Malattie infettive

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Malattie infettive


Nel corso della seconda metà del 20° sec. iniziò a diffondersi nell'ambito della comunità biomedica la convinzione che il problema della diffusione delle m. i. fosse destinato a una rapida quanto definitiva soluzione.

Questa convinzione si basava sulla tendenza alla diminuzione dell'incidenza delle m. i. e della mortalità a essa correlata che si osservava nel mondo industrializzato a partire dalla fine del 19° secolo. Una diminuzione da riferirsi in primo luogo alle migliorate condizioni economiche delle popolazioni, alle migliorate condizioni igieniche e di sanificazione dell'ambiente, al diffondersi della disponibilità di acqua pulita e cibi più sani, ai progressi nel controllo dei potenziali vettori di malattia. A tutto ciò erano da aggiungersi i progressi della medicina. Intorno alla metà degli anni Sessanta del 20° sec. si erano resi largamente disponibili vaccini efficaci per prevenire malattie di larga diffusione, quali il tetano, la pertosse, la poliomielite, la difterite; inoltre, numerose patologie un tempo associate a elevata mortalità, come la polmonite batterica o la meningite epidemica, potevano essere efficacemente trattate con gli antibiotici.

In questo contesto l'eradicazione del vaiolo, cioè la sua definitiva scomparsa dal nostro pianeta, certificata nel 1979 dall'Organizzazione mondiale della sanità a conclusione di una spettacolare campagna vaccinale globale, era sembrata la riprova di un risultato ormai acquisito. Ancora nel 1983, nella decima edizione di uno dei più importanti manuali di medicina interna, l'Harrison's principles of internal medicine, si affermava che "le malattie infettive sono il gruppo di patologie più facilmente curabili e le più facilmente prevenibili". Questo atteggiamento ottimista purtroppo si traduceva anche in una diminuzione dell'impegno della sanità pubblica e degli investimenti di ricerca nel campo delle malattie da infezione. L'idea che il controllo delle m. i. fosse ormai un dato acquisito era però destinata a dimostrarsi un'illusione di breve durata. Già a partire dal 1982, infatti, iniziava nel cuore del mondo industrializzato, nelle grandi metropoli statunitensi, una nuova epidemia, quella della Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), che sarebbe presto esplosa a livello globale. Negli anni immediatamente successivi erano identificati, oltre al virus responsabile dell'AIDS, nuovi agenti patogeni, mentre l'andamento delle m. i. al di fuori del mondo industrializzato non mostrava più una tendenza significativa alla diminuzione e aumentava nuovamente la frequenza di patologie che sembravano largamente sotto controllo, come la tubercolosi. Tutto ciò ha portato a riconsiderare il problema delle malattie infettive. Nel 1992 l'Institute of Medicine della National Academy of Sciences statunitense pubblicava un rapporto sulla nuova minaccia delle infezioni e definiva infezioni emergenti quelle "patologie infettive la cui incidenza era andata aumentando in aree del mondo definite o a livello globale nei due decenni precedenti". L'emergere delle m. i. veniva ricondotto all'introduzione nella specie umana di nuovi patogeni, alla diffusione in nuove popolazioni di patogeni preesistenti, alla identificazione di patogeni prima non conosciuti. Veniva poi proposto il concetto di malattie infettive riemergenti definite come quelle patologie infettive che divengono nuovamente frequenti dopo aver mostrato una diminuzione significativa di incidenza.

Meccanismi dell'emergenza delle malattie infettive

Gli esseri umani e le specie microbiche convivono e interagiscono continuamente, tuttavia solo in una minoranza di condizioni questa interazione produce lo sviluppo di malattie e ancora più raramente di una nuova malattia. I fattori che hanno impatto su questa interazione, tali da poter favorire l'emergere di una patologia infettiva, possono interessare l'ambito genetico e biologico, quello ambientale, ecologico e sociale, politico e, infine, economico. Vengono qui descritti i fattori principali, seguendo lo schema proposto dall'Institute of Medicine nel 2003, e si vedrà in quale modo questi fattori siano in molti casi legati inestricabilmente tra loro.

