FERRARIS, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FERRARIS, Luigi

Sandra Pileri

Nacque a Sostegno (Vercelli) il 6 marzo 1813 da Nicolò e Laura Bozzi. Laureatosi in giurisprudenza, divenne uno stimato avvocato, e ben presto si inserì in quel gruppo politicogiuridico di tendenza liberale moderata che si raccoglieva intorno agli Annali di giurisprudenza (pubblicati a Torino a partire dal 1838) e nel caffè Barone di via Dora Grossa discuteva di politica, diritto e delle ultime lettere inviate da V. Gioberti. Nel 1842 era diventato esponente di spicco di questo gruppo con l'avv. G. Paroletti, direttore di quel periodico che si distingueva in quegli anni per il carattere riformatore, aperto alle nuove idee ed esperienze in corso di elaborazione in Italia e nel resto d'Europa. Quando gli Annali entrarono in crisi il F. pensò di allargarne gli interessi chiedendo, nel febbraio 1845, la prestigiosa collaborazione del Gioberti, senza però riuscire ad ottenerla.

Il 29 nov. 1845 sposava Ottavia Malvani. Come molti altri borghesi del Regno il F. era entrato a far parte dell'Associazione agraria piemontese, costituitasi nel 1842, che si batteva per il rinnovamento dell'economia dello Stato e che assunse un carattere più prettamente politico con il congresso di Casale del 1847. Il 1º ottobre di quell'anno fu uno dei diciassette firmatari dell'atto di protesta contro la violenta repressione da parte della polizia di una dimostrazione svoltasi a Torino in favore delle riforme e inneggiante a Pio IX.

Alle prime elezioni politiche indette nel Regno il 27 apr. 1848 il F. si presentò nei collegi di Cigliano e di Trino; riusci eletto in entrambi e, per sorteggio, divenne deputato di Trino. Iniziava così la sua lunga carriera parlamentare, anche se questo primo periodo fu brevissimo: la prima legislatura si concluse nel dicembre 1848. Il F. intervenne con fervore per la ripresa della guerra (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, tornata 24 ott. 1848), e appoggiò l'espulsione dei gesuiti, proponendo che venisse estesa anche alle dame del Sacro Cuore, nella persuasione che la loro attività educativa fosse lesiva delle istituzioni liberali. Non si candidò nelle elezioni dei gennaio 1849, come altri noti esponenti della Destra liberale che avevano appoggiato l'azione del governo. Si ripresentò invece agli elettori del VI collegio di Torino il 2 febbr. 1850: venne eletto, ma l'elezione fu annullata per irregolarità. Negli anni seguenti si dedicò all'attività forense senza però mai abbandonare l'attività politica.

Venne rieletto deputato il 5 luglio 1863 nel II collegio di Torino al posto di V. Miglietti, nominato senatore. Sarà poi sempre riconfermato dallo stesso collegio in tutte le successive legislature fino alla nomina a senatore nel 1871. Tra i più accaniti oppositori della convenzione di settembre, che decretava il trasferimento della capitale a Firenze, si fece promotore della protesta di molti deputati piemontesi che si riunirono nella Associazione liberale permanente, presieduta dal conte G. Ponza di San Martino. L'Associazione, nata per contrastare la convenzione e combattere ogni governo che non ponesse nel suo programma "Roma capitale", ben presto si trasformò in un partito parlamentare; pur restando nell'ambito della Destra, contrastò la consorteria e non disdegnò in alcuni momenti di allearsi con uomini della Sinistra, creando un significativo avvicinamento tra i due schieramenti. Per dar voce alla Permanente nasceva, sotto il patrocinio del F., di T. Villa e di D. Berti, il giornale Le Alpi, che sopravvisse fino al giugno del '66. In seguito le posizioni dell'associazione furono espresse con maggior efficacia dalla Gazzetta piemontese, diretta da V. Bersezio sotto l'egida degli stessi deputati che ne dettavano la linea politica.

Nella IX legislatura, il F. fu vicepresidente della Camera dal 15 dic. 1866 al 13 febbr. 1867. Fu relatore della commissione per la soppressione degli enti ecclesiastici e la liquidazione dell'asse ecclesiastico: la commissione, respinto il progetto del ministro delle Finanze F. Ferrara giudicato in contrasto con la legge del luglio 1866, aveva elaborato il nuovo progetto poi approvato anche con l'appoggio della Sinistra (legge del 15 ag. 1867). La sua opposizione al governo si accentuò dopo i fatti di Mentana, che lo portarono ad associarsi alla proposta di A. Bargoni per la riconferma di Roma capitale.

Il contrasto con l'orientamento governativo non si esaurì con le dimissioni del presidente U. Rattazzi, ma si accentuò verso i due successivi governi presieduti da L. F. Menabrea, finché questi non decise di allargare la base dell'esecutivo tentando un accordo con il terzo partito e la Permanente. Chiamato il 13 maggio 1869 a reggere il ministero dell'Interno, il F. accettò a titolo personale, pensando di poter dare con la sua presenza un'impronta diversa al governo, rendendolo accetto ad una nuova maggioranza. Riteneva perciò prioritario presentare alle Camere un organico programma che prevedesse disegni di legge quali quello dell'ordinamento dell'amministrazione centrale e periferica, basato sui criteri da lui stesso esposti quando era all'opposizione (Riordinamento dell'amministrazione centrale e provinciale. Discorso del deputato Ferraris pronunziato nella tornata del 19 dic. 1868, Firenze 1868). Non riuscì nel suo intento e le sue scelte non furono appoggiate dagli altri esponenti della Permanente, che, avendo ormai esaurito la sua funzione politica, si sciolse.

