NIZZOLI, Marcello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NIZZOLI, Marcello

Fabio Mangone

– Nacque a San Rocco, frazione di Boretto (Reggio Emilia), il 2 gennaio 1887, primogenito di Massimino, pittore di paesaggi, e di Rosa Malvina Savi.

Dopo aver trascorso qualche tempo in seminario, nel 1910 si iscrisse al corso di decorazione e ornato dell’Istituto di belle arti Paolo Toschi di Parma, dove studiò con Latino Barilli, Paolo Baratta e Giuseppe Mancini. Ancora studente, ottenne nel 1911 il primo incarico: la felice decorazione pittorica della sala consiliarenel municipio della natia Boretto, ultimata nel 1913 e declinata in chiave modernista con molteplici accenti secessionisti. Già in questa fase formativa prebellica orientò il suo multiforme talento a esperienze diverse: collaborò con il pittore Baratta al concorso per le lunette a mosaico destinate al propileo dell’Unità nel Vittoriano (1912) e con l’architetto Giuseppe Mancini alla realizzazione delle scenografie per L’amore dei tre re di Sem Benelli(1913), e progettò a Boretto sia una villetta, sia il teatro Municipale. Nel 1914 entrò in contatto con l’ambiente milanese e con i giovani architetti e pittori che frequentavano la Famiglia artistica, avvicinandosi al gruppo parafuturista Nuove Tendenze; assieme a Mario Chiattone, Carlo Erba, Achille Funi, Antonio Sant’Elia e altri, partecipò alla relativa mostra inaugurata il 20 maggio, con due tele (Vele, Sensazione di verde) e alcune stoffe ricamate.

Assunta alla morte del padre la guida della famiglia, dal 1915 cominciò a lavorare per le acciaierie Ansaldo di Cornigliano, con le quali fu impegnato continuativamente negli anni di guerra e più saltuariamente nei decenni successivi, realizzando, tra l’altro, alcune illustrazioni pubblicitarie. Durante il conflitto e poi nel dopoguerra la sua attività proseguì secondo filoni artistici e progettuali plurimi, tra architettura, pittura, arti minori e design, con un’impronta formale sempre coerente, aggiornata sulle nuove esperienze europee. Sotto la guida del più affermato Giulio Ulisse Arata, disegnò architetture fantastiche, villette e cappelle (1917-18), in linea con le sperimentazioni del cubismo boemo, ma al contempo decorazioni di stile più convenzionale nel presbiterio della seicentesca chiesa di S. Rocco a Boretto (1918). Continuò a disegnare elementi tessili, spesso con l’ausilio della sorella Matilde, e in parallelo, intensificò l’attività di grafico, partecipando nel 1920 al concorso per le copertine della rivista Emporium.

Nel 1921 si trasferì stabilmente a Milano, dove maturò nuovi contatti diretti o mediati con importanti industrie. Proprio in virtù di questo stretto rapporto con il mondo della produzione, si distinse particolarmente nell’ambito italiano, mostrando la non comune capacità di orientare la speciale sensibilità cromatica e il non comune talento pittorico alla grafica, alle arti applicate, alla pubblicità e al design. Nel 1921, il manifesto Bella Starace, per la Drammatica compagnia italiana, glioffrì per la prima volta l’occasione di cimentarsi con la cartellonistica, che avrebbe costituito un filone duraturo e importante della sua attività. Dal 1924 avviò la collaborazione con lo studio Magagnoli-Maga realizzando manifesti pubblicitari tanto per ditte automobilistiche, come la OM (Officine Meccaniche), quanto per produttori di beni di largo consumo (importanti quelli per la Campari del 1926). Vincitore nel 1924 di un concorso di bozzetti per la decorazione di scialli di seta, indetto dalla ditta Piatti di Como, avviò con questa un fecondo rapporto di collaborazione: oltre a occuparsi della grafica pubblicitaria, progettò prodotti tessili di notevole qualità, ispirati alla più moderna cultura artistica europea, presentati e spesso premiati nelle grandi esposizioni di arti decorative.

Il rapporto con la Piatti gli aprì peraltro il circuito delle grandi esposizioni di arti decorative; fu presente con propri lavori tessili nel 1925 a Monza e a Parigi, e, di nuovo a Monza, nel 1927. All’Esposizione parigina del 1925, dove allestì un memorabile stand di ascendenze cubo-futuriste, ottenne tra l’altro due Grand Prix.

