RAVA, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RAVA, Luigi

Antonella Meniconi

RAVA, Luigi. – Nacque a Ravenna il 29 novembre 1860 da Giuseppe e da Maria Branzanti.

Studente brillante, dapprima del Liceo di Ravenna e poi presso la facoltà di giurisprudenza di Bologna, si laureò con lode nel 1883 con una tesi su Celso Mancini e le dottrine politiche italiane (pubblicata nel 1888).

Il suo percorso di studi coincise con la nascita della Scuola libera di scienze politiche, promossa in un clima di rinnovamento degli studi universitari da Domenico Mantovani Orsetti e destinata a favorire, nella facoltà bolognese, l’incontro tra diritto e scienze sociali ritenuto necessario per la formazione dei funzionari pubblici. Grazie allo stesso docente, suo maestro, Rava conquistò da giovanissimo, nel 1884, la libera docenza, tenendo già nell’anno successivo lezioni di filosofia del diritto presso la stessa Università di Bologna (fino all’a.a. 1892-93) e, dal 1886, nell’Ateneo senese. Insegnò anche contabilità di Stato sempre a Bologna (1893-94 e poi nell’ambito della Fondazione Cavazza) e in seguito a Pavia. Nel 1889 vinse il concorso da professore straordinario in filosofia del diritto all’Università di Pavia, cattedra sulla quale rimase fino al 1898, per poi insegnare scienza dell’amministrazione a Bologna, chiamato nel 1897 dalla stessa facoltà di giurisprudenza che a tale scopo aveva provveduto, su richiesta del titolare delle due cattedre, Mantovani Orsetti, a scindere l’insegnamento di quella materia dal diritto amministrativo. All’epoca le cattedre risultavano separate solo in due altri atenei, quelli di Genova e di Roma (i titolari di scienza dell’amministrazione erano rispettivamente Wautrain Cavagnari e Antonio Salandra). Con alcune interruzioni, dovute ai suoi impegni politici, Rava rimase (dal 1898 come professore ordinario) fino al 1915 nella facoltà di giurisprudenza bolognese, poi nominato professore emerito.

Nella sua attività accademica, partendo dall’insegnamento di Giandomenico Romagnosi, Rava privilegiò sempre un approccio non dogmatico, anzi strettamente connesso alle questioni sociali che lo Stato liberale si trovò ad affrontare tra Otto e Novecento.

Non aderì dunque come impostazione al metodo tecnico-giuridico della Scuola di diritto pubblico di Vittorio Emanuele Orlando, che proprio in quegli anni si andava affermando nell’accademia italiana, ma tuttavia non lo osteggiò. Peraltro, già come filosofo del diritto, aveva posto al centro della sua riflessione la ‘questione sociale’, aprendo il suo insegnamento «alle problematiche della popolazione e dei corpi: salute, malattia, povertà, degrado» e avvicinandosi alle teorie organicistiche di Hans Schäffle, lo studioso tedesco tradotto proprio nel 1881 anche in Italia (Struttura e vita del corpo sociale…). Aveva poi coltivato – come sostenne Mantovani Orsetti nella motivazione per la chiamata a Bologna per scienza dell’amministrazione – «sempre la parte relativa alla Pubblica amministrazione considerata nella sua teoria e nella sua pratica, felicemente guardate fra loro congiunte» (Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Fascicoli personali del personale insegnante, Prima serie (II versamento), b. 125: Delibera del Consiglio di facoltà di giurisprudenza di Bologna del 3 luglio 1897).

Nel frattempo aveva sposato nel 1884 Maria Baccarini, figlia di Alfredo, deputato ravennate, ministro dei Lavori pubblici dal 1878 al 1883; dall’unione nacquero quattro figli: Anita Luisa, Giuseppina, Alfredo e Bianca. Alfredo Baccarini, che aveva guidato l’ufficio tecnico del Comune di Ravenna, era amico e collega del padre di Rava, ragioniere capo presso lo stessa amministrazione comunale.

La vera passione di Rava fu sempre la politica. Raccogliendo l’eredità liberal-progressista del suocero, morto nel 1890, fu eletto nel collegio di Ravenna dal 1891, nelle fila dello stesso raggruppamento della Sinistra liberale di Baccarini (Democrazia costituzionale).

Deputato dalla XVII alla XIX legislatura (marzo 1891 - marzo 1897), dalla XXI alla XXII legislatura (dal giugno 1900 al febbraio 1909) e poi, nel collegio di Vergato, nelle legislature XXIII e XXIV (novembre 1909 - settembre 1919), fu eletto vicepresidente della Camera dal 5 dicembre 1914 al 29 settembre 1919.

