WITTGENSTEIN, Ludwig Josef

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

WITTGENSTEIN, Ludwig Josef

Vito A. BELLEZZA

Logico e filosofo del linguaggio, nato a Vienna il 26 aprile 1889, morto a Cambridge il 29 aprile 1951. Interruppe gli studî d'ingegneria iniziati all'università di Manchester per dedicarsi alla matematica e ai suoi fondamenti logici; per approfondire questi ultimi si recò nel 1912 a Cambridge, dove ascoltò le lezioni di B. Russell, il quale, insieme a G. Frege che insegnava a Jena, molto influì sulla sua evoluzione. Dopo la prima guerra mondiale (vi partecipò come ufficiale austriaco, e fu fatto prigioniero sul fronte italiano nel 1918), conseguita in patria l'abilitazione magistrale, si dette all'insegnamento elementare (1920-1926) in tre villaggi austriaci; quindi nel 1929 ritornò all'univ. di Cambridge, dove l'anno dopo fu research fellow e nel 1939 successe a G. E. Moore nella cattedra di Mental Philosophy and Logic, che doveva lasciare nel 1947 per dedicarsi ai suoi studî. Si era naturalizzato inglese nel 1938.

Il pensiero del W. ha attraversato essenzialmente due fasi: l'una, quale si esprime nel Tractatus logico-philosophicus (Londra 1922, testo ted. con trad. inglese; trad. ital. con introd. e bibl. di G. C. M. Colombo, Milano 1954) e nel saggio Some remarks on logical form (nei Proceedings of Aristotelian Society, 1929), l'altra corrispondente al suo magistero di Cambridge, che trova espressione nelle opere postume Philosophische Untersuchungen (con trad. ingl. a fronte, Oxford 1953) e Bemerkungen über die Grundlagen der Mathematik (con trad. ingl. a fronte, ivi 1956) e in numerosi manoscritti inediti (alcuni pubblicati di recente: The blue and brown books, ivi 1958). La prima fase ha come tema fondamentale l'indagine sulla natura del linguaggio e sulla sua capacità di raffigurare la realtâ. Il linguaggio considerato dal W. è quello idealmente perfetto e unico, la cui struttura rispecchierebbe la struttura essenziale della realtà. La sua costituzione poggia, secondo il W., sul fondamento delle proposizioni elementari o atomiche, corrispondenti ai fatti semplici, cioè ai dati sensibili immediati. La scienza quindi sarebbe costituita dalla totalità di siffatte proposizioni con significato empirico; invece le proposizioni della logica formale e quelle della matematica pura, non avendo significato empirico, sarebbero pure tautologie e quindi "pseudo-proposizioni", e risulterebbero dalla trasformazione dei segni linguistici la cui validità è data esclusivamente dalla forma essenziale degli stessi segni. Le proposizioni della filosofia tradizionale, non essendo riconducibili né alle proposízioni elementari di significato empirico, né a quelle logico-matematiche, sono dette pseudo-proposizioni "senza senso" (sinnlos), anzi "insensate" (unsinnig). La filosofia viene allora concepita dal W. non più come dottrina, ma come attività, che avrebbe il compito di esplorare la struttura logica di quanto è detto, per es. in una certa dottrina scientifica, e di mostrare la corrispondenza di proposizioni elementari e fatti semplici. Poiché siffatta corrispondenza non si può esprimere, ma solo mostrare, il Tractatus conclude che "sopra ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere".

La seconda fase segna un avvicinamento del W. alle tendenze proprie della scuola inglese ispirate da G.E. Moore, e quindi l'abbandono di alcune idee fondamentali del Tractatus: cioè la considerazione del linguaggio idealmente unico e perfetto (a cui si sostituisce ora quella del linguaggio familiare o quotidiano, da analizzare e distinguere nell'uso e nel significato), la teoria raffigurativa del linguaggio, la dottrina secondo cui tutte le proposizioni significative sono funzioni di verità di proposizioni elementari, e quella dell'inesprimibile. Pur abbandonando la prospettiva mistica del silenzio, implicante la distruzione della filosofia, il W. ribadisce qui la svalutazione di quest'ultima, in quanto ne considera i metodi come differenti terapie per liberarsi dai problemi filosofici, i quali non avrebbero alcuna consistenza obiettiva ma sorgerebbero da confusioni in seno alla complessità del linguaggio comune.

L'influenza del W. è stata profonda. L'affermazione, contenuta nel Tractatus, dell'empirismo radicale (l'unica fonte di conoscenza è il dato empirico e le asserzioni logiche sono pure tautologie) influenzò decisamente gl'iniziatori del "Circolo di Vienna", particolarmente M. Schlick; mentre l'insegnamento orale di W. a Cambridge ha fecondato, insieme al pensiero del Moore, il movimento inglese della filosofia analitica (scuola di Cambridge e scuola di Oxford).

Bibl.: F. Barone, Il neopositivismo logico, Torino 1953; N. Abbagnano, L'ultimo W., in Rivista di filosofia, 1953, n. 4, pp. 427-56; G. H. von Wright, L. W., a biographical sketch, in Philosophical Review, ottobre 1955, pp. 527-45; J.K. Feibleman, Inside the great mirror: a critical examination of the philosophy of Russell, W. and their followers, L'Aia 1958; D. Pole, The later philosophy of W., Londra 1958; G. E. M. Anscombe, introduction to Wittgenstein's "Tractatus", Londra 1959; J. O. Wisdom, Esotericism, in Philosophy, 1959, pp. 338-54; E. Stenius, W.'s Tractatus: a critical exposition of the main lines of thought, Oxford e Ithaca 1960.

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