DAL VERME, Luchino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DAL VERME, Luchino

Michael E. Mallett

Nato intorno al 1320 da Pietro e da Elisa de' Nogarola, apparteneva ad antica famiglia veronese. Il padre, Pietro, aveva compiuto una brillante carriera sia come uomo d'arme sia come podestà di varie città italiane ed era stato uno dei principali sostenitori di Cangrande I Della Scala. La carriera militare del D. si svolse, comunque, in gran parte al di fuori di Verona; egli fu uno dei principali condottieri italiani in un momento in cui, in Italia, predominavano capitani e compagnie stranieri.

Le prime notizie della sua carriera militare risalgono al 1341-42, quando il D. si trovava al servizio di Mastino II Della Scala nella difesa di Lucca. Quando poi il signore veronese vendette Lucca a Firenze (settembre 1341), il D. rimase a difendere la città con le truppe veronesi che aiutavano i Fiorentini contro i Pisani e i Viscontei. Il 2 ott. 1342, dopo la resa di Lucca ai Pisani, egli venne fatto prigioniero.

La difesa di Lucca fu l'ultima grande campagna di Mastino il quale, in seguito, diminuì gli impegni e le iniziative militari per cui vennero notevolmente ridotte per i condottieri le prospettive di una soddisfacente carriera al suo servizio. In questa nuova situazione il D. fu naturalmente indotto a cercare servizio presso altri signori. Comunque al suo graduale distacco da Verona contribuì anche un altro fattore. Nel 1343 egli aveva sposato Iacopa di Bonetto de' Malvicini e attraverso lei aveva ereditato considerevoli proprietà nel Veronese, in particolare Baldaria, Pussana e Cologna Veneta. Per questo patrimonio egli fu coinvolto in un'aspra controversia con Guglielmo de' Scannabicis, un bolognese amico e consigliere di Mastino II; tale controversia contribuì al distacco del D. dal regime dei Della Scala, distacco che doveva culminare nel 1354 con il suo esilio da Verona.

Nel 1350 si trovava a Parma, probabilmente al servizio del signore milanese. Almeno da questo momento ebbe inizio anche la sua amicizia con Francesco Petrarca: era tramite tra i due Giovanni da Parma, il quale si trovava allora al seguito dei D. e che fu dal 1345 al 1355 in rapporti epistolari con il Petrarca. Nelle lettere a Giovanni da Parma il poeta chiama il D. "amicus maior" e "amicus optimus", manifestando già da questo periodo l'interesse con cui seguirà la carriera del Dal Verme.

Nel 1352, dopo l'insuccesso di Giovanni d'Oleggio dell'anno precedente, il D. ricevette il comando dell'offensiva viscontea in Toscana. A differenza del suo predecessore, che aveva tentato un assalto in forze, egli organizzò una serie di incursioni in Toscana e promosse contatti con i ghibellini locali. Le sue truppe conquistarono Bettona e posero l'assedio a Montecchio, ma furono respinte dai Perugini. Nel marzo del 1353 il D. partecipò al convegno di Sarzana che pose fine a questa guerra. Fu in relazione a tali avvenimenti che il cronista Pietro Azario scrisse il famoso elogio: "Est auteni dominus Luchinus nobilis miles de nobile progenie, veronensis, formosus persona et alacer vultu, tamen ferus aspectu cum irascitur; astutus, fortis et discretus, non vitans labores et tanta facundia preclarus quod par non habetur" (p. 57). Nel 1354 il D. raggiunse il padre a Verona dove fu coinvolto nella fallita rivolta di Fregnano Della Scala, figlio naturale di Mastino II, contro il tirannico regime di Cangrande II. Nel febbraio 1354 Fregnano, aiutato da Pietro Dal Verme e Azzo da Correggio, cercò di approfittare dell'assenza di Cangrande, che si era recato in Germania, per impadronirsi del potere a Verona. Ma il pronto ritorno di Cangrande e l'ambiguo atteggiamento di R.ernabò Visconti fecero fallire il tentativo; Fregnano fu ucciso in combattimento, e il D. abbandonò Verona - con il padre e gli altri fratelli - per non tornarvi mai più.