Sempre eclettico negli interessi artistici e sempre presente in settori eterogenei, dal design alla pittura, dalla scenografia alla progettazione di interni, dalla grafica all’ideazione dei tessuti, dalla fine degli anni Venti si avvicinò – anche attraverso una serie di collaborazioni con importanti architetti e intellettuali – all’ambiente dei futuristi, lavorando nel 1929-30 con Luciano Baldessari (in particolare alle decorazioni del caffè-bar Craja in vicolo S. Margherita a Milano) e collaborando con Giuseppe Terragni alla decorazione della casa del fascio di Como (1932). Dai primi anni Trenta, auspice anche l’avvio di un duraturo rapporto con la ditta Montecatini, diede inizio al filone degli allestimenti temporanei in occasione di fiere e mostre.

Per la Montecatini, nel giro di un decennio, realizzò numerosissimi padiglioni e stand in Italia e all’estero, nelle Fiere di Bari (1930), Liegi (1930), Budapest (1930 e 1936), Milano (dal 1932 ininterrottamente), al salone dell’Automobile di Milano (1935), Lipsia (1936), Padova (1937), Smirne (1939), Napoli (1940). Dal 1935, proseguendo l’impegno per la Montecatini, anche la ditta farmaceutica Carlo Erba si affidò a lui per gli allestimenti espositivi, inizialmente per le Fiere di Milano e di Bari e poi anche per importanti kermesse estere. A ciò si aggiunsero altre occasioni di rilievo: innanzitutto la sala del 1919 o «sala G» alla Mostra romana della Rivoluzione fascista (1932), dove attraverso il sapiente uso del fotomontaggio e una rigorosa sintassi delle componenti fotografiche e tipografiche, riuscì a creare uno spazio suggestivo e coerente con le poetiche del cubismo e del neoplasticismo; successivamente, al salone d’Onore alla Mostra dell’agricoltura di Bologna (1935) presentò un ambiente che assegnava alla pittura murale un ruolo per l’epoca inconsueto, con lo spazio articolato mediante parallelepipedi e cilindri con superfici dipinte sullo sfondo di pareti perimetrali e fotomontaggi e didascalie impaginate secondo gli schemi del Bauhaus.

Il ruolo di artista-architetto specializzato in arredamento di interni e in decorazioni di impianto moderno si consolidò mediante le collaborazioni con qualificatissimi teams di architetti e artisti, sempre di fede razionalista, in allestimenti e progetti complessi,per negozi e spazi commerciali, tanto temporanei quanto permanenti.

Con Baldessari e con Mario Sironi firmò il progetto per ilpadiglione della Stampa alla Triennale di Milano; con Edoardo Persico la sala delle Medaglie d’oro alla Mostra dell’aeronautica italiana di Milano (1934) e il negozio Parker in largo S. Margherita sempre a Milano (1934); con Terragni e il suo gruppo collaborò, nella medesima città, alla realizzazione del progetto di concorso per il palazzo del Littorio (1935). In autonomia, realizzò alcuni importanti negozi, come quello Motta e il secondo Parker, entrambi a Milano, conclusi nel 1935. In questo stesso anno ebbe l’incarico per l’inconsueto allestimento interno di un Autotreno viaggiante per la difesa dagli aggressivi bellici. In questa fase proseguì, seppure in sordina, l’interesse per la progettazione di tessuti moderni, nei quali far confluire il suo talento pittorico e la sua cultura avanguardistica: partecipò ai due concorsi (del 1933 e del 1943) per stoffe d’arredamento d’autore bandito dalla De Angeli - Frua, ottenendo un premio in entrambe le circostanze.

Auspice l’architetto e critico Edoardo Persico iniziò in sordina, nel 1931, il rapporto con la Olivetti, lavorando all’impaginazione di un annuncio. Nel 1938 fu proprio l’allestimento del negozio a Venezia della ditta di Ivrea a costituire l’occasione per conoscere di persona, attraverso il tramite del poeta e ingegnere Leonardo Sinisgalli, Adriano Olivetti, mecenate e imprenditore con cui si sarebbe andato a costruire un duraturo legame intellettuale e operativo. Nella Olivetti Nizzoli passò in breve dal ruolo di collaboratore alla propaganda, ricoperto dal 1936, a quello di designer: nel 1940 progettò il primo prodotto tecnologico, l’addizionatrice Summa 40. Nel frattempo, però, era rimasto una della figure di punta della grafica italiana e, come tale, aveva avuto un ruolo rilevante nelle prime esposizioni specializzate del settore, quali la I Mostra del cartellone e della grafica pubblicitaria, tenuta a Milano nel 1938, e Gli artisti grafici più significativi allaVII Triennale del 1940.

