MANTINEA

Enciclopedia Italiana (1934)

MANTINEA (Μαντίνεια; lat. Mantinēa)

Giulio GIANNELLI
Gaetano DE SANCTIS
Paola ZANCANI MONTUORO
Paola ZANCAN

Antica città greca, capoluogo dell'Arcadia orientale (Peloponneso) a nord della moderna Tripoli; si trovava in posizione strategiea importante, perché sorvegliava le strade che menavano dall'Argolide verso Orcomeno e Tegea; la sua pianura (a 600 m. s. m.) fra i monti Artemisio e Menalo si prestava egregiamente come campo di battaglia e fu infatti teatro di molti combattimenti. In origine non era che una borgata presso il santuario di Posidone Ippio, al cui oracolo (μαντείον) deve il suo nome, leggendariamente giustificato al contrario con un mitico fondatore Mantinoos; dapprima insignificante, dopo il 550 a. C. si unì alla Lega peloponnesiaca e le sue truppe combatterono alle Termopile, ma sopraggiunsero troppo tardi a Platea (479) solo dopo il sinecismo di varî demi (464-459) divenne città considerevole, con politica autonoma e costituzione democratica (425). Conquista Menalia e Parrasia e ha perciò un conflitto con Tegea nel 423; nel 421 si separa da Sparta, cui deve cedere Parrasia, alleandosi con Argo, Elide e Corinto, e nel 420 Atene: nell'agosto del 418 Agide II sconfigge presso Mantinea le truppe degli alleati. Imitò poi Argo, concludendo una pace separata per 30 anni con Sparta nel 417; ma la sua palese inimicizia, malgrado il trattato, suscitò la vendetta della rivale, che, dopo varî incidenti, fece assediare Mantinea dalle truppe agli ordini di Agesipoli, il quale la espugnò e procedette al diecismo, cioè a distruggere l'organismo e l'unità cittadina, suddividendola nuovamente in singole borgate (385), sottoposte al regime lacedemone. Ma dopo la battaglia di Leuttra (371), col risveglio del nazionalismo arcadico fu ricostruita e ricostituita: partecipò attivamente alla confederazione degli Arcadi e contribuì non poco alla formazione di Megalopoli; quindi, dopo varî episodî, si coalizzò nel 362 con Atene, Sparta, Fliunte, l'Elide e l'Acaia ai danni di Tebe, ciò che condusse fatalmente alla battaglia del 362. Disgregatasi la Lega arcadica dopo la morte di Epaminonda, Mantinea rimase isolata, finché nel 342 strinse alleanza con Atene; nel 338 accolse Filippo il Macedone; nel 303 subì l'assalto di Demetrio Poliorcete; si associò intorno al 234 alla Lega achea e nel 229 a quella etolica, infine nel 222 fu espugnata e distrutta da Antigono Dosone, il quale poi la concesse agli Achei, capeggiati da Arato; questi, non paghi della materiale distruzione, ripopolandola, vollero mutarne anche il nome in quello di Antigóneia, come narra Plutarco (Vita di Arato, 45, 4); finisce così l'indipendenza della città. Nel suo territorio fu combattuta la battaglia del 207 fra Macanida e Filopemene, che riportò la vittoria. Dopo tre secoli e mezzo, l'imperatore Adriano restituì a Mantinea il suo nome primitivo (130 d. C. circa) e l'arricchì di molti edifici sì che questa ebbe un nuovo sprazzo di vita in età romana. Dopo l'occupazione slava fu chiamata Gorítsa; Paleopoli è la denominazione attuale dell'abitato, presso le rovine rimesse in luce dagli scavi della scuola archeologica francese fra il 1887 e il 1889. Si è identificata la cinta muraria costruita nel 370 a. C. e non più rimaneggiata, che ha un perimetro di m. 3942; l'elevato in mattoni crudi poggiava su un alto zoccolo di pietra; 126 torri quadrate fiancheggiavano le mura, nelle quali erano aperte dieci porte fornite di dispositivi diversi. Degli edifici resta molto poco: il mercato (agorà) rettangolare limitato da portici non continui, in gran parte rifatto nell'età romana; il teatro, costruito in piano al centro della città, serviva oltre che per gli spettacoli anche per le riunioni dell'assemblea popolare, mentre il buleuterio (senato) era un edificio rettangolare con un porticato; rovine poco interessanti di altri edifici. Molto note invece, anche per le dispute cui hanno dato luogo, sono tre lastre di marmo a rilievo con la rappresentazione della contesa musicale fra Apollo e Marsia in presenza di alcune Muse (oggi al Museo Nazionale di Atene), che decoravano la base di un gruppo riproducente Latona con Apollo e Artemide, opera di Prassitele, e scolpite verosimilmente anch'esse dal maestro.

