LAMBERTENGHI, Luigi Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LAMBERTENGHI, Luigi Stefano

Carlo Capra

Nacque a Milano il 26 dic. 1739 da Giovanni Francesco e Teresa Pogliaghi. Il padre, di nobile, ma non ricca famiglia di origine comasca e cugino del più noto Giuseppe, avvocato fiscale, economo regio e infine senatore, esercitava dal 1720 la professione di notaio, e nel febbraio 1724 fu anche ammesso a quella di causidico.

Il suo primogenito Antonio (1738-1812), di un anno maggiore di Luigi, vestì l'abito dei somaschi e divenne nel 1768 professore di filosofia morale all'Università di Pavia. Delle loro tre sorelle una, Maria, sposò l'avvocato Paolo Montorfani, un'altra, Claudia, fu maritata nel 1770 al celebre medico Pietro Moscati e se ne separò clamorosamente pochi anni dopo, fuggendo con un giovane grigione.

Nulla sappiamo dei primi anni del L.: fra il 1755 e il 1757 fu nel collegio Cicognini di Prato, retto dai gesuiti, che oltre a rampolli di famiglie nobili ammetteva ragazzi di condizione sociale più modesta. La severità della ratio studiorum si era venuta stemperando, in questo come negli altri istituti dell'Ordine, per esempio quello di Parma frequentato da P. Verri e C. Beccaria, con una cauta apertura alle scienze fisico-matematiche, alle lingue moderne e alle cosiddette arti cavalleresche. Il L. proseguì gli studi presso l'Università di Bologna, dove era già nel dicembre 1757, ospite dei padri di S. Damiano e sotto la protezione di un illustre prelato milanese, il cardinal legato G.A. Serbelloni.

Non pare che conseguisse la laurea in giurisprudenza, come era desiderio dei genitori. Come C. Beccaria, anche il L. sembra essersi distinto soprattutto in campo matematico e scientifico: "giovane che ha fatto i suoi studi in Toscana e a Bologna, che ha viaggiato per tutto il calcolo integrale", lo descriveva di lì a poco P. Verri a G.R. Carli, che esalterà anche in altre occasioni le sue "molte cognizioni di fisica e di geometria".

Non sappiamo quando il L. tornò definitivamente a Milano. Fece però parte fin dall'inizio dell'Accademia dei Pugni, il gruppo di giovani che dall'inverno 1761-62 prese a riunirsi ogni sera in casa Verri; ben presto divenne "amoureux à la folie" di una delle dame che gravitavano intorno al sodalizio, Luisa Grianti nata Brentano, destinata a concludere tragicamente la sua esistenza a Pisa, dove morirà suicida nel 1776. Il L. - Luisino, come lo chiamavano gli amici - si adoperò con gli altri per incitare e aiutare Beccaria nella stesura del Dei delitti e delle pene: "Il libro è del marchese Beccaria. L'argomento gliel'ho dato io, e la maggior parte de' pensieri è il risultato delle conversazioni che giornalmente si tenevano fra Beccaria, Alessandro, Lambertenghi e me", ricordava P. Verri nelle Memorie sincere. Al Caffè, la celebre rivista pubblicata dai soci dei Pugni tra il 1764 e il 1766, il L. collaborò con due soli saggi, ma di notevole impegno: Delle poste (tomo I, f. XXVII) e Sull'origine e sul luogo delle sepolture (tomo II, ff. VII-VIII; riediti in "Il Caffè", 1764-1766, a cura di G. Francioni - S. Romagnoli, Torino 1993, pp. 299-311, 481-487).

In entrambi la curiosità storica, rivolta a "que' dettagli, che sui costumi e sulle arti e sulle scienze possono portar lume", in polemica con gli storici che "solo del grosso de' fatti si curano", è posta al servizio di temi inerenti alla pubblica utilità e al progresso civile: la rapidità e l'efficienza delle comunicazioni e la salubrità dell'aria. Nel secondo, in particolare, sono da rilevare l'assenza del pathos della poesia sepolcrale tra Sette e Ottocento e l'atteggiamento caratteristico laico nei confronti della morte, definita in apertura come "necessaria conseguenza delle infallibili leggi dell'universale meccanismo stabilito dall'Eterno Autore della natura", e come "quel punto che fa rientrare nella folla de' corpi non organizzati la spoglia nostra e la confonde col resto della materia". Coerente con tale concezione è il prevalere delle preoccupazioni di ordine igienico su ogni altra considerazione: "Il mettere […] i morti dove s'adora la Divinità, il contaminare […] que' luoghi dove l'aria dovrebbe esser grave d'incenso e di fiori, il mantenere l'odioso costume che nelle città […] i cadaveri corrompendosi cagionino delle malattie e ne diffondano i mortali semi, […] non è certamente conforme alla ragione né è degno d'un secolo tanto colto e tanto illuminato".

