VALGIMIGLI, Manara

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VALGIMIGLI, Manara

Roberto Greggi

– Nacque a San Piero in Bagno, paese dell’Appennino tosco-romagnolo nell’alta valle del Savio, il 9 luglio 1876 dal maestro elementare Antonio, modiglianese di salda fede repubblicana professata anche nel nome assegnato al primogenito, e dalla ravennate Luisa Baldelli, figlia dei farmacisti dell’ospedale.

Alle scuole comunali ebbe come maestro il padre e a San Piero la famiglia soggiornò fino al dicembre del 1885, quando Antonio, vinto il concorso per ispettore scolastico, si trasferì con moglie e figlio a Pescia, quindi a Siena (dove la madre Luisa morì nel 1887) e infine a Lucca, città nella quale Valgimigli frequentò ginnasio e liceo. Nel novembre del 1894 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Bologna.

Gli anni del soggiorno bolognese furono segnati dal magistero di Giosue Carducci, dalle lezioni del filosofo e traduttore di Platone Francesco Acri, del latinista Giovanni Battista Gandino, dello storico Pio Carlo Falletti (cui Valgimigli dedicò più tardi il saggio La critica letteraria di Dione Crisostomo, Bologna 1912) e di Vittorio Puntoni, che teneva la cattedra di greco. Ma non fu quella di antichista la vocazione iniziale di Valgimigli, fino ai primi anni del Novecento impegnato piuttosto nella pubblicistica politica, nella critica letteraria e nella narrativa. Il discepolato carducciano si manifestava anche fuori da quell’aula di via Zamboni e il manipolo degli allievi che seguiva le sue lezioni prese parte attiva alla vita culturale della città: Pio Schinetti, Carlo Zangarini, Luigi Federzoni, Giuseppe Lipparini, Sante Muratori, Adolfo Gandiglio e Annibale Beggi, furono questi gli amici con i quali Valgimigli fece pure le prime prove di militanza politica, ancora oscillante tra il repubblicanesimo e il socialismo anarchico. Nel novembre del 1896, Lipparini, Zangarini, Federzoni e Valgimigli fondarono il settimanale letterario Il Tesoro, di vita breve, otto numeri in tutto.

Gli anni bolognesi furono poi al centro delle sue pagine di ricordi, dal Nostro Carducci. Maestri e scolari della scuola bolognese (Bologna 1932), passando per Il mantello di Cebète (Padova 1947; poi, a cura di R. Greggi e con introduzione di M. Biondi, Imola 1999), Carducci allegro (Bologna 1955), Colleviti (Milano 1959; poi, a cura di R. Greggi e con introduzione di M. Biondi, Imola 2003) e Il fratello Valfredo (Rocca San Casciano 1961; poi, a cura di R. Greggi e con introduzione di M. Biondi, Imola 2009), fino all’edizione postrema di Uomini e scrittori del mio tempo (Firenze 1943; ed. ampliata, Firenze 1965), esempi rappresentativi di quel genere minore della letteratura italiana novecentesca che è la memorialistica degli allievi carducciani.

Il 18 novembre 1898 Valgimigli si laureò in letteratura italiana discutendo una tesi sulla poesia satirica medioevale con Carducci. Pochi giorni dopo, un telegramma di Giovanni Pascoli lo informava che a Messina, nel ginnasio inferiore Alighieri, cercavano un insegnante. Cominciarono così la sua lunga carriera di «maestro di scuola» e la più stretta frequentazione con il poeta romagnolo, già avviatasi qualche anno prima, con la mediazione del padre, che di Pascoli era devoto sostenitore, a Lucca e a Castelvecchio, insieme all’amico Gabriele Briganti.

Nel dicembre del 1899 Valgimigli sposò Alessandra Cantoni, un matrimonio osteggiato dal padre che, in seconde nozze, si era unito alla sorella maggiore di Alessandra, Giuseppina, dalla quale nel 1894 aveva avuto un secondo figlio, Ugo.

