MALASPINA, Marcello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MALASPINA, Marcello

Riccardo Barotti

Nacque probabilmente a Firenze (non essendo il suo atto di battesimo registrato a Terrarossa) il 10 dic. 1689 da Manfredi di Filattiera, marchese di Terrarossa, in Lunigiana, e dalla sua seconda moglie, Claudia Santacroce, già vedova del marchese Giuseppe Malaspina di Olivola.

Gli antenati paterni detenevano anticamente in feudo Filattiera ma ne avevano progressivamente perso il dominio da quando era stata occupata, a titolo di protezione, da Cosimo I de' Medici, nella seconda metà del XVI secolo. Il Granducato ne ricevette formale investitura soltanto nel 1702. In compenso per la spoliazione subita, i Malaspina di Filattiera furono sempre accolti nella corte fiorentina, e dal 1628 furono infeudati dai granduchi del dominio di Terrarossa, poco prima acquisito dalla dinastia medicea. Manfredi Malaspina fu gentiluomo di camera del granduca Cosimo III. Le condizioni economiche della famiglia tuttavia non dovettero essere molto prospere.

Forse grazie a una prebenda di cui godeva in quanto chierico, il M. riuscì a laurearsi in giurisprudenza a Pisa il 26 apr. 1715. Si trasferì quindi a Roma per approfondire i suoi studi, sotto la protezione del cardinale Lorenzo Corsini, che dal 1730 fu pontefice con il nome di Clemente XII. A documentare il rapporto tra i due restano tracce di corrispondenza (1721-29) conservate nel fondo Malaspina di Filattiera dell'Archivio di Stato di Firenze.

A Roma il M., oltre allo studio del diritto, si applicò a quello "delle belle lettere, della poesia e della erudizione" (Vite de' senatori, c. 23r), frequentando in particolare l'Arcadia, dove fu accolto con il nome di Automedonte Abeadico. In seno all'Accademia, la sera di carnevale del 1731, lesse il ditirambo Bacco in America, composto per celebrare la cioccolata, sul modello del Bacco in Toscana di Francesco Redi.

Il Bacco in America si pone anzi come un seguito del ditirambo del Redi: "Terminato ch'egli ebbe il Dio del vino / colà su i colli etruschi il suo soggiorno, / nel porto di Livorno / sopra un forte imbarcossi eccelso pino". Vi si narra come, a causa di una tempesta provocata da Nettuno, la nave di Bacco approdi nelle Indie Occidentali. Dopo il primo spavento del dio ("cangiato, similissimo si rese / fatta la guancia pallidetta e fina / ad una gentildonna parigina") e dopo lo sgomento del suo seguito, Bacco incontra nuovi popoli e costumi. Gli sono resi cortesi omaggi dagli indigeni, ma il vino è sconosciuto. Il dio non si abbatte e ordina alla sua comitiva di raccogliere cacao. Dopo un consulto con Sileno, presiede quindi a tutte le fasi della lavorazione della cioccolata, dalla tostatura del cacao alla preparazione della bevanda calda, davanti alla quale non si esita a cantare, nell'ultimo verso, "che il cioccolatto d'ogni beva è il re". Composto di 480 versi, il Bacco in America rispetta pienamente i canoni del genere ditirambico, caro soprattutto all'ambiente mediceo: un fresco classicismo, la varietà metrica e un forte interesse linguistico, di cui è tipica in particolare la coniazione di nuovi vocaboli ottenuti dall'unione di due voci (oricrinite, animallegratrici, ebrifestoso, fiammispirante, ignipleno).

