MAGNETISMO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

MAGNETISMO (XXI, p. 922; App. II, 11, p. 243; III, 11, p. 7)

Antonio Paoletti
Franco Molina

Negli ultimi quindici anni si sono utilizzati i metodi della meccanica quantistica e i risultati sperimentali ottenuti mediante le tecniche più avanzate per giungere a una formulazione unitaria del m. che, mentre risultasse soddisfacente dal punto di vista teorico, costituisse anche una base adeguata per il crescente impiego di nuovi materiali come dispositivi magnetici.

Generalità. - Come in altri campi della fisica degli stati aggregati, è opportuno descrivere un sistema magnetico mediante una "funzione di risposta" che il sistema fornisce a una sollecitazione esterna. Nel caso del m. la sollecitazione esterna è un campo magnetico applicato, in generale dipendente dallo spazio e dal tempo, a cui sarà associata una certa magnetizzazione, anch'essa dipendente dallo spazio e dal tempo. È conveniente esprimere sia il campo sia la magnetizzazione mediante le loro componenti di Fourier, cioè mediante le variabili: vettore d'onda q e frequenza ν. Si viene in questo modo a introdurre una "suscettibilità generalizzata", anch'essa funzione di q e ν, la quale non è altro che una "funzione di risposta" che lega la magnetizzazione al campo. La suscettibilità generalizzata è in generale una funzione complessa e comprende in sé i dettagli delle proprietà dinamiche del sistema, rilevanti ai fini delle interazioni magnetiche così come sono descritte dall'hamiltoniana, H0. Esistono inoltre relazioni fra la suscettibilità generalizzata e la funzione di correlazione della magnetizzazione, la quale a sua volta può essere ricavata da dati sperimentali, soprattutto quelli di scattering magnetico dei neutroni. In questo modo è possibile verificare sperimentalmente la validità della descrizione di un sistema magnetico, così come essa viene espressa mediante i vari termini presenti nella sua hamiltoniana.

L'hamiltoniana magnetica. - La parte predominante delle proprietà magnetiche della materia sono dovute agli elettroni e pertanto occorrerà determinare il comportamento magnetico di un sistema di elettroni. Occorre innanzitutto ricordare che la presenza accanto al momento magnetico orbitale di un momento magnetico intrinseco dell'elettrone, o momento di spin, oltre a costituire un preciso dato sperimentale, è una diretta conseguenza della descrizione relativistica del moto dell'elettrone, fornita dall'equazione di Dirac. Di conseguenza nell'hamiltoniana saranno presenti termini di momento magnetico orbitale, di momento magnetico di spin e termini d'interazione spin-orbita. Per quel che riguarda le possibili interazioni di un elettrone, l'hamiltoniana che ne definisce il comportamento magnetico, risulta, nel caso di un potenziale vettore stazionario e di un potenziale scalare sferico simmetrico:

ove p indica il momento dell'elettrone, e ed m rispettivamente la carica e la massa dell'elettrone, c la velocità della luce, ζ la costante d'interazione spin-orbita. A e Φ rispettivamente i potenziali vettore e scalare, mentre gli ultimi due termini rappresentano l'interazione del momento magnetico di spin σ con il campo magnetico di intensità H e con il momento magnetico orbitale l.

La [1] si riduce naturalmente a espressioni diverse a seconda del tipo d'interazione che risulta preponderante. Per un elettrone immerso in un campo elettrico e magnetico uniformi, la [1] si riduce alla forma semplificata:

Per un elettrone appartenente a un determinato ione occorrerà innanzitutto considerare l'interazione nucleare, vale a dire tener conto del contributo sia della distribuzione delle cariche nucleari che agiscono sul potenziale scalare e che includerà di solito termini fino a quello di quadrupolo, sia delle correnti nucleari che contribuiscono al potenziale vettore mediante i termini della cosiddetta interazione iperfina. Nel potenziale scalare dovranno essere inoltre introdotti termini coulombiani per tener conto dell'interazione con gli altri elettroni dello ione. Anche l'interazione coulombiana fra ciascun elettrone e tutte le cariche esterne allo ione viene descritta mediante un opportuno potenziale elettrostatico tenendo, per es., conto del fatto che nel caso degli ioni del gruppo del ferro, gli elettroni magnetici, che appartengono all'orbita esterna 3 d, risentono di questo potenziale in misura maggiore degli elettroni magnetici delle terre rare, che, appartenendo all'orbita più interna 4f, risultano schermati dagli elettroni 5s25p6 più esterni. Il trattamento di questo problema è in generale complesso e viene di solito semplificato considerando le cariche come puntiformi e facendo quindi uso della teoria del campo cristallino. Il campo cristallino in generale risolve almeno parzialmente la degenerazione delle funzioni d'onda degli elettroni degli shell incompleti. La natura di tale risoluzione dipende naturalmente dalla simmetria del campo cristallino e nei calcoli si fa uso di solito della teoria dei gruppi.