Nel 1354 il D. ricevette da Giovanni Visconti l'incarico di difendere Bologna da poco conquistata dai Milanesi. Il 3 maggio 1355 fu nominato governatore di Genova dagli eredi del defunto Giovanni, Matteo, Bernabò e Galeazzo Visconti: a Genova ebbe occasione di conoscere Rafaino Caresini, il cancelliere veneziano inviato per perorare la causa di alcuni mercanti veneziani di fronte al nuovo governatore. In seguito alla divisione dello Stato visconteo tra Bernabò e Galeazzo, il D. in un primo momento si schierò con Bernabò e fu da questo nominato capitano generale. Fissò quindi la sua residenza a Parma e ne fece la sua base per la difesa della regione orientale dello Stato. Nel 1357 sposò in seconde nozze Beatrice di Tommaso da Enzola di Parma e ricevette la cittadinanza parmense. Nel 1359 ebbe poi il comando degli egerciti viscontei che assediavano Pavia. L'assedio durò qualche tempo grazie alla capacità dei Beccaria signori della città, di organizzare la resistenza e di suscitare il favore della popolazione, incitata da fra' Iacopo Bussolaro. Esso, peraltro, fornì al D. l'occasione di dimostrare le sue doti in questo campo: con un esercito di 5.000 uomini egli riuscì ad isolare completamente la città ed infine, il 13 nov. 1359, la costrinse alla resa.

L'anno successivo cominciarono i lavori di ricostruzione del castello pavese, lavori di cui, secondo la tradizione popolare, il D. fu in gran parte responsabile. È certo che egli si servì di Pavia come base per le campagne in Piemonte e nella zona occidentale del Milanese.

Nel 1361 Galeazzo Visconti lo nominò capitano generale in Piemonte, dandogli facoltà di stipulare alleanze e trattati di pace di propria iniziativa. Suoi principali avversari furono il marchese di Monferrato e le compagnie inglesi che, dopo la pace di Brétigny, stavano cominciando a scendere in massa in Italia. Nel 1362 il D. difese con successo Tortona dagli Inglesi e fu responsabile dello spietato incendio di Volpeghino. Nello stesso anno guidò una spedizione contro Voghera. Quando poi cadde malato a Pavia, gli Inglesi, che erano guidati da Alberto Sterz e Giovanni Acuto, tornarono all'attacco e saccheggiarono il Tortonese e il Pavese fino alle porte di Pavia. Nel 1361, con la partenza degli Inglesi per Pisa, il D. poté recuperare le città perse e conquistare Garlasco. Il 27 genn. 1364 era tra i procuratori di Galeazzo alla firma del trattato di pace tra il Visconti e la lega guelfa.

La stipulazione di questa alleanza gli permise di accettare quella che indubbiamente è la sua condotta militare più nota: quella che venne concordata il 2 febbraio del 1364 con Rafaino Caresini, rappresentante di Venezia, per assumere il comando dell'armata che doveva essere inviata a soffocare la rivolta cretese.

A Creta, infatti, i feudatari veneziani si erano ribellati nell'agosto del 1363 e la Serenissima stava cercando un comandante cui affidare l'incarico di reprimere l'insurrezione. Erano stati interpellati, senza successo, vari membri della famiglia Malatesta e c'era stati anche la proposta di dirottare a Creta la crociata organizzata da Pietro di Lusignano, re di Cipro. Ma i crociati non erano ancora pronti, di modo che verso la fine del novembre 1363 il governo veneziano ricorse al Dal Verme. Anche Petrarca, che in quel periodo si trovava a Venezia, scrisse all'amico "nulli nostrorum temporum bellicis artis secundus" (Sen., III, 9), sollecitandolo ad accettare l'incarico. Il contratto, che fu stipulato nel palazzo milanese del D., vicino a porta Romana, fissava una retribuzione di 800 ducati mensili per sei mesi, somma che doveva coprire anche i costi del seguito personale del D., 100 cavalieri e 150 fanti. Egli doveva comandare l'intera armata radunata a Venezia per la spedizione, composta da 800 cavalieri e da 2.000 fanti. Il D. giunse a Venezia il 3 marzo e il 28 marzo ricevette l'investitura del comando dal doge Lorenzo Celsi. Il 10 aprile il Petrarca scrisse da Padova al D. una lunga lettera in cui si congratulava con lui per la nomina e metteva in rilievo, con altisonanti espressioni classicheggianti, i doveri e le responsabilità di un comandante militare (Sert., IV,1).

