MARSILI, Luigi Ferdinando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARSILI, Luigi Ferdinando

Giuseppe Gullino
Cesare Preti

MARSILI (Marsigli), Luigi Ferdinando. – Nacque a Bologna il 10 luglio 1658 dal conte Carlo e da Margherita Ercolani, anch’ella di famiglia patrizia; il maggiore tra i suoi fratelli, Antonio Felice, fu vescovo di Perugia e promotore di riforme nell’ateneo bolognese. La sua istruzione fu affidata al gesuita Giovanni Domenico Spinola, ma decisiva per l’inclinazione verso le materie scientifiche si rivelò la visita, compiuta nel 1673, all’orto dei semplici dell’Università di Padova. Il M., a quanto pare, non condusse studi regolari e non raggiunse gradi accademici, pur se è noto che fu tra gli uditori, nell’Università della città natale, del medico e biologo Marcello Malpighi, del matematico Geminiano Montanari e del botanico Lelio Trionfetti. Tra il 1674 e il 1679 fu impegnato in viaggi che lo portarono nelle maggiori città italiane, dove non mancò di assistere a qualche lezione dei maestri più famosi e di visitare gli intellettuali più noti, completando in questa maniera la sua formazione. Nel 1677 si recò a Roma, ospite dello zio Alfonso Ercolani che lo introdusse negli ambienti della corte pontificia; quindi fu a Napoli, dove salì sul Vesuvio e visitò le zolfatare di Pozzuoli sotto la guida del medico e naturalista Tommaso Cornelio. Nel ritornare a Bologna si fermò qualche tempo a Livorno, attratto dalle fortificazioni portuali e dall’attività marinara, che suscitò in lui un forte interesse per i commerci e, più in generale, per il mondo levantino. Nei primi due mesi del 1678 fece parte del Consiglio degli anziani di Bologna, quindi s’innamorò senza troppa fortuna della contessa Eleonora Zambeccari, frequentò saltuariamente i corsi di matematica dell’Università di Padova e infine volle imprimere una svolta alla sua vita, secondando l’innata curiosità del suo animo.

Nel luglio del 1679 il M. riuscì a farsi nominare «camerata» del bailo (ambasciatore) della Serenissima Pietro Civran, che da Venezia partiva per Costantinopoli, e a raggiungere così la capitale ottomana, dove rimase quasi un anno. Qui, non impegnato in compiti ufficiali, poté dedicarsi a coltivare i propri interessi scientifici, precisandoli in direzione geografico-naturalistica. Il clima difficile che si venne a creare a causa dell’acuirsi delle tensioni politiche tra la Porta e i finitimi Stati cristiani contribuì ad alimentare nel M. un singolare intreccio di curiosità verso il mondo orientale e di diffidenza verso i Turchi, la corruzione della corte, l’avarizia dei funzionari, la doppiezza degli abitanti, da lui ritenuti «barbari», secondo un topos all’epoca diffuso. D’altronde, il periodo di residenza in Oriente fu di estrema importanza per la maturazione intellettuale del M., che non solo affinò la sua metodologia d’indagine attraverso un intenso e fecondo confronto epistolare con Montanari e con Malpighi, ai quali inviava con significativa frequenza notizia delle sue osservazioni più rilevanti, ma ebbe anche modo di raccogliere tutto quell’insieme di dati che poi, un paio di anni più tardi, confluirono nelle Osservazioni intorno al Bosforo Tracio overo Canale di Constantinopoli rappresentate in lettera alla sacra real maestà di Cristina regina di Svezia (Roma 1681), la più rilevante tra le sue prime opere.

In questo lavoro, oltre a fornire informazioni sulla morfologia delle coste, nonché sulla biologia marina tipica del Bosforo, del mar di Marmara e del Mar Nero, il M. riferì i risultati delle sue analisi intorno ai venti che lì spiravano, alle velocità delle correnti, alla particolare composizione della salsedine e alle temperature delle acque superficiali e profonde, per compiere le quali costruì rudimentali ma ingegnosi strumenti, tra i quali un apparecchio, minuziosamente descritto nel libro, atto a prelevare campioni d’acqua a notevole profondità.

Il progressivo deteriorarsi dei rapporti veneto-ottomani indusse il Senato a richiamare in patria il bailo Civran, che però il M. preferì non seguire nel viaggio di ritorno; spinto dal desiderio di conoscere Paesi e genti nuove, lasciò Costantinopoli il 22 ag. 1680 alla volta di Spalato, attraverso la Bulgaria e la Serbia. Raggiunta Zara, s’imbarcò per Venezia, che raggiunse il 17 ott. 1680. Qui dovette sottoporsi a un periodo di quarantena, avendo attraversato terre toccate dalla peste (secondo alcune fonti, al momento dello sbarco avrebbe addirittura manifestato sintomi di una forma lieve della malattia). Durante la permanenza nel lazzaretto fu visitato dal padre che, contratta la malattia, vi morì. La scomparsa del genitore segnò un punto di svolta nella vita del M., che da quel momento prese la decisione di dedicarsi al mestiere delle armi.

Trascorso l’inverno a Bologna, nella primavera del 1681 il M. si recò di nuovo a Roma, dove ebbe modo di pubblicare le Osservazioni e dove ottenne la presentazione che gli aprì la strada per l’arruolamento nell’esercito imperiale di Leopoldo I d’Asburgo. Dopo fu ancora a Venezia, poi a Milano e in Piemonte, per espletare taluni incarichi di natura diplomatica affidatigli da esponenti della Curia romana in via non ufficiale, ma di semplice amicizia. Lasciò l’Italia all’inizio del 1682; giunto a Vienna poté ottenere l’impiego desiderato e con il grado di sergente venne inviato nella fortezza di Giavarino (Györ, sul Raab), minacciata dagli Ungheresi appoggiati dai Turchi. L’anno dopo, questi ultimi scatenarono l’offensiva che li avrebbe condotti sotto le mura di Vienna; il 3 luglio 1683 il M. – nel frattempo promosso capitano – venne ferito e catturato nelle paludi di Asvány da soldati tartari che poi lo vendettero al pascià di Temesvár. Questi volle approfittare delle cognizioni del M. circa le fortificazioni di Vienna e, per salvargli la vita, lo destinò come schiavo a distribuire caffè al suo reparto.