Oltre ai termini finora descritti compariranno nell'hamiltoniana termini d'interazione dipolare magnetica e termini di scambio, provenienti questi ultimi dall'uso di funzioni d'onda antisimmetriche che obbediscono al principio d'esclusione di Pauli. Per quel che riguarda l'interazione di scambio, che è alla base della correlazione esistente fra momenti magnetici in sistemi ordinati, occorre tener presente che a causa della correlazione fra simmetria orbitale e orientazione di spin, gli elettroni si comportano come se fra due spin a e b esistesse un'interazione magnetica del tipo 2Jab σa × σb (interazione di scambio). Se si hanno, per es., N ioni, ognuno dei quali con h elettroni spaiati aventi ciascuno lo stesso integrale di scambio Jnn′(Rα, Rα′) con tutti gli altri elettroni, l'hamiltoniana di scambio può essere espressa in termini di spin ionico totale S(Rα) e prende la forma:

Un'hamiltoniana che contenesse tutti i termini su menzionati, consentirebbe senz'altro un'adeguata descrizione di qualunque sistema magnetico. Tuttavia in pratica ciò risulta impossibile a causa dell'enorme numero delle particelle costituenti il sistema. Si cerca perciò di prendere in considerazione hamiltoniane semplificate, la cui origine è spesso di natura esclusivamente fenomenologica, che, pur essendo calcolabili, forniscano ancora una descrizione soddisfacente del sistema ai fini della spiegazione dei dati sperimentali.

Proprietà statiche dei sistemi magnetici. - Le più importanti configurazioni magnetiche d'equilibrio dei vari sistemi (diamagnetismo, paramagnetismo, ferromagnetismo, antiferromagnetismo) sono già state descritte negli articoli precedenti. Le strutture magnetiche di sistemi ordinati, anche assai complesse, sono state determinate con grande precisione soprattutto mediante la diffrazione neutronica, che ha consentito di mettere in evidenza anche configurazioni in cui i momenti magnetici sono orientati a elica (molte terre rare) o comunque in modo non colineare con compensazione parziale o totale della magnetizzazione (fig. 1).

Negli ultimi anni molto studiati i sistemi magnetici ordinati mono e bidimensionali: inizialmente da un punto di vista esclusivamente teorico, allo scopo di ottenere soluzioni sia pure approssimate di problemi altrimenti insolubili a causa delle complicazioni inerenti il trattamento teorico dei fenomeni collettivi in tre dimensioni. L'uso di modelli monobidimensionali, apparentemente non realistici, si è rivelato assai utile per lo studio delle proprietà termodinamiche in relazione sia alle strutture magnetiche sia al comportamento dei sistemi in corrispondenza delle transizioni di fase. L'interesse si è accresciuto quando si è potuto disporre di materiali i quali non mostrando apprezzabili interazioni magnetiche lungo una o due delle tre dimensioni sono in realtà assimilabili a sistemi bi- e monodimensionali, sui quali si sono potute eseguire verifiche sperimentali; per es., quando lungo alcune direzioni la distanza fra gli ioni magnetici è molto maggiore che lungo le altre, come nel K2NiF4 che può essere considerato un antiferromagnete bidimensionale, oppure quando più favorevoli cammini di scambio collegano gli ioni magnetici fra di loro lungo una linea, come nel Cu(NH3)4SO4 • H2O assimilabile a un antiferromagnete monodimensionale.