Adattamento ed evoluzione microbica

I microrganismi patogeni, anche a causa della rapidità di riproduzione e del rapido succedersi di generazioni, hanno un enorme potenziale evolutivo. Le mutazioni possono in alcuni casi comportare scambi di materiale genetico in grado di trasferire fattori che generano una diversa virulenza o una diversa capacità di resistere all'ambiente. In altri casi, per es., nei virus a RNA, l'alta velocità di riproduzione associata con un alto tasso di mutazioni spontanee può portare alla generazione di numerose varianti tra le quali un meccanismo selettivo può far emergere ceppi dotati di nuove caratteristiche biologiche. L'evoluzione microbica può associarsi all'emergere di m. i. in vari modi. Uno di questi è rappresentato dalle mutazioni che consentono a un microrganismo di adattarsi a nuove specie. Esempio di questo meccanismo è l'emergenza dell'AIDS il cui agente causale, il virus dell'immunodeficienza umana (HIV), si è evoluto a partire da un retrovirus dei primati non umani che ha acquisito la capacità di infettare cellule umane. Meccanismi evolutivi sono anche alla base dell'emergenza di ceppi con caratteristiche 'nuove' e quindi con diverso potenziale patogeno, a partire da microrganismi che circolano nella specie umana. È questo il caso dell'influenza. Il virus dell'influenza A presenta alti tassi di mutazione, cosicché durante ogni periodo epidemico di durata grosso modo annuale, possono presentarsi varianti che hanno differenze rispetto a quelle degli anni precedenti. In tal modo un precedente contatto con il virus non è in grado di generare immunità sufficiente a proteggersi completamente in un nuovo incontro. Inoltre, per una ricombinazione, ossia uno scambio di interi segmenti di materiale genetico tra ceppi virali diversi, ovvero per il sommarsi di mutazioni successive, possono talora generarsi varianti molto diverse da quelle circolate fino a un dato momento. In altri termini, possono prodursi virus del tutto nuovi per la specie umana e per i quali non esiste immunità neanche parziale, con lo scoppio di pandemie come quelle che si sono avute nel 20° sec. (la Spagnola del 1918-19, l'Asiatica del 1957 e la Hong Kong del 1968). Infine, è importante ricordare come gli stessi interventi sanitari possono contribuire a selezionare agenti batterici con caratteristiche nuove. Ciò vale, per es., per le vaccinazioni che possono contribuire alla selezione di mutanti verso i quali non si riesce a indurre immunità, come è stato segnalato per il virus dell'epatite B. Ma il fenomeno di gran lunga più rilevante è rappresentato dalla resistenza agli antibiotici causato dal larghissimo e spesso improprio uso che si è fatto di questi farmaci a partire dagli anni Cinquanta.

Modificazioni della suscettibilità umana alle infezioni

Spesso, quando si analizza il modificarsi del rapporto tra specie umana e microrganismi, si parla di coevoluzione. Con questo termine si intende sottolineare il fatto che la presenza di microrganismi patogeni è stata un potente fattore di evoluzione della specie umana perché ha fornito un vantaggio evolutivo a individui geneticamente meno suscettibili alle infezioni; d'altra parte i microrganismi evolvono acquisendo nuove capacità patogene. Uno degli esempi ben studiati riguarda il rapporto tra malaria ed emoglobinopatie come l'anemia falciforme. Le persone che hanno in eterozigosi la mutazione che determina una forma di emoglobina, definita emoglobina S, hanno più alta resistenza alla malaria, senza presentare la malattia che si manifesta invece quando la mutazione è presente in forma omozigote. Tutto ciò ha conferito un significativo vantaggio evolutivo ai portatori di tale mutazione, che è così molto più frequente nelle popolazioni per le quali risulta più alto il rischio di contrarre la malaria, nonostante la gravità dell'anemia falciforme legata alla mutazione in omozigosi. Un meccanismo legato alla suscettibilità geneticamente determinata è stato invocato anche per spiegare l'andamento esplosivo di patologie infettive quando queste sono introdotte per la prima volta in una popolazione. Per es., si stima che le m. i. portate dagli europei nel nuovo mondo abbiano sterminato in circa due secoli il 95% della popolazione indigena precolombiana. Questi eventi mostrano come le popolazioni in cui alcune m. i. sono presenti da lungo tempo siano coevolute con i microrganismi patogeni, con un aumento di frequenza di individui con ridotta suscettibilità a quei microrganismi. Di contro popolazioni completamente vergini per alcune infezioni presentano una suscettibilità molto maggiore agli agenti patogeni. Esistono anche altri meccanismi per i quali all'interno di una popolazione può essere presente, o crescere nel tempo, la frazione di individui più suscettibili alle infezioni. Per es., una serie di fattori hanno determinato la crescita del numero di individui con deficit del sistema immunitario. Tra questi ricordiamo la prolungata sopravvivenza di pazienti con patologie croniche associate a immunodepressione, resa possibile dalle migliorate cure mediche, e l'uso di farmaci che inibiscono le funzioni del sistema immunitario, per es., tra i pazienti sottoposti a trapianto d'organo. Infine, la diffusione dell'infezione da HIV ha determinato la presenza di un elevato numero di persone con un deficit del sistema immunitario che ne aumenta sensibilmente la suscettibilità ad alcune infezioni che sono causate da microrganismi che normalmente non causano malattia in persone con sistema immunitario integro (infezioni opportunistiche).