Durante la prigionia nel campo turco, aiutante in una bottega di caffè, il M. si interessò alla bevanda ricavata dai chicchi che si trovava a macinare e a vendere, tanto che, una volta riconquistata la libertà, pubblicò un trattatello sulla materia (Bevanda asiatica, brindata all’em. Bonvisi, nunzio apostolico appresso la maestà dell’imperatore… che narra l’historia medica del cavè o sia caffè, Vienna d’Austria 1685), che si inserisce nel vasto filone della pubblicistica del tempo sulle presunte virtù, anche medicamentose, del caffè.

Ripreso dopo un tentativo di fuga, seguì l’armata ottomana all’assedio della capitale austriaca e nella successiva rotta; dopo molte avventure giunse a Sarajevo e riuscì a ottenere la libertà dietro riscatto, tramite i buoni uffici dell’ex bailo Civran. A Pasqua del 1684 poté così raggiungere la veneziana Macarsca, in Dalmazia, e di lì rimpatriare a Bologna. Non ci rimase a lungo, tuttavia, perché, ripresi i contatti con la corte imperiale, si recò a Vienna, dove fu assegnato al comando di artiglieria del conte Guido von Starhemberg, in Ungheria. Le operazioni, però, ristagnavano, il M. si ammalò, passò la convalescenza a Vienna, quindi riprese il suo posto nella primavera del 1685, partecipando alla conquista della fortezza di Neuhäusel (Érsekújvár) con il grado di tenente colonnello. Ferito, trascorse l’inverno a Vienna, poi, nei primi mesi del 1686, raggiunse le truppe che assediavano Buda. Qui il M. ebbe modo ancora una volta di far valere le sue capacità tattiche, predisponendo progetti e disegni atti a conferire maggiore efficacia all’impiego dell’artiglieria contro le fortificazioni nemiche.

Tra operazioni militari e missioni diplomatiche, il M. ebbe modo di assecondare la sua inclinazione per le scienze naturali e geografiche. Continuò a raccogliere osservazioni naturalistiche ed erudite in una serie di manoscritti, dai quali in seguito attinse per scrivere le sue opere più importanti. Si applicò, inoltre, a sperimentare soluzioni ai problemi posti dalla prassi militare. Responsabile della fonderia militare di Vienna, nel 1685, condusse una serie di esperimenti e studi sulla fisica e sulla chimica dei metalli e della polvere da sparo e sulla balistica, per migliorare la qualità e la precisione dei cannoni utilizzati dall’esercito imperiale (le relazioni sono conservate tra i suoi manoscritti a Bologna). Inoltre, nelle sue scorribande guerresche nell’Europa centrale e balcanica, procurò di acquistare (o, comunque, di venirne in possesso) stampati rari e manoscritti, molti dei quali confluirono nella sua importante collezione di codici orientali. Dopo la presa di Buda, si mise alla caccia della biblioteca dei re d’Ungheria, di cui aveva sentito parlare come estremamente cospicua, riuscendo però a mettere le mani solo sui pochi volumi rimasti.

Nella seguente campagna del 1687 operò al servizio del duca Carlo di Lorena in Transilvania, dove, nel mese di dicembre, condusse le trattative che portarono alla capitolazione della fortezza turca di Erlau (Eger, in Ungheria); nella circostanza il M. riuscì a ottenere preziosi codici che un tempo avevano fatto parte della dispersa biblioteca umanistica di Mattia Corvino. In seguito, nonostante la diffidenza di taluni ambienti di corte nei suoi confronti, il M. fu incaricato dall’imperatore Leopoldo I di sollecitare aiuti da Innocenzo XI; per due volte, tra il marzo e il luglio 1688, fece la spola tra Vienna e Roma, senza però ricavarne altro se non generiche promesse, quindi riprese il suo posto nell’esercito, che muoveva alla conquista di Belgrado. Caduta la città il 30 agosto, il M. tornò a Vienna, dove al termine di una complessa trattativa riuscì a ottenere il ducato di Srem (Sirmio, nella classicità, tra il Danubio e la Sava) per il nipote del papa, Livio Odescalchi. La campagna del 1689 si aprì infelicemente per le armate imperiali, dal momento che la Francia era scesa in guerra sul Reno; il M. avrebbe desiderato operare sul nuovo fronte, ma l’esperienza fino ad allora maturata ne suggeriva piuttosto la presenza in Ungheria. Qui prestò servizio, con il grado di colonnello, agli ordini del margravio di Baden Ludwig Wilhelm, prendendo parte alla battaglia di Niš, quindi impiegò l’inverno del 1689-90 a osservare le vestigia romane sul Danubio, le strade, i monti, la flora, la fauna specialmente ittica, stendendo, come d’abitudine, appunti, impressioni, abbozzi di relazioni. L’anno successivo, le operazioni militari segnarono il passo e Vienna si indusse ad avviare i primi sondaggi di pace; la conoscenza che il M. aveva della lingua turca e della corte ottomana lo rendeva idoneo a tale missione, per cui, richiamato dal campo, fu inviato alla fine di aprile 1691 a Costantinopoli sotto la copertura di segretario dell’ambasciatore d’Inghilterra, William Hussey.