Proprietà dinamiche dei sistemi magnetici. - L'azione di un campo magnetico variabile nel tempo provoca su un sistema magnetico una perturbazione che dipenderà in generale sia dal meccanismo di eccitazione sia da quello di rilassamento. La trattazione del problema è analoga in linea di principio per i momenti magnetici associati ai nuclei (risonanza magnetica nucleare) e per i momenti magnetici associati agli elettroni appartenenti sia a sistemi paramagnetici (risonanza paramagnetica elettronica) sia a sistemi magnetici ordinati (risonanza ferromagnetica, antiferromagnetica e ferrimagnetica). Ricorrendo a una descrizione classica, ricordiamo che per un sistema meccanico vale fra momento angolare P e momento torcente M la relazione dP/dt = M. Nel caso di un sistema costituito da nuclei o da elettroni ai quali sia associato un momento angolare e un momento magnetico vi è fra essi proporzionalità, come pure fra il momento angolare totale l e il momento magnetico totale M. Risulta M = γhI/(2π), dove γ è il rapporto giromagnetico e h la costante di Planck. Inoltre il momento torcente in presenza di un campo d'induzione magnetico B vale M ⋀ B. Pertanto in presenza di un campo magnetico costante d'induzione B0 sarà valida la relazione dM/dt = M ⋀ B0 che indica una precessione di M attorno a B0 con velocità angolare ω0 = γB0. Se supponiamo che B0 sia parallelo all'asse z, all'equilibrio termico la magnetizzazione sarà anche orientata lungo l'asse z e avrà un certo valore M0. Si avrà pertanto Mx = 0; My = 0; Mz = M0. Viceversa, partendo da una situazione di non equilibrio, si avrà un avvicinamento alle condizioni di equilibrio che si suppone caratterizzato dalle relazioni:

ove T1, T2 prendono rispettivamente il nome di tempo di rilassamento longitudinale e trasversale in quanto, come appare dalla [4], indicano i tempi caratteristici per il rilassamento della componente della magnetizzazione nella direzione del campo (longitudinale) e nel piano ad essa perpendicolare (trasversale). Inoltre, a causa della relazione fra momento torcente e variazione del momento magnetico, quest'ultimo precederà attorno all'asse z. Si avranno perciò per le tre componenti della magnetizzazione rispettivamente le equazioni:

Il moto è simile a quello di un oscillatore armonico smorzato. In assenza di rilassamento il vettore magnetizzazione precederebbe indefinitamente attorno a B0 con velocità angolare ω0. A causa del rilassamento la magnetizzazione spiralizza invece attorno a B0. Un campo magnetico alternato, ortogonale a B0, cederà energia al sistema quando la sua pulsazione ω1 sarà uguale a ω0 (risonanza). L'ampiezza a mezza altezza del picco della potenza assorbita in funzione della risonanza è in relazione semplice con il tempo di rilassamento trasversale.

L'energia assorbita viene dissipata nel sistema sia mediante l'eccitazione di modi di vibrazione del reticolo sia anche mediante l'eccitazione di modi magnetici.

Eccitazioni magnetiche. - La soluzione approssimata dell'hamiltoniana di scambio [3] ha fornito risultati in buon accordo con i dati sperimentali, limitatamente alle alte temperature. Alle basse temperature, invece, nessuno dei procedimenti usati si è rilevato soddisfacente fino alla formulazione della teoria delle onde di spin (F. Bloch, 1930) che ha consentito una trattazione realistica del comportamento dei sistemi magnetici ordinati alle basse temperature e una soddisfacente valutazione delle energie dei relativi stati eccitati. In un sistema magnetico ordinato, ove sono presenti interazioni magnetiche fra gli atomi costituenti, la deviazione di uno spin dall'orientazione relativa alla configurazione a 0 °K (stato fondamentale) determina l'insorgere di una perturbazione che, a causa delle interazioni magnetiche esistenti, si propaga attraverso il sistema. Un sistema magnetico può così essere sede di modi normali di perturbazione, i quali sono quantizzati. I relativi quanti prendono il nome di "magnoni". Il problema viene di solito trattato descrivendo in prima approssimazione il sistema mediante spin localizzati, associati ai siti reticolari e prendendo come base di calcolo un'hamiltoniana di spin di cui si cercano gli autovalori più bassi.

Occorre tuttavia tener presente che, a parte pochissimi casi, non è esattamente conosciuto lo stato fondamentale di alcun sistema a N corpi e che perciò gli stati eccitati possono essere calcolati soltanto mediante approssimazioni spesso assai grossolane. Si ottengono tuttavia risultati in ragionevole accordo con l'esperienza negl'isolanti magnetici e anche in quei sistemi metallici per i quali un modello a elettroni localizzati può ancora essere considerato soddisfacente. Se in un sistema ferromagnetico sono presenti N spin, l'autofunzione dello stato fondamentale dell'hamiltoniana [3] è data dal prodotto delle singole autofunzioni di spin tutti paralleli al campo applicato ϕ0 = α1α2α3 ... αl ... αN. Questo è lo stato a 0 °K. Al crescere della temperatura il sistema viene eccitato. Lo stato immediatamente successivo può essere considerato quello in cui uno spin sia invertito.