Poco dopo la sua pubblica lettura, il ditirambo fu pubblicato, da Giovanni Maria Crescimbeni, nelle Rime degli Arcadi (IX, Roma 1731, pp. 369-386), senza avvertirne l'autore, e poi nei Saggi di poesie diverse dell'illustrissimo senatore Marcello Malaspina (Firenze 1741), a cura di G. Bianchini, che ne redasse le erudite note di corredo, seguendo il modello delle Annotazioni al Bacco in Toscana composte dal Redi. Lo Sforza sostiene che ancora in giovane età il M. abbandonò l'abito ecclesiastico. È certo che, arricchito dall'esperienza romana, intraprese una brillante carriera amministrativa nel Granducato di Toscana, probabilmente sotto gli auspici dello stesso cardinale Corsini: a lui si dovrebbe la segnalazione del M. al granduca Cosimo III quando questi richiese al prelato di indicargli qualcuno che potesse occuparsi degli affari senesi. Il M. fu infatti nominato senatore fiorentino (22 genn. 1722) e poi auditore generale di Siena, dal 1722 al 1731. Fu quindi soprassindaco dei Nove conservatori del dominio e della giurisdizione fiorentina e soprintendente del tribunale della Mercanzia. Nel 1734 il granduca Gian Gastone lo scelse a rappresentarlo nelle feste di S. Giovanni, quando il sovrano riceveva gli omaggi delle Comunità e dei feudatari. L'anno seguente ebbe l'onore del conio di una medaglia celebrativa che lo raffigurava nell'atto di venire coronato da Minerva e da Temi, e lo qualificava "Senator, auditor generalis Senarum, nunc supersindicus". Nel delicato momento di passaggio del potere dai Medici ai Lorena, fu eletto auditore della Consulta di reggenza. Non mancarono tuttavia critiche feroci alla sua attività amministrativa, come quelle registrate dal Gualtieri, che lo accusa di avidità e rapacità (c. 23r).

Parallelamente alla cura degli affari di governo, il M. continuò a coltivare i propri interessi letterari. A Firenze fu accademico degli Apatisti, dei quali fu anche reggente, dell'Accademia Fiorentina e dell'Accademia della Crusca (arciconsole nel 1741-42, consigliere nel 1749-50, 1751-52), ma sono documentati rapporti anche con altre accademie italiane (per esempio gli Icneutici di Forlì).

Il contenuto dei citati Saggi di poesie diverse del 1741 può essere diviso in alcune fondamentali tipologie: poesie celebrative (in questa categoria va inclusa l'esaltazione di Matilde di Canossa, celebrata come gloriosa antenata dei Malaspina), componimenti che hanno per protagonisti personaggi della storia romana, poesie di soggetto religioso che danno voce a personaggi biblici, poesie d'occasione. L'impianto è decisamente melodrammatico, forte si avverte l'influsso della poesia metastasiana; non sempre tuttavia i versi rivelano efficacia poetica. Pochi sono i momenti intimi, il più interessante dei quali è la canzonetta Interrogato l'autore da amico a dirgli in che consistesse il male che pativa d'effetti ipocondriaci, egli lo descrive in questa canzonetta, dove le cause del proprio malessere esistenziale non vengono individuate in una "colpa del pensiero" ma in un disturbo fisico ("Del pensier non è il difetto / n'è l'origine un tormento / che ne i nervi ognor mi sento / a infestarmi o 'l capo o 'l petto / e s'affissa e poi dà moto / a un penar del tutto ignoto"). Accostabile al Bacco in America è la composizione Sopra la nuova bevanda detta alchermes liquido. La raccolta documenta anche la felice vena ironica del M., chiaramente manifestata nei tre sonetti satirici Sopra la morte di un gatto caduto da alto tetto in occasione di rissa amorosa attaccata con i suoi rivali. Nell'insieme l'opera, soprattutto le composizioni encomiastiche, religiose, e di soggetto romano, segue un pulito gusto classicheggiante; le canzonette, in particolare, rispettano fedelmente i canoni estetici arcadici.

Ultima prova poetica del M. andata a stampa, nel 1756, sono i sonetti Alla sacra cesarea maestà dell'augustissimo Francesco I, imperadore de' Romani , dedicati al granduca Francesco Stefano I di Lorena.

Il M. morì a Firenze nell'aprile 1757 e fu sepolto nella chiesa delle monache di S. Teresa.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2004, 2007, 2050-2052; Nove conservatori del dominio e della giurisdizione fiorentina, 3318 e ss.; Arch. Malaspina di Filattiera, 148, 150, 151, 172, 174, 199, 214, 218-221, 242, 255, 278, 310, 332, 343, 345-347; Firenze, Biblioteca nazionale, Palatino, 745: Vite de' senatori fiorentini viventi a tempo del nuovo governo scritte da Luigi Gualtieri l'anno 1737, cc. 22-23; Novelle letterarie (Firenze), 13 maggio 1757, coll. 289 s.; E. Gerini, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, II, Massa 1829, p. 339; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, II, Pistoia 1897, pp. 809 s.; G. Sforza, M. M., in Giorn. stor. della Lunigiana, VII (1915), pp. 121-127.

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