LUCERNA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

Vedi LUCERNA dell'anno: 1961 - 1973 - 1995

LUCERNA (v. vol. IV, p. 707 e s 1970, p. 419)

P. Vecchio
A. Speziale
M. Michelucci
C. Pavolini
A. A. Di Castro
F. Rispoli

Egitto e Vicino Oriente. - L'area vicino-orientale è precocemente caratterizzata da utensili per illuminazione piuttosto semplici, la cui peculiare forma aperta rimarrà quasi inalterata per secoli. In alcune tipologie (Galling, 1923; Kennedy, 1963) la scelta di un criterio di assegnazione cronologica è fondata sulla diversa realizzazione del beccuccio, senza considerare variabili intrinseche alla resa tecnica del manufatto. In realtà, pur considerando il criterio morfologico come uno dei fattori sostanziali dell'evoluzione della l., questa non si articola secondo una linea univoca di sviluppo, ma si differenzia in varianti regionali, o in tipologie limitate a un determinato periodo.

Per quanto concerne l'Egitto, in alcuni testi funerari dell'Antico Regno appare, quale determinazione ideografica per la parola l., una forma tipologica attestata per quest'epoca da rinvenimenti in tombe, con esemplari sia in ceramica sia in metallo: un piattino basso contenente uno stoppino immerso in olio o grasso. Nel Medio Regno compare un tipo di l. più massiccio modellato in arenaria; ne sono stati trovati esemplari in tombe della XII dinastia da el-Lišt e sotto la piramide di Sesostris II a el-Lahun (Hayes, 1960). Questi hanno base piana e il corpo, con profilo svasato verso l'esterno, assume in alcuni casi la fiinzione di supporto per l'alloggiamento di un piattino con foro centrale per l'inserimento dello stoppino; l'orlo, largo, presenta un solco che corre tra il bordo esterno del supporto e il piattino. Tale caratteristica ha suggerito l'ipotesi che il canale fosse destinato a contenere dell'acqua che avrebbe mantenuto la pietra umida evitando l'infiltrazione dell'olio. Sempre al Medio Regno appartengono l. fittili che riprendono il tipo in pietra ma con una sostanziale trasformazione: la cavità centrale che accoglieva lo stoppino (o, come suggerirebbero alcuni ritrovamenti, semplice ricettacolo per la combustione di sostanze aromatiche) si restringe e la l. diventa un recipiente chiuso. In alcuni casi un foro sulla parete testimonia un alloggiamento per lo stoppino diverso dal foro centrale.

Per il Nuovo Regno è attestato un tipo di l. a piattino con depressione centrale molto accentuata e base piana distinta (Anthes, 1959).

Talvolta i corredi funerarî di personaggi di rango reale forniscono esemplari unici: nella tomba di Tutankhamon un recipiente in calcite a forma di coppa aveva lo stoppino posto vicino la base in modo da diffondere la luce attraverso la pietra traslucida (Carter, 1927).

Le l. usate per l'illuminazione domestica erano sistemate in piccole nicchie nel muro o su sostegni provvisti di ganci: in qualche caso le l. erano poste su sostegni cilindrici o su colonnette papiriformi.

L'area che ha fornito il maggior numero di l. è quella siro-palestinese, ove la prima attestazione risale alla fine del IV millennio; ad Azor in epoca protourbana (3300- 3000 a.C.), ad ‘Arād, e in seguito a Gerico nel Bronzo Antico, la l. presenta un tipo di coppa emisferica poco profonda fatta a mano con argilla grossolana. La forma evolverà nel tipo a coppa bassa o a «piattino» (Schalenlampe, saucer lamp) con le pareti schiacciate in un punto del bordo per dare sede allo stoppino. Nei primi esemplari, che risalgono al Bronzo Antico III (c.a 2500-2300 a.C.), il corpo non è molto profondo, la base è per lo più lievemente convessa o piana e l'orlo, non accentuato, rimane indistinto dalla parete. Nella maggioranza dei casi l'argilla è grossolana, poco purificata e poco cotta, e risulta assente qualunque trattamento della superficie.

Un altro tipo di l. a quattro becchi, lavorata al tornio, con base circolare piana e larga, faceva parte del corredo di numerose tombe rinvenute a Gerico e Khirbet Kufin, datate nel periodo intermedio tra Bronzo Antico e Bronzo Medio (c.a 2250-2000/1900 a.C.). La produzione di questo tipo di l. si affianca a quella monolicne fino circa ai primi secoli del II millennio a.C. (Bronzo Medio II A, c.a 2000-1900/1800 a.C.), per poi essere definitivamente sostituita, nel corso del Bronzo Medio II B, dalla l. a un solo beccuccio che diventa il tipo predominante. La repentina apparizione delle l. quadrilobate e la loro altrettanto rapida scomparsa vengono messe in relazione con le vicende storiche legate all'infiltrazione di genti amorree in quest'area (Kennedy, 1963).

Nel corso del Bronzo Medio la l. monolicne subisce pochi cambiamenti morfologici: lo schiacciamento del beccuccio appare ancora poco accentuato, l'orlo è indistinto o lievemente ingrossato all'interno, la base è convessa o leggermente arrotondata.

Un particolare tipo di l. su alto piede a tronco di cono con base lievemente strombata è presente nella Palestina settentrionale (alta Galilea), e proviene da una grotta di culto che ha restituito materiali datati al Bronzo Medio I (Tadmor, 1978). Tali l., lavorate a mano abbastanza grossolanamente e dotate di un numero di beccucci variabile da uno a tre, si collocano dunque in una fase intermedia tra le l. su piede del santuario A di Ai del Bronzo Antico III e i successivi «calici» per illuminazione o per bruciare incenso rinvenuti in contesti del Bronzo Medio II a Gerico e a Baghuz (Siria).

Nel Bronzo Tardo (seconda metà del II millennio a.C.) la piegatura del beccuccio appare più pronunciata, il bordo è decisamente rivolto all'interno e la l. assume una forma triangolare. Ma è soprattutto nelle fasi del Bronzo Tardo II Α-B che le l. si sviluppano secondo numerose linee evolutive: il serbatoio diventa più largo e profondo, il becco più a punta, i bordi quasi si toccano a causa dell'accentuato schiacciamento che conferisce a queste l. il tipico profilo saliente. Alla fine del Bronzo Tardo si registra inoltre una tendenza a piegare il bordo verso l'esterno, contrariamente al periodo precedente, con orli lievemente ingrossati e introflessi. La base piana distinta e circolare, che aveva fatto sporadiche apparizioni durante il Bronzo Medio, trova ora una definitiva affermazione (Tell Abu Hawam). Il fondo risulta ispessito e la base piatta è il frutto di un taglio effettuato mediante una cordicella (string-cut base lamp). La piegatura del beccuccio si accentua: si allunga e si incurva verso l'interno come attestato a Hazor (c.a XIV sec. a.C.) e a Tiro, strato XVI, con beccuccio quasi strozzato verso l'interno e un'accentuata carenatura esterna del serbatoio.

Nel passaggio all'Età del Ferro le l. mantengono la forma precedente, sebbene l'orlo diventi più largo e piano. Nel Ferro I (1200-930 a.C.) si distinguono due tipi di l. nell'area settentrionale: uno relativamente piccolo con base piana, orlo distinto a tesa e beccuccio maggiormente appuntito, l'altro più grande con base convessa. Quest'ultimo è presente anche nell'area meridionale. Nel Ferro II (930-586 a.C.) Α-B la l. con base arrotondata è il tipo prevalente nel Ν come nel S; spesso tali l. hanno un orlo più largo e più pronunciato che nel periodo precedente.

A Samaria nel IX sec. a.C. compare un tipo di l. assolutamente nuovo per l'area palestinese: la l. a due becchi con base convessa e orlo indistinto, il cui prototipo si può far risalire a esempì isolati di l. bilicni degli strati Η e G di Hama, databili al secondo e terzo quarto del II millennio, che presentano un serbatoio poco profondo e una base piana distinta.

Al Ferro I e II appartengono numerose l. a cinque o sette becchi, per lo più su alto piede cavo o su spessa base piana (Megiddo, Tel Dan, e per la Siria Ḥama). Tali manufatti, che alcuni autori vorrebbero legati all'ideologia religiosa ebraica e all'iconografia del candelabro a sette bracci gerosolimitano, proseguono piuttosto una tradizione tipologica che risale all'Età del Bronzo (XVII-XVI sec. a.C.), e che trova esempî a Ras Šamra-Ugarit.

Più legati alla sfera cultuale risultano invece alcuni sostegni per I., appartenenti al IX-VIII sec. a.C. e provenienti da Buṣayra e Bet Šemeš, che raffigurano divinità femminili (lamp-goddesses o votive lamps): il corpo è campanaio e le braccia tengono un disco davanti al petto. Le teste sostengono l. bilicni. Esemplari simili provengono da Gezer, ma rimane incerta l'area di origine del tipo: in assenza di una chiara provenienza palestinese sembrano il prodotto di ateliers influenzati da ceramisti fenici (Harding, 1937; Isserlin, 1976).