Ma la funzione ϕl = α1α2α3 ... αl-1βlαl+1 ... αN non è un'autofunzione della 3]. Tuttavia Bloch poté dimostrare che un'autofunzione della 3] poteva ancora essere ottenuta mediante una combinazione lineare di ϕl, ciascuna contenente lo spin invertito a un sito diverso:

È possibile dimostrare che ciascuna delle [5] rappresenta un disturbo del sistema di spin di tipo ondulatorio, di vettore d'onda K. Energia e numero d'onda sono correlati da una legge di dispersione, del tipo

ove J è l'integrale di scambio, z il numero di primi vicini, rh la coordinata atomica. Il fatto che gli stati eccitati di un sistema magnetico si manifestino innanzitutto come "onde di spin" può essere accertato fisicamente mediante semplici stime quantitative. Infatti J, così come può essere calcolato dalle temperature critiche dei normali materiali magnetici, è ≈ 100KB ≈ 10-14 erg, e pertanto l'energia necessaria per invertire un solo spin contro l'interazione di scambio è molto maggiore di quella necessaria, per es., per invertire lo stesso spin in un campo magnetico di qualche migliaio di Oe, energia che è ≈ KB. Poiché l'energia di scambio è proporzionale a cos α, ove α è l'angolo fra gli spin adiacenti, si vede subito che affinché l'energia sia bassa occorre che l'angolo sia piccolo, vale a dire che la riduzione di momento magnetico corrispondente all'inversione di uno spin sia ripartita su un numero elevato di spin. Si deve cioè verificare una distorsione lungo la catena degli spin, distorsione che tuttavia dev'essere tale da non accrescere troppo l'energia di Zeeman dovuta alla presenza del campo magnetico costante. Si può mostrare che la distorsione più conveniente dal punto di vista energetico è quella appunto data nella fig. 2. Se l'angolo α fra spin successivi è piccolo l'energia è molto piccola; inoltre per piccoli angoli di precessione β, anche l'energia di Zeeman è piccola. Se una sola onda di spin è eccitata, la magnetizzazione risulterà mz = M(0) V − 2μB ove M(0) è densità di magnetizzazione a 0 °K. La magnetizzazione risulterà quindi quantizzata e la componente secondo z della magnetizzazione si ridurrà di 2π per ciascun magnone eccitato per cui mz = M(0) V − 2μΣknk ove nk è il numero di magnoni eccitati aventi vettore d'onda K. La [6] fornisce l'energia richiesta per eccitare un'onda di spin di vettore d'onda K in un sistema in cui l'energia dello stato fondamentale sia E0 e a cui sia applicato un campo magnetico esterno, di intensità H0. Per un reticolo cubico e per piccoli valori di K la [6] diventa

dove a0 è la distanza fra primi vicini. Gli stati del sistema che corrispondono a eccitazioni di onde di spin di un certo vettore d'onda sono però autostati della [3] fintantoché vi sia una sola deviazione di spin nel reticolo, vale a dire la componente z (nella diiezione del campo esterno) del vettore spin totale S = ΣlSl, va dal valore Sz = NS a Sz′ = NS − 1. Al crescere della temperatura può tuttavia essere eccitato un numero crescente di onde di spin e si pone quindi il problema di trattare una perturbazione di spin in un sistema già parzialmente disallineato a causa della precedente eccitazione di un'onda di spin. Bloch fece l'ipotesi di poter trattare successivi disturbi di un sistema magnetico come onde di spin non interagenti, purché il loro numero n fosse molto più piccolo di N. La differenza in energia fra lo stato con Sz = NS e Sz′ = NS n può essere data con buona approssimazione dalla somma di n differenze calcolate esattamente per una deviazione unitaria. Questo principio di sovrapposizione, che è senz'altro valido alle basse temperature, rappresenta la base per una teoria delle onde di spin che permette l'eccitazione di qualsivoglia numero di onde di spin di dato vettore d'onda. Di conseguenza, le onde di spin debbono obbedire alla statistica di Bose-Einstein, che può essere perciò usata per calcolare le proprietà termodinamiche di un ferromagnete a bassa temperatura, come la magnetizzazione, il calore specifico, ecc. Si ottengono in questo modo risultati in buon accordo con i dati sperimentali misurati in funzione della temperatura. Inoltre la misura delle curve di dispersione, ottenute soprattutto mediante scattering di neutroni, ha consentito, mediante l'uso di formule del tipo [7], la valutazione dell'integrale di scambio e dell'influenza dei secondi e terzi vicini nelle interazioni magnetiche dei sistemi ordinati. La teoria delle onde di spin è stata formulata con soddisfacenti risultati anche per gli antiferromagneti e i ferrimagneti. Per questi ultimi il comportamento delle onde di spin assume particolare importanza, ai fini della loro utilizzazione come dispositivi magnetici.