Dalla fine del 1766 il L. fu l'unico vero amico di P. Verri dopo l'allontanamento di Longo e Frisi, il mancato ritorno di Alessandro e la rottura con Beccaria. Nel carteggio con il fratello lontano non si contano le espressioni di affetto e di riconoscenza per il L.: "Lambertenghi ha cura di me colla tenerezza del più dilicato amico" - scriveva il 4 ott. 1766 - "la sera viene col suo piccolo Bacone a leggere in mia stanza mentre io rivedo l'opera di Alessandro"; e un anno dopo: "Sempre più il mio cuore si accosta all'adorabile Luisino, la sensibilità, la virtù, la grazia sua, tutto m'incanta". Con lui, Longo e Alessandro, di cui sperava sempre il ritorno, Pietro sognava di "redificare la Gerusalemme", cioè di "riprendere un'opera periodica". Ma di altro genere dovevano essere fin da allora le aspettative del L., desideroso di uscire dalla sua condizione di povero figlio di famiglia e di seguire le orme del più anziano e autorevole amico, ormai lanciato nella carriera di pubblico funzionario, il quale dal canto suo non gli fece mancare il proprio incoraggiamento e appoggio.

A sostenere la battaglia per la riforma annonaria ingaggiata nel Supremo Consiglio di economia da P. Verri è indirizzato il Saggio sulla legislazione de' grani nella Lombardia austriaca, steso nell'estate 1767 (riedito in Considerazioni sull'Annona dello Stato di Milano nel XVIII secolo, a cura di C.A. Vianello, Milano 1940, pp. 53-85). La soluzione proposta dal L., la totale libertà di commercio e di esportazione da sospendersi solo quando i prezzi dei cereali avessero superato una data soglia, era la più vicina al liberismo integrale del Verri tra quelle avanzate nel dibattito promosso dalla volontà di riforma del governo austriaco, e poggiava su una solida conoscenza degli scrittori di cose economiche, da J.-F. Melon a F. Véron de Forbonnais, da Montesquieu ad A. Genovesi, da G. de Ustariz al marchese di Mirabeau della Théorie de l'impôt.

Il 14 ott. 1767 P. Verri informava il fratello che il L. "ha avuto un posto di regio ufficiale per la casa di correzione; avrà cento zecchini l'anno e poco disturbo". Progettata da tempo come luogo di rieducazione al lavoro di "discoli", oziosi e vagabondi, unitamente a un albergo dei poveri mai realizzato, la casa di correzione di Milano aveva cominciato a funzionare solo l'anno precedente, ma fin dall'inizio ai corrigendi si mescolarono i condannati per reati più gravi che non trovavano posto nelle vecchie carceri. Questo stato di cose spiega in parte la durezza del regime cui i detenuti erano sottoposti, e alla quale lo stesso L. non mancò di contribuire. Da un lato, infatti, organizzò all'interno dell'istituto la manifattura di calze, bombasine e fustagni, trasformando, come scriveva orgogliosamente P. Verri al fratello, "quella caverna del letargo e dei mali in una casa, dove tutto è industria e moto" (6 ag. 1768); dall'altro si attirò i rimproveri dell'amico per l'asprezza dei castighi cui sottoponeva i detenuti, nell'intento di stimolare la produzione.

Ma le ambizioni del L. e del suo protettore non erano certo soddisfatte da questo primo impiego. Il 10 apr. 1768 P. Verri dava notizia all'amico I. Corte, da qualche mese a Vienna dove era stato chiamato dal cancelliere W.A. Kaunitz per riordinare l'archivio del Dipartimento d'Italia, dell'invio di una raccolta di scritti del L.: "Il caro Lambertenghi trasmette diversi saggi suoi sulle strade, sui grani e sulla Casa di correzione, indirizzandogli a codesto signor consigliere [J. Sperges, il direttore del Dipartimento] […]. Arditamente io dico che questo sarebbe un ottimo soggetto da impiegarsi […]. Ha una testa chiara e un cuore virtuoso e benefico".