Nei governi Crispi fu sottosegretario alle Poste e telegrafi dal 1893 al 1896 (e per questo sconfitto nel suo collegio di Ravenna nel 1897), ebbe poi, spostandosi sulle posizioni giolittiane, ulteriori incarichi governativi: sottosegretario (28 giugno 1900 - 17 febbraio 1901) e poi ministro all’Agricoltura, Industria e Commercio (3 novembre 1903 - 22 dicembre 1905) negli esecutivi Giolitti e poi Fortis.

Soprattutto in questa ultima veste si dedicò specialmente al tema del lavoro, con diverse iniziative in materia di estensione della copertura offerta dalla Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai, pensioni civili e militari, istituzione di una Cassa di maternità, creazione del commissario e dell’Ufficio del lavoro, legge sugli infortuni, nonché di lavoro delle donne e dei fanciulli.

Di pari passo, e a testimonianza della continuità con le idee professate come studioso, i temi delle sue lezioni (e dei suoi numerosi scritti) di scienza dell’amministrazione furono concentrati sulle questioni del lavoro e, in senso più ampio, su temi sociali.

Nel 1900-1901 pubblicò La statistica del lavoro e i Consigli del lavoro, Le Associazioni operaie e il mutuo soccorso le leggi negli altri paesi e Legislazione delle fabbriche e sul lavoro delle donne e dei fanciulli: comparazione, legge del 1886, progetti e relazione del 1900 sul lavoro dei fanciulli.

Rilevante fu anche la successiva esperienza di ministro della Pubblica istruzione, carica ricoperta per più di tre anni (2 agosto 1906 - 10 dicembre 1909) sempre in un governo guidato da Giolitti.

In quel ruolo Rava condusse a termine due importanti riforme: la prima relativa all’insegnamento della religione nella scuola primaria, con il varo del regolamento generale per la istruzione elementare, che risolse il problema dell’insegnamento della religione in modo assai equilibrato (regio decreto 6 febbraio 1908 n. 150); la seconda inerente alle antichità e alle cose d’arte, con il varo di due importanti leggi. Il suo impegno nel campo della tutela fu però preceduto dall’approvazione, a sua iniziativa, di due leggi-provvedimento sulla tutela della Pineta di Ravenna, che costituirono, sia pur in ambito locale, un esempio di tutela del paesaggio a fini sia ‘nazionali’ sia economici (leggi 16 luglio 1905 n. 441 e 28 giugno 1908 n. 376).

Sul piano nazionale l’azione di Rava come ministro si dispiegò, dapprima, nella nuova configurazione degli Uffici e personale delle Antichità e Belle Arti con un testo legislativo, frutto del lavoro di diverse commissioni, che suddivise il territorio nazionale in soprintendenze – ripartite a loro volta tra Soprintendenze ai monumenti, Soprintendenze agli scavi e musei e Soprintendenze alle gallerie –, organizzate in circoscrizioni interprovinciali ricondotte al capoluogo (l. 27 giugno 1907 n. 386). Sempre d’ispirazione ‘protezionista’ fu poi la legge fondamentale per l’acquisizione e la conservazione del patrimonio artistico e culturale nazionale (l. 20 giugno 1909 n. 364).

In particolare, vennero fissate le norme generali per la tutela storico-artistica, stabilendo il principio secondo cui il ministero poteva impedire, in particolari circostanze, l’esportazione di beni mobili di straordinario interesse storico-artistico o archeologico, anche senza esercitare la prelazione. Non solo, ma in controtendenza rispetto alla precedente emarginazione del personale tecnico dai vertici del ministero, nel 1906 Rava chiamò a ricoprire la carica di direttore generale delle Antichità e Belle Arti l’archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci, anch’egli di Ravenna, destinato a diventare nei decenni successivi il futuro dominatore delle politiche relative al patrimonio storico-artistico. Fu anche tra i promotori della successiva legge per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico del 1922 (n. 778), prototipo di un regime amministrativo vincolistico poi alla base delle leggi Bottai sulle cose d’arte e i beni culturali del 1939.

Sia prima della guerra mondiale sia successivamente, Rava tornò spesso sull’altro tema al centro della sua riflessione e della sua azione politica: la necessità di riforme sociali e di un allargamento della democrazia rappresentativa, posti al centro del saggio del 1913 Dal codice civile al Codice del lavoro, che diede un importante contributo alla scienza giuslavoristica.