Un tipo particolare è la c.d. cup and saucer lamp che compare per la prima volta nel Bronzo Tardo (c.a XIII sec. a.C.) e che continua a essere attestata in molti siti palestinesi (Gezer, Lakiš, Megiddo) fino al VI sec. a.C. Essa è composta da una coppa poco profonda entro cui trova posto un altro recipiente configurato in numerose varianti: cilindrico con orlo svasato (Samaria), imbutiforme con orlo diritto (Megiddo) oppure nella foggia tipica della l. monolicne posta su un pilastrino al centro della coppa sottostante con ansa impostata lateralmente sui due orli (vi sono anche esemplari a doppia l. sovrapposta: Weinberg, 1979). La funzione di questi recipienti è incerta; è possibile che tale produzione sia influenzata da un tipo di l. egiziana a piattino con umbone centrale molto rilevato.

In epoca persiana scompare la l. a piattino su piede e si diffonde dal VI sec. a.C. un tipo a base piana con orlo a tesa molto larga nettamente distinto dal serbatoio, che si presenta ampio e molto basso e con il beccuccio stretto e appuntito. Durante la tarda epoca persiana (fine V sec. a.C.), l'influenza che esercitava la massiccia presenza di l. greche nel Vicino Oriente conduce alla creazione di uno strumento per illuminazione più consono ai parametri funzionali ellenici: stabilità, migliore contenimento del combustibile, durata. Infatti la l. siro-palestinese si riduce nelle dimensioni, abbandona l'orlo a tesa, riduce lo schiacciamento del beccuccio, tende a racchiudere il serbatoio ed è prodotta con argilla cotta ad alte temperature.

A Cipro le l. a piattino di tipo siro-palestinese si trovano per la prima volta in una tomba di Enkomi datata al Cipriota Recente II (c.a 1400-1230 a.C.). Nel Cipriota-Geometrico II (c.a 950-850 a.C.) appare occasionalmente una variante locale del tipo dell'Età del Ferro siro-palestinese, presente in maniera sporadica anche nel Cipriota-Geometrico III (c.a 850-750 a.C.): questa ha una base alta e stretta, e un serbatoio più profondo di quella siriana. Ancora databili al Cipriota-Geometrico II sono alcune l. a coppa profonda con base ad anello e orlo schiacciato a formare un becco largo. Fra l'VIII e il VI secolo a.C. oltre alla l. monolicne1 appare la variante bilicne - rara sulla costa siriana - con il basso gradino che all'interno distingue l'orlo dalla parete. I due tipi di l. «siro-cipriote» rappresentano il punto di partenza per lo sviluppo della l. nelle colonie fenicie d'Occidente, accompagnandone le fasi più antiche come testimoniano i corredi funerari contemporanei alla fondazione di Cartagine (fine VlII-inizî VII sec. a.C.) e i contesti spagnoli di Almuñé- car dello stesso periodo. Accanto ai più rari esemplari di l. monolicne, la l. a due becchi persisterà per secoli nell'Occidente fenicio-punico dove evolverà, soprattutto in ambito nord-africano e in epoca tardo-punica, nella variante a lobi chiusi, beccucci tubolari e serbatoio profondo a sezione triangolare.

Al Cipriota-Arcaico II (c.a 600-475 a.C.) appartengono particolari «lucerne» con manico posto fra i due becchi, piegato verso il basso. In un esemplare dalla necropoli di Salamina (Karageorghis, 1967) sono state rinvenute tracce di cenere; l'assenza di orlo sul lato opposto ai becchi ha fatto pensare a una paletta, o a un sostegno portatile. Qualunque sia la loro funzione, non si ha la prova di un utilizzo posteriore al IV sec. a.C.

In Mesopotamia le l. appaiono dall'inizio del IV millennio: provengono da Teli Arpaciya, Čagar Bazar e Teli Ḥalaf. Si tratta di coppette miniaturistiche con l'orlo lievemente piegato e annerito dal fumo (von Oppenheim, 1931).

Dall'epoca di Ğemdet Naṣr fino alla metà del III millennio è diffuso l'uso di grandi conchiglie marine (tridacne, trombe di mare, tritoni), da cui venivano asportate la columella e una parte della parete ottenendo così recipienti di lunghezza variabile fra i 15 e i 20 cm, la cui funzione rimane ancora incerta. Woolley (1934) ipotizzava che fossero l., e il fatto che non avessero tracce di fuliggine sarebbe connesso alla loro destinazione come offerta funeraria. In realtà le numerose conchiglie trovate negli strati sumerici di gran parte delle città mesopotamiche (Fara, Kiš, Tellō, Ur) sembrano piuttosto rappresentare oggetti ricercati e di lusso, come testimoniano le decorazioni zoomorfe incrostate di pietre preziose o l'iscrizione regale di Ur-Ningirsu da Tellō. La loro destinazione potrebbe essere piuttosto quella di recipienti per contenere sostanze quali olii, unguenti o belletti.

All'inizio del III millennio oltre al tipo della conchiglia si diffonde in Mesopotamia un tipo di l. su modello della coppetta preistorica, che assume la forma di coppa ovale o allungata, aperta, a base piana.

Per il periodo accadico (2350-2150 a.C.) sono presenti l. circolari o quadrate in argilla, provenienti da Kiš, con pareti decorate con rilievi. A queste si affianca la produzione di recipienti a forma di conchiglia, sia in pietra che in metallo (Frankfort, 1934), il cui uso resta incerto.

Alla fine dell'epoca paleobabilonese, che aveva visto il diffondersi di un tipo di l. a piattino poco profondo in argilla o in metallo, fa la sua apparizione la l. in forma di scarpa schematizzata, o «a pantofola» (pipe-lamp, Tüllenlampe); essa è caratterizzata da un corpo con apertura svasata per l'immissione del combustibile e da un’estremità appuntita forata per l'inserimento dello stoppino (da Tell Asmar, epoca tardo-gutea o Ur III, c.a 2000 a.C., provengono i primi esemplari: Delougaz, 1952). Questo tipo di l. si trova sia in ceramica sia in bronzo, ed è presente fino all'epoca seleucide. In epoca tardo-assira e neo-babilonese la forma evolve leggermente: il corpo diventa più globulare, la base è piana o lievemente convessa, il collo strombato e distinto dalla spalla con un gradino; il beccuccio è modellato a mano e successivamente attaccato al corpo. La variante assira del tipo non è panciuta, e ha uno stretto collo con orlo estroflesso e ingrossato; inoltre in quest'epoca è frequente un'invetriatura verde. A Forte Salmanassar (Nimrud) la pipe-lamp rimane inalterata fino ai livelli ellenistici, ma dagli strati successivi al 612 a.C. provengono le cup and saucer lamps del tipo noto in Siria-Palestina; un esemplare è stato tovato anche in livelli tardo-assiri da Teli ar-Rlma.

Nell'Elam la prima l. attestata è del tipo shell lamp, presente una sola volta a Susa e poi rapidamente scomparsa. Ancora a Susa appare un tipo specificò di l. chiusa del tipo «a pantofola» di ascendenza mesopotamica, in bronzo e probabilmente di epoca tarda. È durante il periodo medioelamita che compaiono in tombe a camera da Čoqā Zanbil ciotole utilizzate come l., e dei piccoli recipienti con piede cilindrico, corpo globulare lievemente schiacciato e una stretta imboccatura annerita dal fumo. Questo tipo di l. verticale - presente anche in bronzo - che evidentemente doveva utilizzare come combustibile un olio altamente fluido (petrolio?), si diffonde in epoca neo-elamita.

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Area mesopotamica: E. Heinrich, W. Andrae, Fara. Ergebnisse der Ausgrabungen der Deutschen OrientGesellschaft in Fara und Abu Hatab 1902/1903, Berlino 1931, tavv. X, e-i; XXXVIII, 1-4; M. von Oppenheim, Der Tell Halaf, Lipsia, 1931, tavv. LI, 5; LV, 13; LXXXVII, 5-6; H. Frankfort, Iraq Excavation of the Oriental Institute 1932/1933, Chicago 1934, pp. 38-39, fig. 34; C. L. Woolley, The Royal Cemetery. Ur Excavations II, Londra 1934, tavv. CL, a; CLXXIII, a; M. E. L. Mallowan, j. Cruikshank Rose, Excavations at Tall Arpachiyah, 1933, in Iraq, II, 1935, pp. 72-73 fig. 44, 9-11; pp. 75-77, fig. 43, 5; M. E. L. Mallowan, The Excavations at Tall Chagar Bazar and an Archaeological Survey of the Khabur Region, 1934-5. Part I, ibid., III, 1936, pp. 1-86; A. Parrot, Tello. Vingt campagnes de fouilles (1877-1933), Parigi 1948, p. 209; P. Delougaz, Pottery from the Diyala Region, Chicago 1952, tavv. CLXVII; CXXX, h, i; C. L. Woolley, The Early Periods. Ur Excavations Reports IV, Londra 1955, tavv. XIX, 10; XXXIII; D. e J. Oates, Nimrud 195J: the Hellenistic Settlements, in Iraq, XX, 1958, pp. 114-157; J. Oates, Assyrian Pottery from Fort Shalmaneser, ibid., XXI, 1959, pp. 130-146, tav. XXXIX, 104-106; R. D. Barnett, Hamat and Nimrud, Shell Fragments from Hamath and the Provenance of the Nimrud Ivories, ibid., XXV, 1963, pp. 81-85; J. M. Aynard, Coquillages mésopotamiens, in Syria, XLIII, 1966, pp. 21-37; E. Strommenger, Gefässe aus Uruk von der neubabylonischen Zeit bis zu den Sasaniden, Berlino 1967, tavv. XII, 1-2; XXXV, 7; McGuire Gibson, Excavations at Nippur. IIth Season, Chicago, 1975, p. 39, fig. 34, l.