Bibl.: G. Fougères, Mantinée et l'Arcadie orientale, Parigi 1898; per la bibl. storica posteriore, v. arcadia; per la base prassitelica, G. E. Rizzo, Prassitele, Milano-Roma 1932, pp. 86 segg., 117, tav. XXX segg. Per le monete v. B. V. Head, Historia numorum, 2ª ed., Oxford 1911, p. 449; per le iscrizioni v. Inscr. graecae, V, ii, pp. 46-67.

Le battaglie di Mantinea.

La battaglia dell'agosto 418 a. C. - L'urto fu tra Argivi e Spartani. Comandava gli Spartani il re Agide; gli Argivi erano coadiuvati dagli alleati Mantinei e Ateniesi (questi ultimi in numero di 1300, sotto gli strateghi Lachete e Nicostrato). Tucidide, cui dobbiamo il racconto della battaglia, dice che non è possibile valutare con esattezza il numero dei combattenti, ma che fu la maggiore battaglia che da molto tempo si combattesse fra potenze greche. Fu combattuta sulla pianura leggermente ondulata che è a nord di Tegea. Ebbe svolgimento inatteso; poiché Agide, che disponeva di truppe più numerose schierate su una fronte più estesa, ordinò il duplice accerchiamento, laddove era consuetudine che i due eserciti con la destra tentassero l'accerchiamento, con la sinistra curassero la difesa. L'improvvisa deliberazione ebbe esito infelice: la sinistra spartana perdette contatto con il centro, fu travolta dai nemici e inseguita fino ai bagagli. Nell'inseguimento s'era lasciato attrarre anche il mwglio degli Argivi, i 1000 scelti che ne costituivano il centro; grave errore, che tradusse il successo iniziale in un finale insuccesso, poiché contro la sinistra argiva rimasta isolata, avanzò compatta la destra spartana travolgendola. Le truppe spartane poi, astenendosi dallo schiacciare gli Ateniesi (per ragioni politiche), e dall'inseguimento (per opportunità tattica), portatesi verso sinistra volsero in fuga anche i Mantinei e gli Argivi dianzi vincenti. Completa vittoria spartana, dunque; della quale il segreto sta proprio nella disciplina delle truppe, disciplina animosa e fiduciosa che si rivelò più forte e della cattiva e della buona fortuna. La lega argiva ebbe 1100 morti, di cui 200 ateniesi.

La battaglia del 27 giugno (?) 362 a. C. -. Quando Epaminonda, nell'estate del 362 (il Kromayer crede dl poter fissare la data della battaglia al 27 giugno), arrivò sull'istmo di Corinto, fu informato che la forte coalizione nemica si stava raccogliendo intorno a Mantinea. Egli marciò allora senza altro su Tegea, luogo nel quale veniva a trovarsi in mezzo a paese a lui amico. Di qui tentò subito un colpo di mano su Sparta, donde era uscito l'esercito, con Agesilao, per marciare in Arcadia: il vecchio re fu però informato a tempo per tornare indietro e sventare il colpo. Essendo frattanto annunziato il sopraggiungere degli alleati di Sparta da Mantinea, Epaminonda decise la ritirata su Tegea. Di qui tentò una seconda sorpresa su Mantinea, sguernita ora delle truppe alleate; ma anche questa volta la sorpresa fu sventata dalla cavalleria ateniese. Frattanto, gli eserciti alleati ritornavano precipitosamente su Mantinea.

