MANIFESTO

Enciclopedia del Cinema (2003)

Manifesto

Franco Montini

Parte introduttiva

di Mario Verdone, Franco Montini

Nato dalla necessità di diffondere notizie di pubblico interesse, da parte sia di istituzioni ufficiali sia di privati, il m. venne impiegato già dall'Ottocento con fini di informazione e di pubblicità commerciale. Questo genere di divulgazione, in origine caratterizzato da semplici segni tipografici, venne gradualmente associato a immagini dapprima in bianco e nero e poi a colori, contestualmente al progresso te-cnologico del procedimento della litografia a colori prima e fino alla riproduzione fotografica, dando così avvio alla forma attuale del m., che trasmette enfaticamente un messaggio mediante l'immagine riprodotta.

Il m. cinematografico è stato il primo e per lungo tempo il principale veicolo pubblicitario del film. Da sempre le sue caratteristiche sono immediatezza e riconoscibilità. La sua funzione quella di richiamare l'attenzione, ma, almeno fino all'avvento di nuovi strumenti promozionali, come il flano e il trailer, anche quella di fornire al pubblico tutta una serie di informazioni. In molti casi il m. cinematografico, assimilato anche alla funzione di logo tipo del film cui si riferisce, viene riproposto tale e quale in Paesi diversi, con la sola ovvia variazione delle scritte, quasi a conferma di una cultura internazionale del linguaggio realista. Al di là dello stile dei diversi cartellonisti, il m. di cinema si distingue da altri tipi di pubblicità per un proprio caratteristico e inconfondibile linguaggio, che rimanda a quello cinematografico con l'utilizzo di figure retoriche come la metafora, la metonimia, la sineddoche. Ma, probabilmente, la diversità del m. di cinema deriva anche dal fatto che in questo caso non si vende tanto un prodotto, il film stesso, quanto un'emozione.A commissionare il m. di cinema è solitamente il produttore o più spesso la casa di distribuzione che, riservandosi il potere di approvazione definitiva, in passato ne affidavano la realizzazione a un cartellonista e più recentemente, ovvero da quando la fotografia ha sostituito il disegno, a un grafico. Fino agli anni Settanta la vita pubblica di un m. di cinema era assai breve perché accompagnava l'uscita del film, precedendo di solito di un paio di settimane l'approdo sul mercato-sala. Nel periodo di maggiore splendore del m., quando era l'unico mezzo deputato alla promozione, per ciascun titolo venivano realizzati più soggetti, diversi fra loro, destinati all'affissione in una varietà di formati che andavano da quelli molto grandi (in-folio), a quelli ridotti (per lo più in ottavo) tipo locandina. La 'locandina' è infatti nel teatro e nel cinema un m. di dimensioni ridotte, e del m. ha ripercorso l'evoluzione: da piccolo avviso ‒ come l'antico playbill dei teatri inglesi ‒ che riportava soltanto con caratteri alfabetici i dati essenziali del locale dove il lavoro veniva presentato, del regista e degli attori principali, arricchì progressivamente l'apparato decorativo, in genere sobrio, per divenire in seguito una riduzione dei cartelloni più grandi, non mancando a volte di ricorrere a elementi desunti dalle fotografie o dai fotogrammi dei film, appropriatamente assemblati.

