arte di M., qui arricchita dalle citazioni luinesche degli angeli musicanti.

Nel 1522 morì Giovanni Battista Bagarotti, ultimo importante committente di Marco.

Subito dopo gli Sforza, grazie all'appoggio dall'Impero, tornarono a Milano, anche se ancora non definitivamente: si chiudeva così la stagione del partito filofrancese e con essa il ruolo culturale del Circolo della Divina Provvidenza, con le chiese collegate di S. Maria della Pace e S. Marta, che tanta parte avevano avuto nel mecenatismo artistico e, indirettamente, nel successo di M., il quale, ormai ricco e affermato (tra le altre cose godeva di una rendita annua di 200 ducati: Sedini, 1989, p. 24 n. 77), dopo questa data sembra ritirarsi al ruolo di capobottega, affidando agli allievi i lavori che riusciva a procurasi. Probabilmente tutto di bottega è il tardo polittico con l'Assunzione della Vergine, gli apostoli e i ss. Ambrogio, Apollonia, Bernardino da Siena, Francesco d'Assisi, Sebastiano e Rocco nella chiesa parrocchiale di S. Eufemia a Oggiono. Eseguita forse nei primi mesi del 1524 è la pala d'altare proveniente da Besate, raffigurante la Madonna con il Bambino e i ss. Bernardino da Siena, Francesco e Gerolamo (Milano, arcivescovado). Tra gli ultimi lavori di M. è l'affresco nella chiesa di S. Eufemia a Oggiono raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i ss. Caterina d'Alessandria e Eufemia, lasciato incompiuto forse a causa dell'improvvisa morte (Moro, 1993).

M. morì a Milano o a Oggiono poco prima del giugno 1524 a causa della peste, che quell'anno contò fra le sue vittime anche il figlio Cinzio (Longoni, 1998, p. 141).

Al momento della morte M. possedeva, oltre a ricchi beni mobili, un numero considerevole di proprietà immobiliari, che passarono per intero alla moglie Ippolita. La figlia Francesca ottenne una dote di 700 ducati.

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