Schieratosi su posizioni interventiste (nel 1911 era stato a favore dell’impresa coloniale libica), e ciò anche in relazione alla sua adesione alla massoneria, Rava fu per breve tempo ministro delle Finanze nel governo Salandra (21 marzo - 5 novembre 1914). Nel 1915 fu nominato consigliere di Stato. In seguito, in occasione del centenario dell’organo, avrebbe pubblicato Il Consiglio di Stato nel Regno italico e l’opera di Napoleone I re (1932).

Nel 1918 fu nominato presidente della X Sottocommissione dedicata a Legislazione sociale e previdenza, all’interno della Commissione incaricata di studiare la transizione dalla guerra alla pace. L’organismo avanzò proposte importanti per la creazione delle basi di uno Stato sociale in Italia.

Nel 1919 Rava si schierò in Parlamento a favore del sistema elettorale proporzionale ma, dopo aver subito la sconfitta elettorale e aver visto la maggior parte delle sue proposte non accolte dai governi liberali, si spostò ancora di più su posizioni nazionaliste e poi nettamente antisocialiste. Nominato senatore nel 1920, nello stesso anno accettò di candidarsi nella lista dell’Unione per le elezioni amministrative per il Comune di Roma, un blocco nazionale antisocialista fondato su ‘ordine e patriottismo’. Sindaco della Capitale per pochi mesi (fino al maggio 1921), nel novembre 1922 al Senato votò la fiducia al governo Mussolini, aderendo nel 1925 all’Unione nazionale dei senatori fascisti e poi al Partito nazionale fascista il 6 aprile 1931. Dal 1922 al 1934 fece parte della Commissione finanze della Camera alta. Nel 1932 fu nominato ministro di Stato.

La ‘torsione’ di Rava a favore della soluzione autoritaria si può spiegare innanzitutto con le sue precedenti posizioni nazionalistiche, ma anche con l’idea che il fascismo potesse assicurare l’ordine necessario a quelle riforme sociali destinate a favorire l’inclusione delle masse nello Stato: dunque la continuazione del suo disegno in un quadro del tutto diverso.

A lungo presidente del Consiglio provinciale di Ravenna, nonché della Società Dante Alighieri, del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento per le cui edizioni curò le opere di Giuseppe Garibaldi, della Deputazione di storia patria per la Romagna, commissario generale dell’ENIT (Ente Nazionale Italiano per il Turismo), fu «esploratore di archivi», nonché «antico crispino e romagnolo di buona razza, fascista con inestinguibile entusiasmo», secondo la commemorazione che ne fece Luigi Federzoni in Senato.

Morì a Roma il 12 maggio 1938.

Opere. Per la sua vasta bibliografia cfr. D. Longo, R.,L., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Biografie dal 1861 al 1948, I, Milano 2007, pp. 1088-1096.

Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Ministero della pubblica istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Fascicoli personali personale insegnante (II versamento), Prima serie, bb. 125, 640.

F. Flora, L. R., in Annuario dell’Università di Bologna, 1938-1939, pp. 147-149; S. Muratori, L. R. (In memoria), Ravenna 1939; Senato della Repubblica, Archivio storico, Repertorio biografico dei senatori dell’Italia fascista, a cura di E. Gentile - E, Campochiaro, Napoli 2003, pp. 1987-1990; Per le antichità e le belle arti. La legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l’Italia giolittiana, a cura di R. Balzani, Bologna 2003; D. Longo, R., L., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Biografie dal 1861 al 1948, I, Milano 2007, pp. 1081-1096; Le schede biografiche dei professori italiani di diritto amministrativo, a cura di A. Sandulli, in La scienza del diritto amministrativo nella seconda metà del XX secolo, a cura di L. Torchia et al., Napoli 2008, pp. 55 s.; A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia, 1800-1945, Milano 2009, ad ind.; A. Rapini, Il discorso politico di L. R.: lavoro, democrazia, riforma sociale, in Momenti del welfare in Italia. Storiografia e percorsi di ricerca, a cura di P. Mattera, Roma 2012, pp. 17-53; D. D’Agostini, R., L., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), a cura di I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, p. 1660; F. Cortese, «Per ragioni pratiche e didattiche occorre dunque una cultura speciale»: il contributo di L. R. (1860-1938) alla giuspubblicistica italiana, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2014, n. 3, pp. 721-753.

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