L'unico pubblicato tra gli scritti elencati in questa lettera è il già citato Saggio sulla legislazione de' grani. I saggi Sugli oziosi e mendici e Sulla necessità di una casa di travaglio ci sono pervenuti legati insieme in un codice della Biblioteca Ambrosiana. Una successiva memoria Sull'origine, progresso e stato attuale della Casa di correzione in Milano a' 22 maggio 1768 si conserva allegata a una lettera del ministro plenipotenziario C.G. Firmian al Kaunitz del 7 febbr. 1769. Si trova pienamente accolta in questi scritti la nuova concezione della povertà come prodotto dell'ozio: "Un uomo non è povero, perché non ha niente, ma lo è sicuramente quando egli ricusa di travagliare. Tanti sono i bisogni della civile società, […] che impossibile è il non trovare di che impiegarsi per vivere". Stando così le cose, invano si cercava di risolvere il problema con la distribuzione di elemosine: "Ogni elemosina gratuita sarà sempre perniciosa allo Stato" (Saggio sugli oziosi e mendici). Le risorse amministrate dai Luoghi pii milanesi, delle quali l'autore fa un accurato censimento, sarebbero molto meglio impiegate col sussidiare artigiani e agricoltori nei periodi di malattia e negli anni di cattivi raccolti, con il finanziare lavori pubblici utili all'economia, con l'erezione di una "casa di travaglio" destinata a dar lavoro non solo ai detenuti per reati minori, ma anche ai disoccupati. Solo le persone inabili per età o infermità dovrebbero essere mantenute a spese pubbliche. Si tratta, come si vede, di idee assai diffuse nel secolo XVIII, che ben ne riflettevano l'enfasi sull'utilità sociale e sul lavoro produttivo piuttosto che l'afflato umanitario, così forte invece nelle pagine di Beccaria.

Di un altro dei temi trattati nel codice inviato a Vienna, quello delle strade, l'autore avrebbe avuto presto modo di occuparsi con maggiore attenzione. Era in quel settore, infatti, che "la giusta brama di un collocamento" aveva le maggiori possibilità di essere esaudita, avvertiva da Vienna I. Corte nell'informare il Verri, il 22 maggio 1768, che "l'opera dell'amico Lambertenghi è stata presentata, letta ed è piaciuta assai". Il 6 ott. 1768 veniva infatti disposta da Vienna l'erezione di una giunta governativa "per sopraintendere alla cura de' confini, acque e strade", e ne era nominato cancelliere, con 1000 lire di soldo annuo, il Lambertenghi. Questi reagì in un primo tempo con amarezza a una qualifica che sentiva al di sotto dei suoi meriti e del suo rango, come scriveva a P. Verri il 18 ott. 1768; ma poi fece di necessità virtù, inviò al Kaunitz un'umile lettera di ringraziamento e cercò di mettersi in luce stendendo, già a fine ottobre, una Memoria sulle operazioni preliminari che possono intraprendersi dalla Giunta governativa destinata a sopraintendere alla cura de' confini, delle acque e delle strade, comprendente un voluminoso questionario che proponeva di inviare alle autorità competenti e alle Comunità interessate.

