MORRA, Lucio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

MORRA, Lucio

Giampiero Brunelli

– Nacque verso il 1570 da Camillo, barone di Monterocchetta, e da Giulia Morra.

La famiglia, appartenente a un lignaggio radicato nel Regno di Napoli sin dal XII secolo (con feudi tra Salerno, Avellino e Benevento), risiedeva ordinariamente a Napoli. Morra compì nondimeno la sua formazione universitaria a Roma, laureandosi in utroque iure. Ordinato presbitero, fu nominato rettore e abate secolare di S. Maria del Vetrano, masseria annessa al monastero benedettino di S. Michele Arcangelo di Montescaglioso (presso Matera). Quindi, il 20 novembre 1606, fu creato arcivescovo di Otranto.

La sede comprendeva anche parte della Grecìa salentina (territorio ellenofono, con marcati tratti culturali bizantini). Qui Morra fece condurre tra il 1607 e il 1608 un’accurata visita apostolica. I risultati confermarono che le antiche ascendenze erano ben visibili: erano in attività sacerdoti di rito greco, normalmente coniugati, i quali curavano un non esiguo numero di nuclei familiari che ancora utilizzavano la lingua greca; tuttavia, il processo di assimilazione alla liturgia latina, nei primi anni del Seicento, era molto vicino alla conclusione.

Il 27 giugno 1617, con breve del pontefice Paolo V, Morra fu nominato nunzio a Bruxelles, presso gli arciduchi Alberto e Isabella d’Austria, sovrani dei Paesi Bassi. Ricevette le consuete facoltà connesse alla qualifica di legato de latere, cui furono aggiunte quella di autorizzare alla lettura di libri proibiti e (con un breve del 17 febbraio 1618) quella di ricevere e giudicare gli appelli avverso le sentenze pronunciate dal vicario apostolico d’Olanda (Philippe Rovenius). Al momento della partenza, gli fu altresì consegnata una minuziosa istruzione.

La S. Sede – comunicava la Segreteria pontificia nelle istruzioni al nuovo nunzio – poteva dichiararsi soddisfatta di come l’applicazione dei decreti del concilio di Trento era stata impiantata nei Paesi Bassi. Tuttavia, diversi terreni avrebbero potuto dimostrarsi impervi, pertanto Morra avrebbe dovuto non solo vigilare che tutti i candidati alle dignità ecclesiastiche di nomina arciducale fossero realmente meritevoli dell’incarico, ma anche far osservare puntualmente le prerogative di Roma nell’ambito delle provviste beneficiali. Inoltre, sarebbe stato suo compito salvaguardare le competenze del tribunale della nunziatura contro le ingerenze dei Consigli superiori fiamminghi (il Grand conseil de Malines e il Conseil privé di Bruxelles); adoperarsi affinché fossero sanati i dissidi all’interno del clero (in modo particolare tra i gesuiti e i benedettini e fra gli stessi benedettini appartenenti a diverse congregazioni); vigilare sui collegi per il clero inglese aperti a Saint-Omer e a Douai. Infine, vi era la specifica consegna di provvedere affinché dalle isole britanniche non si diffondesse nell’Europa continentale l’opera antiromana di Marcantonio De Dominis De republica ecclesiastica (il primo volume della quale era uscito nel 1617 a Londra). Sul versante più propriamente politico-diplomatico, era data istruzione di riferire a Roma «di tutti gli altri successi, così della Fiandra come de’ luoghi circonvicini […] et in specie di quelli che hanno relatione alle cose di Francia et d’Inghilterra o alle guerre d’Italia, come sarebbero levate di genti, collegationi, ambasciarie et ogni altra trattazione» (cit. in Le istruzioni generali di Paolo V, 2003, p. 1068). Durante il viaggio, Morra ebbe modo di incontrare Enrico II duca di Lorena, al quale prospettò la soluzione immaginata dalla Segreteria pontificia per assicurargli una successione (vale a dire la concessione di una dispensa affinché le sue due figlie sposassero i figli di suo fratello, il principe di Vaudémont).

Arrivato a Bruxelles in agosto, Morra dovette presto contrastare le pretese del Conseil privé (presieduto da Engelbert Maes) di sottoporre i brevi delle sue facoltà a una procedura di validazione. Scongiurata questa evenienza, si concentrò innanzitutto sulla riforma dell’Università di Lovanio, fondata da Martino V nel 1425. Qui, con l’appoggio di papa Borghese, fra il 1607 e il 1617 era stata promossa dall’arciduca Alberto una Visitatio che doveva condurre alla revisione degli statuti. Morra, già il 9 settembre 1617, diede notizia a Roma che l’ateneo aveva autorizzato l’ispezione dei commissari arciducali (Joannes Drusio e Stephan van Craesbeke) senza avvisare la nunziatura. Morra protestò, in quanto Lovanio era sottoposta direttamente alla giurisdizione della S. Sede; quindi, fece ratificare il breve che lo autorizzava a compiere accertamenti nello stesso ateneo. Così, in agosto, si recò a Lovanio e ne visitò le facoltà, le collegiate, i conventi. Diede altresì il compito ai maestri di teologia di stendere una confutazione delle tesi di De Dominis, inviata poi a Roma nell’autunno 1618. Precedentemente, il 1° settembre 1617, Morra aveva annunciato a Roma di aver dato ordine ai vescovi e al censore Laurent Beyerlinck di non ammettere l’uscita di opere che trattassero di religione o dell’autorità pontificia senza una sua espressa, preliminare approvazione. In questa materia, del resto, egli era regolarmente in contatto con il cardinale Roberto Bellarmino, che gli trasmetteva le disposizioni emanate dalla Congregazione dell’Indice.