Sul finire del 1901 Valgimigli avviò con Francesco Gaeta, Floriano Del Secolo e Alfredo Catapano un’altra rivista letteraria, I Mattaccini, di più ampio respiro rispetto al Tesoro, ma di vita quasi altrettanto breve. Pubblicata a Napoli, essa permise a Valgimigli di accostarsi all’ambiente che gravitava intorno a Benedetto Croce. E fu il primo, compiuto lavoro del Valgimigli filologo, Eschilo: la trilogia di Prometeo. Saggio di una esposizione critica del mito e di una ricostruzione scientifica della trilogia (Bologna 1904), ad avvicinarlo ancor più a Croce.

Il volume, che fin dal titolo dichiarava il permanere di Valgimigli nell’alveo del metodo positivista appreso alla scuola bolognese di Puntoni, traeva comunque un supplemento di interesse dalla traduzione delle tragedie eschilee, tanto da guadagnarsi l’attenzione di Croce che, per le pagine della Critica, ne affidò la recensione a Giuseppe Antonio Borgese: recensione «severissima» (così Valgimigli la definì in Esperienze crociane, in Rassegna d’Italia, I (1946), febbraio-marzo; poi in Poeti e filosofi di Grecia, I-II, Firenze 1964, p. 619) ma feconda poiché fece maturare in Valgimigli una piena adesione al crocianesimo, che trovò compimento nella traduzione della Poetica di Aristotele (Bari 1916), commissionatagli nel 1913 da Giovanni Gentile, per la collana Laterza Filosofi antichi e medievali. Fondata su un testo stabilito dallo stesso Valgimigli, fu una traduzione fin dal principio segnata dall’accusa di aver crocianizzato il filosofo greco. Sul lavoro dedicato alla Poetica comincia a riconoscersi il profilo del metodo filologico di Valgimigli che pure non giunse mai a produrre un’edizione critica della Poetica, sebbene fosse, a detta di Giorgio Pasquali, l’unico – in quegli anni – in grado di metterla a punto.

Affidarsi alle procedure lachmanniane per dirimere varianti era una prassi sgradita a Valgimigli che, con Pasquali, condivideva il sospetto che la tradizione dei testi fosse sovente contaminata (quindi indocile agli stemmata codicum), quando non addirittura più complicata, come nel caso della Poetica, da traduzioni medievali latine e arabe, e piuttosto preferiva, caso per caso, affidarsi allo iudicium, a patto che questo fosse fondato sulla base di indizi paleografici che dessero ragione del guasto e aprissero la strada all’emendamento, senza abusare della critica congetturale. Una filologia che negli anni successivi si focalizzò sempre più sulla traduzione e il commento dei testi.

Dopo la precoce scomparsa nel 1904 della moglie, Valgimigli sposò nel 1908 la ventiduenne Emilia Locatelli, da cui ebbe tre figli: Erse (La Spezia 1909-Padova 1940), Bixio (Messina 1912-La Spezia 1920) e Giorgio (Massa 1916-Brescia 2005). Le tappe del lungo peregrinare di Valgimigli insegnante di ginnasio e di liceo attraverso la penisola – tra il 1898 e il 1914, Messina, La Spezia, Lucera, ancora Messina, subito dopo il terremoto del 1908, quindi Massa (1914-16), di nuovo Spezia (1916-20) e infine Pisa (1920-22) – si conclusero con la vittoria nel 1922 del concorso per una cattedra di letteratura greca all’Università di Messina, dove rimase fino al 1923 consolidando la sua amicizia con Pasquali, Michele Barbi e soprattutto Concetto Marchesi. Risale al periodo massese il suo impegno di amministratore in qualità di assessore alla Pubblica Istruzione nella giunta comunale della città.

Iscritto dal 1898 al Partito socialista italiano (PSI), Valgimigli nei mesi che precedettero l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale assunse una posizione interventista, affine all’interventismo democratico propugnato da Gaetano Salvemini sulle pagine dell’Unità, non condivisa dagli esponenti del Partito socialista di Massa. Ma allo scoppio della guerra, a causa delle limitazioni imposte agli impiegati dello Stato, assolse il servizio militare a Massa con il grado di sergente della Sanità.