Comportamenti umani e diffusione delle malattie infettive

Modificazioni degli ecosistemi

Ogni modificazione ecologica può riflettersi sulla possibilità dei microrganismi di riprodursi e colonizzare nuovi ospiti. I microrganismi sono in grado di evolvere per adattarsi alle mutate condizioni ambientali, ma la loro evoluzione può tradursi anche nell'acquisizione di nuove capacità patogene. Un meccanismo importante attraverso il quale le modificazioni ecologiche possono avere impatto sulla diffusione delle infezioni è rappresentato dalle conseguenze sulla distribuzione dei vettori dei microrganismi. Un numero elevato di patogeni è infatti trasmesso all'uomo da artropodi e tra questi ricordiamo gli agenti della malaria, della dengue, della febbre gialla, delle febbri emorragiche. Alterazioni del territorio possono modificare le condizioni di riproduzione di artropodi vettori e, di conseguenza, i rischi di trasmissione delle malattie. Esiste anche un potenziale rischio di ulteriore diffusione di malattie trasmesse da artropodi legato alle modificazioni del clima. Per fare un esempio, la dengue è presente principalmente in una fascia tropicale compresa tra il 30° parallelo nord e il 20° parallelo sud, dove la sua diffusione è andata aumentando. Un innalzamento delle temperature medie potrebbe estendere ulteriormente verso nord e verso sud le aree interessate da questa malattia in quanto il vettore del virus della dengue (la zanzara Aedes aegypti, lo stesso della febbre gialla) potrebbe riprodursi anche in aree nelle quali il suo ciclo riproduttivo è impedito dalle basse temperature invernali. Infine è da tenere presente che circa 3/4 delle infezioni emergenti nell'ultima parte del 20° sec. sono rappresentate da zoonosi, cioè da infezioni causate da microrganismi i cui serbatoi sono rappresentati da specie animali. Variazioni della consistenza delle popolazioni di specie animali portatrici di zoonosi possono aumentare il rischio di trasmissione all'uomo.

Sviluppo economico e uso del territorio. - Attività di deforestazione o di costruzione di dighe possono avere un impatto immediato sulla diffusione di infezioni. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla febbre emorragica venezuelana, malattia virale identificata per la prima volta nel 1989. La trasformazione di vaste aree di foresta in terreno agricolo ha infatti favorito la crescita della popolazione di roditori che rappresenta il serbatoio dell'infezione, e ne ha favorito il contatto con la specie umana. La costruzione di dighe, modificando il regime delle acque, può creare le condizioni che favoriscono la diffusione di alcune infezioni. Un esempio in questo ambito è quello della schistosomiasi.

Modificazioni demografiche e dei comportamenti umani

Nel corso del 20° sec. l'uomo ha conosciuto una esplosione demografica senza precedenti. Tra il 1900 e il 1960 la popolazione mondiale era passata da 1,5 a 3 miliardi, raggiungendo i 6 miliardi nel 1999 e continuando a crescere a ritmo dell'1,2% l'anno. Questa crescita si è accompagnata a due ulteriori fenomeni. Si assiste, da un lato, a un progressivo invecchiamento della popolazione nel mondo industrializzato ed è stato dimostrato che l'età avanzata si associa ad aumentato rischio di infezioni. Dall'altro lato, un aspetto della crescita della popolazione è rappresentato dalla progressiva urbanizzazione e dalle megalopoli. Nel 1975 solo 5 aree urbane superavano i 10 milioni di abitanti; questo numero è cresciuto fino a 19 nel 2000 e si stima possa arrivare a 24 nel 2015, quando, delle quattro megalopoli con più di 20 milioni di abitanti, tre saranno in Paesi oggi classificati a basso o medio reddito (Mumbai, Lagos e Dacca). La creazione di infrastrutture, in particolare di quelle volte ad assicurare sufficienti livelli igienici, spesso non riesce a tenere il passo con la crescita della popolazione. La popolazione che si concentra nelle megalopoli è destinata a vivere in condizioni di disagio e sovraffollamento e, talora, la prostituzione è una scelta obbligata per garantire la sopravvivenza. Nel complesso questa situazione crea un quadro favorevole alla diffusione delle malattie infettive. Negli ultimi anni è andato anche chiarendosi il legame tra comportamenti umani e malattie. In particolare per quanto riguarda le m. i. è emerso il ruolo dell'assunzione di sostanze stupefacenti per via endovenosa che fin dagli anni Settanta del 20° sec. si è caratterizzato come uno dei principali fattori di rischio per epatite virale (epatite B ed epatite C) e per infezione da HIV, nei Paesi industrializzati. La ricerca sull'epidemiologia dell'AIDS ha inoltre evidenziato il ruolo dei comportamenti sessuali nella diffusione delle infezioni. Infatti si stima che ogni anno si verifichino circa 350 milioni di casi di malattie a trasmissione sessuale, tra cui 12 milioni di casi di sifilide, 62 milioni di gonorrea e 92 milioni di infezione da clamidia.

