Pirandèllo, Luigi. - Drammaturgo e narratore (
Vita e opereIniziati gli studî di lettere all'univ. di
Se nei suoi versi giovanili, pieni di echi soprattutto leopardiani, il tono dominante è ancora quello di un vago pessimismo, nelle prime novelle (Amori senza amore, 1894; Beffe della morte e della vita, 2 serie, 1902-03; Quand'ero matto..., 1902; Bianche e nere, 1904) e nei romanzi (L'esclusa, 1901; Il turno, 1902) comincia già a delinearsi una visione più problematica e angosciosamente relativistica della vita e del mondo. Pur prendendo le mosse dal verismo di scuola siciliana (De Roberto, Capuana e soprattutto Verga), P. concentra infatti l'interesse sulle discordanze che si rivelano, nei personaggi e nelle vicende, tra l'essere e il parere, e interviene nel racconto con un'ironia e un umorismo che già oltrepassano il canone naturalistico dell'impersonalità narrativa; mentre la prosa tende al discorsivo, al parlato, per lo sviluppo che comincia ad avervi il dialogo. Tali caratteristiche, che emergono in pieno nel romanzo Il fu Mattia Pascal (1904), considerato il capolavoro del P. narratore, sono proprie anche delle successive raccolte di novelle (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del nostro orto, 1915; E domani, lunedì..., 1917; Un cavallo nella luna, 1918; Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e dei romanzi che le intramezzano o seguono (Suo marito, 1911, più tardi in parte rifatto col tit. Giustino Roncella nato Boggiolo, post., 1941; I vecchi e i giovani, 2 voll., 1913; Si gira..., 1916, tit. poi mutato in Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926), anche se non sempre con uguale ricchezza d'invenzione e felicità di resa artistica. E sebbene un piglio realistico rimanga sempre in P., i modi della narrativa verista appaiono ora, oltre che superati, capovolti; perché sullo sfondo provinciale e borghese di quella narrativa, e nel bel mezzo dei temi che le sono proprî (gelosie, adulterî, terzetti matrimoniali, pazzie, vendette), prende rilievo un'inquietudine nuova, per la quale il nome di P. è stato giustamente accostato a quello dei maggiori esponenti del decadentismo italiano ed europeo: l'ansia dell'uomo che invano cerca di ribellarsi agli schemi della vita per essere soltanto sé stesso e inutilmente si sforza di comporre il dissidio tra forma (maschera) e vita (autenticità). Ai personaggi della narrativa verista, "vinti" ma non privi di una loro grandezza epica, succedono così in P. figure di medî o piccoli borghesi, di impiegati, professionisti, pensionati e simili, squallidi rappresentanti di una società priva d'ideali (giusto il contrario dei superuomini dannunziani), e condannati per l'impossibilità di comunicare a un tetro o arrovellato solipsismo; e la narrazione si fa convulsa e aggrovigliata, intesa com'è a seguire le tortuosità del pensiero e a creare intorno a personaggi e vicende un'aria allucinata, di caos.
E poiché in tale forma narrativa, così portata all'evidenza scenica, è già implicita quella drammatica, il passaggio di P., a un certo momento, dall'una all'altra risponde a una naturale esigenza della sua arte. Il suo teatro, analogamente alla narrativa, da cui del resto derivano la maggior parte degli spunti drammatici, si muove dapprima sulle orme della commedia borghese allora in voga, di cui accetta le situazioni e i canoni, sia pure per piegarli al nuovo contenuto e colorirli di un umorismo con forti venature grottesche (Lumie di
L'autore stesso provvide a riordinare editorialmente la sua produzione drammaturgica (col tit. complessivo Maschere nude) e novellistica (col tit. Novelle per un anno). La prima raccolta delle Maschere nude (11 commedie in 4 voll., 1918-21) apparve presso Treves; la seconda (39 drammi in 31 voll.) presso