Area cipriota: E. Gjerstad, The Swedish Cyprus Expedition I, Stoccolma 1934, tav. CXLIX, 13; id., Cypro Geometric, II, Lamps, in Opuscula Archaeologica, IV, 1946, pp. 19-20, fig. Ι b; id., The Swedish Cyprus Expedition IV, 2, Stoccolma 1948, pp. 169-171, 402-403, fig. 37, 9-22; M. V. Seton-Williams, The Lamps and Miscellaneous Objects, in J. Du Plat Taylor, Myrtou-Pigadhes. A Late Bronze Age Sanctuary in Cyprus, Oxford 1957, pp. 75-77; V. Karageorghis, Excavations in the Necropolis of Salamis J., Nicosia 1967, tav. CXXIV, 4; A. Caubet, M. Yon, Deux appliques murales chypro-géométriques au Louvre, in Reports of the Department of Antiquities of Cyprus, 1974, pp. 112-131; V. Karageorghis, Excavation at Kition, I. The Tombs, Nicosia 1974; T. Oziol, Lès lampes du Musée de Chypre. Salamine de Chypre, VII, Parigi 1977; J. C. Courtois, C. Lagarce, E. Lagarce, Enkomi et le Bronze Récent à Chypre, Nicosia 1986.

Area elamita: R. Ghirshman, Tchoga Zanbil. I, Parigi 1966; M. Ghirshman, Tchoga Zanbil. II, Parigi 1968, p. 101 ss., tavv. XCIX, LXVI, 3; P. Amiet, Lampes élamites, in Le feu dans le Proche-Orient Antique. Actes du Colloque de Strasbourg 1972, Leida, 1973, pp. 1-8.

(P. Vecchio)

Civiltà egee dell'Età del Bronzo. - Le l. più antiche rinvenute a Creta, provenienti da Sphoungaras, sono databili all'Antico Minoico II. Si tratta di basse vaschette in argilla grossolanamente lavorata, prolungate anteriormente a formare un beccuccio, con manichetto posteriore a bastoncello e, talora, pieducci.

Forme più evolute si trovano in contesti del Medio Minoico IA, sia in argilla sia in pietra, con scodellino accuratamente lavorato e con ansa posteriore ad anello o a bastoncello.

In età protopalaziale la l. è estremamente diffusa, come utensile maneggevole e facilmente trasportabile, documentato in tre tipi differenti. La forma più comune è quella a ciotolina, con il beccuccio che si allunga progressivamente durante il Medio Minoico, con due presine a bottoncino sulla parete laterale e ansa posteriore ad anello negli esemplari rinvenuti nell'area orientale dell'isola, orizzontale-obliqua nella zona centro-meridionale. Le l. del palazzo di Mallia presentano spesso un pieduccio troncoconico cavo, funzionale per isolare la vaschetta con il combustibile bollente. A Festo, nell'arco delle diverse fasi della vita del Palazzo, risulta ben documentata la tendenza della spalla a chiudersi sul serbatoio. Il fatto è probabilmente spiegabile con la volontà di coinvolgere nella combustione una quantità minore di ossigeno, per renderla più costante e più lenta. Un secondo tipo di l. (diffusa soprattutto nel Medio Minoico III, particolarmente a Ceo nel periodo V di Haghia Irini) ha la forma di un piattello dal profilo troncoconico, con ampia spalla su cui è ricavato un beccuccio a sguscio e manichetto posteriore a bastoncello. Il terzo tipo è costituito da uno skutèli (piccola ciotola priva di anse) grossolanamente inserito in un alto piede troncoconico, con due sgrondi sulla vaschetta.

Il materiale comunemente adoperato durante il Medio Minoico è l'argilla grezza di colore rosso-mattone, ricca di inclusi e talora lucidata alla stecca. I pochi esemplari in pietra sono per lo più in serpentino. I tipi medio-minoici sono attestati tanto nei centri abitati quanto nelle tombe, dove la loro presenza è anzi costante.

Nel Tardo Minoico I non si registra alcuna innovazione nella forma e nel materiale adoperato, fatto spiegabile probabilmente sia con l'aumento delle l. in pietra (talora di dimensioni monumentali, con forme e motivi decorativi che passeranno al mondo miceneo), sia con l'uso degli skutèlìa come l., come dimostrano le tracce di bruciato su numerosi esemplari.

Del Tardo Minoico II è una l. in bronzo proveniente da Cnosso, con basso serbatoio, orlo ribattuto con decorazione a sbalzo, beccuccio e lungo manichetto posteriore a bastoncello forato per l'inserimento di una catenina. Questa forma, con poche varianti, si ritrova nel Tardo Elladico II-IIIB del continente greco.

In contrasto con la varietà del mondo minoico, la Grecia continentale in età tardo-elladica presenta l. in argilla di forma estremamente semplificata: si tratta per lo più di ciotoline in argilla grossolana, con beccuccio e lunga ansa posteriore a bastoncello, spesso forata all'estremità e ricurva verso il basso per rendere l'utensile più stabile.

Il Persson ritiene che siano l. anche alcuni particolari utensili a bassa vaschetta e ansa a bastoncello verticale, senza beccuccio, nonché i c.d. ladles (attingitoi), ciotoline con un lato leggermente prolungato, senza manico.

La presenza di questi utensili, oltre che negli abitati, anche nelle tombe, in particolare all'interno dei dròmoi, può essere giustificata dalla necessità di illuminare il corridoio durante la sepoltura.

Mancano, con il declino della cultura micenea, testimonianze di manufatti esplicitamente creati per l'illuminazione.

Bibl.: H. Hall, Excavations in Eastern Crete. Sphoungaras, Filadelfia 1912, p. 50, figg. 22 a, 27 f; A. Furumark, The Mycenaean Pottery. Analysis and Classification, Stoccolma 1941, pp. 77-78; A. W. Persson, New Tombs at Dendra near Midea, Londra 1942, pp. 102-111; H. W. Catling, Cypriot Bronzework in the Mycenaean World, Oxford 1964, pp. 182-184; P. Warren, Minoan Stone Vases, Cambridge 1969, pp. 49-60; L. Mercando, Lampade, lucerne, bracieri di Festos (scavi 1950-1970), in ASAtene, LII-LIII, n.s. XXXV-XXXVI, 1974-1975 (1980), pp. 15-167; D. Levi, Festòs e la civiltà minoica, Roma 1976; I. L. Davis, Keos V. Ayia Irini: Period V, Magonza 1986; a. Speziale, Considerazioni sulle lucerne medio minoiche da Festòs, in Sileno, XIX, 1993, in corso di stampa.

(A. Speziale)

Mediterraneo orientale. - Rispetto alla quantità e alla specializzazione che caratterizzano da qualche decennio le numerosissime pubblicazioni sulle l. del Mediterraneo occidentale, gli studi su questa classe di materiale rinvenuta nel bacino orientale risultano da un lato meno numerosi, dall'altro maggiormente improntati a edizioni all'interno di complessivi contesti di scavo. Sono stati generalmente ampliati i dati relativi alla determinazione delle tipologie e alla diffusione delle diverse produzioni, mentre, per quanto riguarda la cronologia, sono state apportate utili precisazioni, integrazioni o correzioni ai dati già noti.

Produzioni dal VII al III sec. a. C. - Una nuova problematica è stata evidenziata a partire dagli anni '70 ed è quella relativa alla produzione e all'esportazione delle l. «ioniche» nel VI sec. a.C., in connessione alla grande diffusione per via marittima delle ceramiche microasiatiche da mensa in età arcaica in tutto il bacino del Mediterraneo: analogamente a quanto ampiamente testimoniato per queste ultime, è evidente l'influsso che questa produzione di l. esercitò nelle località nelle quali veniva massicciamente importata, sino alla Sicilia, all'Italia meridionale, all'Etruria. Lo stesso beccuccio a ponticello di invenzione microasiatica, unitamente alla decorazione a fasce orizzontali, venne ovunque presto recepito quale essenziale miglioramento tecnico, dando luogo, come per la ceramica da mensa, a produzioni locali di imitazione non sempre agevolmente identificabili.

Relativamente alla tarda età classica e al primo ellenismo, l. prodotte localmente e imitanti quelle esportate dalle fabbriche ateniesi sono state individuate a Corinto, a Lemno, a Taso, a Tarso, a Mileto, nell'Egitto tolemaico, a Cipro, oltre che in Sicilia e Magna Grecia. In molti casi il corpo biconico che caratterizza molteplici tipi di l. prodotte al tornio dalla seconda metà del III sec. a.C. può essere considerato diretta influenza - quale tentativo di adeguamento formale in officine tecnicamente attardate - di tipologie imposte dalla nuova tecnica di produzione a stampo, rapidamente affermatasi e a sua volta dipendente dall'imitazione dei costosi e rari esemplari in bronzo, soprattutto per quanto riguarda le decorazioni. Produzioni al tornio caratterizzate da ampia spalla carenata liscia, infundibulum concavo, spesso rilevato e sempre ben distinto dalla spalla, sono state accertate, oltre che ad Atene, nell'Egitto tolemaico. Qui ancora durante il II sec. a.C. viene prodotto per uso esclusivamente locale e forse legato a fattori rituali, un tipo di l. a vaso, la «Pitcher Lamp», interamente eseguita al tornio e morfologicamente del tutto isolata.