A differenza dell'altro impiego presso la casa di correzione, che il L. continuava a ricoprire, la cancelleria della giunta sui Confini, acque e strade doveva rivelarsi poco più che una sinecura, a causa dell'inerzia dei membri e dei dispareri subito insorti tra loro. "In un intero anno la nostra Giunta non ha fatto quasi niente", dichiarava egli stesso in una lettera a Verri (9 sett. 1769). Questa lettera, come due memorie senza titolo che la precedono fra le carte Custodi conservate alla Bibliothèque nationale di Parigi, denuncia una serie di difetti e di incongruenze nel sistema di governo della Lombardia austriaca: inosservanza delle leggi, l'eccessivo potere lasciato ai segretari della Cancelleria segreta, "la molteplicità de' corpi e delle giunte diverse", il "dispotismo de' cancellieri delle pievi"; "tutto va al disordine" - concludeva il L. - "e le querele della nazione sono pur troppo fondate". È facile riconoscere in queste pagine molte delle idee espresse negli stessi anni da P. Verri; proprio quest'ultimo aveva sollecitato il giovane amico a far conoscere al Dipartimento d'Italia, tramite il Corte, "tutt'i pensieri che gli si affacciano relativi al nostro sistema", nel duplice intento di sospingerlo verso un incarico di maggiore responsabilità e di mettere in cattiva luce il governo di Firmian. Corte, che non mancava di sottoporre queste carte allo Sperges, fin dal 17 agosto aveva fatto sapere al L., tramite Verri, "che sempre più piacciono le cose sue, e che […] [tra poco] vedrà l'opinione che si ha qui di lui". "Un soggetto più attivo, illuminato, e severissimamente onesto di lui è difficile il trovarlo", scriveva dal canto suo Verri a Sperges il 19 genn. 1770. E proseguiva: "Egli ha la passione di far bene e di operar bene […]. È dotto fisico, ha tutta la giurisprudenza e tutta la coltura d'un uomo di lettere unita a somma rettitudine […]. Credo che questo è un soggetto da fare molto onore e posso dire che lo conosco intus et in cute". Sperges, che sentiva l'esigenza di rafforzare il Dipartimento d'Italia con qualche elemento ben preparato, spregiudicato ed esperto di problemi lombardi, non rimase insensibile; il 22 marzo 1770 dichiarava al Verri di ritenere auspicabile un impiego del L. "sia in Milano, sia qui. Vorrei anzi che fosse più vicino a me"; e un mese dopo, ponendo fine agli indugi, proponeva per lui "la qualifica di Regio Ufficiale di questo Dipartimento assegnato alla Ragionateria […] con un congruo soldo". La nomina, data per certa da P. Verri in una lettera ad Alessandro del 5 maggio, alla fine di agosto fu comunicata ufficiosamente da Firmian all'interessato; il 20 ottobre Pietro poteva inviare al fratello la notizia della chiamata ufficiale da parte del Kaunitz: "Acquisto un appoggio - commentava - ma perdo un amico e un consolatore".

Il 15 nov. 1770 il L. lasciava Milano per la capitale asburgica, dove giunse ai primi di dicembre dopo un viaggio disagiato. "La figura, i costumi, le cognizioni sue, la sua attività alla fatica, tutto gli promette una buona riuscita", pronosticava P. Verri, che si diceva "inconsolabile" per la sua partenza; il 29 dicembre poteva annunciare al fratello che l'amico era stato accolto "sotto ottimi auspici nel Dipartimento" e che "si lodava moltissimo della sua situazione". Queste notizie le aveva dalla famiglia del L., giacché l'accordo tra i due amici era di non scriversi per il momento, per non dare adito a ciarle. Di lì a poco lo stesso P. Verri prese la via di Vienna, dove era stato chiamato insieme con Firmian, S. Lottinger, L. Cristiani e altri alti funzionari per concertare i mutamenti da apportare al sistema di governo lombardo dopo lo scioglimento della Ferma e in previsione dell'assunzione della carica di governatore da parte dell'arciduca Ferdinando, sposo designato di Maria Beatrice d'Este.

Come andassero le cose a Vienna, dove lo stato maggiore del governo lombardo si trovò riunito tra maggio e settembre 1771, fu diffusamente narrato da Verri nella famosa "lettera riservata" al fratello Alessandro: le sue speranze, incoraggiate dai responsabili del Dipartimento d'Italia, di essere posto a capo delle finanze furono deluse, e G.R. Carli, già presidente del Supremo Consiglio di economia, ottenne la stessa carica nel nuovo Regio Ducal Magistrato camerale, in cui il Verri fu semplice consigliere, e di cui il L. divenne segretario (con l'intesa però che sarebbe rimasto a Vienna), con il soldo di 5000 lire annue. Nel risentimento per il torto subito Verri coinvolse anche l'amico, che a suo dire non aveva fatto abbastanza per lui e non gli aveva esposto la situazione con chiarezza. "Lambertenghi sin dal primo giorno mi disse che era la più buona gente quella del Dipartimento, che gli si faceva lor fare tutto ciò che si voleva, credeva di consolarmi […]. Mi desolava con le sue inconseguenze; più volte gli dovetti dire che […] dalle medesime premesse dalle quale egli voleva cavare motivo di speranze io ne acquistavo di che temere moltissimo. Egli avezzo già al piacere di fare sentire la sua non piccola autorità, […] s'impazientiva de' miei tristi vaticini che forse da uomo appassionato troppo frequentemente io ripeteva". Altre accuse leggiamo in una lettera ad Alessandro del 25 dic. 1771: "a misura che si trovò più forte, prese un tuono militare; altronde egli insulta l'infelice con troppa durezza e sente negli affari le personali passioni, senza che le grandi le elidano".