Industria e tecnologia. - Gli sviluppi industriali e tecnologici del 20° sec. hanno indubbiamente contribuito al miglioramento dello stato di salute e della speranza di vita delle popolazioni umane in vaste aree del globo. Come già accennato, questi progressi hanno anche creato le condizioni per l'emergere di nuove patologie infettive, come le infezioni negli immunodepressi e le infezioni da batteri antibiotico resistenti, ma l'elenco può continuare. Per es., l'ampio ricorso alle trasfusioni e alle pratiche sanitarie invasive si è associato, almeno fino ai primi anni Novanta, a un elevato rischio di diffusione del virus dell'epatite C e di altre infezioni trasmesse attraverso il sangue. Stesso discorso potrebbe estendersi ai trapianti d'organo e per il futuro si sono espressi timori sul fatto che gli xenotrapianti, cioè i trapianti sull'uomo di organi di provenienza non umana, potrebbero favorire il passaggio all'uomo di agenti virali da altre specie animali. Altri fattori potenzialmente rilevanti sono quelli relativi alle moderne tecniche di allevamento. Nel 1986 è esplosa negli allevamenti bovini in Gran Bretagna l'epidemia di una malattia definita encefalopatia spongiforme bovina o BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy), nota anche come malattia della mucca pazza. Questa affezione del sistema nervoso centrale è causata da un prione, agente infettante elementare formato da una sola proteina e privo di acidi nucleici, che deriva verosimilmente da quello che causa una patologia simile negli ovini (scrapie). La trasmissione ai bovini sarebbe avvenuta a causa dell'impiego di mangimi a base di farine proteiche ottenute a partire dalle carcasse di pecore affette da scrapie. Nel 1996, nel Regno Unito, furono registrati 10 casi umani di una malattia neurodegenerativa considerata una variante del morbo di Creutzfeldt Jacob, una encefalopatia spongiforme. Il suo agente causale appare del tutto simile al prione dell'encefalopatia spongiforme bovina, e tutti i dati disponibili suggeriscono che le persone colpite si siano contagiate consumando carne di bovini affetti da encefalopatia spongiforme. Un altro aspetto da tener presente in questo ambito è quello collegato alla produzione industriale dei cibi. Infatti, se da un lato questi processi rendono disponibili cibi generalmente più sicuri da un punto di vista igienico-sanitario, in caso di contaminazione con agenti infettanti i cibi prodotti industrialmente possono causare epidemie di dimensioni ritenute impensabili fino a pochi anni fa. Nel settembre 1994, il Dipartimento di sanità del Minnesota identificò un alto numero di casi di infezioni intestinali da Salmonella enteritidis. L'indagine seguente portò all'identificazione di una contaminazione da salmonella nel processo di produzione industriale di un gelato alla crema venduto in tutti gli Stati Uniti.

Viaggi e commerci internazionali. - La possibilità per le m. i. di diffondersi in vaste aree geografiche non è un dato nuovo. Nel 14° sec. una delle più devastanti epidemie della storia, quella che fu chiamata peste nera, ebbe origine dal cuore della Cina e, dopo aver attraversato nel corso di tre lustri l'Asia Centrale sulle vie carovaniere, giunse nel dicembre 1347 in Crimea e a Costantinopoli impiegando un altro anno per arrivare nel sud dell'Inghilterra e altri due anni per completare la sua marcia attraverso l'Europa. Nel 2003 l'epidemia di una nuova malattia, la Sindrome respiratoria acuta grave o SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), è emersa in Cina e tre mesi dopo ha fatto la sua comparsa in un albergo di Hong Kong. Da qui in pochi giorni ha raggiunto altri sei Paesi in tre diversi continenti, innescando in alcuni casi nuovi focolai epidemici. Questa enorme accelerazione nella possibilità di diffusione di un contagio è senz'altro riconducibile alla velocità e alla rapidità dei viaggi. Si stima che la velocità media di spostamento degli esseri umani sul pianeta sia aumentata di circa mille volte negli ultimi due secoli e il numero di passeggeri internazionali è andato rapidamente crescendo fino a raggiungere i 700 milioni l'anno nel 2000, e potrebbe crescere fino al miliardo annuo nel 2010. È anche aumentata la possibilità di raggiungere angoli remoti della Terra e da qui tornare rapidamente nel Paese d'origine. Tutto ciò rende possibile a persone affette da patologie contagiose di spostarsi rapidamente in luoghi diversi portando con sé agenti patogeni. È stata anche dimostrata la possibilità che a trasportare il contagio non siano esseri umani, ma artropodi vettori di microrganismi. A partire dagli anni Ottanta, inoltre, sono stati segnalati casi di quella che è stata definita malaria da aeroporto. Si tratta di casi di malaria contratta in Paesi nei quali questa malattia non è presente, da persone che abitavano nei pressi di aeroporti. Queste persone erano state punte e contagiate da zanzare portatrici del plasmodio della malaria 'imbarcate' su aerei provenienti da Paesi dove la malaria è endemica. Anche gli accresciuti volumi di commercio, nazionali e internazionali, possono contribuire alla diffusione di malattie e, in particolare, il commercio di cibi e di animali. Infine è da ricordare il ruolo delle migrazioni. I flussi migratori odierni si svolgono da Paesi a più alta vulnerabilità per l'emergenza di infezioni a Paesi a più basso rischio di diffusione di infezioni. Ciò fa sì che i migranti tendano a portare con loro nei Paesi d'arrivo anche una maggiore vulnerabilità alle infezioni.