Produzioni dal III al I sec. a. C. - Sulle l. più comuni nella tarda età ellenistica, le efesie e le cnidie, numerose sono state le conferme circa la loro grande diffusione per via marittima, con l'accertata predominanza del tipo efesio. Se si escludono i già noti casi di imitazione prodotti dalle officine ateniesi, rimane solo un'ipotesi che questi tipi - e ciò vale soprattutto per le cnidie - abbiano avuto centri di produzione diversificati in ambito microasiatico. Per quanto riguarda la loro cronologia, alcuni dati di scavo hanno accertato che le partizioni interne del tipo efesio basate su alcune caratteristiche dell'infundibulum sono prive di valore e che il termine finale della produzione di entrambi i tipi è da porre in piena età augustea. Essi furono soppiantati rapidamente e definitivamente dalla massiccia importazione, anche nel bacino orientale del Mediterraneo, delle l. a disco decorato di produzione italica e dalla locale precoce nascita di filiali e officine di imitazione dei tipi importati. Fabbriche che producevano forme di gusto ellenistico, caratterizzate dall'ampia spalla convessa decorata da rilievi fitomorfi o di carattere geometrico e dal lungo becco più o meno appuntito, tutte ispirate a forme metalliche, sono attestate anche a Cipro, a Creta, a Lemno e in Egitto, ma i centri di produzione sono assai più numerosi. La diffusione resta limitata all'ambito locale o, per quanto riguarda l'Egitto, Cipro e la Palestina, nell'area di influenza politica dei Tolemei.

La produzione di Efestia, a Lemno, databile dalla fine del III al primo decennio del I sec. a.C., dipende, per quanto riguarda le forme, dalle fabbriche attiche e per le decorazioni da quelle pergamene. Sulla diffusissima produzione attica, scavi condotti al Ceramico e a Kenchreai hanno contributo a puntualizzare cronologicamente alcuni tipi.

Produzioni dal I al III sec. d. C. - Ai già noti elementi sui prodotti a becco corto rotondo delle fabbriche corinzie e ateniesi, durante il I e II sec. d.C., si possono aggiungere alcuni dati relativi alla concorrenza commerciale fra le due produzioni: durante il III sec. in gran parte del Mediterraneo orientale le l. corinzie vengono gradatamente sostituite da quelle attiche, che nel secolo successivo raggiungono la massima diffusione, giungendo sino alle coste del Mar Nero. È stato supposto che molte officine si siano trasferite da Corinto ad Atene a partire dalla fine del II sec.; di ciò sarebbero testimonianza, oltre alla ripresa di forme e decorazioni corinzie nella produzione attica, alcuni marchi, come quello πρειμου, che cessano di esser apposti sui prodotti corinzi per continuare su quelli attici, dopo una breve fase di contemporanea presenza su entrambe le produzioni. Altri dati relativi alla nascita e allo sviluppo di alcune produzioni sono basati sullo studio dei marchi di fabbrica: importante è la produzione cnidia, senza soluzioni di continuità rispetto all'età ellenistica. Essa realizza precocemente l. di tipo I e IV Loeschcke e XXI Broneer, ma ha una grande fioritura dall'età flavia sino almeno alla metà del II sec. con l'affermarsi della fabbrica di Romanesis, le cui esportazioni raggiungono oltre che la Libia e la Sicilia anche l'Italia peninsulare. Nella produzione cnidia le l. a becco corto rotondo sono caratterizzate dalla frequentissima assenza dell'ansa e da una serie di tagli particolari del becco; abbastanza comuni sono anche le l. a sostegno e configurate. Tale produzione, cui si attribuiscono anche i marchi minori επαγα/θου e πapac/n[-]iac, si estingue alla fine dell'età severiana, imitando le caratteristiche formali e decorative dei prodotti corinzi. La peculiarità dell'assenza dell'ansa è assai frequente anche sulle forme a becco corto rotondo fabbricate a Tarso, a Cipro e in Siria. Alla produzione cipriota sono attribuiti i marchi epmiano (III sec.), παυλου (c.a 150-250 d.C.), eiphnnioc (III-IV sec.), οφιριδωνοο (III-IV sec.). La produzione di Tarso, nella quale è peculiare un tipo a becco arrotondato cortissimo, quasi fuso nella spalla, risulta esportata in Egitto, in Siria e a Cipro nel corso dell’inizio del III sec. d.C. Attribuito alla Siria è il marchio θεολογου, del II-III sec. d.C. Non chiariti sono i rapporti che alcuni marchi latini, come strobili o phoetaspi/s, frequenti su prodotti egiziani, hanno con le corrispondenti officine in Italia, mentre sicuramente egiziani sono i marchi ευφραν e κερδνν (sic), su l. del II e III sec. d.C.

In numerosi centri dell'Asia Minore sono presenti produzioni locali, talora con marchio in caratteri greci e con peculiarità nella resa dei dettagli, quali la presenza di un'ansa posteriore a largo nastro solcato, eseguita e applicata a mano, o la forma del becco, desinente ad arco, ma fiancheggiato da volute simili a quelle associate al becco angolare. È verosimile che molti dei centri microasiatici che battevano moneta nei primi tre secoli della nostra èra possedessero proprie produzioni di ceramica d'uso e che molti di essi - e comunque in quantità assai maggiore di quella per cui si hanno dati certi in merito - accanto a queste produzioni avessero sviluppato quella di l. in terracotta. Il procedere delle ricerche sul terreno e soprattutto l'edizione degli scavi già condotti potranno portare contributi determinanti a chiarire questo complesso quadro, che permane finora non privo di oscurità. Per quanto riguarda un centro minore, lasos di Caria, due ripostigli databili attorno alla nascita di Cristo hanno restituito, in contesto cronologicamente ristretto, l. di produzione microasiatica associate ad altre della stessa tipologia (ma sicuramente importate dall'Italia), a l. di tipo efesio e cnidio e a ceramica sigillata orientale. Fra i marchi delle l. microasiatiche sono attestati νικοδη/μου, υακιν/θου, ykc, dei quali resta incerta l'attribuzione al piccolo centro cario. A Creta si rielaborano sino al IV sec. e con un persistente conservatorismo sia nelle forme che nelle decorazioni i modelli sia di produzione italica che greco-continentale. Anche queste fabbriche risultano avere un raggio di diffusione dei loro prodotti limitato e del tutto isolata è una produzione, con matrici importate, di tipi egiziani. Peculiari e assai sviluppate sono le fabbriche egiziane, alla quali è da attribuire la produzione di una variante rara del tipo III Loeschcke, quella a becco angolare fra semivolute, databile dopo la metà del I sec. d.C. Per quanto riguarda la produzione successiva, alcuni particolari morfologici caratterizzano i tipi egiziani a becco corto arrotondato: la presenza di una tacca trasversale sull'ansa, la resa a superfici piane delle singole parti, con attacchi a spigolo fra di esse, la frequente miniaturizzazione degli esemplari. Anche i soggetti nel disco sono del tutto particolari, in quanto riferiti frequentemente ai miti e alle divinità del pantheon ellenistico-egiziano. Assai diffusa in Egitto, anche se non esclusiva di quest'area, è la produzione di l. figurate a testa o statuetta: esse dovevano essere fabbricate negli stessi ateliers ai quali si deve la massa di piccole terrecotte figurate ottenute da matrice; di tradizione ellenistica e dal gusto vivido, ma assai sommarie nella resa dei dettagli e nello stile, si datano almeno sino al IV sec. d.C. Al II e III sec. sembrano datarsi i primi esemplari di l. a rana. In effetti le varianti a corpo circolare e lungo becco aggettante desinente ad ancora o ad arco e quelle a corpo ovale con rana plasticamente modellata sulla parte superiore sono le uniche della serie a essere state rinvenute in contesti con un qualche valore cronologico. A conferma della datazione alta di queste varianti è anche la resa ancora perfettamente organica e leggibile del diffusissimo marchio A (alfa) inciso sulla base e che si trasformerà in età tarda in segno sommariamente inciso.