Per più di un anno il M. si sarebbe speso in una complessa, ma infruttuosa, trattativa diplomatica, più volte interrotta a causa dell’alterno evolversi del conflitto, con frequenti spostamenti da un Paese all’altro, tra Costantinopoli e Belgrado, durante i quali passò numerose peripezie. Ne fu ricompensato con il comando di un reggimento in Slovenia, ottenuto dopo il rientro da Costantinopoli, nel gennaio 1693; con questo reparto conseguì alcuni successi nell’estate del 1694, per cui fu nominato cameriere della chiave d’oro dell’imperatore, a conferma di una brillante carriera militare e politica. Trascorse l’inverno del 1694-95 a Vienna, accanto all’elettore di Sassonia, e futuro re di Polonia, Federico Augusto, ai cui ordini era sottoposto il reggimento del M., che con l’aprirsi del 1695 si distinse nella costruzione di un ponte sul Tibisco, presso Temesvár; passò tra l’Ungheria e la Bosnia anche l’anno successivo, partecipando con qualche discontinuità alle operazioni militari, a causa di febbri ricorrenti e di angustie causategli dall’animosità del feldmaresciallo Ernst Rüdiger Starhemberg, «mio atroce nemico» (Autobiografia di L.F. M. messa in luce nel II centenario della morte di lui, a cura di E. Lovarini, Bologna 1930, p. 195), presidente del Consiglio di guerra, e dallo stesso principe Eugenio di Savoia: al riguardo è significativo il silenzio osservato dal M. sulla grande vittoria da questo riportata a Zenta (11 sett. 1697). La protezione, però, del conte Franz Ulrich Kinsky gli valse la nomina a «consigliere assistente» nella trattative che si aprirono a Carlowitz nella primavera del 1698 e che infine sortirono buon esito, al punto che nella Autobiografia (p. 208) il M. se ne attribuisce tutto il merito. Fu, quindi, promosso generale di battaglia e nominato commissario plenipotenziario per la definizione dei nuovi confini; compito delicato e defatigante, che si protrasse per oltre due anni (marzo 1699 - maggio 1701), nel corso dei quali il M. compilò una grande mole di osservazioni sulle località visitate.

Tutto questo materiale il M. intendeva raccogliere per servizio dell’imperatore, da lui definito «il più vivo ritratto che in terra possa darsi di Dio» (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss. Marsili, 108: Descrizione naturale, civile e militare delle Misie, Dacie ed Illirico, c. 5r), corredandolo con alcune considerazioni relative ai metodi di governo da adottare nelle terre di nuova conquista. Secondo la sua opinione esso si sarebbe dovuto fondare su due istanze, apparentemente contrapposte: l’incremento dei commerci, legame essenziale fra l’interesse del principe e quello dei sudditi, e un capillare controllo del territorio. Su quest’ultimo punto il M. notava che «tutto l’acquisto dell’Imperio della Maestà Vostra è frutto della milizia», sicché «è da fondare in essa unicamente le provisioni per mantenerlo» (ibid., 59: Informazioni della linea cisdanubiale, c. 81v). In sostanza, onde assicurare alla casa d’Asburgo le recenti conquiste balcaniche, il M. riteneva necessario promuovere lo sviluppo economico-commerciale, accompagnandolo, però, con attente misure di polizia, che spaziassero dall’ambito ecclesiastico a quello sociale: una sorta di mercantilismo adattato alla realtà balcanica.

Durante questo periodo, pubblicò un’altra opera, la Dissertazione epistolare del fosforo minerale o sia della pietra illuminabile bolognese a’ sapienti ed eruditi signori collettori degli Acta Eruditorum di Lipsia (Lipsia 1698), che riprendeva una tematica di grande attualità, anche a causa della sua capacità di colpire la curiosità e l’immaginario popolare.

Affrontando la questione della natura della luce, lo scritto trattava della cosiddetta «pietra di Bologna», un minerale diffuso tra le argille dei colli vicini alla città che, opportunamente calcinato, acquistava la proprietà di emettere luce in un luogo oscuro, dopo essere stato esposto ai raggi solari (fosforescenza). Il M. tentava di dimostrare che, contrariamente all’opinione comune, il fosforo bolognese non era una spongia lucis, ovvero non emetteva la luce di cui si era precedentemente imbevuto, ma doveva essere considerato come una fonte luminosa che diveniva attiva sotto lo stimolo dei raggi luminosi. Pur se il tentativo risultava poco riuscito, la dissertazione, malgrado la veste dimessa, acquisì una buona fama, tanto da meritare, qualche anno dopo, una traduzione latina a cura di A.C. Eschembach (Dissertatio epistolica de phosphoro minerali seu lapide Bononiensi illuminabili ad Actorum Eruditorum quae Lipsiae publicantur collectores perscripta, Lipsiae 1702).

Gli anni a cavallo dei secoli XVII e XVIII segnano l’apice della fortuna del M.; a Vienna, però, l’accresciuto suo rilievo lo coinvolse negli intrighi di palazzo e nei contrasti fra le varie fazioni presenti a corte, dove il M., sfavorito anche dall’essere straniero, non riscosse pari successo che sui campi di battaglia e nei negoziati condotti lontano da Vienna.