Lungo tutti gli anni Venti proseguì l’attività di traduttore, esercitata sui dialoghi platonici, a cominciare dal Fedone (Palermo 1921), pubblicato presso Sandron e dedicato al figlio Bixio, morto di polmonite l’anno prima, quindi riedito dall’editore Laterza (Bari 1922), che pubblicò anche i successivi Eutifrone (1923), Teeteto e Critone (1924) e l’Apologia di Socrate (1928). Nel 1924 uscì La mia scuola per Vallecchi (Firenze), una raccolta di scritti, dedicata a Ernesto Codignola, sulle sue esperienze di insegnante medio, che segna la sua adesione alla riforma Gentile portata a compimento dall’esecutivo fascista, salva restando la sua ostilità al regime. Sempre nel 1924 un precoce esempio di filologia d’autore applicata agli autografi di uno scrittore contemporaneo è l’edizione delle carte – «disperatamente frammentarie» – di Intorno al modo di leggere i Greci [da un manoscritto inedito di Renato Serra], pubblicate sulle pagine della rivista di Croce (cfr. La Critica, XXII (1924), parte I, pp. 177-188, e parte II, pp. 237-246).

Dopo l’esperienza messinese, Valgimigli proseguì la carriera universitaria a Pisa, di cui è documento importante La filologia classica in Italia negli ultimi cinquanta anni, prolusione tenuta il 18 gennaio 1924 (poi raccolta in Poeti e filosofi di Grecia, cit.). Ma il biennio pisano, segnato da un’atmosfera ostile all’antifascista Valgimigli, a più riprese fatto oggetto di minacce da parte degli squadristi locali, gli suggerì di cercare una più tollerante sede e su consiglio di Marchesi, dopo aver tentennato tra Bologna e Padova, decise infine di approdare nella città veneta, dove rimase fino al 1948, anno del suo collocamento a riposo.

Il ventennio padovano rappresenta il momento più significato di Valgimigli docente, favorito dalla vicinanza a Marchesi, ambedue maestri di una scuola filologica che vide tra i suoi allievi Ezio Franceschini, Lorenzo Minio-Paluello, Antonio Maddalena, Maria Vittoria Ghezzo e Renata Fabbri. Anni fecondi di studi e traduzioni – ancora Eschilo (Orestea, trilogia portata a compimento nel 1948 per i tipi di Sansoni), Sofocle (Edipo re, 1939, ma pubblicato solo nel 1964, in Poeti e filosofi di Grecia, cit.), Omero (interpretazione e commento di sei canti dell’Odissea, Messina-Milano 1935-1946) e i lirici greci (Saffo e altri lirici greci, Vicenza 1942) – ma anche drammatici con lo scoppio della guerra e, dopo l’8 settembre 1943, l’occupazione della città da parte delle milizie nazifasciste.

Il 23 aprile 1944 Valgimigli, sorpreso da alcuni militari tedeschi nella casa dei familiari di un partigiano, fu arrestato con l’accusa di cospirazione e trasferito nel carcere bellunese di Baldenich, dove restò in regime di isolamento per un mese. Ai drammi pubblici si erano nel frattempo aggiunti quelli privati, con la morte, nell’agosto del 1939, della moglie Emilia, cui fece seguito, nel dicembre del 1940, quella della figlia Erse, malata di tubercolosi dal 1926.

Allieva di Marchesi e del padre all’Università di Padova, Erse coltivava una spiccata vocazione per gli studi classici e doveva laurearsi con una tesi sulla traduzione latina della Poetica aristotelica di Guglielmo di Moerbeke, lavoro che portarono a termine Franceschini e Minio-Paluello nel 1953 in omaggio alla memoria di Erse e al loro comune maestro.