Insufficienza delle strutture di sanità pubblica. - Il mantenimento di efficienti strutture di prevenzione e controllo della diffusione delle infezioni è un elemento essenziale per prevenire l'emergere o il riemergere delle m. i., sia nei Paesi a economia sviluppata sia nei Paesi in via di sviluppo. Il caso della tubercolosi illustra chiaramente questo punto. Negli Stati Uniti il numero di casi di tale malattia era andato diminuendo anno dopo anno dal 1953 al 1984. Da quel momento in poi però i casi hanno ripreso ad aumentare fino al 1992, quando si è registrato un aumento del 20% rispetto al 1984. Nella città di New York, alla fine degli anni Ottanta, si registravano circa 1300 casi l'anno. Ma nel 1992, al picco di quella che è apparsa come una vera e propria epidemia, si sono registrati 3811 casi.

La situazione tornò sotto controllo solo nella seconda metà degli anni Novanta. Le cause di questo riemergere della malattia sono diverse. In quegli anni infatti andava aumentando il numero di persone affette da HIV, e l'immunodepressione causata da questo virus determina, tra l'altro, un aumento del rischio di ammalarsi di tubercolosi. La città di New York, come altre grandi aree urbane degli Stati Uniti, stava attraversando un periodo di crisi economico-sociale con un aumento dei senza casa o di coloro che vivevano in condizioni di sovraffollamento. Infine, i fondi pubblici per i programmi di trattamento della tubercolosi, previsti fino dalla fine degli anni Settanta, non erano mai stati erogati, con il risultato che una proporzione molto bassa dei malati completava la terapia. Si è calcolato che in alcune zone della città poco più del 10% dei malati completasse il trattamento previsto. Il trattamento della tubercolosi, che per essere efficace deve durare almeno sei mesi, è il principale mezzo di controllo della diffusione della malattia. Infatti una persona con tubercolosi può contagiarne altre finché non è trattata correttamente, e se non completa il periodo di trattamento può riprendere a essere contagiosa. Inoltre il micobatterio della tubercolosi può diventare resistente ai farmaci se la terapia non è condotta in modo corretto e completo. Il fattore principale che ha consentito di riportare sotto controllo questa epidemia è stato proprio l'investimento in strutture di sanità pubblica e, in particolare, in servizi di terapia gratuiti e che conducevano la cura sotto osservazione diretta, cioè con somministrazione quotidiana dei farmaci anche al domicilio del paziente o, talora, in strutture di ospitalità per senza casa dove questi pazienti soggiornavano. Questo legame tra crisi delle strutture di sanità pubblica e incremento della tubercolosi è stato osservato sul finire del 20° sec. anche in altre aree del mondo.

In Unione Sovietica era presente una rete di controllo della tubercolosi che, seppure basata su un'organizzazione sanatoriale ormai superata, era in grado di assicurare diagnosi tempestiva e trattamento corretto della malattia. Con la dissoluzione delle strutture statali del Paese però anche questa rete è entrata in uno stato di profonda crisi, con una ripresa della tubercolosi che è andata crescendo per tutto l'ultimo decennio del Novecento. Nel 2000 nella Federazione Russa si sono registrati 132.000 casi di tubercolosi, più del doppio di quelli osservati dieci anni prima. Vi sono numerosi altri esempi del legame tra emergenza o riemergenza delle m. i. ed efficienza delle misure di sanità pubblica. Per es., il periodico ripresentarsi di epidemie di colera è strettamente legato alla capacità di garantire alla popolazione un accesso ad acqua non potenzialmente contaminata.

Povertà e disuguaglianze sociali

Nonostante siano stati registrati progressi non trascurabili nell'ultima parte del 20° sec., la povertà estrema interessa una larga parte dell'umanità. Si stima che 2,8 miliardi di persone vivano con meno di 2 dollari USA al giorno e 1,2 miliardi con meno di un dollaro. Analizzata a livello globale esiste una chiara correlazione tra aree in cui sono concentrate le persone più povere (Sud e Sud-Est asiatico e Africa centro-meridionale) e incidenza di infezioni. Anche nei Paesi con livelli medi o alti di reddito medio pro capite, esiste una chiara correlazione tra povertà e vulnerabilità alle infezioni.

Le guerre e, soprattutto, le loro conseguenze creano frequentemente condizioni per l'emergere di fenomeni epidemici e in generale per lo sviluppo delle infezioni. La prima conseguenza dei conflitti è la carenza alimentare e la denutrizione determina indebolimento delle difese immunitarie e di conseguenza aumentata suscettibilità alle infezioni. Esiste poi il fenomeno dei profughi, che appare consistente a livello globale. Le condizioni di vita dei profughi sono caratterizzate da sovraffollamento, carenza estrema di strutture igieniche, difficoltà di accesso all'assistenza sanitaria, contatti stretti di persone con diversa provenienza geografica. Questi elementi fanno sì che tre quarti dei decessi in queste condizioni siano da attribuirsi a infezioni.