Lo scoppio della guerra di successione spagnola vide il reggimento del M. impegnato nel Palatinato al seguito del futuro imperatore Giuseppe I d’Asburgo; tra l’aprile e il settembre 1702 prese parte all’assedio di Landau, quindi fu impegnato sul Reno contro i Francesi di Nicolas Catinat. A novembre ricevette ordine di ritirarsi nella fortezza di Breisach, tra Friburgo in Brisgovia e Colmar; qui, nei lunghi mesi invernali, stese il progetto di una biblioteca a uso dell’uomo politico e militare (Idea dell’instituzione della Biblioteca di S.E. il sig. generale co. Marsigli, esclusi li libri legali e poetici de’ quali non se ne vuole nella medesima, in Gherardi, 1975, pp. 131-136), ma quando nella tarda primavera del 1703 ripresero le operazioni, non riuscì a difendere la piazza e fu costretto a capitolare il 6 settembre. Poiché si trattava di una posizione strategica, il M. fu posto sotto accusa e processato; il 15 febbr. 1704 a Bregenz, sul lago di Costanza, venne degradato e dovette subire la confisca dei beni. Si recò a Vienna, dall’imperatore, per discolparsi, accusando a sua volta l’insipienza del margravio di Baden Ludwig Wilhelm e del conte Filippo d’Arco, che non gli avevano inviato i dovuti soccorsi; si trattenne nella capitale austriaca dal 1° aprile sino al 22 nov. 1704 ma, visto inutile ogni tentativo, partì per l’Italia. A fine anno soggiornò presso amici veneziani sul Brenta, quindi nel 1705 si portò a Milano e poi nella Svizzera, prendendo dimora a poca distanza da Zurigo, dove stese e pubblicò la sua discolpa circa la resa di Breisach (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss. Marsili, 166: Informazione… sopra quanto gli è accaduto nell’affare della resa di Brisacco…, s.l. né d. [ma 1705]. Nello stesso anno il M. diede alle stampe anche una Aggiunta di alcune scritture in sua difesa, s.l. né d.). Durante la permanenza in Svizzera si dedicò a studi di natura geologica e biologica, progettando e abbozzando opere che, però, restarono a livello di stesura preparatoria manoscritta. Dopo il soggiorno svizzero, tornò a Milano, dove probabilmente dettò l’autobiografia.

La Autobiografia del M., fondamentale per comprendere i principali passaggi della sua complessa vicenda esistenziale, fu in gran parte dettata ad altra persona, dal momento che il M. dichiara di non saper scrivere in buon italiano. Essa è divisa in quattro parti, delle quali le prime tre sono molto dettagliate, mentre l’ultima, che inizia con il 1692, appare via via più stringata, interrompendosi al 4 ag. 1705. Segue un frammento autografo, nel quale il M. dichiara di voler continuare la narrazione della sua vita, che però comprende solo gli ultimi giorni del 1710 e il 1711: poche pagine dedicate ai colloqui avuti con Clemente XI durante il suo soggiorno romano.

L’anno successivo il M. andò a Parigi, onorevolmente ricevuto da Luigi XIV, e di là a Montpellier e poi sulle coste della Provenza, dove soggiornò per più di due anni nel villaggio di Cassis; qui impresse un’ulteriore decisiva svolta alla sua vita, dedicandosi agli studi: «tutti volendo portare in porto, su tutti raccogliendo dati e fatti, su tutti facendo appunti che troviamo disseminati nei suoi manoscritti» (Longhena, 1930, p. 93).

A Cassis ebbe modo di compiere osservazioni sulle componenti fisiche e biologiche del mare, per le quali spesso si servì di strumenti di misurazione da lui stesso pensati e costruiti. Qui condusse, tra gli altri, quegli studi sui coralli, che, dapprima comunicati al segretario della Académie royale des sciences di Parigi (notizie su di essi comparvero poi, nella nota di B. Fontanelle, Observations sur l’analyse des plantes marines et principalement du corail rouge, insieme con notizie di altri studi del M., riassunti nelle note Observations sur les plantes de la mer ed Extrait de l’essay physique sur l’histoire de la mer, nella Histoire de l’Académie royale des sciences. Année MDCCX, Paris 1732, pp. 23-29, 48-53, 69-78), furono quindi resi pubblici con una Lettre écrite de Cassis… 1705… touchant quelques branches de corail qui ont fleuri, in Journal des sçavans (XXXVI, maggio 1706, p. 302). In essi il M. credette di aver dimostrato la natura vegetale del corallo, incorrendo in un errore che comunque, in quanto fondato su osservazioni anche di tipo morfologico-strutturale, costituì un importante passo in avanti nello studio della specie.

Nel giugno 1708 la minaccia di un coinvolgimento diretto dello Stato pontificio contro le truppe asburgiche, che avevano occupato Comacchio, lo spinse a rientrare a Bologna, dove gli venne affidato il comando delle operazioni nel Ferrarese; tuttavia una sollecita pace (gennaio 1709) lo riportò agli studi prima ancora che si fosse verificato alcuno scontro.

Da tempo si andava maturando nella mente del M. il proposito di erigere un’accademia scientifica nella sua città. Il progetto relativo alla creazione di un istituto dotato della strumentazione necessaria a coltivare sia l’astronomia sia la fisica sperimentale risaliva al 1702 (Bologna, Biblioteca universitaria, Mss. Marsili, 83 B, cc. 79-83), anno in cui, fra l’altro, il M. aveva fatto costruire una specola nel suo palazzo, sito nell’attuale via d’Azeglio (la direzione dell’impresa fu affidata a Eustachio Manfredi, che operò seguendo i consigli di Giovan Domenico Cassini). Nel 1705 il M. accolse nella residenza di famiglia l’Accademia degli Inquieti, fondata qualche anno prima ma fino ad allora poco attiva che, disponendo degli strumenti, delle raccolte scientifiche, della biblioteca del M. e dell’osservatorio, divenne in breve tempo un vivacissimo polo di ricerca, didattica e divulgazione scientifica a indirizzo spiccatamente sperimentalista, come testimoniano i contatti che scienziati e istituzioni straniere stabilirono con il consorzio bolognese.