L'esperienza ministeriale del F. fu breve. Lo scandalo della Regia cointeressata dei tabacchi, le repressioni della polizia contro i radicali che acuirono il contrasto con il guardasigilli M. Pironti, il suo dissenso circa l'opportunità di sciogliere la Camera e indire nuove elezioni, le critiche espresse apertamente dal sen. Ponza di San Martino in una lettera pubblicata dai giornali, lo indussero a dimettersi dalla carica il 23 ott. 1869. Persa così la leadership del gruppo piemontese il F. si trovò isolato, e tale rimase durante la permanenza alla Camera.

Nominato senatore il 15 nov. 1871, riprese l'impegno politico dedicandosi soprattutto all'amministrazione della città di Torino. Fu presidente del consiglio dell'Ordine degli avvocati, consigliere comunale, sindaco dal febbraio 1878 all'ottobre 1882, presidente del Consiglio provinciale nel 1881. Nel 1880 re Vittorio Emanuele lo aveva nominato conte, premiandone la devozione verso casa Savoia (L. Ferraris, Il re Carlo Alberto e lo statuto, in Nuova Antologia, 1º marzo 1898, pp. 3-28). Rimasto vedovo nel 1863, il 14 apr. 1885 si sposava con Angela Pigorini, dalla quale ebbe un figlio, Luigi.

Durante gli anni di governo della Sinistra il F., rimasto fedele alle sue origini conservatrici, non poteva sperare in un incarico; dopo la caduta del governo Crispi fu chiamato a reggere il ministero di Grazia, Giustizia e Culti nel primo governo presieduto dal marchese A. di Rudini, il 6 febbr. 1891. D'accordo con il presidente del Consiglio sostenne la necessità di concedere gli exequatur alle nomine di molti vescovi che erano state tenute m sospeso dal suo predecessore G. Zanardelli, e che caratterizzarono la nuova linea di condotta del ministro nei confronti della Chiesa (L. Ferraris, Lo Stato italiano nelle condizioni presenti. Sua separazione dalla Chiesa per un ex ministro, Torino 1889). Per temperamento, non accettando facilmente compromessi, emersero presto dissensi con gli altri membri del governo; in occasione dell'applicazione dei provvedimenti relativi alla riduzione delle preture rassegnò le dimissioni, accettate il 31 dic. 1891 dal re, che lo nominò contemporaneamente ministro di Stato.

Esauritasi l'attività ministeriale, il F. partecipò assiduamente ai lavori del Senato: membro di numerose commissioni, tra le quali quella per la verifica dei titoli dei nuovi senatori, quella permanente di finanze, del fondo per il culto, di sorveglianza del debito pubblico, fu relatore di alcuni disegni di legge. Intervenne in varie e importanti discussioni, suscitando consensi come leader di uno schieramento di opposizione ma anche aspre critiche.

Dopo il suo intervento nella seduta del 21 febbr. 1893 sulle leggi edilizie per Roma, tema molto sentito sul quale aveva precedentemente pubblicato alcuni articoli (Italia e Roma e Inuovi provvedimenti per Roma, in Nuova Antologia, 16 luglio 1890, pp. 290-301, e 1º ag. 1890, pp. 428-460), D. Farini annotava: "L. Ferraris, il più feroce permanente del 1864, con tutta la bile di un ottuagenario ambizioso, sotto colore di censurare la esecuzione di tutte le leggi edilizie per Roma fatte dal 1875 in poi, ha fatto la più amara critica di tutta l'opera dell'Italia in Roma. La sua voce era l'eco del volgo clericale: avete ridotta Roma un cumulo di rovine, le avete succhiato il miglior sangue, l'avete dilaniata. A quando chi si alzi in Parlamento a dire andiamocene!!??" (Diario..., I, p. 205).

Nominato consigliere dell'Ordine mauriziano, ne preparò un progetto per il riordinamento amministrativo, aspirando alla carica di segretario; ricevette invece la croce al merito civile nel 1898, quale unico superstite del Parlamento subalpino.

Morì a Torino il 17 ott. 1900.

Fonti e Bibl.: Molte lettere del F. a D. Farini e ad altri sono conservate nel Museo centrale del Risorgimento di Roma (Arch. D. Farini; Carte C. Perozzi).Due lettere del F. a F. Crispi in Roma, Arch. centrale dello Stato, Crispi, Reggio Emilia, sc. 2, f. 1, sott. 55 e sc. 4, f. 10, sott. 1. Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature I, VIII-XI, ad Indices; Senato, Discussioni, legislature XI-XXI, ad Indices;D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morellì, Roma 1961, ad Indicem; V. Bersezio, Ilregno di Vittorio Emanuele II, Torino 1878, I, p. 82; L. Ferraris iunior, Un re e un ministro: Vittorio Emanuele II e L. F., in Nuova Antologia, 116 maggio 1908, pp. 243-255; Id., Una pagina giuridica del Risorgimento italiano. Gli avvocati piemontesi e i processi di Napoli, ibid., 1º dic. 1911, pp. 469-483; Id., Avvocati dei Risorgimento. Lettere e documenti dell'archivio Ferraris, ibid., 16 ott. 1928, pp. 470-482; A. C. Jernolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1948, pp. 256, 258, 463-466; M. Battistini, Pellegrini giobertiani a Bruxelles, in Quaderni di cultura e storia sociale, II (1953), p. 136; Il giornalismo ital. dal1861 al 1870, Torino 1966, pp, 1, 6 s., 28 s.; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, Milano 1968, V, pp. 331, 359, 362; T. Sarti, IlParlamento ital. nel 50ºdello statuto, Roma 1898, pp. 271 s.; A Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, p. 413; A. Moscati, Iministri del Regno d'Italia, Salerno 1960, III, pp. 90-108.

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