Produzioni tardo-antiche. - La rapida decadenza delle officine ateniesi a partire dalla fine del IV sec. e la conseguente caduta dell'esportazione dei loro prodotti coincidono con il pieno sviluppo nel IV e soprattutto nel V sec. delle produzioni delle fabbriche dell'Asia Minore. Ai dati già noti concernenti Efeso e Mileto si sono aggiunti quelli relativi alla produzione di Pergamo, dove sono state rinvenute matrici a forma di pera, con piccolo disco unito al becco da un canale o becco ornato da petali, spesso con spalla decorata da pampini e ghirlande o da punti e raggi. Sembra distinguersi in questo quadro la produzione di Cnido che, pressoché scomparsa a partire dal secondo quarto del III sino a tutto il IV sec., riprende in maniera limitata nel V e VI secolo. In realtà tutte le produzioni microasiatiche subiscono nel corso del VI sec. un radicale ridimensionamento. La stessa sorte subiscono le produzioni siro-palestinesi, che pure nel corso del IV e V sec. erano esportate sino nell'Egeo, a Creta e in Egitto dove si assiste a una vera e propria fioritura di tipi locali, spesso, tuttavia, privi di validi supporti per la determinazione di cronologie sufficientemente precise. Il grande sviluppo della l. a rana, con le sue innumerevoli varianti decorative, è stato oggetto di tipologizzazioni interne, utili, ma insufficienti alla datazione; numerose varianti del tipo a corpo ovoide, becco corto arrotondato e ansa piena intaccata alla sommità recano nel disco la tipica croce ansata copta o il candelabro a sette braccia: datano al IV-inizio del V sec.; imitazioni dei tipi siro-palestinesi di IV-V sec. sono caratterizzate da semplificazione delle forme e delle decorazioni rispetto agli originali. Alcuni tipi infine, caratterizzati dalla presenza di una vernice spessa, di colore rosso scuro, lucida di tipo «sigillata», o i loro corrispondenti, formalmente del tutto simili, ma coperti da una scialbatura di argilla biancastra, hanno corpo piriforme, più o meno allungato, ansa ad anello eseguita manualmente, disco circolare o piriforme esteso sino al foro dello stoppino, ma sempre delimitato da un grosso bordo rilevato; la decorazione, ottenuta a piccola e fitta punteggiatura, è di tipo geometrico e copre l'intera l., ma spesso nel disco sono raffigurati animali, croci, edicole, figure di oranti e di santi, con espliciti confronti sulle c.d. ampolle di S. Mena. Questi tipi sembrano datarsi dal V al VII sec., sino all'invasione araba. A Cipro dalla fine del IV al V sec. è attiva una produzione di l. di forma ovoide, prive di base e con ansa piena, con spalla e anello attorno al disco fittamente coperti da confusi ornati vegetali; spesso su di esse compare la firma in rilievo eutyxhtoc.

Contemporaneamente a queste tarde produzioni da matrice, si sviluppano in numerosi centri di Siria, Egitto, Asia Minore e Creta le c.d. l. bizantine nei tipi eseguiti al tornio. Questi, ripresi dalla civiltà araba e talora coperti di una spessa invetriatura verde, si diffondono in tutto il bacino del Mediterraneo, sostituendo interamente a partire dall'VIII sec. la produzione in serie a stampo.

Bibx..: Ph. Bruneau, Lampes corinthiennes, in BCH, XCV, 1971, p. 437 ss.; L. Mercando, Lucerne romane del museo di Iraklion, in Antichità cretesi, II, Catania 1974, pp. 235-239; ead., Lampade, lucerne, bracieri di Festos (scavi 1950-1970), in ASAtene, LII-LIII, 1974-1975 (1980), pp. 15-167; D. M. Bailey, A Catalogue of the Lamps in the British Museum, I, Londra 1975, pp. 21-239; K. Gamett, Late Corinthian Lamps from the Fountain of the Lamps, in Hesperia, XLIV, 1975, pp. 173-206; M. Michelucci, La collezione di lucerne del Museo Egizio di Firenze, Firenze 1975; H. Williams, P. Taylor, A Byzantine Lamp Hoard from Anamur (Cilicia), in AnatSt, XXV, 1975, pp. 77-84; I. Schleibler, Kerameikos, XI. Griechische Lampen, Berlino 1976; D. Alicu, E. Nemes, Roman Lamps from Ulpia Traiana Sarmizegetusa, Oxford 1977; O. Broneer, Isthmia, III. Terracotta Lamps, Princeton 1977; E. M. Cohn-Klaiber, Die antiken Tonlampen des Archäologischen Instituts der Universität Tübingen, Tubinga 1977; T. Oziol, Salamine de Chypre, VII. Les lampes du Musée de Chypre, Parigi 1977; R. Rosenthal, R. Silvan, Ancient Lamps in the Schioessinger Collection (Qedem, 8), Gerusalemme 1978; L. A. Shier, Terracotta Lamps from Karanis, Egypt, Ann Arbor 1978; J. J. Dobbins, Terracotta Lamps of the Roman Province of Syria, Ann Arbor 1979; H. Williams, Kenchreai, Eastern Port of Corinth, V. The Lamps, Leida 1981; V. Sussman, Ornamental Jewish Oil Lamps, Warminster 1982; F. Blonde, Greek Lamps from Thorikos, Gand 1983; G. De Luca, H. Voegtli, Altertümer von Pergamon, XI, 4. Das Asklepieion, Berlino 1984; R. Guéry, La necropole orientale de Sitifis, fouilles de 1966-1967, Parigi 1985; M. Michelucci, Le stipi votive dall'agorà di lasos, in Studi su lasos di Caria (BdA, Suppl. al XXXI-XXXII), Roma 1987, pp. 93-103; A. J. Spencer e altri, British Museum Expedition to Middle Egypt. Ashmunein (1981-1984), Londra 1982-1985; S. Markoulaki, Οι Ωρες και οι εποχες απο το Καοτελλι Κισαμου, in Κρητικη Εστıα, I, 1987, p. 44 ss.; V. Apostolakou, Λυχνοι «κρητικου» τυπου, in Ειλαπινη. Τομος τιμητικος για Ν. Πλατωνα, I, Iraklion 1987, ρ. 37 ss.; D. Μ. Bailey, A Catalogue of the Lamps in the British Museum, III, Londra 1988, pp. 215-419; I. Margreiter, Alt-Ägina, II, 3. Die Kleinfunde aus dem Apollo-Heiligtum, Magonza 1988; C. Meyer-Schlichtmann, Die pergamenische Sigillata aus der Stadtgrabung von Pergamon (Pergamenische Forschungen, 6), Berlino-New York 1988; P. Rendini, Lucerne, in A. Di Vita e altri, Gortina I (Monografie della Scuola Archeologica di Atene e delle missioni italiane in Oriente, III), Roma 1988, pp. 221-228; F. Alabe, Un nouveau modèle de lampe à Délos, in BCH, CXIII, 1989, pp. 319-324; S. Markoulaki, J.-Y. Empereur, A. Marangou, Recherches sur les centres de fabrication d'amphores de Crète Occidentale, ibid., pp. 559-562; M. Ciceroni, Iside protettrice della navigazione: la testimonianza delle lucerne a barca, in SciAnt, III-IV, 1989-1990, pp. 793-801; Κ. W. Slane, Corinth, XVIII, 2. The Sanctuary of Demeter and Kore. The Roman Pottery and Lamps, Princeton 1990; D. M. Bailey, Aegina, Aphaia-Tempel, 14. The Lamps, in AA, 1991, p. 31 ss.; M. Massa, La ceramica ellenistica con decorazione a rilievo della bottega di Efestia (Monografie della Scuola Archeologica di Atene e delle missioni italiane in Oriente, V), Roma 1992; P. Pétridis, Les lampes corinthiennes de Kritika, in BCH, CXVI, 1992, pp. 649-671.

(M. Michelucci)

Mediterraneo occidentale. - Nelle regioni circostanti il Mediterraneo occidentale, le pubblicazioni di contesti e collezioni di l. fittili si sono susseguite, negli ultimi due decenni, con particolare intensità, ponendo nuovi problemi.

Produzioni greco-occidentali e puniche dal VII al III sec. a.C. - Fino alla prima metà del IV sec. a.C., particolarmente in Sicilia, la produzione di l. è legata alle tipologie della Grecia propria, attiche soprattutto. Dopo tale periodo, e fino al III sec. a.C., la Sicilia elabora tipi maggiormente autonomi da quelli della madrepatria. Anche il panorama italiota evidenzia forti legami con la Grecia e con la stessa Sicilia: le l. in «Campana A» fabbricate a Ischia fra IV e III sec. (Morel, 1976) copiano modelli attici. Fra le sporadiche produzioni autoctone, nel periodo fra il 340 e il 270 è riconoscibile un «tipo apulo» a vernice nera e becco leggermente svasato (caratteristica, questa, propria di tutta la successiva produzione italica), piuttosto diffuso in Apulia, Lucania, Campania (Pavolini, 1981). Una semplicissima acroma, piccola e rotonda (Ricci, 1973, tipo C), rinvenuta in tutto il Mediterraneo e per la quale non si può escludere una fabbricazione anche italica, ha datazioni oscillanti fra la fine del IV e la prima metà del II sec. a.C.

Nel santuario dell'emporio greco di Gravisca le l. importate sono soprattutto greco-orientali, accanto a quelle attiche e ai tipi locali.

Fuori delle aree di diretta influenza greca, le tipologie sarde hanno stretti paralleli con quelle siciliane. Per lungo tempo le l. per olio non entrarono invece nell'uso delle popolazioni delle coste iberiche e galliche. Almeno fino alla metà del III sec. le l. sono praticamente assenti anche ad Aleria, così come nel Lazio, in Etruria e nel resto dell'Italia non grecizzata. In tutte queste aree l'olio, limitatamente diffuso, era riservato all'alimentazione e alla cosmesi, mentre vi era ampia disponibilità di altri mezzi d'illuminazione, propri delle tradizioni culturali locali: legno, e in misura minore sego e cera.