Tale Accademia visse tra il 1708 e il 1709 un periodo di crisi, sia per la prematura morte del segretario, Vittorio Francesco Stancari, sia a causa del contrasto insorto tra il M. e il fratello Filippo. Quest’ultimo non sopportava la presenza dell’Accademia, soprattutto paventando gli sviluppi di essa vagheggiati dal M. con sempre maggiore insistenza, al punto di obbligare il sodalizio ad abbandonare il palazzo di famiglia, provocandone così la chiusura temporanea (28 maggio 1709). Pertanto, il 22 ott. 1709, il M. espresse ai magistrati bolognesi l’intenzione di donare al pubblico le sue raccolte, con la preghiera di trovare loro adeguata sistemazione. Ma, rientrato a Bologna dopo un nuovo breve soggiorno a Cassis per completare le ricerche sul mare, si rese conto che il Senato opponeva difficoltà al progetto sia per l’impegno finanziario sia per non dare ombra al locale Archiginnasio.

A ciò si aggiunga che, se pure risale al 1709 un paio di inedite redazioni latine degli Statuti dell’Accademia degli Inquieti e delle scienze (Arch. di Stato di Bologna, Atti Assunteria di Istituto, Diversorum, b. 9), in questo periodo le energie del M. furono quasi del tutto assorbite dal progetto di far sorgere un istituto di belle arti, l’Accademia dei Pittori, al quale si dedicò con sempre maggiore impegno, come lamentava Fernando Antonio Ghedini in una lettera inviata il 7 genn. 1710 ad Antonio Vallisneri seniore (Arch. di Stato di Reggio Emilia, Arch. Vallisneri, b. 4/I, f. I), che ci indica anche il giorno in cui questa fu inaugurata nella abitazione del M., il 2 genn. 1710.

Per circa due anni le trattative intavolate dal M., subito dopo la chiusura degli Inquieti, con il legato pontificio Lorenzo Casoni e con gli esponenti del Senato cittadino per far rinascere l’Accademia e darle sviluppo in un complesso organismo pubblico di didattica e ricerca in grado di competere con quelli «oltremontani» segnarono il passo e fecero sorgere sospetti e maldicenze. A quel punto il M. – figura atipica di autodidatta, che, per il suo carattere impulsivo, era insofferente alle critiche e ai ritardi – recatosi a Roma nell’intento di far promuovere al cardinalato il vicelegato di Bologna, Benedetto Erba, chiese l’appoggio di papa Clemente XI all’impresa che tanto gli stava a cuore. Fu una mossa risolutiva: il 12 dic. 1711 venne ufficialmente eretto l’Istituto delle scienze e arti liberali, alla cui presidenza fu designato l’antico precettore del M., il canonico Trionfetti. Il prestigio di cui godette sin dagli inizi la nuova struttura è testimoniato dal fatto che pochi anni dopo, il 13 marzo 1714, la locale Accademia degli Inquieti s’innestava nell’Istituto, che assunse allora il nome di Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna. Questa comprese, oltre a un centro didattico e a un museo scientifico, anche, in posizione molto più marginale, l’Accademia di belle arti. L’Istituto sorse con il benestare della Curia pontificia e la sua attività si svolse sotto la tutela e il controllo, sia pure discreto, del potere romano attraverso interventi di legati pontifici o degli stessi pontefici che assicurarono contributi finanziari, come quello ottenuto nel 1729 su sollecitazione del Marsili.

Secondo il progetto del M., la nascita dell’Istituto avrebbe dovuto sancire la legittimità degli studi scientifici, venendo così definitivamente a sanare le ferite aperte dall’affare galileiano. In second’ordine, esso avrebbe dovuto fornire una risposta alla crisi in cui versava, nei primi decenni del Settecento, l’antico Studio cittadino, divenuto un centro secondario, sempre più disertato dagli studenti forestieri e lontano dalle novità allora emergenti nel panorama internazionale. I rapporti con lo Studio, però, furono sempre assai delicati, perché la proclamata complementarità tra le due istituzioni (approccio teorico nelle lezioni universitarie e approccio pratico-sperimentale nei laboratori dell’Istituto) mal celava una antitesi epistemologica, solo in parte attenuata dalla frequente simultaneità tra le cariche di lettore nello Studio e professore dell’Istituto. Di conseguenza, assai delicati furono anche i rapporti con l’Assunteria di Istituto, che su disposizione del Senato cittadino amministrava l’Istituto. Organo in sé conservatore, l’Assunteria aveva solidi motivi per appoggiare il corporativismo dello Studio, non disposto ad accettare mutamenti che potessero in qualche modo toccare i privilegi della classe dottorale. Così, il terzo compito affidato dal progetto del M. all’Istituto, ovvero un rapporto attivo con la città e il suo territorio, in particolare con il mondo delle arti meccaniche, in modo da favorire l’applicazione tecnologica della cultura scientifica, non trovò mai attuazione, rifiutato dall’Università, tesa a salvaguardare la propria immagine di istituzione scientifica portatrice di un sapere «puro». Emergeva in questa maniera uno iato profondo tra l’utopismo del M. e l’arretratezza di una classe dirigente incapace di gestire una valida politica culturale. Non stupisce che il M., nonostante le donazioni all’Istituto, non vi ebbe mai compiti o ruoli ufficiali. Tale situazione, insieme con le aspre dispute che si accesero pochi anni dopo l’inaugurazione con gli esponenti dello Studio, i professori dell’Istituto e l’Assunteria, fece radicare nel M. la convinzione che si stesse perpetrando un grave tradimento degli ideali sui quali poggiava il suo progetto di rinnovamento culturale.