Anche la mai sopita vocazione di italianista di Valgimigli riprese vigore negli anni del soggiorno padovano grazie all’amicizia con Pietro Pancrazi che lo sollecitò a tornare a occuparsi degli autori a lui più congeniali: Monti traduttore dell’Iliade, Carducci, quindi i conterranei Pascoli, Severino Ferrari, Alfredo Panzini, Renato Serra, la scrittrice veneta Paola Drigo, in una scelta che aveva come primo movente la conoscenza e la frequentazione diretta con gli autori, quando non un’amicizia, come nel caso di Marino Moretti, sodale dei suoi ultimi anni.

Nell’ottobre del 1946 divenne socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Conclusa la carriera universitaria, assunse l’incarico di direttore della Biblioteca Classense di Ravenna (1948-55), dove riavviò le Lecturae Dantis interrotte dalla guerra; e questo fu l’ultimo impegno pubblico.

Nel 1951 pagò un debito di riconoscenza a Pascoli portando a compimento, dopo una trafila decennale, una nuova edizione dei Carmina, con traduzioni a fronte dell’intero corpus latino del poeta di San Mauro. Per l’occasione Valgimigli mise insieme una eterogenea équipe di traduttori: filologi classici (Pasquali, Marchesi, Alberto Mocchino, Marino Barchiesi, Quintino Cataudella, Augusto Mancini, Cesare Giarratano, Ugo Enrico Paoli), poeti traduttori (Diego Valeri, Salvatore Quasimodo e Leone Traverso), ex allievi (Umberto Fraccacreta) e amici pascolisti (Francesca Morabito, Aldo Capitini e Tommaso Fiore).

Dopo la parentesi ravennate, Valgimigli visse gli ultimi anni a Padova, impegnato ad aggiornare e a dare un ordine definitivo ai testimoni più importanti della sua opera di studioso: i due volumi di Poeti e filosofi di Grecia (cit.) che gli valsero nel 1964 il premio Viareggio per la saggistica, Uomini e scrittori del mio tempo (cit.) ulteriormente arricchito nel 1965, e le traduzioni dei lirici greci (Saffo, Archiloco e altri lirici greci, ed. definitiva postuma, Milano 1968; 1ª ed., Saffo e altri lirici greci, Vicenza 1942). Allievo mai immemore di Carducci, di cui per Zanichelli dal 1949 stava curando l’edizione dell’Epistolario, aggiunse a questo impegno, concluso nel 1960, la curatela delle Odi barbare (Bologna 1959) e, in collaborazione con Giovan Battista Salinari, quella di Rime e ritmi (Bologna 1964). Una sobria scelta di traduzioni dall’Antologia Palatina, pubblicata da Scheiwiller (Milano 1964) in forma di plaquette, mostra Valgimigli particolarmente a suo agio con la misura breve dell’epigramma ed è il testimone conclusivo del suo mestiere di traduttore.

A Vilminore di Scalve, nella tarda serata del 27 agosto 1965, mentre era impegnato a tradurre la preghiera di Achille a Zeus perché Patroclo torni vivo dal campo di battaglia (Iliade XVI, 320 ss.), Valgimigli morì a causa di una repentina crisi cardiaca.

Dopo i funerali laici nel cortile del Bo dell’Università padovana, venne tumulato ad Asolo, insieme con la moglie Emilia e i figli Erse e Bixio. Sulla tomba una epigrafe da lui stesso dettata: «in vita in morte una domus».