Le origini del manifesto cinematografico

di Mario Verdone

Nella Parigi di fine Ottocento possono essere rintracciati i primi esempi di m. moderni nelle affiche pubblicitarie, prodotte in primo luogo da Jules Chéret e da altri artisti tra cui Henri Toulouse-Lautrec, attivi per le Folies Bergères, per le Pantomimes lumineuses di Émile Reynaud e per il Moulin Rouge, mentre Alphonse Mucha creava cartelloni di ornata eleganza per i lavori di Sarah Bernhardt. Durante la belle époque e nel periodo dell'Art nouveau si affiancarono a Chéret altri nomi importanti: Wilette, Théophile-Alexandre Steinlen, Jean-Louis Forain, Leonetto Cappiello e Adolphe Jean-Marie Mouron detto Cassandre, il quale sostenne che i m., rivolgendosi a passanti frettolosi e assillati da miriadi di immagini, dovevano suscitare sorpresa, far violenza alla sensibilità, con brutalità ma al contempo con stile. Il mondo del cinema trovò nel m. un prezioso alleato, utilizzato subito dai fratelli Lumière i quali, pur convinti che le Cinématographe fosse soltanto curiosità scientifica e 'scrittura del movimento' senza troppe ambizioni e di limitato avvenire, nella veduta L'arroseur arrosé concentrarono l'attenzione del pubblico sulla 'trovata' comica e ne proposero uno spunto nel cartellone di richiamo per la proiezione tenuta nel 1895 al Grand café in Boulevard des Capucines. Nei primi decenni del 20° sec. il m. cinematografico italiano contava, oltre che su Cappiello e su Achille Luciano Mauzan (che firmò i m. di Giovanna d'Arco, 1913, di Nino Oxilia; L'epopea napoleonica, 1914, di Eduardo Bencivenga; Torquato Tasso, 1914; Margot, 1914, di Ubaldo Maria Del Colle), su nomi di grande prestigio e di indiscusso valore. Il film Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone ricorse per il m. pubblicitario a Luigi Emilio Caldanzano e a Leopoldo Metlicovitz. Enrico Guazzoni, regista e cartellonista, creò uno stabilimento litografico dove lavoravano per il cinema Aleardo Terzi, Federico Ballester e il figlio Anselmo, Alfredo Capitani, Luigi Martinati, Marcello Dudovich e Tito Corbella (che fu il cartellonista di Cajus Julius Caesar, 1914, di Guazzoni e di Assunta Spina, 1915, di Gustavo Serena e Francesca Bertini). I m. di Frate Sole (1918) e di Giuliano l'Apostata (1919) di Ugo Falena, di Gli ultimi giorni di Pompei (1926) di Amleto Palermi e Carmine Gallone furono opera di Duilio Cambellotti, mentre Enrico Prampolini firmò Thaïs (1917) di Anton Giulio Bragaglia. Anselmo Ballester disegnò i m. dei film interpretati da Leda Gys (La Bohème, 1917, e Coiffeur pour dames, 1924, di Palermi;Rondine, 1929, di Eugenio Perego). In Danimarca, la cui cinematografia godette di notevole prestigio all'epoca del muto, Ludwig Kainer realizzò i m. per i film di cui era protagonista Asta Nielsen ed Ernst Deutsch quello per Komödianten (1912) di Urban Gad (sempre con la Nielsen).

Negli anni Venti tra i cartellonisti dell'Unione Sovietica vi erano alcuni dei protagonisti della stagione delle avanguardie come Aleksandr M. Rodčenko, El. Licitzky, Kazimir S. Malevič, i fratelli Vladimir e Georgij Sternberg, che si allontanarono dal loro stile per puntare su forme espressive popolari, semplici e chiare. Rodčenko e i fratelli Sternberg per es. firmarono m. per Bronenosec Potëmkin (1925; La corazzata Potëmkin) di Sergej M. Ejzenštejn; Malevič firmò il m. del film tedesco Dr. Mabuse, der Spieler (1922; Il dottor Mabuse) di Fritz Lang.In coincidenza con lo Jugendstil e poi con la stagione espressionista, la Germania ebbe raffinati maestri come Ludwig Hohlbein, Paul Schenrich, Thomas Theodor Heine, Julius Klinger ed E. Deutsch, che trascinarono in quest'arte anche pittori quali Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner, Hermann Max Pechstein, Oscar Kokoschka. Le varie correnti, tra cui risalta l'Espressionismo, sono bene illustrate da Hellmut Rademacher (1965). Otto Arpke ed Erich Ludwig Stahl disegnarono i m. di Das Cabinet des Dr. Caligari (1920; Dott. Calligari noto anche come Il gabinetto del dottor Caligari) di Robert Wiene; Paul Schenrich quelli di Anna Boleyn (1920; Anna Bolena) di Ernst Lubitsch; Boris Bilinskij quelli di Die freudlose Gasse (1925; La via senza gioia) di Georg Wilhelm Pabst e Karl Michel quelli di Faust ‒ Eine deutsche Volkssage (1926; Faust) di Friedrich Wilhelm Murnau.

Di particolare livello sono i numerosi m. polacchi che vennero creati dagli artisti dell'Accademia delle Arti plastiche di Varsavia: essi si differenziarono dallo stile ornato ed estetizzante dei m. italiani e francesi del periodo attraverso una rappresentazione concisa e simbolica del soggetto, svincolata da un'informazione puramente pubblicitaria e di immediato e accessibile riconoscimento. Tra gli artisti, che collaborarono anche nel dopoguerra in Italia, vanno ricordati Jan Lenica, Anna Lipinska e Józef Mroszezak.