Produzioni tardo-repubblicane in Italia e in Sicilia. - a) Produzioni al tornio. Solo nella seconda metà del III sec. si creano i primi tipi centro-italici a becco svasato detti «dell'Esquilino» (Pavolini, 1981). Il tipo biconico a vernice nera, attestato dal 250 c.a al 50 a.C., è prodotto nel Lazio, in Campania (esemplari in «Campana A») e probabilmente altrove. È diffuso largamente nell'Italia centro-meridionale, sporadicamente in-quella settentrionale, ed è il primo tipo italico ampiamente commercializzato nel Mediterraneo occidentale e a Delo. Invece il tipo cilindrico, più semplice e acromo, la cui produzione ha forse inizio un po' più tardi, è destinato al mercato locale, soprattutto laziale: qualche esemplare si trova nelle altre regioni italiane e a Delo, ma questa l. non si inserisce in modo diffuso nel commercio marittimo mediterraneo. In compenso ne conosciamo diverse varianti regionali e locali italiche. Nell'area adriatica settentrionale si individua una produzione molto simile a quella centro-italica, ansata, e con bolli che fanno pensare a officine di origine tiburtina: queste l. sono certamente prodotte ad Aquileia, ma sono ben attestate anche a Rimini e in genere in Romagna. A Fano se ne conosce un'ulteriore variante locale.

Nell'area padana centrale, e soprattutto in Lombardia, si trova invece un diverso tipo a serbatoio cilindrico, con vernice nera (p.es. Sapelli, 1979, nn. 56-64), che raggiunge anche Aquileia (contesto del II sec. a.C.: Strazzulla Rusconi, 1977, tav. XXIX, 4).

In Etruria si produce un autonomo tipo a vernice nera, già definito «sud-etrusco» (Pavolini, 1981), ma in realtà diffuso un po' dovunque in Etruria, e presente anche in Umbria. La cronologia va dal 200 al 50 a.C. circa. Fra le produzioni regionali al tornio vanno poi annoverati due tipi umbri, uno dei quali destinato a durare, sorprendentemente, fino al II sec. d.C. (Bergamini, 1984-85 e 1988), e un tipo siciliano, anch'esso manifestazione di attarda- mento in un'epoca ormai dominata dalla tecnica a matrice (fine I sec. a.C.-inizî I d.C.: Isler, 1984, tav. XXXVIII, nn. 8-9).

b) Produzioni a matrice. La fabbricazione a matrice viene introdotta in Italia solo a partire dalla seconda metà del II sec. a.C., ed è all'inizio patrimonio di alcune produzioni magno-greche con argilla grigia e vernice nera. Fra queste, le l. di Ordona si distinguono per il becco non svasato e per lo stretto legame con alcune tipologie ellenistiche, fatto raro in Italia: sembrano smerciate solo localmente. Un tipo caratterizzato da decorazione radiale della spalla, come il precedente, ma anche da becco svasato, è invece largamente diffuso in Italia meridionale e in Sicilia, nel Mediterraneo occidentale e a Delo: si data fra il 130 e il 30 a.C. (Pavolini, 1981). Probabilmente allo stesso ambito produttivo sud-italico o siculo va attribuito un altro tipo, quasi coevo (120-50 a.C. circa), ma la cui decorazione prevede per la prima volta l'introduzione dell'elemento figurato (teste di cigno) ai lati del becco. Anche queste l. (Pavolini, 1981 e 1987) hanno un'ampia diffusione nel Mediterraneo occidentale. Alcuni esemplari di Monte Jato e di Delo hanno in comune un bollo che autorizza a pensare a una produzione siciliana esportata nell'Egeo.

I tipi Dressel 1-4 risalgono a officine comuni, come dimostrano alcuni dei bolli che li contraddistinguono e che in molti casi sono noti solo nell'area romana o laziale, verosimilmente il centro di produzione di queste lucerne. Resta incerta la cronologia delle Dressel 1 a becco rotondo, un tipo che può dirsi «tradizionale» per l'uso della vernice nera e per il richiamo alle Herzblattlampen pergamene, già presente nelle l. «a teste di cigno». Gli altri tre tipi, a becco svasato, sono propri del I sec. a.C. Le Dressel 2 sono attestate dal 100/80 a.C. al 15 d.C.; le Dressel 3, le prime con disco decorato, sono note dal 100/80 a.C. al 10 a.C.; le Dressel 4, che sostituiscono le l. «a teste di cigno» riprendendone il motivo decorativo, cominciano forse a essere prodotte dal 50 a.C., ma in sostanza coprono l'età augustea. Tutti questi tipi hanno un'intensa diffusione in Italia, nel Mediterraneo occidentale, nelle Gallie e sul limes.

Sia l'area adriatica settentrionale, sia la Valle Padana sono interessate, nella seconda metà del I sec. a.C., da una produzione che sostituisce quelle citate in precedenza (Di Filippo Balestrazzi, 1978-79), e che ha anch'essa legami con i motivi decorativi delle Herzblattlampen. Queste l. furono certamente prodotte anche nella fornace di Magreta presso Modena.

Produzioni tardo-repubblicane nel resto del Mediterraneo occidentale. - Nella Penisola Iberica, fra il III e la prima metà del I sec. a.C., la situazione resta, in pratica, quella già nota, a parte qualche importazione dall'Italia e alcuni esemplari locali di forma «aperta»; la presenza di l. è molto maggiore solo nelle città romane, come Valencia, o dove vi è una forte componente di coloni romani, come ad Ampurias. In Gallia, la precoce romanizzazione della Narbonense crea una situazione in parte diversa, ma le l. non sono molto diffuse fino a tutto il II sec. a.C. All'importazione dei tipi italici a vernice nera fa riscontro la produzione autoctona di forme aperte, forse per sego.

Del tutto isolata la produzione al tornio che si sviluppa a Malta, forse dalla fine del I sec. a.C. (Bailey, I, 1975, Q 629-30).

Produzioni italiche della prima età imperiale. - a) Bildlampen. Circa le l. a volute, il tipo di transizione con abbozzi di volute ai lati del becco è datato dal 50 al 10 a.C., la produzione della forma con becco angolato si pone a partire dal 20 a.C., quella del tipo Loeschcke IA «classico» a partire dalla nascita di Cristo, quella del tipo Loeschcke IB dall'età tiberiana (forse dall'età tardo-augustea, stando ai contesti di Treviri), quella del tipo Loeschcke IC dal 50 d.C. circa. Anche per il tipo con ansa a presa plastica è accertato un inizio di fabbricazione nella prima età augustea; sótto Augusto compare anche il tipo a volute e becco ogivale, le cui suddivisioni interne sono cronologicamente meno precisate (v. su tutto ciò soprattutto Leibundgut, 1977).

Il Lazio e la Campania costituivano certo i principali centri di produzione di tutti i tipi italici proto-imperiali: vedi le l. a volute, a semivolute, a becco tondo e le Vogelkopflampen rinvenute negli scarichi del Gianicolo a Roma (officina di Oppius: Mocchegiani Carpano, 1982; Ceci, Maestripieri, 1990) e nell'officina di Via di Nocera a Pompei (Cernili Irelli, 1977), perfetto esempio di quegli impianti produttivi «a conduzione familiare» che dovevano essere tipici dell'epoca. Sebbene forni, scarichi di officina o matrici di l. a volute «classiche» siano stati rinvenuti anche in Puglia, in Emilia-Romagna (officina bolognese di Hilario) e nel Veneto.

I contesti dell’insula 5, Regione VI, di Pompei confermerebbero l'inizio della produzione delle l. a semivolute in età tiberiana, ma bisogna tenere presente che nella pubblicazione (Romanazzi, 1984) vengono datati in età tiberiana strati che contengono anche tipi o bolli di l. situabili in realtà fra il 50 e il 79 d.C. Per contro, secondo Bailey le l. a semivolute sarebbero state create solo verso la fine del regno di Claudio, e con esse anche alcune produzioni collaterali, quali il tipo «con volute sulla spalla» (per la cui fabbricazione a Pompei v. Cernili Irelli, 1977; Pavolini, 1977) e il tipo «con volute degenerate» Deneauve VG. Quanto all'altro tipo «con volute degenerate» Deneauve VF, massicciamente presente nel Museo di Napoli con provenienza da Pompei, e poco noto altrove, si può pensare a una produzione campana.

E dubbia la data d'inizio della produzione di l. a becco tondo, posta dalla Farka (1977) in età augustea. In Svizzera tali l. si trovano certamente a partire dalla prima età tiberiana, a Sidi Khrebiš forse dal 25-30 d.C., a Treviri dal 30-40.

La varietà Loeschcke VIII AI è prodotta in Campania, ed esportata in Tunisia, nella seconda metà del I sec. d.C. A Pompei, prima del 79, c'è già una forte produzione di l. a becco cuoriforme, delle quali è stata anche individuata una varietà ercolanese.

Mentre le produzioni ora descritte segnano l'apogeo del commercio delle l. italiche in tutto il Mediterraneo e sul limes, si fabbricano nell'Italia centrale tirrenica, in misura massiccia e spesso a opera delle stesse officine, anche tipi destinati quasi solo al mercato locale. Si tratta delle semplici Vogelkopflampen ad ansa trasversale, il cui becco svasato è una reminiscenza della tipologia tardo-repubblicana, e la cui decorazione, che richiama quella delle Dresse 4, perde via via ogni carattere figurativo.