Il risentimento traspare qua e là nella nutrita corrispondenza che P. Verri indirizzò all'amico dopo il ritorno a Milano, mentre il L. mantiene un atteggiamento di deferente familiarità e si sforza di lusingare l'altro, di convincerlo dell'alta considerazione in cui è tenuto a Vienna, di coltivarne le speranze in un miglioramento delle proprie sorti. Tema centrale del carteggio tra i due reduci dell'Accademia dei Pugni sono appunto le ambizioni di Pietro di scalzare Carli dalla presidenza del Magistrato camerale o di salire a una carica di maggior potere (come quella di consultore di governo, resasi libera nel 1775); e fu a causa della frustrazione di queste speranze che alla fine degli anni Settanta, spazientito, smise di scrivere al Lambertenghi. Neppure il ritorno a Milano di quest'ultimo propiziò una ripresa dell'amicizia, e il giudizio del Verri su di lui rimarrà decisamente negativo. Ma altri motivi di interesse delle lettere del L. al Verri sono i retroscena delle decisioni prese a corte, le notizie su comuni amici in visita a Vienna, come A. Longo o T. Odazzi, gli accenni alle istituzioni culturali lombarde, per le quali mostra un interesse particolare, in linea d'altronde con le propensioni del suo superiore, il consigliere Sperges. Quest'ultimo aspetto diviene centrale in altre corrispondenze note degli anni viennesi, per esempio quelle con P. Frisi, B. Oriani, L. Spallanzani. Esse rivelano una familiarità non dilettantesca con i progressi dell'astronomia, con l'attività dei principali centri di studio europei e con la letteratura scientifica, e manifestano qua e là il rimpianto per l'impossibilità, determinata dalle sue occupazioni, di approfondire maggiormente le sue conoscenze. Risultano pienamente confermate, comunque, le benemerenze vantate nell'Elogio composto alla morte del L. da G. Polcastro, sulla base delle testimonianze di P. Moscati, cognato e amico del defunto: "[A Vienna] diessi a favorire e a promuovere quanto potea tornar utile alle arti meccaniche e a quelle d'imitazione, come ad ogni altro ramo di nazionale industria o di territoriale prosperità. Né piccola carriera di merito corse il Lambertenghi sistemando l'ordine degli studi nella già fiorente Università di Pavia, di cui accrebbe inoltre la biblioteca di molte utili opere e il gabinetto di storia naturale di vari oggetti che di lunga mano ne aumentarono e impreziosirono la collezione […]. Tacerò che a lui debbe Milano l'origine dell'Accademia di belle arti […]. Né qui giova ch'io m'intrattenga a narrare quanto il Lambertenghi abbia contribuito al rinnovamento dell'Accademia delle scienze e delle arti di Mantova e allo stabilimento della Società Patriottica […] o quanto siasi adoperato a favore del nascente, e da lui promosso Osservatorio di Brera". Anche del suo interesse per le relazioni dei viaggi di Marsilio Landriani resta traccia in uno scambio di lettere con il ministro plenipotenziario J. Wilczeck. Di argomento molto più vario è invece la fitta corrispondenza del L. con il principe Alberico Barbiano di Belgioioso, che a lui si rivolgeva spesso per appoggi o consigli.

Queste relazioni epistolari provano, tra l'altro, la crescente influenza del L. nel Dipartimento d'Italia, non più diretto con l'energia di un tempo da Kaunitz e Sperges. "Sotto Giuseppe II egli pareva il padrone e l'ospodar del Milanese", scriverà P. Verri ad Alessandro il 29 sett. 1792. Come altri, anch'egli era stato vittima dell'ostilità del nuovo imperatore Leopoldo II verso metodi e uomini del decennio giuseppino; accusato dall'arciduca Ferdinando, governatore della Lombardia, di abuso di potere e di malversazione del Fondo di religione, ritenuto da Leopoldo II (che lo definiva "un pessimo soggetto") cointeressato nel lucroso contratto stipulato con la corte da P. Greppi per lo sfruttamento delle miniere di mercurio dell'Idria, il L. venne espulso nel maggio 1790 dal Dipartimento d'Italia e rimandato a Milano, dove tornò a occuparsi della casa di correzione e ricevette in aggiunta la nomina a "Delegato alla censura de' libri e all'ispezione sopra gli stampatori e fogli pubblici", mantenendo lo stipendio precedente. Della prima incombenza resta traccia in una serie di relazioni, in cui accanto a motivi illuministici, come la proporzionalità tra pena e colpa e il desiderio di sottrarre ai parenti la discrezionalità sulla durata della detenzione dei corrigendi, si trovano posizioni di una certa durezza, come nella polemica del 1794-95 con il dottor G. Baronio, che protestava contro l'uso dell'inginocchiatoio per le battiture inflitte ai detenuti. La revisione dei fogli periodici, che con il nuovo piano del 1787 era stata staccata dalla censura dei libri, andava assumendo una nuova rilevanza in quegli anni in cui si diffondevano largamente le notizie sulla Rivoluzione francese, le idee e le stampe rivoluzionarie. Il L. non sembra aver assolto il suo compito con particolare zelo, se nell'agosto 1792 il primo censore A. Longo (altro reduce dell'Accademia dei Pugni) lo diceva "ben fornito di soldo e d'ozio" e lo accusava di essersi assentato dal lavoro proprio nel momento in cui anche il suo supplente era assente, e se nel novembre successivo fu necessario affiancargli un altro revisore.