Materiali magnetici e loro applicazioni. - Come per il passato le caratteristiche più importanti nell'utilizzazione dei materiali magnetici sono legate alla dissipazione di energia in conseguenza dell'applicazione di campi magnetici variabili. E pertanto richiesta un'elevata permeabilità o un piccolo campo coercitivo per ridurre le perdite dovute all'isteresi e un'elevata resistività elettrica per ridurre le perdite dovute alle correnti parassite. Un'altra importantissima causa di perdita di energia è quella dovuta alla "risonanza ferromagnetica". In corrispondenza alla frequenza di risonanza si ha un massimo nella dissipazione di energia, e, inoltre, a causa della relazione di proporzionalità inversa esistente fra frequenza di risonanza e permeabilità iniziale, i materiali a elevata permeabilità possono essere usati solo a basse frequenze: è pertanto opportuno che il picco di risonanza sia il più stretto possibile. Va infine ricordato che applicazioni più recenti hanno messo in evidenza l'importanza di forme particolari del ciclo d'isteresi (per es., cicli rettangolari per memorie a nuclei magnetici) o dei parametri magnetici conseguenti alla tecnica di preparazione dei materiali (anisotropia indotta dall'accrescimento di film in memorie a bolle magnetiche) e degli effetti magnetoottici non reciproci (rotazione della polarizzazione di onde elettromagnetiche incidenti). Oltre a un costante approfondimento della conoscenza dei materiali metallici che ha portato a un miglioramento delle loro caratteristiche tecnologiche senza però sostanziali innovazioni rispetto a quelle descritte nelle voci precedentemente citate, gli ultimi anni hanno visto dei progressi assai notevoli nello studio dei materiali magnetici isolanti e in particolare delle ferriti, che hanno trovato numerose applicazioni industriali.

Sotto il nome di "ferriti" sono comunemente indicati composti la cui formula chimica può essere considerata come proveniente dalla combinazione in diversi rapporti di uno o più ossidi metallici e Fe2O3. L'interazione magnetica, alla quale partecipano oltre al ferro gli altri ioni metallici che posseggono un momento proprio, è in generale di tipo ferrimagnetico e la grande varietà di metalli che possono entrare, anche in concentrazioni assai piccole come veri e propri droganti, a sostituire quelli presenti nella formula base, consentono di ottenere una gamma vastissima di materiali magnetici isolanti, le cui proprietà possono entro vasti limiti essere predeterminate. Da qui l'enorme interesse tecnologico per le ferriti, che negli ultimi venti anni sono state decisamente il materiale magnetico più studiato.

Per una più precisa classificazione occorre distinguere: a) le ferriti spinelli, b) le ferriti esagonali e c) i granati magnetici.

a) Ferriti-spinelli. Hanno la formula generale M2+O•Fe23+O3 cioè M Fe2O4, ove M2+ è uno ione metallico bivalente (Fe2+, Ni2+, Cu2+, Mg2+, ecc.). La struttura cristallina è quella cubica degli spinelli in cui i cationi occupano sia siti circondati da quattro ioni ossigeno disposti a forma di tetraedo (siti tetraedrici), sia siti circondati da sei ioni ossigeno disposti a forma di ottaedro (siti ottaedrici). I momenti magnetici dei cationi appartenenti a un dato sito sono fra loro paralleli e antiparalleli ai momenti dei cationi appartenenti all'altro tipo di sito. In generale i momenti magnetici totali dei due siti non sono uguali e ciò dà luogo a ferrimagnetismo. Le ferriti-spinelli possiedono di solito una bassa conducibilità elettrica, che riduce le perdite per correnti parassite, mentre un inconveniente è costituito dal valore relativamente basso della frequenza di risonanza e dall'ampiezza del relativo picco, che ne limita fortemente l'uso alle frequenze delle microonde. Tuttavia il basso costo e la relativa stabilità delle caratteristiche operazionali al variare della temperatura ne favoriscono un'estesa utilizzazione come componenti elettronici ad alta frequenza. Un altro vasto campo di applicazione delle ferriti-spinelli si ha nelle memorie a nuclei magnetici (App. III, 1, p. 282), in cui vengono utilizzati cicli di isteresi pressoché rettangolari; sono fondamentalmente usate ferriti di manganese, parzialmente sostituito con altri metalli allo scopo di ottenere i desiderati valori di saturazione, induzione residua, anisotropia e magnetostrizione, che costituiscono i parametri più importanti per un corretto funzionamento.