Bibliografia

C.L. Ragghianti, Il cartellone contemporaneo, in "sele arte", sett.-ott. 1953, 8, pp. 43-49.

Polski Plakat Filmowy. L'affiche polonaise de cinéma, a cura di T. Kowalski, Warszawa 1957.

M. Verdone, Rodcenko nell'avanguardia, in "Bianco e nero", 1964, 4-5.

H. Rademacher, Das deutsche Plakat. Von den Anfangen bis zur Gegenwart, Dresden 1965 (trad. it. Milano 1965).

Il manifesto italiano nel centenario del manifesto litografico, Milano 1965.

R. Barilli, Il Liberty, Milano 1966.

Y. Brunhammer, Lo stile 1925, Milano 1966.

Grafica Ricordi. Dal manifesto storico alla produzione d'avanguardia, Ente premi Roma, Roma 1967 (catalogo).

M. Gallo, L'affiche. Miroir de l'histoire, miroir de la vie, Paris 1973.

J. Forneris, Jules Chéret, Nice 1991.

R. Ulmer, Alfons Mucha, Köln 1993.

R. Hollis, Graphic design. A concise history, New York 1994.

Arti grafiche nel cinema muto europeo, a cura di R. Palmieri, Roma 1995.

Il manifesto cinematografico dal secondo dopo-guerra

di Franco Montini

Numerose sono state le cause che, nell'immediato secondo dopoguerra, determinarono una vera e propria rivoluzione nell'ambito del m. cinematografico. Una prima ragione era di carattere strettamente tecnico: dalla fine degli anni Quaranta, infatti, si assistette al definitivo passaggio dalla stampa in litografia a quella in offset, ovvero alla fotolitografia. In altre parole, fino a un certo periodo, il m. veniva realizzato attraverso la riproduzione a mano con la matita litografica, proiettando il bozzetto su una lastra di pietra prima e di zinco poi. Questo tipo di procedimento limitava fortemente le possibilità creative degli autori, costringendoli in particolare all'uso di pochi colori. Successivamente, attraverso la riproduzione fotografica sulle lastre, venne a cadere ogni sorta di limitazione: qualsiasi pennellata poteva essere riprodotta. I m. si arricchirono, anche se iniziarono a tendere verso un'eccessiva retorica.

A determinare un'ulteriore 'mutazione genetica' del m. cinematografico furono l'avvento della televisione e la motorizzazione di massa. Per anni il modello iconografico del m. di cinema era stato il cartellone del cantastorie: l'affisso era l'unico strumento di informazione per il pubblico e quindi tendeva a fornire un riassunto delle vicende narrate attraverso la descrizione delle scene madri. La lettura di questo tipo di m. aveva bisogno di tempi lunghi e dilatati, resi possibili dal fatto che in città ci si spostava lentamente, preferibilmente a piedi. Con l'avvento della televisione e più in genere con lo sviluppo dei media, il m. perse progressivamente la funzione di fornire informazioni sul film pubblicizzato. D'altra parte, contemporaneamente, la motorizzazione di massa rendeva gli spostamenti più rapidi, restringendo il campo visivo del consumatore. Il m. di cinema doveva necessariamente adeguarsi: gli affissi si dovevano poter leggere rapidamente; più che raccontare il film, erano semplicemente deputati a richiamare l'attenzione. Così i modelli iconografici mutavano; il numero dei soggetti proposti da ciascun m. diminuì, l'attenzione si spostò, più di quanto accadeva in passato, sul volto del protagonista o della protagonista di turno. La presenza del divo venne definitivamente esaltata. La sua funzione nella struttura del m. cinematografico era duplice perché la star al contempo era prodotto e testimonial. Si tratta di un caso unico nel quale le due funzioni coincidono e anche questo elemento è stato un altro dei motivi che hanno reso il m. di cinema diverso da ogni altro tipo di comunicazione pubblicitaria. L'attore sul m. è il testimonial che garantisce e vende sé stesso, stabilendo con il potenziale cliente-spettatore un rapporto di assoluta complicità.