Scelte politiche. - La sottovalutazione dei problemi connessi al rischio dell'emergenza delle m. i. era comune non solo, come si è visto, nella comunità scientifica, ma anche, e forse in misura maggiore, a tutti i livelli della società. Di conseguenza molti governi non investivano risorse nel controllo delle m. i., ritenendo questo un problema ormai risolto, o comunque rilevante per altre aree del mondo. Questo atteggiamento si è protratto in anni più recenti, anche a fronte di nuove malattie emergenti. Nell'inverno 2003, quando la SARS aveva fatto la sua comparsa a Hong Kong e nel Sud-Est asiatico, il governo cinese per oltre due mesi aveva di fatto negato l'esistenza di una epidemia in Cina, riportando all'Organizzazione mondiale della sanità pochi casi al giorno. Quando poi la situazione cominciò a sfuggire al controllo delle autorità, il governo iniziò a fornire i veri numeri dell'epidemia, arrivando a denunciare quasi 5000 casi in soli due mesi. La scelta 'negazionista' del governo cinese ha frenato una efficace risposta all'epidemia e l'adozione di provvedimenti volti a frenare il contagio. In questo ambito è però utile ricordare una serie di segnali positivi, in primo luogo il fatto che il controllo delle m. i., viste come problema globale da affrontarsi con i metodi della cooperazione internazionale, è entrato nell'agenda politica internazionale all'inizio del 21° sec., anche se deve concretizzarsi pienamente l'impegno finanziario delle nazioni più ricche. Inoltre, è andato crescendo il peso delle associazioni di cittadini, delle organizzazioni non governative, delle società scientifiche in questo campo.

Infezioni emergenti diffuse intenzionalmente

L'idea che agenti infettivi possano essere usati come armi si può far risalire al 14° secolo. Nel 1347 i mongoli stringevano d'assedio la città di Caffa, scalo commerciale dei genovesi in Crimea. Fra le truppe mongole infuriava la peste e viene riportato che il kahn decise di catapultare oltre le mura della città i cadaveri degli appestati. L'uso delle armi biologiche (assieme a quello delle armi chimiche) venne bandito nel 1925 dal Protocollo di Ginevra. Tuttavia, in quest'ultimo non si diceva nulla riguardo alla produzione e allo stoccaggio di questo tipo di armi. Le armi biologiche apparivano complesse e difficili da controllare. Tuttavia nell'immediato dopoguerra le grandi potenze decisero di investire in uomini e mezzi per selezionare virus, batteri e tossine sempre più efficaci e si dotarono di un arsenale biologico e degli antidoti da usare come difesa. Nel 1972 fu firmata la Convenzione sulle armi biologiche e le tossine, e le nazioni impegnate in questo campo, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, abbandonarono i programmi di guerra biologica. Non così fece l'Unione Sovietica che continuò nella ricerca e nella produzione di armi biologiche fino al 1987. Negli anni seguenti la possibile dispersione dell'arsenale biologico sovietico e il sospetto che la produzione di armi biologiche fosse rimasta attiva in Paesi come l'Irāq, portò a considerare come concreta la possibilità di infezioni emergenti come risultato di atti di bioterrorismo. Quando si parla di microrganismi emergenti diffusi intenzionalmente ci si riferisce ad agenti biologici esistenti in natura, come l'antrace, ovvero a microrganismi e tossine create in laboratorio utilizzando, per es., tecniche di ingegneria genetica per incrementarne il potere patogeno. I microrganismi utilizzabili a fini bioterroristici vengono suddivisi in tre classi. Nella classe A sono compresi sei agenti caratterizzati da elevata letalità e relativa facilità d'uso come arma (antrace, vaiolo, peste, tularemia, febbri emorragiche virali e tossina botulinica). Nella classe B sono inclusi agenti che hanno una patogenicità meno elevata e che sono meno facili da diffondere (brucellosi, psittacosi, febbre tifoide e microrganismi che si diffondono con i cibi, come la salmonella, e con l'acqua, come il vibrione del colera e il criptosporidio). Infine, in classe C vengono compresi agenti infettivi emergenti che in un futuro prossimo potrebbero essere utilizzati come armi, quali il virus dell'influenza A H5N1 o delle infezioni virali emergenti (Hantanvirus e virus Nipah). Ufficialmente sono stati documentati due episodi di bioterrorismo, entrambi negli Stati Uniti. Nel 1984 in Oregon una setta religiosa contaminò con Salmonella i cibi di un ristorante. Nel 2001 un terrorista inviò numerose lettere contenenti spore di antrace a personalità di rilievo. Diciotto persone si ammalarono maneggiando queste lettere e 5 morirono.

Malattie infettive emergenti

Si è fin qui accennato a diverse malattie emerse in tempi recenti. Si riassumono ora alcune caratteristiche delle principali di queste patologie.