Negli anni successivi alla sua scomparsa, grazie soprattutto al figlio Giorgio, ultimo di quella domus, molte sono state le iniziative editoriali dedicate a Valgimigli, concentrate in primo luogo sulla pubblicazione dei carteggi con amici, familiari e figure di rilievo nella cultura italiana del Novecento, tra cui in particolare: M. Valgimigli - P. Pancrazi, Storia di un’amicizia. Scelta dal carteggio inedito, a cura di M.V. Ghezzo, Milano 1972; M. Valgimigli, Lettere a Francesca, a cura di M.V. Ghezzo, Milano 1972; B. Croce - M. Valgimigli, Carteggio, a cura di M. Gigante, Napoli 1976; C. Marchesi, Quaranta lettere a Manara (e a Erse) Valgimigli con quattro lettere di M. Valgimigli, a cura di I. De Luca, Milano 1979; M. Valgimigli - G. Pasquali, Storia di un’amicizia (1912-1952), a cura di D. Pieraccioni, Milazzo 1989; M. Valgimigli, Lettere familiari (1927-1964), a cura di M.V. Ghezzo - D. Borioni - G. Valgimigli, introduzione di G. Spadolini, Firenze 1989; A. Baldini - M. Valgimigli, Carteggio 1933-1962. Società e cultura in Italia, a cura di D. Borioni - G. Valgimigli, premessa di G. Spadolini, Firenze 1992; R. Ruggiero, Traducendo Aristotele... V. a Laterza, in Annali della facoltà di lettere e filosofia. Università degli studi di Bari, XXXV-XXXVI (1992-1993), pp. 201-219; M. Valgimigli - L. Russo, Infradiavolo e Arcidiavolo. Lettere e cartoline dal 1919, a cura di D. De Martino, in Belfagor, LIV (1999), 4-5, pp. 453-487, 583-610; M. Moretti - M. Valgimigli, Cartolinette oneste e modeste. Corrispondenza (1935-1965), a cura di R. Greggi - S. Santucci, introduzione di R. Cremante, Bologna 2000; B. Tecchi - M. Valgimigli, Epistolario, a cura di S. Marini - A. Raffaelli, Firenze 2005; M. Valgimigli, Il fratello Valfredo, Imola 2009, a cura di R. Greggi, introduzione di M. Biondi e, in appendice, Lettere di M. V. a Giovanni Pascoli (1898-1910) a cura di E. Ravaglia.

Fonti e Bibl.: Non esiste ancora una bibliografia completa ed esauriente degli scritti di Valgimigli. La maggior parte dei suoi libri, delle carte e delle lettere dei suoi corrispondenti è conservata nella Biblioteca Classense di Ravenna. Il resto si trova nel fondo Giorgio Valgimigli della Biblioteca comunale di Bagno di Romagna.

Fra gli studi critici e biografici su Valgimigli si vedano almeno: G. Pasquali, La poetica di Aristotele, in Pan, III (1934), pp. 445-448; A. Campana, Ricordo modiglianese e romagnolo di M. V. (1966), in Id., Profili e ricordi, Padova 1996, pp. 106-117; Omaggio a M. V. Atti del Seminario di studi, Vilminore di Scalve... 1970, Milano 1973; M.V. Ghezzo, M. V. 1876-1965. Studi e ricordi, Milazzo 1977 (con bibl.); E. Degani, La filologia greca e latina nel sec. XX, in Atti del Congresso internazionale, Roma... 1984, II, Pisa 1989, pp. 1098 s.; La scuola di Erse. Lettere e documenti di M. V., Ezio Franceschini e Lorenzo Minio-Paluello, a cura di G. Benedetto - F. Santi, Spoleto 1991; Le opere e i giorni di M. V. Classicità e umanesimo nella cultura italiana del Novecento, a cura di A. Catania - R. Greggi, Bologna 1993 (con bibl.); W. Zampieri, M. V.: le «humanae litterae», la scuola, gli amici, Milazzo 1995; Eredità d’affetti, Atti della Giornata di studio e di ricordo per M. e Giorgio V., Bagno di Romagna... 2005, a cura di R. Greggi, Imola 2007; Lirici greci e lirici nuovi. Lettere e documenti di M. V., Luciano Anceschi e Salvatore Quasimodo, a cura di G. Benedetto - R. Greggi - A. Nuti, Bologna 2012 (con i carteggi con Quasimodo e Anceschi); M. Biondi, L’antico e noi. Studi su M. V. e il classico nel moderno (in app. Carteggio V.-Norsa, 1933-1941), a cura di M. Biondi - R. Greggi, Firenze 2017.

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