Il 10 aprile, sotto il comando di Domenico Michiel, salparono 33 galee e 30 navi che giunsero a Creta il 7 maggio e sbarcarono l'esercito a Fraschia. Durante la marcia verso Candia l'esercito del D. ebbe una vivace scaramuccia coi ribelli cretesi, ma una volta raggiunte le mura della città, questa si arrese immediatamente. Compito principale del D. fu allora quello di impedire ai propri soldati di infierire sulla cittadinanza, compito che sembra sia riuscito ad assolvere con insolito successo. La notizia della fine della rivolta giunse a Venezia il 4 giugno e ancora una volta il Petrarca scrisse al D. per congratularsi con lui del successo (Sen., IV,2). A Venezia le celebrazioni si protrassero fino ad estate inoltrata quando il D. e le sue truppe rientrarono in città. Il D. fu ricompensato con una pensione a vita di i.000 ducati annui, un posto onorario nel Gran Consiglio e il conferimento della nobiltà veneziana.

Le notizie sugli ultimi anni della vita del D. sono incerte. Sembra che egli si sia fermato a Venezia per alcuni mesi; probabilmente vi si trovava ancora in novembre, quando uno dei suoi figli combatté in torneo con il re di Cipro. Gli storici concordano nel ritenere che dopo questa data il D. si recò in Oriente. In realtà a Venezia si stavano apprestando due spedizioni contro gli infedeli: quella del re di Cipro, che doveva conquistare e mettere a sacco Alessandria, partì da Venezia nella primavera del 1365; l'altra, la famosa crociata di Amedeo VI di Savoia, fece vela per Costantinopoli il 2 giugno 1366. Secondo un'antica tradizione il D. salpò con Amedeo, come comandante di una delle galee ricevute in prestito da Venezia e con 100 uomini d'arme offerti da Bernabò Visconti. Nelle fonti, però, mancano testimonianze al riguardo. Nel dettagliatissimo resoconto finanziario di Barbier, infatti, non si trova alcuna traccia della presenza del D. tra i crociati ed è stato provato che l'accenno della cronaca di jean Servion, su cui si basa la tradizione storiografica della sua partecipazione, è errata (D. Muratore). Né, peraltro, alcuna fonte attesta in modo sicuro che il D. fosse al seguito del Lusignano. Gli unici dati certi sono forniti da due lettere del Petrarca. Con la prima, del 10 dic. 1366 (Sen., VIII, 4), esortava il D., che si trovava in Oriente, ad interrompere la sua attività di crociato e a tornare in Italia dove lo attendeva una gloria maggiore. La seconda è la famosa lettera consolatoria scritta dal poeta il 9 giugno 1367 a Iacopo Dal Verme, figlio del D., il quale da Costantinopoli aveva comunicato al Petrarca la notizia della morte del padre e gli aveva chiesto consiglio sull'opportunità o meno di riportarne il corpo in Italia (Sen., VIII, 5).

Verosimilmente il D. morì a Costantinopoli, o nei pressi di questa città, all'inizio dell'anno 1367: forse era partito per l'Oriente dopo il gruppo principale dei crociati sabaudi e giunto così a Costantinopoli dopo la partenza di Amedeo per la Bulgaria, oppure potrebbe essere partito prima, con una spedizione autonoma, ed essere arrivato a Costantinopoli sperando di unirsi al Conte Verde. È certamente da respingere il racconto del Litta, seguito da molti storici, del suo ritorno in Italia per partecipare.alla campagna viscontea in Piemonte del 1370-71 e della sua successiva morte in Siria nel 1372. Il racconto si basa su notizie che si riferiscono sicuramente al figlio del D., Luchino Novello, che fu al servizio dei Visconti come diplomatico e militare.

