MAGENTA

Enciclopedia Italiana (1934)

MAGENTA (A. T., 20-21)

Alberto BALDINI
Manfredo VANNI

Cittadina della provincia di Milano, situata nella pianura, a 138 m. s. m., a pochi chilometri dalla riva sinistra del Ticino, attraversato, in tale località, da un grandioso ponte (Ponte di Buffalora) ove passano la strada e la ferrovia (Milano-Torino). Si crede che Magenta sia stata fondata nel 297 al tempo dell'imperatore Massimiano Erculio. Nel 1167 subì grave devastazione per opera di Federico Barbarossa. La sua posizione strategica, dominando essa un passaggio del Ticino, la rese importante nella storia. Un monumento al maresciallo Mac-Mahon e un ossario ricordano la battaglia del 4 giugno 1859. La popolazione del comune (21,75 kmq.) era di 9895 ab. nel 1921 (dei quali 7600 nel capoluogo, il resto nelle frazioni di Ponte Nuovo e Ponte Vecchio o in case sparse), di 12.639 nel 1931. Lo sviluppo di Magenta è dovuto alle sue attività industriali; specie alle filature di seta e alla produzione vinicola. E stazione ferroviaria sulla Milano-Torino; una tramvia la unisce a Milano (25,5 km.) e varî servizî automobilistici a Milano, Legnano, Abbiategrasso.

La battaglia di Magenta. - Fu combattuta il 4 giugno 1859 fra l'esercito austriaco comandato dal generale F. Gyulay e gli alleati francosardi, comandati dall'imperatore Napoleone III.

Dopo i primi scontri a sud del Po, l'imperatore francese - decisosi a manovrare in modo da aggirare per il nord la massa avversaria raccoltasi nel basso Novarese - aveva ai primi di giugno i corpi alleati fra la Sesia e il Ticino. Dapprima incerto se gli convenisse attaccare gli Austriaci a occidente del Ticino e cioè puntando a sud verso la Lomellina, aveva poi deciso, il 3 giugno, di passare il fiume con tutte le forze ai due passaggi: di Turbigo (ponti militari) col 2° corpo francese, i volteggiatori della Guardia imperiale e l'esercito sardo, e di S. Martino (ponte rotabile e ponte ferroviario) coi granatieri della Guardia e i corpi francesi 1°, 3° e 4°. Il generalissimo austriaco Gyulay, che dopo i combattimenti alla Sesia (v. palestro) aveva ordinato una rapida ritirata oltre il Ticino (con grande disappunto dell'imperatore Francesco Giuseppe), aveva il mattino del 4 giugno le forze largamente dislocate lungo la riva sinistra del fiume, giungendo a nord fino alla strada Novara-Milano e a sud fino a Bereguardo. Avendo le truppe stanchissime per le marce e contromarce dei giorni precedenti, il Gyulay aveva ordinato che il 4 giugno l'esercito sostasse nelle località raggiunte la notte precedente. Circa alle ore 10 del 4 giugno, le prime truppe francesi (1ª brigata granatieri della Guardia) si presentano al ponte di S. Martino senza essersi fatte precedere da esplorazione e sono sorprese da vivo fuoco di fucileria, ma riesmno tuttavia a passare e a mantenersi fra il corso del fiume e il Naviglio grande, anche quando Napoleone III ordina la sospensione del combattimento, volendo egli attendere per continuarlo che si pronunci da Turbigo l'avanzata del 2° corpo francese (Mac-Mahon). Questo corpo, transitato il fiume sui ponti militari, si era diretto verso sud, insieme coi volteggiatori della Guardia, seguendo le due strade di Cuggiono e di Marcallo. A Cuggiono era venuto a contatto con avamposti austriaci, i quali si erano ritirati dopo breve combattimento. Il rumore di questo scontro, udito dall'imperatore al ponte di S. Martino, fece credere che il Mac-Mahon fosse in grado di attaccare in breve tempo, alle spalle, i difensori austriaci dinnanzi al passaggio di S. Manino; fu perciò ordinato alla Guardia (granatieri) di riprendere l'azione frontale poco innanzi interrotta. Alle ore 14 queste truppe occupavano il tratto Buffalora-Ponte Nuovo e inseguivano gli Austriaci in direzione di Magenta. Napoleone III aveva intanto mandato ordine ai corpi ancora arretrati (Niel, Canrobert) di affrettarsi verso i prescritti passaggi del Ticino. Però per circa due ore la situazione sulla sinistra del Ticino rimane assai critica, in quanto gli Austriaci premono da sud (Robecco) con forze superiori la destra dei granatieri della Guardia, non sostenuti. L'azione del Mac-Mahon si pronunciò infatti, in ritardo (soltanto alle ore 16,30) perché quel generale aveva voluto compiere lo spiegamento in battaglia dell'intero suo corpo d'armata prima di entrare nella zona tattica di Magenta. Dal momento in cui il Mac-Mahon entra in azione, la lotta s'intensifica attorno al villaggio di Magenta, sul quale puntano anche da ovest le truppe passate al ponte di S. Martino. Quivi trovavasi fin dal mattino Napoleone III, per animare con la sua presenza le truppe. Alle ore 19 gli Austriaci sgombrarono Magenta. I Sardi che avevano iniziato il passaggio ai ponti militari di Turbigo, come da ordine, in coda al corpo Mac-Mahon, avendo in testa la 2ª divisione (Fanti), non giunsero in tempo, per ragioni materiali di distanza, a prender parte alla battaglia. Il generalissimo Gyulay aveva esercitato il comando con ordini tardivi e poco energici; e infatti soltanto alle ore 13,30 aveva prescritto l'avanzata del VII corpo su Magenta e del III su Robecco. Se questa avanzata fosse stata ordinata due ore prima, come era possibile, i granatieri francesi molto probabilmente non avrebbero potuto sostenersi per tutto il tempo che occorse all'entrata in linea del Mac-Mahon. Perduta Magenta, i corpi austriaci I, II e VII si ritirano a Corbetta e il III sosta a Robecco. Gli Austriaci perdettero circa 10.000 uomini e i Francesi meno della metà. Dopo Magenta, avendo il Gyulay deciso di ripiegare al quadrilatero veneto sfilando per la Lombardia meridionale, la via di Milano rimase libera agli alleati. franco-sardi.

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