b) Ferriti esagonali. La formula generale è A2+O•6Fe23+O3, cioè AFe12•O19, ove A2+ è uno ione tipo Ba2+, Sr2+, Pb2+, La2+. I composti più noti di questo tipo sono PbFe12O19 (magnetoplumbite) e BaFe12O19. La struttura cristallografica è esagonale con gli ioni Fe3+ che occupano tre tipi di siti: a coordinazione tetraedrica, ottaedrica e di bipiramide trigonale. La struttura magnetica è fondamentalmente ferrimagnetica, mentre l'anisotropia magnetocristallina particolarmente elevata rende le ferriti esagonali e particolarmente quella di bario estremamente adatte per magneti permanenti. Interessanti sono anche le applicazioni alle alte frequenze.

c) Granati magnetici. Hanno la formula generale 3M2O3•5Fe2O3, cioè M3Fe5O12, ove con M vengono indicati cationi di ittrio o di terre rare occupanti siti a coordinazione dodecaedrica, mentre gli ioni Fe occupano sia siti ottaedrici, sia tetraedrici. Esiste una vastissima possibilità di sostituzione parziale dei cationi, con conseguenti variazioni dei parametri caratteristici. La struttura ferrimagnetica che nel granato di ittrio e ferro (indicato brevemente con la notazione YIG) è colineare, può mostrare un'inclinazione dei momenti magnetici atomici rispetto alla magnetizzazione (canting) in corrispondenza di elevate concentrazioni di cationi diamagnetici sostituenti. I granati magnetici trovano vantaggiose applicazioni in dispositivi per microonde a causa delle bassissime perdite dielettriche, dello strettissimo picco di risonanza ferromagnetica, della forma controllabile del ciclo d'isteresi e delle ottime proprietà ceramiche, mentre il valore non troppo elevato della magnetizzazione di saturazione (≈ 2000 gauss) e l'elevato costo di preparazione costituiscono i limiti del loro impiego.

Altra proprietà dei granati magnetici recentemente utilizzata è la capacità di generare in lastrine sottili, tagliate perpendicolarmente alla direzione di facile magnetizzazione, dei doroini magnetici di forma cilindrica ("bolle magnetiche") la cui magnetizzazione è antiparallela a quella del resto del cristallo (fig. 3). Le bolle magnetiche, che sono stabili in presenza di un campo magnetico statico perpendicolare alla lastrina, possono essere spostate in presenza di un gradiente di campo magnetico, possono essere distrutte e possono essere messe in evidenza con un rivelatore a magnetoresistenza. se si deposita sulla lastrina mediante le consuete tecniche di fotoincisione un reticolo bidimensionale costituito da elementi di permalloy di forma opportuna (fig. 4), è possibile, mediante l'applicazione di un campo magnetico rotante nel piano della lastrina, far spostare la bolla di un elemento di permalloy per ogni giro. Poiché la presenza o l'assenza di una bolla può corrispondere a un bit d'informazione, è possibile in questo modo realizzare una memoria di tipo sequenziale ("memoria a bolle"). Il diametro delle bolle stabili in un dato materiale dipende dalla magnetizzazione e dall'energia delle pareti di dominio, e nei granati di terre rare tale diametro è dell'ordine del micron, mentre la mobilità può raggiungere valori di 103 (cm sec-1)/oersted. Poiché lo spessore ottimale delle lastrine risulta essere di qualche micron, in pratica le bolle vengono generate in film di granati magnetici depositati epitassialmente su un substrato di granato di gallio e gadolinio. Sul film vengono poi deposti successivamente, utilizzando tecniche planari, tutti gli altri componenti. Le memorie a bolle presentano vantaggi sia rispetto alle memorie magnetiche attuali, sia rispetto alle memorie a semiconduttori. Tuttavia il costo elevato ne rende a tutt'oggi problematica l'utilizzazione su larga scala.

