CANZI, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANZI, Luigi

Luigi Ambrosoli

Nacque il 17 sett. 1839 a Milano da Canzio e Lucia Pecchio Orgero. Appartenne a famiglia facoltosa, proprietaria di fondi nel comune di Gerenzano (Saronno); egli stesso seguì direttamente l'organizzazione della sua azienda agricola e fu considerato tra i migliori agricoltori della Lombardia essendosi segnalato per l'introduzione di tecniche e metodi di lavorazione d'avanguardia; fu tra i pionieri della coltivazione del tabacco e dello zucchero. Nella conduzione del suo patrimonio agricolo rivelò la mentalità dell'imprenditore capitalistico che confermerà nelle sue successive esperienze economiche e finanziarie.

La prima apparizione pubblica del C. dovette avvenire tra le schiere dei combattenti garibaldini; le fonti rilevano il suo valore ed il carattere fermo, ma non precisano in quali episodi si distinse. L'origine garibaldina lo indusse, dopo il '65, quando cominciò a interessarsi di politica e a partecipare ai dibattiti e alle lotte politiche, ad aderire alla Sinistra costituzionale che in Milano aveva uno dei suoi maggiori punti di forza. Con il programma della Sinistra costituzionale si presentò alle elezioni politiche, nel novembre 1876, nel collegio di Cuggiono, presso Magenta (la famiglia Canzi era originaria del borgo di Ossona, nel medesimo circondario) e fu eletto deputato al Parlamento. Quelle elezioni avevano confermato la "rivoluzione parlamentare" del marzo precedente segnando un notevole successo della Sinistra e determinando la sostituzione della vecchia classe dirigente piemontese che, dal Cavour al Lanza, aveva tenuto le redini del Regno, con i più giovani esponenti politici della generazione garibaldina alla quale lo stesso C. apparteneva.

In quella legislatura (XIII) non si segnalò per interventi. o iniziative di particolare rilievo. Egli mostrò, fin da quella prima occasione, di essere uomo attento e prudente, alieno da atteggiamenti demagogici e inclinato alla politica non tanto da farne l'attività fondamentale ed esclusiva della sua vita. Egli fu, infatti, prima di tutto un grande imprenditore agrario e industriale e un grande finanziere. La disponibilità di ingenti capitali ricavati dall'attività agraria gli consentì di partecipare, attraverso complesse operazioni bancarie, al finanziamento di grandi industrie.

Quest'ultimo aspetto della sua attività emerge fin dal principio del 1879 quando egli apparve tra i promotori della Società di esplorazione commerciale in Africa insieme con alcuni dei nomi più autorevoli dell'industria e del commercio lombardi, fra i quali il suo amico M. Camperio che, nel luglio del 1877, aveva fondato L'Esploratore,Giornale di viaggi e di geografiacommerciale, per favorire il formarsi di un'opinione pubblica aperta all'idea di iniziative commerciali verso il continente africano. "La punta più avanzata della borghesia italiana tiene dunque a battesimo il neonato movimento coloniale, e questo è un dato oggi dimenticato, ma da tener presente e in evidenza per le successive vicende" (Battaglia, p. 104).