Intanto nel 1714, mettendo a frutto i numerosi rapporti personali intrattenuti con i maggiori intellettuali italiani ed europei, il M. aveva pubblicato la Dissertatio de generatione fungorum ad illustrissimum et reverendissimum praesulem Ioannem Mariam Lancisium (Roma 1714), che, come risulta da una lettera di Giovanni Maria Lancisi a Vallisneri (cfr. Roncetti), fu stampata a cura e a spese dell’archiatra romano.

Questo è, in realtà, un volume miscellaneo, in quanto contiene tre dissertazioni e due lettere di autori diversi (oltre il M. e Lancisi, anche Giovanni Cristoforo Battelli). Solo due dissertazioni sono dedicate alla questione della generazione dei funghi e di queste solo la prima (pp. 5-40, con annessa una appendice di 30 tavole non numerate) è del Marsili. La tematica dello scritto rinvia alle discussioni intorno alla cosiddetta «generazione equivoca»: una disputa di natura biologico-scientifica con implicazioni teologico-religiose e perciò molto delicata, oltre che cruciale per la definizione in forma moderna della scienza della vita. In questo lavoro, progettato, o forse cominciato, almeno dal 1705, come si deduce da una lettera di risposta di Vallisneri al M. (A. Vallisneri, Epistolario, I, p. 297), il M. negò che la riproduzione dei funghi avvenisse attraverso i semi e ascrisse la loro origine alla fermentazione della linfa delle piante e a una crescita viziosa delle loro fibre, sostenendo, inoltre, l’equivalenza biologica tra tartufi e funghi. Dell’opera il Giornale de’ letterati d’Italia di Venezia diede la notizia editoriale e un ampio estratto, la prima nel tomo XVIII (1714, p. 480), il secondo nel tomo XXI (1715, pp. 260-304, in part. pp. 263-279). Notizie ed estratti di volumi del M. erano già stati ospitati nel prestigioso periodico veneto, precisamente nei tomi V (1711, p. 390) e VIII (1711, pp. 1-36), dove erano stati forniti la notizia editoriale e l’estratto di una sua opera composta da due lettere, Brieve ristretto del saggio fisico intorno alla Storia del mare alla R. Acc. delle scienze di Parigi. Ora esposto in una lettera all’ecc.mo signor Cristino Martinelli nobile veneto… Annotazioni intorno alla grana dei tintori detta Kermes in una lettera all’illustrissimo signor Antonio Maria Vallisnieri… (Venezia 1711). La prima lettera consisteva in una traduzione del manoscritto Sur l’histoire de la mer inviato all’Académie royale des sciences di Parigi nel 1706. Né queste furono le uniche volte in cui il nome del M. comparve nel Giornale: nel tomo XXII (1715, pp. 116-132), fu dato spazio a una sua Lettera intorno al ponte fatto sul Danubio sotto l’imperio di Traiano indirizzata al r.p.d. Bernardo di Montfaucon; nel tomo XXIX (1717, pp. 206 s.), venne pubblicata la Lettera scritta al signor Antonio Vallisneri intorno all’origine delle anguille, contenente un suo commento sulla generazione delle anguille, problema risolto nella direzione ovipara.

Nel 1715 fu nuovamente chiamato a compiti militari, con l’incarico di provvedere alle fortificazioni lungo la costa adriatica, fra il Tronto e il Po, in occasione dell’ultima guerra veneto-turca. L’assenza di concreti eventi bellici consentì al M. di continuare le sue ricerche sulla natura dei litorali, sulle correnti e sul mare, oltre a dargli l’occasione per contribuire a stendere una mappa dettagliata del litorale pontificio adriatico. Conclusa con quest’ultimo impegno la carriera militare, il M. si dedicò alle scienze, dalle quali solo egli poteva ragionevolmente attendersi quei riconoscimenti che furono il vero scopo della sua frenetica attività: nello stesso 1715, pertanto, ebbe la soddisfazione di vedersi nominare socio della prestigiosa Académie des sciences di Parigi.

A partire dal 1716 soggiornò sempre più spesso a Maderno, sul lago di Garda, donde si mosse per qualche viaggio a Bologna (nel 1717 compì osservazioni sul fiume Reno, allora oggetto di studi e interventi da parte del Senato bolognese) e a Cassis. Negli anni seguenti la sempre maggiore insofferenza provata nel vedere malamente realizzati i suoi progetti di riforma degli studi scientifici (oltre al resto, non si era neanche dato inizio alla pubblicazione dei previsti atti, i Commentarii, che avrebbero dovuto rendere pubblici i risultati delle ricerche condotte nell’Istituto) lo spinse nuovamente a interrogarsi su cosa fare per spingere le autorità cittadine e accademiche ad adempiere agli impegni presi al momento della fondazione della nuova istituzione. Così nel 1721 decise di aprire una controversia legale con il Senato cittadino, riuscendo a ottenere la restituzione del materiale manoscritto e dei disegni relativi all’opera sulla storia naturale del Danubio e di quelli sulla storia fisica del mare, da lui donati con gran parte della sua biblioteca all’Istituto nel 1711. Verso la fine dell’estate del 1722, partì da Bologna per dirigersi dapprima in Francia e poi a Londra, dove giunse nel novembre di quell’anno. Qui acquistò, grazie a una ricca elargizione ottenuta dal papa, materiali per le collezioni scientifiche e strumenti per l’osservatorio e gli altri laboratori dell’Istituto bolognese. A Londra conobbe Isaac Newton, che lo fece accogliere come membro nella Royal Society. All’inizio del 1723, lasciato il suolo inglese, andò in Olanda, a Leida, dove visitò Herman Boerhaave, e poi ad Amsterdam, dove contrattò la cessione per la stampa dei manoscritti sul Danubio e sulla storia fisica del mare in cambio di una ricca raccolta di libri e materiali scientifici e di una cospicua somma in denaro. Le due opere vennero pubblicate con i titoli di Histoire physique de la mer (Amsterdam 1725) e di Danubius Pannonico-Mysicus observationibus geographicis astronomicis hydrographicis historicis physicis perlustratus et in sex tomos digestus (L’Aia-Amsterdam 1726).