È probabile che il L., pur disapprovando gli sviluppi più radicali della Rivoluzione, non gradisse tuttavia l'incombenza repressiva che gli era stata addossata. Nei primi, convulsi mesi dopo l'ingresso delle truppe francesi in Lombardia (maggio 1796) si tenne in disparte e subì anche un arresto (lettera di Pietro ad Alessandro Verri del 3 ag. 1796), ma dopo la svolta moderata imposta dal Bonaparte fu compreso, di nuovo con Longo, nel Comitato di costituzione della nascente Repubblica Cisalpina (10 maggio 1797), e in tale veste firmò la carta costituzionale promulgata l'8 luglio 1797. All'inizio di quello stesso luglio entrò a far parte della terza delle quattro Municipalità milanesi allora istituite, ma sembra aver rinunciato all'incarico dopo pochi mesi. Non trova invece conferma la notizia, fornita da U. Da Como, di un suo impiego come amministratore del Fondo di religione.

Il suo profilo politicamente moderato e il suo passato di esponente del movimento riformatore settecentesco dovevano raccomandare il L., nonostante l'età ormai avanzata, per incarichi di responsabilità nella nuova fase aperta dalla convocazione dei Comizi di Lione, ai quali prese parte come rappresentante del Dipartimento dell'Olona. Proposto per il ministero delle Finanze, venne nominato da Napoleone (26 genn. 1802) membro del Consiglio elettorale dei possidenti e del Consiglio legislativo della nuova Repubblica Italiana. Ma non poté prendere servizio, perché dal 27 gennaio venne distaccato a Parigi come consigliere del ministro degli Esteri colà residente, F. Marescalchi. Giunto nella capitale francese il 12 marzo, faticò a inserirsi nelle nuove funzioni. Marescalchi ne scriveva al vicepresidente F. Melzi d'Eril in questi termini il 26 marzo 1802: "Lambertenghi ha delle cognizioni, non può negarsi; ma son ben rimasto a trovarlo sì indietro in quello che sia la condotta di affari. Gli terrò dietro, perché ha bisogno che gli si tenga affatto la mano, come un fanciullo"; e un anno dopo rincarava la dose, accusandolo di presunzione e di mancanza di riserbo e di autocontrollo: "Il court partout, il se pose en ami de tout le monde, et si je n'y tenais la main, il deviendrait compromettant pour moi même". Melzi condivideva almeno in parte queste critiche: "Quello che mi dite di Lambertenghi non mi sorprende: con reali cognizioni e con talento non unisce un giudizio egualmente costante, e fu sempre per vanità esposto" (lettera a Marescalchi dell'8 giugno 1802); e nel marzo 1803, prendendo in esame varie possibili candidature al posto di ministro dell'Interno, scartava quella del L. adducendo "son humeur inégale, sa susceptibilité extrême, son caractère ombrageux et la facilité avec la quelle il s'appesantit sur les subalternes".

Ciò non impedì tuttavia che gli fossero affidate mansioni di notevole responsabilità, tra le quali vanno ricordate almeno la redazione di un progetto di concordato tra la Repubblica Italiana e la S. Sede e una missione dell'agosto-settembre 1802 per organizzare la Repubblica del Vallese, staccata per volere di Napoleone dalla Repubblica Elvetica, e per riferire sulla costruzione della strada del Sempione. Tra le ampie relazioni da lui inviate al Melzi in questa occasione spicca una lettera da Sion (29 agosto) in cui l'anziano consigliere delinea con notevole perspicacia sia lo stile di governo del primo console e il suo atteggiamento verso l'Italia sia la personalità del Marescalchi e il clima regnante all'interno del Ministero da lui diretto.