Costantemente aggiornato sulle più interessanti sperimentazioni linguistiche delle avanguardie europee, dal cubismo a De Stijl, dal costruttivismo alla nuova oggettività, Nizzoli importò nel sistema produttivo italiano delle arti applicate, della pubblicità e del design, gli esiti delle ricerche più avanzate in nome dell’arte pura. Accanto al lavoro di cartellonista, arredatore, progettista di allestimenti, disegnatore di stoffe, noto al grande pubblico attraverso mostre e pubblicazioni, proseguì l’attività di disegnatore e pittore, strettamente correlata alle opere su commissione nei temi figurativi e culturali ma – se si eccettuano alcune rarissime presenze in importanti esposizioni come la I Quadriennale romana del 1931 – in larga parte confinata nel suo privato. Nel luglio 1940 firmò, con altri dieci artisti, tra cui Bruno Munari e Mario Radice, il manifesto dei «Valori primordiali» e nel 1941 aderì al Gruppo dei primordiali futuristi, fondato da Franco Ciliberti.

Con il dopoguerra, in una situazione culturale e industriale tutt’affatto diversa si aprì una nuova e intensa fase nella biografia intellettuale e professionale di Nizzoli, segnata da una parte da un impegno importante nel settore del design per l’industria e dall’altra dall’avvio di nuovi e fecondi contatti con importanti esponenti della nuova cultura italiana. Nel 1945 si iscrisse al Movimento per gli studi di architettura, attivo a Milano a fianco del Comitato di liberazione nazionale della Lombardia fin dall’estate 1944, e collegato ai CIAM (Congressi internazionali di architettura moderna). Più tardi maturò un importante sodalizio culturale con lo storico e critico Bruno Zevi: per la riviste fondate e dirette da questi, Metron, a partire dal 1952, e L'architettura cronache e storia, dal 1955 al 1965, disegnò anche le copertine, intese talora come interpretazioni critiche e grafiche dei progetti di cui si parlava nel fascicolo. La vicinanza culturale con Zevi lo avrebbe portato ad avvicinarsi alla poetica dell’organicismo. Dal 1948, iniziò ad avvalersi della collaborazione di Mario Oliveri, giovane pittore e studente di architettura (avrebbe conseguito la laurea nel 1950) con cui si creò un felice sodalizio creativo, che permise peraltro di affrontare progetti architettonici di maggiore complessità tecnica e funzionale. Nei primi anni Cinquanta, pubblicò anche alcuni scritti di carattere teorico sui temi su cui lavorava, tra cui: La fabbrica e l’industria e Designer eindustria (entrambi in Stile e industria, 1954), nonché Note sul colore nell’architettura, nell’edilizia e negli ambienti di lavoro (comunicazione al I Congresso dell’Istituto nazionale delcolore, Padova 1957).

Per qualche tempo proseguì il consolidato impegno per la Montecatini, per la quale disegnò gli stand alla Fiera di Milano dal 1947 al 1951. Continuò ancora negli anni Cinquanta l’attività nel campo degli allestimenti espositivi, segnata peraltro da interessanti esiti in cui adottava un linguaggio più complesso e composito rispetto agli analoghi interventi degli anni Trenta: notevoli furono, tutti nel 1951, il salone dell’Abitazione alla IX Triennale di Milano, la Mostra del costume nel tempo. Momenti d’arte e di vita dall’età ellenica al romanticismo in Palazzo Grassi a Venezia (allora sede del Centro internazionale delle arti e del costume), la sala dei Tessuti sintetici Montecatini alla Fiera di Milano; nel 1954, sempre a Palazzo Grassi, l’esposizione Venezia viva; nel 1956 la mostra Arte tessile e costumi dell’India, ancora a Venezia.