Nel maggio del 1880 il C. viene eletto per la seconda volta alla Camera dei deputati nel medesimo collegio di Cuggiono. Un anno dopo la consultazione elettorale si ebbe la crisi politica connessa al trattato del Bardo, con il quale la Francia assumeva il protettorato della Tunisia sorprendendo il governo italiano che aveva sempre assicurato di voler difendere gli interessi economici italiani in quel territorio africano. Seguì la lunga discussione sul nuovo indirizzo che avrebbe dovuto seguire la politica coloniale italiana, in relazione anche all'eventuale incorporazione della baia di Assab, nel Mar Rosso, acquistata un decennio prima dalla Società Rubattino. Intervenendo alla Camera, il 16 dic. 1881, il C. esprimeva con chiarezza la sua opinione sullo spinoso argomento: "Noi dobbiamo tener lontana le mille miglia dalle nostre istituzioni qualsiasi politica coloniale territoriale; prima di tutto perché le nostre condizioni non sono tali da permettere una politica di questo genere; e poi perché sono convinto che le condizioni generali, politiche, storiche, dirò così, del mondo, siano di tale natura da sconsigliare a qualunque nazione, nell'attuale periodo, l'entrata in una politica di questo genere". Il C. si opponeva, quindi, a una politica coloniale "territoriale", cioè impostata sul concetto di esercitare la sovranità politica su territori ex europei, mentre era invece favorevole al colonialismo "commerciale", cioè alla ricerca di mercati extraeuropei per la collocazione dei manufatti prodotti in Europa. Il problema non era, per lui, di basi militari, ma di basi commerciali: mosso da concrete considerazioni economiche, sbagliava, tuttavia, nel ritenere che il momento storico fosse contrario al colonialismo territoriale. In realtà, gli anni che seguirono furono quelli in cui il colonialismo ebbe i più appariscenti risvolti imperialistici.Proseguendo secondo gli intenti che avevano giustificato la fondazione della Società di esplorazione commerciale in Africa, alla fine del 1880, poco prima della crisi di Tunisi, il C., insieme con il giornale economico Il Sole, aveva preso l'iniziativa di una Società di commercio con l'Africa, che non aveva più il limitato programma di preparare l'opinione pubblica, ma si riprometteva d'intraprendere attività commerciali nel continente africano raccogliendo denaro anche da piccoli risparmiatori sollecitati più dal sentimento patriottico che dalla ricerca di grandi guadagni. Ma dopo diciotto mesi, in seguito alla crisi di Tunisi e alle incertezze della politica coloniale italiana, la Società fu posta in liquidazione; gli azionisti, considerata l'incertezza dell'impresa e la sempre più scarsa speranza di fare buoni affari, preferirono liquidare la società rimettendoci non poco denaro. Nel dicembre del 1882 l'Italia avrebbe deciso di stabilire una colonia ad Assab; se la Società di commercio con l'Africa non avesse avuto "tanta fretta di liquidare, essa [avrebbe potuto] godere dei vantaggi concessi fissando la sede principale in quel posto. Ma aveva preferito il suicidio" (La Finanza, 17 giugno 1882).

Le elezioni politiche dell'ottobre-novembre 1882 presentarono due importanti novità: fu allargato il suffragio con la riduzione del censo indispensabile e dell'età minima (da 25 a 21 anni) per essere elettori; si passò, inoltre, dallo scrutinio uninominale allo scrutinio di lista. Nonostante queste innovazioni il C. conservò il suo seggio parlamentare, eletto, però, non più nel collegio uninominale di Cuggiono bensì in quello di Milano II. Si andò precisando, in questi anni, il suo avvicinamento a Crispi; assieme con M. Camperio e con G. Adamoli egli costituì la modesta pattuglia milanese dei sostenitori dello statista siciliano. Una delle ragioni per cui, dal 1881 egli votò contro il ministero Depretis fu dovuta alla incertezza che esso mostrava nella politica coloniale, laddove, all'opposto, il Crispi pareva avere idee assai più precise e possedere una personalità ben più decisa per perseguire coerentemente una politica di espansione. Sintomatico del suo legame con il Crispi fu l'atteggiamento che il C. assunse nel dicembre 1885, in occasione della discussione e del voto sulla cosidetta "perequazione" (cioè sulla proposta di legge che intendeva perequare l'imposta fondiaria, le cui percentuali variavano allora da L. 17,12 per L. 100 censite della Sicilia alle 79,29 del Modenese). Nonostante fosse lombardo e grosso proprietario terriero (la percentuale dell'imposta fondiaria era, nel compartimento lombardo-veneto, del 44,27%), egli si associò al Crispi nel votare la proposta di legge governativa.

Nel maggio del 1886 fu eletto per la quarta volta al Parlamento, ancora nel collegio di Milano II, ma due anni dopo si dimise, ritenendo che alcune sue prese di posizione protezionistithe non avessero ottenuto il consenso dei suoi elettori. Affrontò quindi, di nuovo, nel maggio 1888, il giudizio dell'elettorato che gli fu pienamente favorevole. Ma nel maggio del 1890, quando si procedette alle elezioni della XVII legislatura (maggio 1890-giugno 1892), non fu riconfermato: il suo filocrispismo aveva vita difficile nell'ambiente milanese.

Nella consultazione elettorale del novembre 1892 si ritornò al collegio uninominale e il C. si presentò nel collegio di Busto Arsizio ottenendovi l'elezione, confermata per l'ultima volta nelle consultazioni del maggio-giugno 1895.