Si individuano, fra il 15 e l'8o d.C., due distinte serie tipologiche di Vogelkopflampen, l'una laziale e l'altra campana (Sapelli, 1979, per possibili varietà nord- italiche).

Nel I sec. d.C. iniziano anche altre minori produzioni italiche. Un tipo con becco tondo allungato veniva fabbricato nell'officina di Via di Nocera a Pompei ed era forse propriamente campano. Invece il tipo Deneauve VI A (=Dressel 7-8), più diffuso, era prodotto sia in Campania, sia a Roma, fra l'età neroniana e la metà circa del II sec. d.C., come indicano i bolli. Le l. a serbatoio quadrato sono già presenti a Pompei ed Ercolano; la loro produzione in Italia continua, stando ai bolli, almeno fino al 120 d.C. Le l. su sostegno ad arula-bruciaprofumi sono anch'esse attestate a Pompei (Castiglione Morelli Del Franco, 1983), benché la loro fabbricazione fiorisca soprattutto nel II e nella prima metà del III sec. (Visser Travagli, 1978).

Nella prima età imperiale la Campania sembra più pronta a recepire le novità tipologiche rispetto all'area romano-ostiense: fra le l. «vesuviane» del Museo di Napoli il tipo a becco tondo sopravanza numericamente quelli a volute e a semivolute uniti; negli strati flavi delle terme ostiensi del Nuotatore (Ostia, III, 1973) tale rapporto è rovesciato (bisogna tuttavia tener conto dell'incidenza dei residui). 1

b) Firmalampen. Una funzione ancor più innovativa viene assunta dalla Gallia Cisalpina, con la creazione della c.d. Firmalampe. Si è molto dibattuto circa un possibile innalzamento della tradizionale data d'inizio di questa produzione. In effetti, in una serie di corredi di necropoli della Valle Padana, dell'arco alpino e della Penisola Balcanica si sono rinvenuti esemplari del tipo a canale chiuso (Loeschcke IX) associati con monete databili a partire dall'età di Augusto, ed esemplari a canale aperto (Loeschcke X) con monete dall'età di Claudio in poi. Buchi (1975) ritiene, su tali basi, che ambedue i tipi siano prodotti a partire dagli inizî del I secolo. Altri, tuttavia, sottolineano il rischio insito nel fissare cronologie rigide sulla sola base delle associazioni con monete, data la lunga durata della circolazione di queste, e propendono pertanto per uno scaglionamento temporale non lontano da quello di Loeschcke: tipo Loeschcke IX dal 60-75 d.C., tipo Loeschcke X dal 90 d.C. (Leibundgut, 1977; Bailey, II, 1980).

È certo però che tipi «di transizione» alle Firmalampen sono attestati nel Magdalensberg al più tardi nell'età di Claudio, e che almeno un corredo di Angera prova l'associazione del tipo X con ceramica di età neroniana. In definitiva, vi sono indizî sufficienti per ipotizzare che ambedue i tipi possano aver cominciato a circolare poco dopo la metà del I sec., mentre la produzione delle l. «a pigna», collaterale a quella delle Firmalampen, si data al II-III secolo.

La facilità di esecuzione delle Firmalampen (evidenziata dall'analisi tecnica di Vertet, 1983) segna il passaggio a una produzione «industriale», che richiede forme complesse di organizzazione delle officine (Buchi, 1975). Gli stessi bolli, onnipresenti su queste l., sono probabilmente il riflesso di sistemi di controllo sulla produzione, che le grandi ditte potevano decentrare a tutta una rete di botteghe minori. Un'altra pratica prevedeva, sembra, la cottura dei prodotti di piccole officine autonome nei forni delle principali fabbriche. Il territorio di Modena ospitava molti impianti: a Savignano sul Panaro c'era, fra le altre, la grande fabbrica di Fortis, a Magreta forse quella di Strobilus; altre concentrazioni di officine si avevano a Forlì, ad Aquileia, forse ad Angera.

Produzioni provinciali della prima età imperiale. - La piena romanizzazione della Penisola Iberica cambia radicalmente la situazione descritta in precedenza: dagli ultimi decenni del I sec. a.C. le l. sono di uso comune. Alle importazioni italiche si affiancano produzioni locali, soprattutto nella parte meridionale della penisola. Un tipo particolare di l. «con volute sulla spalla» è diffuso soprattutto nelle zone minerarie; si data stratigrafìcamente a Conimbriga a partire dall'età di Claudio, ma in alcune necropoli sembra durare fino al III sec. (Belchior, 1970; Fouilles Conimbriga, VI, 1976, nn. 21-28; Lopez Rodriguez, 1981, nn. 14-43).

Le fornaci di Andujar presso Cordova, fra l'età di Claudio e quella dei Flavi, producono l. con volute atrofizzate o a semivolute. Altre l. a volute e becco ogivale sono forse prodotte a Italica (Lopez Rodriguez, 1981, nn. 73-81).

Il Sud della Gallia, compresa la valle del Rodano, è legato all'Italia: l'importante centro di Montans si dedica al surmoulage - o fabbricazione per «ricalco» - di matrici da l. a volute importate dall'Italia, e le smercia, p.es., a Ussubium: qui le attestazioni, con i tipi a semivolute e a becco tondo, proseguiranno nel II secolo. Le officine di Lione imitano i modelli italici e li trasmettono alla Svizzera fin dall'età tiberiana (Leibundgut, 1977). Nel Nord invece, a partire dal I sec., prevalgono le l. locali al tornio, sia di forma chiusa (per olio, con o senza becco), sia soprattutto di forma aperta, per sego (May, 1984; Carré, 1985).

Sul mercato dell'Africa Proconsolare si affermano in quest'epoca quasi esclusivamente le importazioni italiche, se si eccettua il tipo locale Deneauve IV F, con figurazione di Tanit, databile nel I sec. d.C.

Produzioni italiche della media età imperiale. - a) Italia centrale tirrenica. L'età di Domiziano costituisce un momento «epocale» per la produzione di l. romane nell'Italia centrale tirrenica. Prendono l'avvio alcuni processi concomitanti e certamente collegati: una ristrutturazione dell'organizzazione produttiva, un impoverimento tecnico ed estetico dei prodotti, un restringimento degli ambiti commerciali. Dal primo punto di vista si nota innanzitutto una ripresa - dopo alcuni decenni di «latenza» - dell'uso di apporre il bollo di officina sulle l., che a partire da quest'epoca risultano firmate, secondo alcune stime, in misura del 30-40% circa. La maggior frequenza dei bolli - ora generalmente impressi e indicanti i tria nomina - ci permette di conoscere meglio i nuovi assetti produttivi (Pavolini, 1987). Alle tante piccole botteghe artigiane a conduzione familiare sembrano ora affiancarsi poche grandi o grandissime manifatture (fra l'8o e il 120 d.C. soprattutto quella di C. Oppius Restitutus, che forse prosegue l'attività della citata officina sul Gianicolo). In alcuni casi si indovina la presenza, dietro le quinte, di proprietari che controllavano più «filiali», servendosi dei propri liberti: è il caso dei Ludi Munatii, attivi attorno al 90-130 d.C., e, più tardi, dei Ludi Fabricii. I marchi aggiunti al bollo possono attestare forme di controllo sul lavoro di singoli schiavi.

Questo passaggio a una produzione decisamente di serie coincide con uno scadimento tecnico e decorativo. La Leibundgut (1977) ha chiaramente individuato quelle «forme tarde» dei tipi a volute, a semivolute e a becco tondo che prendono le mosse dall'età flavia e che si caratterizzano per una fattura più rozza e per una decorazione del disco ripetitiva e ridotta a pochi motivi isolati. Le stratigrafie delle Terme del Nuotatore di Ostia confermano la prosecuzione nel II sec. della produzione di l. a volute e a semivolute (alcune varietà del tipo Loeschcke III durano anzi fino al III sec.): il tipo a becco tondo costituisce la maggioranza degli esemplari attestati solo a partire dall'età adrianea e si afferma in modo incontrastato in età antonina, nella varietà standard con attaccatura rettilinea del becco a metà della spalla. La spinta alla standardizzazione si riflette anche nell'ulteriore semplificazione decorativa delle Vogelkopflampen, delle quali è ora attestata quasi solo la varietà con ornamentazione «a rastrello»: prodotta dalle stesse manifatture di cui s'è detto poco sopra, essa si estingue verso il 200 d.C. Dalla fine del II sec. alla metà del III, peraltro, il tipo più diffuso è quello a becco cuoriforme, che aveva conosciuto una fase di eclissi durata circa un secolo; a queste l. le officine centro-italiche affiancano quelle di tipo Dressel 29.