Bisognava ormai che Epaminonda si decidesse a misurarsi con i nemici in battaglia campale. Erano al suo seguito, oltre i suoi Beoti, i Tessali, i Locresi, gli Euboici e i contingenti degli alleati peloponnesiaci (Sicionî, Argivi, Messenî, Arcadi merid.): un complesso di circa 30 mila uomini, di cui non meno di 3000 a cavallo. Gli stavano di fronte, sotto il comando di Agesilao, i Lacedemoni con i loro alleati peloponnesiaci (Achei, Elei, Arcadi settentrionali) e con gli Ateniesi: poco più di 20 mila opliti e circa 2000 cavalieri. Agesilao aveva il campo nel luogo più adatto per coprire Mantinea. Il campo tebano doveva trovarsi sulla strada da Mantinea a Pallántion, a circa 30 stadî (5 o 6 km.) a sud della città, ai piedi della collina di Skopĕ (oggi Mýtikas); poco più a nord, quello di Agesilao, ai piedi della foresta di Pelago, che occupava tutta la larghezza della pianura.

Epaminonda compié a lente tappe la sua marcia di avvicinamento riuscendo a nascondere le sue intenzioni e i particolari del suo schieramento. Intorno al quale i moderni discordano, ritenendo alcuni che Epaminonda abbia ripetuto, in grande, a Mantinea, la tattica di sfondamento adottata a Leuttra (v.), facendo massa con gli opliti tebani all'ala sinistra e spingendola a spezzare l'ala destra nemica, mentre i contingenti alleati tenevano fermo alla sua destra e al centro; altri invece giudicano che Epaminonda abbia questa volta modificato sostanzialmente la sua tattica preferita, formando, alla sinistra, una colonna d'assalto, che, protetta da stormi di cavalleria, doveva spingersi, a guisa di cuneo, contro il fronte nemico, mentre forti distaccamenti di truppe leggere e montate, all'ala destra, dovevano minacciare gli Ateniesi del fianco sinistro nemico e impedire loro di recare aiuto agli Spartani dell'ala destra: il centro di Epaminonda, composto di truppe più scadenti, doveva restare indietro e, possibilmente, inattivo per tutta la durata del combattimento. Sferrato l'assalto, il cuneo tebano penetrò dentro il fronte nemico, formato, all'ala destra, di contingenti Lacedemoni e Arcadi, trovando però fierissima resistenza la quale costò la vita a due dei migliori duci tebani, Daifanto e Iollida, e infine a Epaminonda stesso; intanto, all'ala destra, la cavalleria tessala combatteva con vantaggio contro quella ateniese. Così il piano di Epaminonda si svolgeva in pieno come era stato previsto; ma la morte del loro grande capo disorientò i Beoti, mentre ridiede animo agli Spartani, che riuscirono a riconquistare una parte del campo. Così ambedue le parti si videro costrette a chiedere un armistizio e poterono attribuirsi la vittoria, in questa che fu la più grande battaglia che si fosse fino allora combattuta fra Greci: battaglia che il Kromayer giudica abbia segnato l'aprirsi di una nuova era nella strategia e nella tattica e abbia dato la vera misura del genio politico e militare di Epaminonda.

3. La battaglia del 207 a. C. - È un episodio della guerra che si combatté in quegli anni in Grecia, in relazione con la seconda punica. A Filippo V di Macedonia, che aveva stretto alleanza con Annibale e minacciato i possessi romani dell'Illiria meridionale, i Romani avevano contrapposto una lega che comprendeva i suoi avversarî nella Grecia propria, primi fra tutti gli Etoli e i Lacedemoni, oltre il re di Pergamo, Eumene II. Così anche gli alleati di Filippo erano stati coinvolti nella guerra e particolarmente ne aveva sofferto la Lega achea, attaccata dai Romani, dagli Etoli e dagli Spartani. Questa condizione di cose aveva costretto gli Achei a darsi finalmente un saldo ordinamento militare, valendosi soprattutto dell'opera di Filopemene di Megalopoli. Il nuovo esercito acheo fece appunto le sue prime prove nella battaglia di Mantinea del 207, che è l'ultima grande battaglia combattuta nella penisola greca tra Greci, con le sole loro forze. Grande, beninteso, relativamente, perché non vi parteciparono di certo più di 10-15.000 uomini per ciascuna delle parti, tra le quali la prevalenza del numero spettava senza dubbio agli Achei. Macanida, che signoreggiava in Sparta quale tutore del re Pelope, aveva tolto, non sappiamo bene come né quando, agli Achei, Tegea, città arcadica sul confine della Laconia. Ivi egli raccolse forze per occupare con audace offensiva Mantinea, ma Filopemene informato, radunò le milizie achee a difesa della città, e per tagliare il cammino a Macanida, le schierò a cavaliere della via tra Mantinea e Tegea, dove più si accostano i contrafforti del monte Alesio e del Menalo, che la fiancheggiano a oriente e a occidente.