La prima opera rielabora e amplia il saggio in forma di lettera dal titolo simile già apparso in italiano a Venezia nel 1711. In essa il M. affrontò la questione dell’origine delle acque sorgive, tematica questa che ricorre anche nel suo carteggio con Vallisneri. Vallisneri, dapprima nelle lettere e poi pubblicamente, nella prima edizione della Lezione accademica intorno all’origine delle fontane (Venezia 1714), aveva preso risolutamente posizione a favore della tesi dell’origine meteorica delle acque sorgive e contro le tesi del M. che, invece, propendeva per l’ipotesi che voleva le acque sorgive derivate, in alcuni casi, dalle precipitazioni atmosferiche e, in altri, dalla circolazione delle acque all’interno del globo terrestre. In risposta il M., senza polemizzare direttamente con Vallisneri, descriveva in dettaglio le esperienze compiute per provare l’origine meteorica delle sorgenti d’acqua dolce situate sul fondo del mare di fronte a Cassis e quelle per provare la possibilità di liberare, attraverso un’opera di filtrazione, l’acqua marina dal sale, sottolineando così un possibile processo di purificazione da parte degli strati della crosta terrestre. Inoltre, egli evidenziava che le stesse esperienze permettevano di inferire notizie preziose intorno «la structure de la Terre, par raport à la possible ou à l’impossible circulation des eaux, dans son interieur» (Histoire physique de la mer, p. 34) e quindi fornire conoscenze sulle strutture geologiche sottomarine e delle terre emerse. La seconda opera fu quella che ebbe maggiore circolazione europea. Preceduta, molti anni prima, da un Danubialis operis prodromus (Norimberga 1700), la nuova stampa dava in luce tutti i materiali raccolti dal M. durante gli anni del suo servizio militare nell’Europa centrale e balcanica, arricchiti da un notevole corredo di disegni e carte geografiche. Di particolare interesse è la pars VII (De seminio ac generatione metallorum, pp. 129-137) dove, ribadendo la teoria della circolazione sotterranea delle acque marine, attribuiva a esse un ruolo significativo nella costituzione delle vene metallifere. Questo permetteva al M. di sostenere l’ipotesi che forze dinamiche acquose siano intervenute nella formazione della crosta terrestre, interpretata come costituita da strati sovrapposti, e, sulla base di una postulata somiglianza tra la materia che compone i fondi marini e quella delle più alte montagne, di giungere a ipotizzare che queste ultime possano essersi sollevate dal pavimento marino.

Al fine di conferire maggior prestigio alla sua creatura e di spingere le autorità bolognesi ad adempiere agli impegni presi, ad Amsterdam il M. affidò allo storico Henri-Philippe de Limiers la pubblicazione di una breve Histoire de l’Académie appelée l’Institut des sciences et des arts établi à Boulogne en 1712 (Amsterdam 1723), nonché avviò contatti con editori locali affinché stampassero annualmente gli atti accademici. Quest’ultima iniziativa indusse i responsabili dell’Istituto, implicitamente messi sotto accusa per la loro inerzia, a cambiare quel segretario, Matteo Bazzani, professore di medicina dell’ateneo bolognese, più volte criticato dal M. e a mettere in cantiere la pubblicazione nella città emiliana dei Commentarii (anche se il primo tomo venne stampato solo dopo la morte del M., nel 1731). Tornato in Italia, a Bologna, verso l’autunno del 1723, il M. vincolò la cessione all’Istituto dei capitali, dei materiali e degli strumenti acquisiti durante il suo viaggio a una esplicita dichiarazione di rispetto delle norme stabilite nel 1711 e a una loro parziale modifica. In particolare, il M. voleva che l’amministrazione passasse dal Senato cittadino al legato pontificio. Il Senato, da parte sua, accusò di furto il M. per il trattenimento dei capitali ottenuti dalla cessione dei manoscritti in Olanda, in quanto originariamente donati all’Istituto. Ciò indusse il M. a lasciare la città e a stabilirsi per circa due anni a Maderno.

Durante il volontario esilio lombardo, il M. si dedicò alla ricerca di conferme della sua ipotesi di circolazione sotterranea delle acque, studiando il Garda e il suo emissario, il Mincio (l’opera che ne derivò fu lasciata manoscritta e pubblicata, con il titolo di Osservazioni fisiche intorno al lago di Garda detto anticamente Benaco, a cura di M. Longhena - A. Forti in Scritti inediti di Luigi Ferdinando Marsili…, pp. 1-123 e successivamente a cura di M. Bonato, Verona 2004). Recandosi sui monti Lessini, a Bolca, nel Veronese, studiò le stratificazioni montane e i fossili in esse rinvenibili. Di questi ultimi studi diede notizia per lettera a Vallisneri che, con il titolo di Lettera… di… L.F. co. Marsigli… il quale portandosi a bella posta sul monte Bolca ne dà non solamente una perfettissima descrizione ma espone la topografia del luogo dove i pesci di mare e molti crostacei si trovano…, la pubblicò nella seconda edizione della sua De’ corpi marini che su’ monti si trovano (Venezia 1728, pp. 141-152).