Nel dicembre 1804 il L. fece parte della deputazione invitata ad assistere all'incoronazione di Napoleone a imperatore dei Francesi e a offrirgli il titolo di re d'Italia. Rientrato a Milano nell'aprile 1805, fu nominato il 9 maggio membro della sezione di Finanze del Consiglio di Stato del nuovo Regno, e il 7 giugno responsabile dell'amministrazione delle dogane agli ordini del ministro delle Finanze G. Prina. Il 10 agosto il viceré Eugenio di Beauharnais lo propose come ministro dell'Interno, ma gli fu preferito L.G. Arborio Gattinara marchese di Breme. Il contributo del L. alla riorganizzazione delle dogane, di cui nel 1807 venne designato direttore generale, è difficilmente valutabile data la scomparsa, per eventi bellici, del relativo fondo archivistico. Il 10 ott. 1809 cessò a ogni modo dall'incarico a causa della nomina a membro del Senato di nuova istituzione.

Fece un ultimo viaggio a Parigi nel 1810, come capo (insieme con S. Bologna) di una delegazione destinata a esporre all'imperatore i desiderata dei commercianti italiani. Insignito del titolo di commendatore dell'Ordine della Corona di ferro e dell'aquila d'oro della Legion d'onore, si spense a Milano il 9 apr. 1813.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Riva Finolo, b. 41 (sulla famiglia del L.); Collegio dei notai e causidici, 148; Archivionotarile, Rubriche notai, regg. 2617 ss. (sull'attività del padre); Uffici e tribunali regi, parte speciale, 46 (sulla carriera viennese del L.); Greppi, cart. 322 (lettera di P. Moscati del 19 maggio 1790: sulla caduta in disgrazia del L. dopo la morte di Giuseppe II); Uffici giudiziari, p.a., b. 258; Studi, p.a., 33, 120, 122 (sull'attività come regio delegato alla casa di correzione e all'ispezione sopra gli stampatori e i fogli pubblici); Uffici civici, p.a., bb. 162-163 (sull'appartenenza del L. a una delle Municipalità milanesi nel 1797); Uffici e tribunali regi, p.a., b. 553 (sulla carriera del L. nell'età napoleonica); Archivio Marescalchi, 7 (per la missione del 1802 nel Vallese); Arch. di Stato di Bologna, Assunteria di Studio, 148 (per gli studi); Milano, Arch. stor. civico, Famiglie, 817 (sulla famiglia del L.); Prato, Arch. stor. del Collegio Cicognini, reg. 228, Elenco convittori 1699-1813 (per gli studi); Milano, Fondazione R. Mattioli, Archivio Verri, 273 (lettere a P. Verri: per i rapporti con l'Accademia dei Pugni); 277 (lettere di P. Verri al L.: per i rapporti con l'Accademia dei Pugni); 281 (lettere di Pietro ad Alessandro Verri del 5 aprile 1794: sulla caduta in disgrazia del L. dopo la morte di Giuseppe II); Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, Familienarchiv, Sammelbände, 21 (relazione sulla Lombardia dell'imperatore Leopoldo II: sulla caduta in disgrazia del L. dopo la morte di Giuseppe II). Gli scritti dei tardi anni Sessanta sono tutti inediti, salvo il Saggio sulla legislazione de' grani: cfr. Saggi politici Sugli oziosi e mendici e Sulla necessità di una Casa di travaglio, in Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., Z.235 sup.; la memoria Sull'origine, progresso e stato attuale della casa di correzione in Milano a' 22 maggio 1768 allegata a una lettera di Firmian a Kaunitz del 7 febbr. 1769 in Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Spanischer Rat. Lombardei Korrespondenz, 133; la Memoria sulle operazioni preliminari, che possono intraprendersi dalla Giunta governativa destinata a sopraintendere alla cura de' confini, delle acque e delle strade, in Milano, Biblioteca naz. Braidense, Mss., AD.XV.20, n. 12; un'altra memoria anepigrafa sul piano delle strade in Milano, Fondazione R. Mattioli, Archivio Verri, 462.1; due memorie sui disordini nel sistema di governo lombardo in Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds italien, 1554; il dispaccio regio istitutivo della Giunta per i confini, acque e strade è in Arch. di Stato di Milano, Dispacci reali, 241; la lettera di ringraziamento del L. al Kaunitz in Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, 284. Importanti per valutare l'influsso esercitato dal L. sugli affari lombardi, e specialmente sulla politica culturale del governo asburgico, sono i carteggi. Oltre alle sue lettere già citate a P. Verri, si segnalano quelle a P. Frisi, in Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., Y.152 sup.; a B. Oriani, in Milano, Arch. stor. dell'Osservatorio di Brera, Corrispondenza, nn. 888-909; al plenipotenziario J.J. Wilczeck, Arch. di Stato di Milano, Autografi, 136; al principe A. Barbiano di Belgioioso, in Milano, Arch. stor. civico, Archivio Belgioioso, 136.