Oltre al suo palazzo di Milano, sembra che il D. abbia ricevuto dal Visconti nel 1366 il feudo di Monguzzo, cominciando così la costituzione del patrimonio Dal Verme nel Milanese. Comunque negli archivi della famiglia non c'è traccia di tale concessione ed è possibile che si sia creata una certa confusione con la donazione ricevuta più tardi, nel 1380, dal figlio Iacopo. Il D., comunque, ebbe sicuramente delle terre a Meletole e a Castelnuovo di Sotto. Il nucleo principale del suo patrimonio nel Veronese gli fu confiscato da Cangrande Della Scala nel 1354. Ebbe tre figli, Iacopo che continuò la tradizione militare della famiglia e, come capitano, acquistò una fama persino maggiore di quella del padre; Luchino, che sposò la figlia del doge Simone Boccanegra; Pietro, che divenne abate di S. Andrea di Vercelli. Ebbe anche tre figlie, Villanella, che sposò Rinalduccio di Monteverde, signore di Fermo; Francesca, che divenne moglie di Antonio da Sannazzaro di Pavia; e Lucia, che sposò Giacomo del Carretto e poi Gilberto da Correggio.

Fonti e Bibl.: A parte l'episodio della spedizione cretese, che è ben documentato nell'Archivio di Stato di Venezia, le fonti sulla carriera del D. sono scarse. La migliore cronaca pubblicata è Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVI, 4, a cura di E. Cognasso, ad Indicem. Si vedano anche Guillelmi de Cortusiis Chronica de novitatibus Padue et Lombardie, ibid., XII, 5, a cura di B. Pagnin, p. 132; Raphayni de Caresinis cancellarii Venetiarum Chronica, ibid., XII, 2, a c. di E. Pastorello, pp. VII s., 14 s.; Corpus Chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1,a cura di A. Sorbelli, III, pp. 17 s. Sulla spedizione cretese si vedano: I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, III, Venezia 1883, pp. 26 s.; Diplomat. Venero-Levantinum, 1351-1454, a cura di G. M. Thomas, II, Venezia 1899, pp. 395 ss.; M. Sanuto, Vite de' duchi di Venezia, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXII, 4, a cura di G. Monticolo, ad Indicem; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetiarum ab urbe condita, Basileae 1556, dec. 2, lib. iv; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, III,Venezia 1861, pp. 159-66; J. Jegerleluier, Der Aufstand der Kandiotischen Ritterschaft gegen das Mutterland Venedig, in Byzantinische Zeitschrift, XII (1903), pp. 78-125; N. Iorga, Philippe de Mézières (1327-1405) et la croisade au XIVe siècle, Paris 1896, pp. 328-36; D. Muratore, La nascita e il battesimo del primogenito di Giangaleazzo Visconti e la politica viscontea nella primavera del 1366, in Arch. stor. lombardo, s. 4, IV (1905), p. 278 n. 3; K. M. Setton, The Papacy and the Levant (1204-1571), I, Philadelphia 1976, pp. 254 s., 260 n. 6, 291 s. Sui rapporti tra il D. e il Petrarca si vedano: G. Fracassetti, Le lettere senili di Francesco Petrarca, Firenze 1869, III, 9; IV, 1, 2; VIII, 4, 5; M. Tabarrini, Francesco Petrarca e L. D., Roma 1892; G. Gerola, Luoghi e Persone di alcune lettere di Francesco Petrarca, in Nuova Antologia, 1° luglio 1908, p. 82 ss.; E. H. Wilkins, Petrarch's Later Years, Cambridge, Mass., 1969, pp. 69-74, 98, 111, 114 s.; A. Foresti, Aneddoti della vita di Francesco Petrarca, Padova 1977, pp. 115, 346-49, 441. Ulteriori notizie sul D. in P. Litta, Le fam. celebri ital., sub voce Dal Verme di Verona, tav. I; C. Argegni, Condottieri, capitani e tribuni, II, Milano 1936, pp. 223 s.; Repertorio diplom. visconteo, I,Milano 1911, 3 maggio 1355; B. Corio, Storia di Milano, II, Milano 1856, pp. 168, 171, 201, 213, 240; G. Ghilini, Annali di Alessandria, Milano 1866, p. 71; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, I,Torino 1893, pp. 295-99, 318; C. Magenta, Visconti e Sforza nel castello di Pavia, Milano 1883, I, pp. 58 ss., 71; II, p. 9 n. 3; A. Sorbelli, La signoria di Giovanni Visconti a Bologna, Bologna 1898, pp. 40, 159; L. Bignami, Condottieri viscontei e sforzeschi, Milano 19343 pp. 41-46; L. Simeoni, Le Signorie, I,Milano 1950, pp. 140, 240; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V,Milano 1955, pp. 351, 416, 420; Verona e il suo territorio, IV,1 Verona 1981, pp. 85-88.

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