PICCOLOMINI, Marcantonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PICCOLOMINI, Marcantonio

Franco Tomasi

PICCOLOMINI, Marcantonio. – Nacque a Siena nel 1504 da Iacomo, del ramo Carli dei Piccolomini, e da Vittoria Saracini.

Poche sono le notizie sulla sua famiglia, così come sulla prima formazione. Di sicuro frequentò tra il 1525 e il 1526 i corsi di Rinaldo Petrucci presso lo Studio di Pisa; durante quel soggiorno consolidò i rapporti con alcuni studenti senesi, tra i quali Antonio Vignali, con cui fondò a Siena, probabilmente tra la fine del 1524 e i primi mesi del 1525, l’Accademia degli Intronati. Questa istituzione fu orientata, anche grazie al decisivo contributo di Piccolomini, a un programma di studio della lingua poetica volgare – Francesco Petrarca in particolare – e a una vivace attività di sperimentazione letteraria, con tratti anche violentemente provocatori, come illustra il dialogo osceno di Vignali La Cazzarìa, nel quale Piccolomini figura come uno dei due interlocutori. Ulteriore testimonianza del coinvolgimento ai lavori intronatici è offerta da una lettera inviata da Piccolomini a Francesco Maria Bandini, futuro arcivescovo di Siena, l’8 aprile 1528, allegata alla quale si trova un lungo componimento in endecasillabi sciolti «in lode dell’impresa degl’Intronati»; nel testo si profila il programma dell’Accademia: pubblico femminile quale destinatario ideale; prioritaria vocazione alla poesia, latina e volgare; l’elezione esclusiva del tema amoroso, indicato come luogo privilegiato delle discussioni accademiche.

Con il soprannome di Sodo Intronato partecipò inoltre, con il sonetto Anima santa ch’hor nel ciel accolta, a una silloge di versi in morte di Giovan Battista Gualandi, detto il Bogino, allestita da Aonio Paleario negli ultimi mesi del 1531. Nelle vesti di Archintronato fu poi maestro delle cerimonie per il Sacrificio, spettacolo allestito dall’Accademia nel carnevale del 1532. Sempre a questa stagione andrà probabilmente ascritta anche una sua lettura accademica sul sonetto pertrarchesco Son animali al mondo de sì altera vista. Benché non si abbiano notizie precise sul suo coinvolgimento nella vita pubblica, una lettera inviata a Bernardino Buoninsegni il 27 ottobre del 1537 lascia intuire che fosse in qualche modo coinvolto negli affari di Stato; dalla lettera si comprende però come la principale vocazione fosse quella degli studi letterari e della poesia, come attesta il sonetto Quanto l’arte imitar può la natura allegato alla missiva, dedicato a un ritratto della donna – eseguito da Bartolomeo Ricci – celebrata da Piccolomini.

Nei primi mesi del 1538 fu coinvolto, assieme con Fabio d’Alessandro d’Elci, Claudio Saracini e altri due studenti dello Studio senese, Roberto da Cingoli e Achille Massa, nell’assassinio di Pietro di Giacomo Apollonio, un giovane studente. Quali che fossero le ragioni che portarono al fatto di sangue, probabilmente legate a un prestito di denaro non restituito da Piccolomini, il 24 aprile del 1538 fu comminato il bando dagli Ufficiali di custodia a tutti i colpevoli. Difficile indicare dove risiedette nel periodo successivo al bando. Al 12 maggio del 1538 data la prefatoria di un dialogo, forse una delle opere più interessanti di Piccolomini, inviato alla nobildonna senese Eufrasia Marzi da una località nei pressi di Bologna.

Suddiviso in cinque parti, il dialogo Se è da credersi che una donna compiuta in tutte quelle parti così del corpo come dell’animo, che si possino desiderare, sia prodotta da natura o sorte o pensamento elegge a protagoniste tre nobildonne senesi, Girolama Carli de’ Piccolomini, Laudomia Forteguerri e la stessa Eufrasia Marzi, che affrontano alcuni temi di filosofia naturale e alcune spinose questioni teologiche, quali il rapporto tra libero arbitrio e predestinazione, la grazia divina e il Purgatorio.

Da alcune lettere di Annibal Caro, ascrivibili al 1540-41, apprendiamo che Piccolomini si trovava a Macerata, in compagnia di Antonio Barozzi, il Deserto Intronato, quasi sicuramente al servizio di Francesco Bandini Piccolomini. Proprio grazie a quest’ultimo ottenne la revoca del bando, con un processo del tribunale ecclesiastico di Siena celebrato nel novembre 1544. Nonostante la riacquistata libertà di movimento, Piccolomini iniziò la carriera di segretario al servizio di diversi prelati – dapprima ancora presso Bandini, poi, almeno fino al 1549, presso Miguel da Silva, cardinale di Viseu – che lo portò sostanzialmente a soggiornare lontano da Siena.