Bibl.: J. Smith, H. P. J. Wijn, Ferrites, Eindhoven 1959; A. Abragam, The principles of nuclear resonance, Londra 1961; S. Chikazumi, Physics of magnetism, New York 1964; M. Sparks, Ferromagnetic relaxation theory, ivi 1964; D. C. Mattis, The theory of magnetism, ivi 1965; A. H. Morrish, The physical principles of magnetism, ivi 1965; R. S. Tebble, D. J. Craik, Magnetic materials, Londra 1969; R. M. White, Quantum theory of magnetism, New York 1970; J. Smit, Magnetic propertics of materials, ivi 1971; S. V. Vonsovskij, Magnetism, Mosca 1971; S. Foner, Magnetism, New York 1976.

Magnetismo terrestre (XXI, p. 928; App. II, 11, p. 250; III, 11, p. 9). - La necessità di acquisire il maggior numero possibile di dati sperimentali sulle caratteristiche del campo magnetico terrestre nel passato, ai fini della costruzione di una razionale teoria sulla sua causa, ha portato nell'ultimo ventennio a un grande sviluppo del paleomagnetismo. Si è approfondita la conoscenza dei processi mediante i quali alcune rocce, all'atto della loro formazione, acquistano e conservano stabilmente una magnetizzazione parallela a quella del campo magnetico esistente all'epoca. Le rocce che presentano tale fenomeno vanno ricercate fra quelle che contengono in quantità apprezzabile particolari ossidi di ferro, soprattutto magnetite (Fe3O4) ed ematite (Fe2O3) e loro soluzioni solide con ossido di titanio. I due principali processi di magnetizzazione utili a fornire indicazioni sulla direzione del campo geomagnetico nel passato geologico sono la "magnetizzazione termoresidua" e la "magnetizzazione per sedimentazione"; il primo interessa pressoché tutte le rocce ignee, il secondo alcune rocce sedimentarie.

La magnetizzazione termoresidua viene acquisita durante il raffreddamento del magma originario in un intervallo relativamente ristretto di temperatura di poco inferiore alla temperatura di Curie degli ossidi di ferro contenuti nel magma stesso (circa 600 °C). Tale magnetizzazione, di notevole intensità e di direzione uguale a quella del campo generante, diviene estremamente stabile nel successivo raffreddamento fino a temperatura ambiente. La magnetizzazione per sedimentazione si produce nella lenta deposizione in acque tranquille delle minutissime particelle staccatesi per erosione da una roccia preesistente; se esse sono costituite di minerale già magnetizzato, depositandosi tendono a orientarsi nella direzione del campo magnetico terrestre, e la roccia sedimentaria che si forma nel processo conserva nel suo complesso la magnetizzazione orientata.

Dallo studio della direzione di magnetizzazione di numerosissimi campioni di rocce di tutti i continenti, la cui età ha potuto essere valutata con metodi geologici o radioattivi, si è potuto stabilire che negli ultimi dieci milioni di anni il campo magnetico terrestre ha presentato in media la configurazione di un campo di dipolo assiale; le sue caratteristiche sono cioè identiche a quelle del campo prodotto (esternamente alla Terra) da un magnete fittizio posto al centro della Terra, il cui asse coincide con l'asse di rotazione terrestre. Per le ere geologiche più antiche, fino al Paleozoico e oltre, le direzioni di magnetizzazione divergono sempre più nettamente dalla configurazione di un campo dipolare; risulta tuttavia che i dati relativi a un determinato continente sono sempre ben concordanti fra loro, mentre fra continente e continente si hanno differenze sempre maggiori andando a ritroso nel tempo. Ciò ha condotto a formulare l'ipotesi che il campo geomagnetico abbia in realtà avuto sempre il carattere di campo di dipolo assiale, ma che nel corso delle ere geologiche i vari continenti si siano spostati gli uni rispetto agli altri. Gli studi paleomagnetici portano così a un duplice risultato: da una parte dànno indicazioni sul permanente carattere dipolare del campo geomagnetico, dall'altra forniscono un sostegno all'ipotesi della deriva dei continenti, avanzata dal Wegener fin dal 1915.

La scoperta di numerose formazioni rocciose aventi magnetizzazione di direzione pressoché uguale ma di verso opposto all'attuale campo terrestre ha posto il problema se la causa di tale magnetizzazione sia da ricercarsi in un'inversione di polarità del campo geomagnetico o in un processo di autoinversione della magnetizzazione nella roccia stessa. Allo stato attuale delle ricerche, è accertato che il processo di autoinversione esiste ed è caratteristico di un determinato minerale ferromagnetico, una soluzione solida di ematite e ilmenite, ma esso è in realtà piuttosto raro. I numerosissimi casi di rocce a magnetizzazione inversa si possono spiegare più logicamente con ripetute inversioni del campo geomagnetico. Mediante la datazione radioattiva delle rocce studiate si è giunti alla conclusione che il campo ha subìto negli ultimi cinque milioni di anni circa venticinque inversioni, e numerose altre ne ha subìto nelle ere geologiche passate. Il tempo intercorso tra un'inversione e l'altra è assai variabile: da qualche decina a qualche centinaia di migliaia di anni; per quanto riguarda i periodi di transizione, sembra accertato che essi hanno una durata dell'ordine di 2000 anni, rappresentano, cioè, nella scala dei tempi geologici, dei semplici istanti.