Il ritorno di Crispi alla presidenza del Consiglio aveva di nuovo rafforzato la sua posizione e l'aveva indotto a riproporre il suo programma di iniziative commerciali verso l'Africa. Il 15 ag. 1895 scriveva a Francesco Crispi: "A Milano va formandosi una corrente di opinione favorevole a tentare qualche cosa nell'Eritrea. Parecchie persone avvedute e potenti mi hanno parlato o fatto parlare per sentire la mia opinione circa la convenienza di costituire una Società di commercio, di importazione ed esportazione per l'Eritrea" (Dalle carte di Giovanni Giolitti, III, p. 48). La opinione del C. era senz'altro favorevole all'iniziativa, anche se egli avrebbe voluto, prima di assumersi gravi responsabilità (soprattutto dopo il fallimento della prima società), avere una conferma dal presidente del Consiglio. Sei mesi e mezzo dopo, la disfatta di Adua e la conseguente caduta di Crispi toglievano qualsiasi attualità alla richiesta del Canzi.

Prima ancora della definitiva caduta di Crispi un'altra difficoltà si aggiungeva all'attività politica del C.: l'ostilità che i cattolici gli riserbavano nel suo collegio elettorale. Il 26 nov. 1895, in un'intervento alla Camera nel dibattito sulla politica ecclesiastica del governo crispino, egli aveva chiesto che fossero presi provvedimenti contro il Papato e polemizzato contro le tendenze demagogiche che erano state messe in evidenza dalla stessa Sinistra a Roma e nel Meridione con un atteggiamento troppo benevolo verso il papa, atteggiamento giustificato richiamandosi alla retorica della "civiltà latina", ma, in realtà, ispirato dal desiderio di non inimicarsi il ceto dei commercianti romani che facevano soldi a spese dei pellegrini. Dalle elezioni del marzo 1897 egli non sedette più alla Camera.

Qualche anno dopo, il 6 luglio del 1902, il C., che era già stato consigliere provinciale di Milano per il collegio di Saronno (comprendente anche il borgo di Gerenzano dove egli aveva la sua azienda agricola e del quale era sindaco da molti anni), si presentò per le elezioni provinciali nel collegio di Rho e vi dovette affrontare uno degli esponenti più in vista del movimento cattolico, l'avvocato Filippo Meda. Il C. uscì sconfitto da quella consultazione elettorale perché gli elettori moderati preferirono appoggiare il candidato cattolico (si era ritirato dalla competizione il conservatore Della Porta) contro il costituzionale Canzi.

Il 26 genn. 1910 fu nominato senatore, nomina convalidata il 25 febbraio.

Notevole la sua presenza nei consigli di amministrazione di importanti società. Fu consigliere e, durante la guerra mondiale, presidente della Banca commerciale italiana; membro del consiglio di amministrazione della Edison dal 1896 alla morte; consigliere della Società italiana strade ferrate Mediterranea, delle Ferrovie Nord Milano, delle Ferrovie dell'Appennino centrale di Città di Castello, della Società elettrica ed elettrochimica Caffaro di Genova; vicepresidente della Società di assicurazione e di riassicurazione "L'Italica" di Milano. Non è difficile notare come la maggior parte degli incarichi gli derivò dalla posizione di prestigio occupata nella Banca commerciale e nella Edison, ai cui interventi finanziari, talvolta congiunti, si dovettero gran parte delle iniziative degli ultimi anni del secolo nel settore ferroviario ed elettrico.

Morì a Milano il 19 nov. 1922.

Degli scritti del C., tutti occasionali, ricordiamo: Ai miei amicielettori del collegio di Cuggiono-Magenta, Milano 1876; La leggeelettorale. Discorso. 11 maggio 1881, Milano 1881; Relazione sullaquestione ferroviaria, Milano 1903.

Fonti e Bibl.: Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni dipolitica italiana, III, Dai prodromi della grande guerra al fascismo(1910-1928), a cura di C. Pavone, Milano 1962, p. 48; F. Martini, Diario 1914-1918, a cura di G. De Rosa, Milano 1966, pp. 812, 819; S. Sapuppo Zanghi, La XV legisl. ital., Roma 1884, pp. 198 s.; A. Malatesta, Ministri,deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, p. 197; G. Carocci, A. Depretis, Torino 1956, p. 435; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, p. 104; R. Colapietra, L'Italia in Africada Assab ad Adua, in Belfagor, XIV (1959), p. 269; F. Catalano, Vita politica e questioni sociali1859-1900, in Storia di Milano, XV, Milano 1963, p. 224; F. Fonzi, Crispi e lo Stato di Milano, Milano 1965, pp. 9, 178, 307, 480, 492; G. De Rosa, F. Meda, Firenze 1969, pp. 45, 135 s.; T. Sarti, I rappresentanti del Piemontee d'Italia nelle tredicilegislature del Regno, Roma 1880, p. 292; Id., Il Parlamentosubalpino e nazionale, Roma 1890, p. 220.

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