La controversia con il Senato bolognese fu risolta nel 1726 quando il cardinale Prospero Lambertini, futuro papa Benedetto XIV, pur cercando di salvaguardare le intenzioni del M. per un più attento rispetto delle originali norme dell’Istituto, determinò che i nuovi capitali fossero ceduti a esso e respinse, con realismo, la richiesta di passarne il controllo al legato. La nuova solenne donazione fu fatta, con sfarzosa cerimonia, il 24 marzo 1727, poche settimane dopo il ritorno del M. in città. Ma il disappunto per come si era risolta la questione, aggravato da una nuova ondata di maldicenze che prese a circolare con sempre maggiore insistenza, incrinò definitivamente il rapporto affettivo che legava il M. ai suoi concittadini. Si spiega così il manifesto che il M. fece stampare e distribuire a Bologna nel 1728, un’insolita lettera-testamento dal sapore velatamente accusatorio e alquanto sconfortato, in cui serpeggiano stanchezza e delusione. Tale situazione lo spinse ad abbandonare di nuovo Bologna e a compiere formale rinuncia all’arme di famiglia, in seguito alla quale assunse il titolo di conte d’Aquino. Passò gli ultimi anni della sua vita nell’amata Provenza, a Cassis, sempre intellettualmente operoso e curioso.

Un attacco di apoplessia, che lo colpì verso la fine del 1729, lo indusse però al rientro a Bologna dove, a distanza di circa sei mesi, dopo aver donato tutti i suoi manoscritti all’Accademia delle scienze, morì il 1° nov. 1730. Fu seppellito nella chiesa dei Cappuccini con solenni funerali e pubbliche onoranze, tributategli dal Senato cittadino e dalla dirigenza dell’Istituto delle scienze.

Opere: Le principali raccolte di manoscritti del M. sono conservate a Bologna. Un elenco dettagliato dei 146 codici del M. presenti nell’omonimo fondo della Biblioteca universitaria di Bologna è in L. Frati, Catalogo dei manoscritti di L.F. M. conservati nella Biblioteca universitaria di Bologna, Firenze 1928; tra queste vi è anche una importante collezione di codici orientali, il cui elenco è in M. Talman, Elenchus librorum Orientalium manuscriptorum… a domino comite Aloysio Ferdinando Marsigli… partim in ultimo bello Turcico et partim in itinere Constantinopolim suscepto collectorum coemptorumque, Viennae Austria 1702. Altri elenchi dei manoscritti conservati a Bologna: M. Longhena, Le carte e i manoscritti di Luigi Ferdinando Marsili conservati a Bologna, in L’Archiginnasio, XXIX (1934), pp. 126-131; E. Baida, Le carte settecentesche dell’Arch. dell’istituto d’astronomia dell’Università di Bologna, tesi di laurea in fisica, Università di Bologna, a.a. 1976-77. Oltre alle opere del M. citate, si ricorda: Stato militare dell’Imperio Ottomanno, Amsterdam 1732. Alcune più recenti pubblicazioni tratte dal materiale inedito: Scritti inediti di Luigi Ferdinando Marsili raccolti e pubblicati nel II centenario della morte a cura del Comitato marsiliano, Bologna 1930; Relazione dei confini della Croazia e della Transilvania a sua maestà cesarea, a cura di R. Gherardi, Modena 1986; Ragguaglio della schiavitù, a cura di B. Basile, Roma 1996.

Fonti e Bibl.: Atti legali per la fondazione dell’Instituto delle scienze ed arti liberali, Bologna 1728; A. Roncetti, Lettere inedite scientifico-letterarie di Lodovico Muratori - Vitaliano Donati - Gio. Maria Lancisi - Daniel Le Clerc, Milano 1845, p. 204; Alcune lettere inedite del generale conte L.F. M. al canonico Lelio Trionfetti per la fondazione dell’Ist. delle scienze di Bologna, a cura di G.G. Bianconi, Bologna 1849; A. Neviani, Una lettera di L.F. M. a Marcello Malpighi, in Archeion, XIV (1932), pp. 482-489; R. Buscaroli, Lettere artistiche inedite del generale M., in Atti e memorie della R. Acc. Clementina, II (1935-36), pp. 119-154; L. Munster, Una relazione inedita di L.F. M. a Marcello Malpighi su una notomia eseguita dal professor Giuseppe Pighi a Padova, in Atti e memorie dell’Acc. di storia dell’arte sanitaria, XXXIX (1940), pp. 76-95; Id., Una lettera inedita di L.F. M. a Marcello Malpighi scritta da Vienna, ibid., pp. 156-164; A. Neviani, Una lettera del conte L.F. M. al professor Michelangelo Tilli, in Riv. di storia di scienze mediche e naturali, XXXI (1940), pp. 83-87; M. Longhena, Lettere inedite di Eustachio Manfredi a L.F. M.: gli inizi dell’Ist. delle scienze e della Specola astronomica, in Atti e memorie delle R. Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 5, XXI (1942-43), pp. 20-76; L. Munster, Una lettera inedita di L.F. M. a Marcello Malpighi scritta da Venezia, in Atti e memorie dell’Acc. di storia dell’arte sanitaria, XLVI (1947), pp. 69-80; The correspondence of Marcello Malpighi, a cura di H.B. Adelmann, Ithaca, NY-London 1975, ad ind.; Nove lettere di Geminiano Rondelli al conte L.F. M., a cura di F. Barbieri - M. Zuccoli, in Nuncius, VI (1991), pp. 145-155; A. Vallisneri, Epistolario, a cura di D. Generali, I-II, Milano 1991-1998, ad indices, CD 2006; Il carteggio fra i Cassini e Eustachio Manfredi, a cura di S. Giuntini, in Boll. di storia delle scienze matematiche, XXI (2001), 2, ad ind.; M. 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