Ma nuove prospettive artistiche e professionali scaturivano dal rapporto con Olivetti, con la sua ditta e con i suoi eccezionali collaboratori, primo tra tutti Sinisgalli, di capitale importanza per la fase matura di Nizzoli. Il suo apporto alleplurime strategie comunicative, sociali, produttive dell’azienda assunse differenti forme – oltre quella di raffinato comunicatore pubblicitario – autore tra l’altro del notissimo manifesto del 1949 per la Lexikon80, dove la leggerezza del cinematismo assume la forma analogica dell’uccellino. Infatti ricoprì tanto il ruolo di designer di fortunati prodotti che segnarono la storia del made in Italy, quanto quello – quasi sempre in collaborazione – di architetto progettista in molti dei programmi edilizi, in parte attuati e in parte rimasti su carta, organici alla moderna idea di impresa della Olivetti.

Come designer, ideò e progettò riuscitissime ‘carrozzerie’ per macchine per scrivere e strumenti di calcolo, nelle quali superò un approccio ingenuamente e astrattamente funzionalista, affermando la necessità di oltrepassare la frantumazione dei piani e degli elementi per ottenere forme più compatte e flessuose, attraverso un rivestimento organico costituito da superfici continue e con adeguati raccordi curvilinei, scaturito probabilmente anche da una matura riflessione sui coevi sviluppi del design automobilistico: non è priva di rilevanza la circostanza che tra il 1945 e il 1950 lo stesso Nizzoli abbia elaborato studi per carrozzerie d’automobili, che tuttavia non condussero a esiti concreti.

Primo manifesto del suo approccio, e al contempo riconosciuto caposaldo del prodotto di design italiano del dopoguerra, è la Lexikon 80, cui cominciò a lavorare nel 1945 e che entrò in produzione nel 1948, un anno dopo la macchina per calcolo Divisumma 14, e un anno prima di un’altra calcolatrice a manovella, la Summa 15. Il 1950 fu l’anno del lancio tanto della versione elettrica della Lexikon 80, quanto della fortunatissima macchina per scrivere portatile Lettera 22, entrata nel 1952 nelle collezioni del Museum of modern art di New York. Per tutti gli anni Cinquanta si susseguirono nel catalogo Olivetti macchine per dattilografia o elettrocontabili, nonché registratori magnetici, le cui carrozzerie compatte erano state concepite da Nizzoli: tra queste, la Studio 44 del 1952, la Elettrosumma duplex e il Refert entrambi del 1954, le Audit 502 e 302 del 1955-57, la Tetraktys, del 1956. In tutti questi prodotti la ricerca di una coerenza formale complessiva non prescindeva da approfonditi studi per un’adeguata definizione cromatica. Con i volumi prismatici della macchina per scrivere Diaspron 82, del 1959, Nizzoli segnò una certa cesura rispetto ai modelli precedenti che non sempre incontrò il favore della critica, ma che anticipò lo styling di una serie di prodotti progettati per la medesima ditta negli anni Sessanta, come per esempio l’addizionatrice Summa prima 20 (1960) e la calcolatrice Quanta (1964). In parallelo si occupò anche dell’impaginazione grafica di alcune riviste patrocinate dallo stesso Olivetti, come Comunità e Tecnica e organizzazione.

Non meno impegnativo fu il lavoro di progettazione architettonica per la ditta, nella ‘città-azienda’ di Ivrea e altrove, sempre in collaborazione con figure professionali dal profilo più squisitamente tecnico, alle quali era in genere demandato il compito di studiare la distribuzione funzionale e definire struttura statica e impianti.

Si occupò innanzitutto, a più riprese, del quartiere Canton Vesco, espansione a sud di Ivrea: già nel 1942-43, con Ugo Sissa,aveva elaborato un primo piano di insediamento per abitazioni di impiegati della Olivetti; tra il 1950 e il 1953, con Annibale Fiocchi, all’epoca dipendente della ditta, costruì tre edifici per dipendenti raggruppati attorno a a una sorta di piazza, nonché alcuni blocchi di case a schiera unifamiliari; con Oliveri, con cui aveva costruito tra il 1950 e il 1951 sei ville unifamiliari in un altro quartiere di Ivrea, Castellamonte, realizzò la chiesa del Sacro Cuore. In virtù del suo riconosciuto talento artistico, collaborò con l’ingegnere napoletano Luigi Cosenza alla definizione cromatica della fabbrica modello Olivetti a Pozzuoli, conclusa nel 1954. A valle di vari studi non attuati per il quartier generale degli uffici ad Ivrea, nonché del palazzo per uffici costruito a Milano in via Clerici (1954-56), con Fiocchi e Gian Antonio Bernasconi e insignito del I premio all’Esposizione internazionale di architettura di San Paolo del Brasile, fu costruito dal medesimo team il palazzo per uffici Olivetti a Ivrea a partire dal 1960. Con questi e con altri lavori, anche rimasti su carta come nel caso del grande complesso per la pensione aziendale a Ivrea (1959), l’Olivetti costituì la committenza fondamentale ma non esclusiva di Nizzoli.