Si sforzava nel contempo di sanare i conflitti tra i vescovi di Tournai (Maximilien Villain) e di Arras (Herman Ortenberg) e i rispettivi capitoli: il pericolo, in questi casi, era che una delle parti in contesa facesse appello al Conseil privé o al Grand conseil de Malines, in disprezzo dell’autonomia del foro ecclesiastico. Tuttavia, nemmeno un decreto del Conseil privé del gennaio 1619, con il quale si ribadiva che le cause tra i vescovi e i capitoli dovevano essere rimesse al nunzio o ad altro giudice delegato dalla Santa Sede, poté offrire rimedio ai contenziosi già in corso.

Morra si impegnò anche nel governo degli ordini monastici. Provvide al rispetto della clausura del monastero femminile agostiniano di Cambrai. Come infatti scriveva a Roma, era accaduto che «per essere dalla loro prima fondatione state instituite con obligo di servire fuori del loro monasterio persone inferme, [le monache] andavano con questa occasione liberamente per tutte le case, e vi stavano et dormivano anche la notte le settimane et i mesi intieri» (cit. in van Meerbeeck, Correspondances, 1937, p. 544). Altresì, si adoperò per ristabilire la disciplina dei celestini di Héverlé, compromessa dall’atteggiamento del loro priore (Jean Kerremans); raggiunse infine risultati di rilievo con la riforma dei domenicani di Lille.

Assunse anche le funzioni di mediatore degli interessi artistici del cardinale Scipione Caffarelli Borghese: supervisionava i lavori commissionati dal cardinal nipote di Paolo V a Jan Raes, uno dei più importanti artisti dell’arazzeria di Bruxelles, e trasmetteva a Roma copie dei modelli che questi utilizzava; in particolare, alla fine del 1617, inviò a Roma i disegni tratti dall’opera di Pietro Paolo Rubens sul console romano Decio affinché il cardinal nipote potesse ordinare in proposito «quel che più giudicarà esser servitio suo» (cit. in Tauss, 2000, p. 277).

All’inizio di novembre 1618, diede annuncio a Roma di voler intraprendere una minuziosa ispezione dei luoghi della sua nunziatura. Gli giunse però poco dopo la notizia della morte del fratello Marco Antonio, barone di Monterocchetta e di Morra (autore di una Familiae nobilissimae de Morra historia che si era concentrata sui secoli XII-XIV e che sarebbe stata pubblicata a Napoli nel 1629). Pertanto alla fine di quell’anno fece richiesta di essere richiamato a Roma per provvedere ai bisogni della famiglia e il cardinale Scipione Borghese acconsentì. Prima della partenza Morra ebbe modo di presentare agli arciduchi, il 22 febbraio 1619, il testo del costituzione Sanctissimus Dominus noster di Paolo V del 12 settembre 1617 (la quale espressamente vietava le critiche pubbliche alla dottrina dell’Immacolata Concezione). Tornò in Italia sul finire dell’estate 1619 e fu impegnato nelle vicende della successione del casato (i diritti di primogenitura spettavano al nipote Enrico, nato nel 1595).

Morì pochi anni dopo, nel 1623.

Fonti e Bibl.: Otranto, Arch. storico diocesano, Curia arcivescovile, Visite pastorali (atti della visita apostolica del 1607-08); F. Ughelli, Italia Sacra, IX, Venezia 1721, col. 65; A. Cauchie - R. Maere, Recueil des instructions générales aux nonces de Flandre (1596-1635), Bruxelles 1904, ad ind.; L. van Meerbeeck, Correspondances des nonces Gesualdo, M. et Sanseverino avec la Secrétairerie d’État pontificale, Bruxelles-Rome, 1937, ad ind.; P. Palma, La Grecia salentina e le sue fonti documentarie, in Fonti archivistiche e ricerca demografica. Atti del convegno internazionale, Trieste ... 1990, Roma 1996, pp. 737-757; S. Tauss: Dulce et decorum?. Der Decius-Mus-Zyklus von Peter Paul Rubens, Osnabrück 2000, pp. 67, 224, 276-277; Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici 1605-1621, a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad ind. (e in part. p. 1065 per le fonti manoscritte relative alla nunziatura); B. Boute, Academic interests and catholic confessionalisation: the Louvain privileges of nomination to ecclesiastical benefices, Leiden-Boston 2010, ad indicem.