Malattie virali

Malattia di Ebola. - Identificata per la prima volta nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo, la malattia di Ebola è causata da un filovirus. Si tratta di una patologia acuta altamente letale con febbre ed emorragie. Si sono registrati diversi episodi epidemici in Africa centrale; il serbatoio animale del virus non è noto.

Sindrome polmonare da Hantavirus (Sin Nombre Virus e altri Hantavirus). - Si tratta di una grave malattia identificata negli Stati Uniti nel 1993. È trasmessa all'uomo da roditori, che rappresentano il serbatoio dei virus, e la sua incidenza aumenta quando le popolazioni di roditori crescono.

Malattie da Hendra virus e Nipah virus. - Malattie causate da due membri della famiglia Paramixoviridae, simili tra loro ma non identici. Hendra virus è stato identificato nel 1994 in Australia e Nipah virus nel 1999 in Malaysia e a Singapore. Non sono descritti casi in altre aree. Il serbatoio di questi virus è verosimilmente un pipistrello del genere Pteropus. Dai pipistrelli Hendra virus si trasmette ai cavalli e Nipah virus ai maiali e da questi all'uomo. Questi virus causano sintomi respiratori e neurologici.

Monkeypox (vaiolo delle scimmie). - È causato da un virus simile a quello del vaiolo, identificato nel 1958 in animali di laboratorio. Il primo caso umano è stato accertato nel 1970 e da allora sono stati descritti alcuni focolai epidemici in Africa centrale e occidentale. Casi di Monkeypox sono stati identificati nel 2003 negli Stati Uniti, in persone contagiate da cani della prateria (Cynomys ludovicianus) portatori del virus.

Malattia da virus West Nile. - Il west Nile è un flavivirus responsabile di casi sporadici di una malattia febbrile, talora con interessamento del sistema nervoso centrale, presente originariamente in Africa, nel bacino del Mediterraneo e in Asia. Nel 1996 furono registrati più di 300 casi di malattia neurologica con una letalità del 10% in Bulgaria. Nel 1999 il virus ha fatto la sua comparsa a New York e negli Stati Uniti nord-occidentali causando 50 casi e 7 decessi. La malattia si è poi rapidamente diffusa a tutto il territorio degli Stati Uniti e, nel 2005, si sono registrati circa 2500 casi con 160 decessi. Il virus è trasmesso all'uomo da zanzare del genere Culex mentre il serbatoio è rappresentato da numerose specie di uccelli. Si pensa che siano stati questi ultimi a portare la malattia nel continente americano.

Malattia da virus Whitewater Arroyo. - Whitewater Arroyo è un arenavirus isolato per la prima volta nel sud degli Stati Uniti nel 1996. Il serbatoio naturale è rappresentato da roditori. Alcuni decessi dovuti a questo virus sono stati registrati in California nel 2000.

Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). - La SARS è stata identificata clinicamente dal medico italiano C. Urbani in Vietnam nel marzo 2003, ed è causata da un coronavirus. L'unica epidemia finora registrata ha avuto origine in Cina nel novembre 2002. Nel corso dei successivi 6 mesi sono stati registrati oltre 7000 casi in 28 Paesi con più di 600 decessi. Si ritiene che il virus abbia avuto origine da un serbatoio animale, forse rappresentato dallo zibetto.

Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). - La data ufficiale di nascita dellè il 1982, anno in cui i primi casi furono identificati negli Stati Uniti. Si ritiene oggi però che il retrovirus che ne è la causa, l'HIV, circolasse in gruppi ristretti di popolazione umana da almeno 40 anni, anche se solo nel corso degli anni Settanta del 20° sec. si sono determinate le condizioni favorevoli alla sua diffusione. Si stima che durante i primi ventl'epidemia di AIDS abbia causato 20 milioni di decessi. Alla fine del 2005 si stimava che vi fossero nel mondo circa 40 milioni di persone con infezione da HIV.

Influenza. - L'ultimo scoppio di influenza pandemica risale al 1968: è oggi peraltro attiva la sorveglianza sulla possibile emergenza di nuovi ceppi di virus influenzale con potenziale pandemico. Particolare allarme ha suscitato il virus influenzale A H5N1, responsabile di influenza aviaria, che ha causato un primo focolaio di casi nell'uomo nel 1997 a Hong Kong con 18 casi e 6 decessi. Nuovi focolai di casi nell'uomo hanno iniziato a manifestarsi dal gennaio 2004 in varie parti del mondo con un totale di circa 170 casi e quasi 100 decessi all'inizio del 2006. Il virus si trasmette da uccelli infetti all'uomo e, all'inizio del 2006, non sembra avere la capacità di passare da uomo a uomo e quindi di innescare una pandemia.

Tra le infezioni virali che hanno mostrato una ripresa di incidenza vanno ricordate infine la dengue e la febbre gialla.