Lo schieramento di Filopemene teneva conto delle condizioni del terreno; al centro e alla destra, ove egli aveva schierato la falange e la cavalleria cittadina, gli Achei erano difesi da un fossato che tagliava la pianura. Alla sinistra, non protetta da alcun ostacolo naturale, aveva ammassato la cavalleria mercenaria, le truppe leggiere, gli ausiliarî. Macanida, procedendo da S. verso N., dispose anch'egli sull'estrema destra la cavalleria e i mercenarî e collocò al centro la fanteria cittadina di fronte a quella degli Achei. Fece poi trasportare sulla fronte le catapulte, per proteggere l'avanzata dei suoi attraverso il fossato, sgomberando prima con il tiro di queste antiche artiglierie la sponda su cui si era schierato il nemico: una delle pochissime battaglie di quell'età in cui si aspettava un effetto risolutivo dall'uso delle macchine da guerra. Filopemene, non lasciandogli tempo di colorire questo piano, attaccò Macanida con la sinistra achea. Macanida contrattaccando impetuosamente con la cavalleria e con i mercenarî lo sgominò e procedette inseguendo i fuggiaschi verso Mantinea, invece di caricare immediatamente il centro e la destra nemica. Tale errore fu per lui fatale, perché esso diede tempo a Filopemene, che aveva ripiegato al centro dietro la sua falange, di chiudere, con rapida manovra, la lacuna apertasi nella sua fronte. Inoltre, il rimanente dell'esercito spartano, trascinato dal successo della destra, si precipitò, senza attendere ordini, nel fossato che lo separava dal grosso dell'esercito acheo e, disordinatosi nel discenderne e poi risalirne le ripide pareti, diede agio agli Achei, che ne occupavano l'orlo settentrionale, di respingere vittoriosamente l'assalto. Troppo tardi tornò Macanida. L'attacco, quand'egli sopravvenne, era già respinto. I suoi, visto il pericolo di rimanere chiusi tra Mantinea e l'esercito di Filopemene, si dispersero. Egli, mentre, con pochi seguaci, cercava un guado per passare il fossato, fu raggiunto e ucciso. La vittoria diede agli Achei quella fiducia nelle proprie forze che ad essi fino allora era mancata, e li preparò alla politica autonoma che poi svolsero nella seconda guerra macedonica. Questa battaglia è anche importante nella storia militare, perché il racconto diffuso e un po' pedantesco che ne dà Polibio (XI, 11-18) è una delle fonti principali per la conoscenza della tattica greca nel tardo ellenismo.

Bibl.: Oltre le storie generali, specialmente J. Kromayer, Antike Schlacthfelder, Berlino 1903-1926; id. e G. Veith, Schlachtenatlas, Lipsia 1929; v. in particolare: per la battaglia del 418: G. Fougères, Mantinée et l'Arcadie orientale, Parigi 1898; W. J. Woodhouse, The campaign and battle of Mantinea in 418 b. C.,in Annual of the British School at Athens, XXII (1916-18), pp. 51-84. - Per la battaglia del 362: A. Schäfer, Demosthenes u. seine Zeit, III, ii, Lipsia 1858, p. 3 segg.; A. Bauer, Der zweimalige Angriff des Epaminondas auf Sparta, in Histor. Zeitschrift, XXIX, p. 269 segg.; Lammert, in Neue Jahrbüch. für Philol., XIII (1904), p. 112 segg.; J. Kromayer, Zu den griech. Schlachtfelder-studien, in Wiener Studien, XXVII (1905), p. 1 segg. - Per la battaglia del 207: G. Boloff, Probleme aus der griechischen Kriegsgeschichte, Berlino 1903, p. 116 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917, pp. 428, 443.