Alla luce di questi risultati, di grande interesse è stata la scoperta nei vari oceani di sistemi di anomalie magnetiche di segno alternativamente opposto. Più precisamente, al di sopra delle creste mediane oceaniche, che rappresentano linee di frattura con fuoriuscita di magma e formazione di catene di montagne vulcaniche sottomarine, si manifestano anomalie positive del campo magnetico, si hanno cioè valori dell'intensità del campo maggiori di quelli normali; parallelamente a queste linee positive e in posizione simmetrica rispetto a ognuna di esse, si trovano strisce di anomalie alternativamente negative e positive, per un'estensione laterale di centinaia e anche di migliaia di chilometri. È noto che, in generale, un'anomalia positiva (che abbia un'origine superficiale) è prodotta da rocce magnetizzate nello stesso verso del campo geomagnetico, mentre un'anomalia negativa si può spiegare solo con una magnetizzazione delle rocce opposta al campo attuale. L'alternanza delle anomalie oceaniche è quindi un indice dell'esistenza nel fondo degli oceani di lunghe strisce di rocce magnetizzate alternativamente nei due versi. L'interpretazione più attendibile di queste configurazioni è che il magma effuso dalle linee di frattura fin da epoche molto antiche si sia magnetizzato, raffreddandosi, secondo la direzione e il verso del campo geomagnetico del momento; esso si sarebbe poi spostato lateralmente da ambo i lati della linea, trasportato da corrispondenti moti della crosta terrestre, lasciando il posto a nuovo magma effuso dalla frattura, la cui polarità di magnetizzazione dipende dalla polarità del campo geomagnetico. Le varie strisce di segno alternato corrisponderebbero quindi ai vari intervalli di polarità del campo, mentre la loro distanza dalla linea centrale fornirebbe il tempo trascorso dall'epoca di effusione, nota che fosse la velocità di traslazione laterale. Assegnando a tale velocità valori variabili da oceano a oceano (e a regioni diverse dallo stesso oceano), ma tutte dell'ordine di pochi centimetri all'anno, si trova una quasi perfetta coincidenza fra le inversioni determinate mediante lo studio della magnetizzazione dei campioni di roccia e loro datazione radioattiva e le transizioni fra le strisce di anomalia positiva e di anomalia negativa sul fondo degli oceani. Questi risultati, quindi, da una parte tendono a confermare le ripetute inversioni di polarità del campo geomagnetico, dall'altra forniscono un solido supporto all'ipotesi della deriva dei continenti.

I punti principali, sperimentalmente stabiliti, sui quali una teoria del campo geomagnetico si deve fondare, sono in conclusione i seguenti: il carattere permanente di dipolo assiale del campo, le sue ripetute inversioni di polarità, le vaste irregolarità, costituite dalle grandi anomalie sistematiche, o regionali, le variazioni secolari. Queste, secondo le più recenti ricerche, si manifestano in tre forme diverse: a) una variazione del momento del dipolo, che attualmente è in diminuzione al tasso del 5% del suo valore odierno ogni cento anni; b) uno spostamento da est a ovest di 0,2 gradi di longitudine all'anno del campo irregolare, cioè dei sistemi di anomalie regionali; c) una variazione d'intensità e di forma di queste anomalie regionali. Gli sviluppi attuali della "teoria dinamo" del nucleo terrestre, che ormai appare l'unica possibile, tendono appunto a chiarire le cause e le modalità dei fenomeni che danno luogo alle caratteristiche sopra elencate.

Per quanto riguarda il campo magnetico esterno alla Terra, v. spaziale, fisica, in questa Appendice.

Bibl.: E. Irving, Paleomagnetism and its application to geological and geophysical problems, New York 1964; S. Matsushita, W. H. Campbell, Physics of geomagnetic phenomena, 2 voll., New York e Londra 1967; M. W. McElhinny, Paleomagnetism and plate tetonics, Cambridge 1973.

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