Malattie batteriche

Malattia di Lyme. - Prende il nome dalla cittadina del Connecticut, negli Stati Uniti, dove fu identificato il primo focolaio nel 1976. La malattia è causata da Borrelia burgdorferi, trasmessa all'uomo dalla puntura di una zecca del genere Ixodes e si manifesta con artrite, segni cutanei e sintomi generali. È presente, oltre che in America Settentrionale, in Europa centrale e in Asia. Ospiti naturali del suo agente causale sono roditori e ungulati selvatici. Negli Stati Uniti, dove una sorveglianza sistematica di questa patologia è iniziata negli anni Ottanta, si è passati da meno di 1000 casi l'anno tra il 1982 e il 1986 a circa 20.000 casi l'anno nei primi anni del 21° secolo. Si ritiene che l'emergere di questa patologia, concentrata soprattutto nel New England, sia legata alla riforestazione di quest'area e all'aumento conseguente delle popolazioni di cervi verificatasi dagli anni Settanta. La costruzione di nuovi insediamenti abitativi all'interno di queste aree forestali ha inoltre contribuito a facilitare il contagio.

Come si è prima accennato, un problema emergente nel campo delle infezioni batteriche è quello rappresentato da infezioni da batteri resistenti agli antibiotici. Tra questi ricordiamo, per es., la tubercolosi farmacoresistente e l'infezione da stafilococco aureo resistente alla vancomicina, identificato nel 2002 e responsabile di gravi infezioni in pazienti ospedalizzati.

Diverse infezioni batteriche sono riemerse in seguito al venir meno di interventi di controllo. Ricordiamo, oltre alla tubercolosi, la difterite. Nell'ex Unione Sovietica negli anni Novanta, in seguito alla crisi delle strutture di sanità pubblica e alldei programmi di vaccinazione, si è registrata una epidemia molto estesa, che ha coinvolto oltre 150.000 persone. Infine, per altre specie batteriche, si è registrata l'emergenza di 'nuovi' ceppi con differenti caratteristiche di patogenicità. Per es., il ceppo di Vibrio cholerae O139 è stato identificato nel 1992 in Asia e ha causato estese epidemie in India e Bangladesh. Escherichia coli O157:H7 è frequentemente emerso come patogeno in enteriti complicate talora dalla sindrome emolitico-uremica. Questo batterio si ritrova nell'intestino dei bovini e il contagio avviene per consumo di latte non pastorizzato, derivati del latte e carne non ben cotta.

Malattie da protozoi

Criptosporidiosi. - È una affezione intestinale che in genere si manifesta in modo clinicamente rilevante solo negli immunodepressi. Nel 1994 si è però registrata una epidemia di estese dimensioni (si stimano 400.000 contagiati) in seguito alla contaminazione di un acquedotto negli Stati Uniti. Sempre negli Stati Uniti epidemie da Ciclospora sono state registrate dagli anni Novanta e messe in relazione a importazione di lamponi contaminati.

Malattia di Creuztfeld-Jacob

La nuova variante della malattia di Creuztfeld-Jacob, come già accennato sopra, è una malattia neurodegenerativa causata da un agente infettante classificato come prione. È stata identificata in Gran Bretagna nel 1996 e si pensa venga causata da consumo di carne di bovini che sono affetti da encefalopatia spongiforme bovina (BSE).

Strategie di contrasto delle malattie infettive emergenti

Come premesso, le m. i. emergenti si presentano come un fenomeno complesso, i cui fattori favorenti si dispiegano su vari piani, e come un fenomeno globale, che oltrepassa rapidamente i confini tra nazioni e le distanze tra continenti. Di questi due aspetti si deve tener conto per elaborare strategie di contrasto. Il primo piano su cui muoversi è quello ambientale. Bisogna tener presente il problema della diffusione delle infezioni quando si considerano aspetti come il cambiamento del clima globale e l'erosione della biodiversità. Va considerato l'impatto delle attività umane sugli ecosistemi regionali e locali nonché i problemi connessi al fatto che è sempre più fitta la rete antropica che interconnette regioni ecologicamente diverse. È necessario poi rafforzare la ricerca con l'obiettivo di ottenere nuovi farmaci e nuovi vaccini. Ma in questo contesto è indispensabile che si investa non solo dove c'è un possibile ritorno di mercato, ma anche e soprattutto rispondendo all'esigenza di salute dei Paesi più poveri che sono anche quelli più colpiti dalle malattie infettive. C'è inoltre l'arma della sorveglianza pronta e dell'intervento efficace. Le malattie emergenti sono per definizione un problema globale che ha un'origine locale. Per prevenire, in modo efficace, una pandemia occorrono sia una rete di sorveglianza globale, con fitte ramificazioni locali, sia un centro di decisione mondiale con il diritto all'intervento locale. E occorre un impegno internazionale per rafforzare i sistemi sanitari dei Paesi poveri e garantire un accesso universale alle cure. Infine non si può ignorare la dimensione sociale ed economica che è spesso un fattore favorente la comparsa e la diffusione delle malattie sia nelle aree più povere del mondo che negli stati svantaggiati della popolazione dei Paesi ricchi.

bibliografia

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