Dalla seconda metà del 1549, per desiderio di Virginia Pallavicini Gambara, si legò all’abate Giovan Francesco Gambara, che seguirà nei suoi viaggi. A questo ambiente e a questo periodo è legato il dialogo Ragionamento… di tutti gli stati dell’humana vita… (Venezia 1562) del bresciano Stefano Maria Ugoni, nel quale Piccolomini figura come uno degli interlocutori. Il servizio presso il giovane Gambara non lo distolse del tutto dal coinvolgimento nella vita politica della sua città, in particolare dopo il rovesciamento del potere filoimperiale a vantaggio della parte sostenuta dai Farnese e dai francesi: fu infatti nella città natale almeno dall’agosto del 1552, dove svolse anche il compito di attivo informatore per cardinale Ippolito d’Este, cardinale di Ferrara e vicario del re di Francia per la città. Fu membro del Concistoro tra il gennaio e il marzo del 1553, per poi essere eletto, sino al luglio dello stesso anno, commissario di Lucignano, dove dovette gestire la sollevazione popolare della cittadina. Tra il 1553 e il 1554 fu ambasciatore a Firenze.

Alla caduta di Siena cercò di mantenere buoni rapporti con Cosimo de’ Medici: lo attestano, da un lato, una lettera di Ippolito Chizzuola a Giovan Battista Gavardo (Lettere di Principi…, 1573, p. 281r), dall’altro, le diverse epistole di Piccolomini indirizzate alla Signoria tra il 1558 e il 1560, quando chiese alle autorità fiorentine un’indagine accurata sulle circostanze della morte violenta del fratello Scipione. A lui fece appello, nel febbraio del 1560, Pietro Carnesecchi, desideroso di ottenere, per il tramite di Piccolomini, un interessamento da parte di Cosimo de’ Medici alle vicende del processo allora in corso. Durante questo periodo, e almeno sino alla fine del 1560, mantenne comunque il suo incarico di segretario del cardinale Gambara, muovendosi spesso tra Roma, Parma e Brescia; con questo ruolo venne eletto a protagonista principale del Dialogo de’ giuochi di Girolamo Bargagli, composto probabilmente verso il 1559.

Nel novembre del 1560 fu accusato da Francesco e Cesare Gonzaga di aver fatto circolare voci diffamatorie contro di loro, soprattutto circa la scarsa considerazione di cui avrebbero goduto presso il pontefice. In seguito alle proteste dei Gonzaga, Giovan Francesco Gambara licenziò Piccolomini, che nel gennaio del 1561 trovò sistemazione presso Cesare Gambara, vescovo di Tortona e vicelegato della Marca. I rapporti con Giovan Francesco Gambara però – divenuto cardinale nel 1561 – non si interruppero, tanto che già verso il 1564 Piccolomini risulta, dalle diverse lettere scritte per conto di questi, essere tornato al suo servizio. Ancora una volta Pietro Carnesecchi, nel febbraio del 1567, cercò l’aiuto di Piccolomini, questa volta proprio in qualità di segretario del cardinale, per ottenere nuovamente un aiuto nel processo.

Nel corso di questi decenni Piccolomini, nei tempi e modi che il lavoro di segretario gli concedeva, si dedicò comunque all’attività letteraria: gli impegni principali furono una raccolta di proverbi toscani, andata probabilmente perduta, cui lavorò sino agli ultimi anni della sua vita, e l’allestimento di due libri di lettere, verosimilmente pensati per un’edizione a stampa, come documenta il secondo tomo, conservato nel codice C.VIII.18 della Biblioteca comunale di Siena.

Dal 1564 fu soprattutto a Roma dove, sul finire 1570, prese definitivamente i voti ecclesiastici.

A Roma morì nei primi mesi del 1579.

Salvo qualche pezzo sciolto, tutte le opere di Piccolomini, lettere, trattati e poesie, sono rimaste inedite, per lo più conservate presso la Biblioteca comunale di Siena (un elenco in Tomasi, Le origini dell’Accademia degli Intronati..., i.c.s.).

Fonti e Bibl.: A. Lisini, Notizie genealogiche della famiglia Piccolomini, in Miscellanea storica senese, V (1898), p. 176, tav. VIII; R. Belladonna, Two Unpusblished Letters About the Use of the Volgare sent to Alessandro Piccolomini, in Quaderni d’italianistica, VIII (1987), pp. 53-74; G. Minnucci - L. Kosuta, Lo studio di Siena nei secoli XIV-XVI. Documenti e notizie biografiche, Milano 1989, pp. 527, 574 s.; R. Belladonna, Gli Intronati, le donne, Aonio Paleario e Agostino Museo in un dialogo inedito di M. P., il Sodo Intronato (1538), in Bullettino senese di storia patria, IC (1992), pp. 48-90; I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567), a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I, I processi sotto Paolo IV e Pio IV (1557-1561), Città del Vaticano 1998, ad ind.; F. Tomasi, L’Accademia degli Intronati e Alessandro Piccolomini: strategie culturali e itinerari biografici, in Alessandro Piccolomini (1508-1579)…, a cura di M.-F. Piéjus et al., Paris 2011, pp. 23-38; K. Eisenblicher, The Sword and the Pen. Women, Politcs, and Poetry in Sixteenth-Century Siena, Notre Dame (Ind.), 2012, pp. 42-44; F. Pignatti, Frottola e proverbio nel XVI secolo. Con qualche notizia sulla perduta raccolta paremiografica di M. P., in Il proverbio nella letteratura italiana dal XV al XVII secolo..., a cura di G. Crimi - F. Pignatti, Manziana 2014, pp. 247-282; F. Tomasi, Le origini dell’Accademia degli Intronati e un componimento inedito di M. P., in Chivalry, Academy, and Cultural Dialogues:The Italian Contribution to European Culture. Essays in honour of Jane E. Everson, a cura di S. Jossa - G. Pieri, Oxford, in corso di stampa.

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