Dal punto di vista del design industriale fu importante il suo operato per la fabbrica di macchine per cucire Necchi, per la quale progettò due modelli, la Supernova BU del 1953 e la Mirella del 1957, che meritarono il Compasso d’oro, nonché, nel 1961, la Supernova Julia. Rilevante fu anche il rapporto anche con l’ENI (Ente nazionale idrocarburi) di Enirco Mattei, pure conosciuto per il tramite di Olivetti: per questa committenza Oliveri e Nizzoli realizzarono un’opera importante e complessa, influenzata dalla linea dell’organicismo sostenuta da Zevi, quale il palazzo vetrato per gli Uffici ENI a San Donato Milanese, progettato nel 1955 e costruito tra il 1956 e il 1958. Per l’ENI disegnarono anche l’apparecchio distributore di benzina del 1958.

Dai primi anni Sessanta, mentre non mancavano riconoscimenti e premi (tra cui l’Arlecchino d’oro per il manifesto per l’Ente del turismo di Milano), Nizzoli ormai anziano e ammalato ridusse la sua attività. Nel 1965 si ritirò a Camogli, mentre l’attività dello studio proseguiva come «Nizzoli associati», condotto da Oliveri, Alessandro Mendini e Paolo Viola. Nel 1966 gli fu conferita dal Politecnico di Milano la laurea honoris causa in architettura.

Morì a Camogli il 31 luglio 1969.

Fonti e Bibl.: Università degli studi di Parma, Centro studi e Archivio della comunicazione, Archivio privato Nizzoli; M. Labò, L’aspetto estetico dell’opera sociale di Adriano Olivetti, Milano 1957, passim; L. Sinisgalli, Biografia e bibliografia di N., in La botte e il violino, giugno 1964, pp. 15-23; V. Gregotti, M. N. designer, in Notizie Olivetti, 1966, n. 87; G. Celant, M. N., Milano 1968; G. Pampaloni, Architettura e urbanistica degli anni Cinquanta alla Olivetti, Firenze 1975, passim; Nuove tendenze. Milano e l’altro futurismo (catal.), a cura diP. Thea, Milano 1980, pp. 3-14, 99-103; Gli studi N.: architettura e design, 1948-1983 (catal.),a cura di B. Gravagnuolo, Milano 1983; G. Giudici, Design process Olivetti 1908-1983, Milano 1983, passim; I. De Guttry - M.P. Maino - M. Quesada, Le arti minori d’autore in Italia dal 1900 al 1930, Roma-Bari 1985, pp. 22, 248 s.; La comunità concreta: progetto ed immagine. Il pensiero e le iniziative di Adriano Olivetti nella formazione della cultura urbanistica ed architettonica italiana, a cura di M. Fabbri et al., Roma 1988, passim; M. N., introduzione di A.C. Quintavalle, Milano 1990; U. Nizzoli et al., M. N., opera prima: la sala consiliare di Boretto, 1911-1913, Reggio Emilia 1991; F. Mangone, M. N. Disegni d’architettura 1917-1918, Napoli 1992; R. Astarita, Gli architetti di Olivetti: una storia di committenza industriale, Milano 2000, passim; S. Casciani, Ripensamenti: M. N., Mario Oliveri, in Domus, 2001, n. 843,pp. 150 s.; P. Bonifazio - P. Scrivano, Olivetti costruisce: architettura moderna a Ivrea: guida al museo a cielo aperto, Milano 2001, passim; A. Bassi, M. N., in Il dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, II, Firenze 2001, pp. 791 s.; P. Bonifazio, M. N., in Dizionario dell’architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo, III, Roma 2003, pp. 1823 s.; I. Cantoni, M. N.: inediti dalla sua terra d’origine, Parma 2009.

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