La prima ricostruzione biografica a stampa è il necrologio pronunciato alle esequie da G. Polcastro, Elogio del fu conte senatore L. L., Milano 1813; un profilo in F. Coraccini [L. Valeriani], Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano s.d., p. XCVI; molte notizie che lo riguardano si spigolano dalle fonti epistolari: vedi le lettere di P. Verri a I. Corte in Lettere e scritti inediti di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di G. Casati, Milano 1879-81, III, pp. 293-376; IV, pp. 1-138; Lettere inedite di Pietro Verri (a G.B. Biffi) edite da G. Sommi Picenardi in Rassegna nazionale, 1° giugno 1912, pp. 301-315; 1° sett. 1912, pp. 54-74; Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri dal 1766 al 1797, a cura di E. Greppi et al., I-XII, Milano 1911-43, ad indices (la prima parte è riedita con ricco apparato di note da G. Gaspari, Viaggio a Parigi e Londra (1766-1767): carteggio di Pietro e Alessandro Verri, Milano 1980); G. De Stefano, Cinque anni di sodalizio tra Pietro Verri e Gian Rinaldo Carli (1760-1765) con XXIV lettere inedite di Pietro Verri, in Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, XLV (1933), pp. 43-103; Edizione nazionale delle opere di Lazzaro Spallanzani, V, Carteggi, a cura di P. Di Pietro, Modena 1985, pp. 252-273; Edizione nazionale delle opere di Cesare Beccaria, IV-V, Carteggio, a cura di C. Capra - R. Pasta - F. Pino Pongolini, Milano 1994-96, ad indices; per i riferimenti al L. nelle Memorie sincere e in altri scritti di P. Verri vedi Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, V, Scritti di argomento familiare e autobiografico, a cura di G. Barbarisi, Roma 2003, ad indicem.

Due importanti raccolte di documenti relative all'età napoleonica sono U. Da Como, I Comizi nazionali di Lione per la costituzione della Repubblica Italiana, I-III, Bologna 1934, ad ind.; I carteggi di Francesco Melzi d'Eril duca di Lodi. La vice-presidenza della Repubblica Italiana, I-VII, Milano 1958-64, ad indices; tra i non molti studi recenti sono da tenere presenti: A. Pingaud, Les hommes d'État de la République italienne, 1802-1805, Paris 1914, pp. 69-72; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969; Id., Settecento riformatore, V, L'Italia dei lumi (1764-1790), I, La rivoluzione di Corsica. Le grandi carestie degli anni Sessanta. La Lombardia delle riforme, Torino 1987, ad indices; il profilo di G. Gaspari in Viaggio a Parigi e Londra, cit., pp. 741-745; l'introduzione di S. Romagnoli a "Il Caffè", ed. cit., in particolare pp. LVIII-LX; C. Capra, Un intermediario tra Vienna e Milano: L. L. e il suo carteggio con Pietro Verri, in Römische historische Mitteilungen, XXXI (1989), pp. 359-376; A. Liva, Carcere e diritto a Milano nell'età delle riforme: la casa di correzione e l'ergastolo da Maria Teresa a Giuseppe II, in Le politiche criminali nel XVIII secolo, a cura di L. Berlinguer - F. Colao, Milano 1990, pp. 63-142; A. Arisi Rota, Diplomazia dell'Italia napoleonica. Il ministero delle Relazioni estere dalla Repubblica al Regno d'Italia (1802-1814), Milano 1998, ad ind.; G. Tomasi, Per salvare i viventi. Le origini settecentesche del cimitero extraurbano, Bologna 2001, ad ind.; A. Pillepich, Milan capitale napoléonienne, 1800-1814, Paris 2001, ad ind.; C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna 2002, ad indicem.

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