Una nuova generazione di cartellonisti accompagnò queste mutazioni. In Italia, dove il m. d'autore era una caratteristica del mercato cinematografico riconosciuta anche dai cineasti americani, dopo i grandi 'vecchi' (come A. Ballester, Capitani e Martinati) che avevano segnato l'immaginario cinematografico fra le due guerre, emerse un nuovo gruppo di allora giovani cartellonisti: Giovanni Mataloni, Augusto Favalli, Ercole Brini, Rinaldo Geleng, Angelo Cesselon, Manfredo Acerbo, Averardo Ciriello, Sandro Symeoni, Enrico De Seta, Nano (pseudonimo di Silvano Campeggi), Carlantonio Longi, Enzo e Giuliano Nistri, quindi Dante Manno, Ermanno Piero Iaia. Brini e Nano in particolare furono collaboratori assidui delle grandi produzioni americane che affidavano direttamente a loro le campagne pubblicitarie per film di forte richiamo: da Notorious, il cui m. fu disegnato da Brini, a Casablanca, Ben Hur, West side story i cui m. furono disegnati da Nano. Pur collocandosi all'interno di una tradizione iconografica ormai sufficientemente codificata che, in un periodo in cui il cinema rappresentava ancora il grande divertimento di massa, affondava le radici nel solco dell'illustrazione popolare, ognuno dei nuovi cartellonisti era abbastanza riconoscibile per lo stile, che sottintende una precisa personalità artistica. Cesselon divenne il ritrattista principe del cinema; nei suoi m. domina sempre il primo piano della diva o del divo di turno, colti con straordinaria verosimiglianza, ma anche con un taglio di inquadratura tipicamente cinematografico. Acer-bo si specializzò nel cinema drammatico: i suoi m. sono movimentati e inventivi, ricchi d'azione, di ambienti, di personaggi tratteggiati con uno stile efficace e pittorico; come accade anche negli affissi di altri due famosi cartellonisti di chiara matrice pittorica: Brini e Symeoni. De Seta, invece, doveva specializzarsi nella commedia per il suo tocco ironico che denuncia chiaramente la provenienza dalla caricatura.

Nella generazione successiva, dalla metà degli anni Sessanta, un solo nome emerge realmente: Renato Casaro, straordinario illustratore di stile iperrealistico, molto apprezzato anche all'estero, chiamato spesso a Hollywood, in particolare per film spettacolari e d'azione, e noto tra gli altri per i m. di Per un pugno di dollari e di Lo chiamavano Trinità.A partire dagli anni Settanta, si è tuttavia potuto assistere a un progressivo impoverimento del m. cinematografico, che, soprattutto nell'ambito della produzione di genere, veniva realizzato il più delle volte con materiale fotografico. Produttori e distributori attribuivano infatti sempre meno importanza al m. quale utile veicolo pubblicitario e, pur continuando a commissionarlo, soprattutto per tradizione, intendevano ridurne al massimo le spese di realizzazione. In anni recenti, nel m. cinematografico è venuta definitivamente meno la funzione informativa, demandata ad altri strumenti, prima di tutto al trailer. Il m. si è tra-sformato in qualcos'altro: nel marchio del film stesso. Il disegno ha ceduto il posto alla grafica con soluzioni a volte anche assai brillanti e geniali: per es., i fantasmi che escono dal cartello di divieto di sosta per Ghostbusters o il segno di Batman per la celebre saga. Così sono cambiate anche le strategie d'affissione del m.: nel caso di film evento, la campagna promozionale, affidata semplicemente a un marchio, ovvero a un annuncio, può iniziare anche con grande anticipo rispetto all'uscita in sala. Il m. è diventato una sorta di teaser, ovvero un richiamo realizzato per creare un clima di attesa. Ma come accadeva con i vecchi cartelloni del cantastorie, anche il marchio più è originale, innovativo, artisticamente valido, meglio svolge la funzione per cui è stato ideato. Nel cinema un m. riuscito continua a essere un efficace e indispensabile strumento di promozione.

Bibliografia

Seduzione, promessa e sublimazione nella pubblicità dei grandi film, a cura di F. Montini, R. Striano, Roma 1991.

L'Italia al cinema: manifesti della Raccolta Salce 1911-1961, a cura di E. Manzato, Venezia 1992.

B. Martusciello, L'arte dei manifesti cinematografici, in Omaggio a Audrey Hepburn, Roma 1995 (catalogo).

Il cinema immobile. Manifesti del cinema popolare e cartellonisti dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, a cura di S. Naitza, Cagliari 1997.

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