La ristrutturazione produttiva cui si è accennato può essere interpretata come il tentativo effettuato dalle manifatture italiche per reagire a uno stato di crisi, evidenziato dalla perdita di mercati che nel periodo 20 a.C.-80 d.C. avevano largamente accolto le l. prodotte nella penisola. Si è già visto come, in realtà, il mercato «nordico» si fosse reso autonomo fin dalla metà circa del I sec., con le Firmalampen (cui si aggiungono le l. «retiche», v. oltre). Al massimo in età flavia si chiude alla penetrazione delle l. italiche anche il Mediterraneo orientale. Invece le regioni costiere del Mediterraneo occidentale continuano a essere interessate dallo smercio dei prodotti centro-italici - come indicano le attestazioni dei relativi bolli - in modo molto intenso fino alla metà del II sec., e in misura minore ancora negli anni fra il 150 e il 180 circa. Allo studio di Harris (1980), volto a negare o a limitare la portata di questo fenomeno commerciale, si sono contrapposte le osservazioni di P. Procaccini (1981): l'ampia diffusione di alcuni bolli non sembra spiegabile tanto con il ricorso all'ipotesi di una rete di «succursali» provinciali, quanto con i grandi traffici transmarini da un lato, con l'estesa pratica del surmoulage dall'altro. Solo a partire dalla fine del II sec. le officine centro-italiche si chiudono in una dimensione commerciale poco più che regionale (su tutta la problematica v. lo studio di Bonnet, 1988, con risultati, però, in parte discutibili).

b) Italia settentrionale. Le l. «retiche» sono prodotte e distribuite, in realtà, nello stesso ambito geografico delle Firmalampen: la Valle Padana, il Piceno, le province alpine e danubiane. Si tratta di tarde l. a volute, con becco triangolare di tipo Loeschcke I B, I B/C o I C, e con marchi a cerchietti impressi. I corredi delle necropoli delle Marche, di Voghenza e di Angera permettono di inquadrarle cronologicamente fra l'età flavia e l'età degli Antonini, con qualche attardamento (Gualandi Genito, 1986).

La generale diffusione delle «retiche» non esclude l'affermarsi di produzioni locali a volute. Ad Angera, in pieno II sec., sono infatti attestate anche varietà autoctone - con «volute sulla spalla» e particolari decorazioni della spalla stessa - sia del tipo a becco triangolare che del tipo a becco ogivale. A Concordia si trovano sia le «varietà Angera», sia esemplari che, per l'argilla, sembrano fabbricati localmente.

Anche nell'Italia settentrionale, infine, vi è una sporadica attestazione di peculiari varietà dei tipi a becco tondo e a becco cuoriforme, con la prevalente tendenza a incorporare il becco nel serbatoio, tendenza che in quest'area sembra affermarsi fin dal II secolo. Accanto alle l. per olio c'è in Italia settentrionale una significativa presenza di l. aperte per sego, destinata a protrarsi fino alla tarda antichità.

Produzioni provinciali della media età imperiale. - a) Spagna e Gallia. Nella Penisola Iberica sono attestati, da matrici e scarti di fornace, casi di imitazione o surmoulage di l. di officine italiche (L. Munatius Threptus a Bracara Augusta: Alarcao, 1973, e Balil, 1980) e africane (C. Iunìus Draco presso Cadice). Ma proseguono anche, nelle regioni meridionali, le produzioni prettamente locali, con le citate l. «minerarie» e con esemplari a becco tondo e cuoriforme in cui la distinzione fra serbatoio e becco tende a scomparire, mentre si notano decorazioni e bolli autoctoni (Lopez Rodriguez, 1981).

In Gallia, i forni di Montans producono fra l'altro l. a becco tondo imitate per «ricalco» da esemplari di L. Munatius Threptus fra il 90 e il 100, dell'africano M. Novius Iustus più tardi.

Per la bassa valle del Rodano è stata studiata, anche con il ricorso alle analisi chimico-fisiche, l'officina del bollo l.hos.cri, i cui prodotti sono diffusi su scala regionale attorno alla metà del II sec. (Bonnet, Delplace, 1983; Bémont, Lahanier, 1984).

Per l'Alvernia, al centro della Gallia, lo studio di Vertet (1983), forse il saggio più completo mai apparso finora sulle tecniche di fabbricazione, chiarisce come le l. a matrice compaiano qui solo alla fine del I sec. d.C., importate da vasai provenienti dalla Gallia meridionale e dediti soprattutto al surmoulage. Dalla fine del II sec. prevalgono qui di nuovo le l. al tornio per sego, che non erano mai uscite dall'uso delle popolazioni indigene.

b) Africa. L'ascesa economica dell'Africa romana determina il sorgere di più gruppi di officine. È possibile che nella prima metà del II sec. sia stata attiva qualche succursale di grosse manifatture italiche, come indicherebbero i bolli di alcune atipiche l. a semivolute (Ennabli, 1970-73, tipo 9; Guéry, 1985, nn. 109h e 182f). Ma ben presto tengono il campo le fabbriche locali che si affermano saldamente sui mercati dell'Italia meridionale (Campania compresa), delle isole (Sicilia, Lipari, Sardegna, Corsica, Baleari), della Spagna: tipi africani del II sec. furono anche «ricalcati» in Sardegna (Villedieu, 1984).

Un primo gruppo, quasi certamente tunisino, produce soprattutto l. a becco tondo e quadrate, molto simili a quelle italiche, anche se non mancano alcuni tipi specificatamente africani; comprende, fra le altre, le officine di C. Iunius Draco (che ebbe forse una piccola succursale a Roma), C. Iunius Alexius, M. Novius Iustus. Alcuni dati farebbero risalire l'inizio dell'attività di queste fabbriche a prima della metà del II sec. (Bailey, 1985; Guéry, 1985), ma nell'insieme la loro cronologia copre soprattutto gli anni 150-180.

Un secondo gruppo è stato attribuito da Bailey (1980 e 1988) alla Tripolitania, ed è attivo fra gli ultimi decenni del II e gli inizî del III secolo. I bolli principali sono c.corn.vrsi e κελςει. Nella produzione di queste fabbriche si afferma soprattutto il gusto per la decorazione «a perline» della spalla, associata con becco cuoriforme o con tipologie che ricordano le l. «a semivolute degenerate». Questi tipi sono noti soprattutto in Tripolitania (Joly, 1974) e nelle regioni sud-orientali della penisola italiana, dove furono anche imitati.

Un terzo gruppo di fabbriche, che sceglie la forma incisa del bollo, è tunisino, ed è dominato da personaggi come Augendus, Lucceius, i Pullaeni. Essi, fra l'età antonina e i primi decenni del III sec., producono l. a becco tondo e a becco cuoriforme con caratteristiche «africane», cioè i tipi Deneauve VII Β e Vili B. D'altra parte i contesti stratigrafici di Cartagine e di Porto Torres (Villedieu, 1984) mostrano come il tipo Deneauve VIII B, soprattutto con spalla a globetti, fosse ancora largamente prodotto ed esportato nel IV-V secolo.

Le l. con volute schematizzate di tipo Deneauve X A, recanti nel disco scene di porto e di genere, personaggi teatrali o atleti, sono firmate prevalentemente da fabbricanti di questo gruppo. Oltre ai dati epigrafici, quelli stratigrafici (Rebuffat, 1969-70, p. 151 s.) impongono di attribuire il tipo all'Africa e all'età severiana. Non convince il tentativo (Guarducci, 1982) di far risalire il grosso di queste l. all'Italia e all'età neroniana, sulla base di analisi - dai risultati peraltro non univoci - condotte su pochi esemplari e prive di un consistente «gruppo di riferimento».

È possibile invece che alcune officine romano-ostiensi abbiano in questo caso imitato un tipo affermatosi nella nuova area egemone, l'Africa.

Anche in Africa si elabora un tipo di l. a becco tondo o cuoriforme non distinto dal serbatoio: la spalla è spesso a globetti, l'ansa non è forata (tipo Deneauve XI A). Queste l. sono già note a Setif nel II-III sec.; nel IV, tipi affini vengono prodotti dall'officina di Caecilius (Leveau, 1983). Il tipo è ancora attestato a Cartagine agli inizî del V secolo.

A Setif, nel II-III sec., troviamo anche tipi locali che sembrano anticipare le l. «di Cesarea» o di Tipasa, prodotte sulla costa della Mauretania Caesariensis fra la seconda metà del III e il IV sec. (Manni, 1975; Bussière, 1992).

Produzioni tardo-antiche in Africa. - Nella Tunisia centrale viene elaborata, nella seconda metà del III sec., la transizione dalla tipologia a becco cuoriforme a quella tardo-antica a canale, un processo che, per le l. in ceramica comune, si segue passo per passo a Raqqada, ma che non trova riscontro nella pur vicina Mactar, mentre ha riflessi a Sabratha.

Parallelamente altre officine della Tunisia centrale, fra le quali quella di Navigius, cominciano a produrre l. in terra sigillata africana. Fino alla metà del IV sec. queste sono diffuse quasi solo in ambito regionale (Anselmino, Pavolini, 1981, rispettivamente Forme I-VII, che documentano lo stabilizzarsi della tipologia caratterizzata dall'ansa piena e dalla presenza del canale). Solo a partire dal 325-350 la produzione e l'esportazione di queste l. si fanno massicce, e cominciano a ruotare attorno a due tipi principali: un tipo con serbatoio oblungo, ansa impostata verticalmente e spalla decorata in prevalenza con ramo di palma, e un tipo con serbatoio rotondo, ansa impostata obliquamente e spalla ornata da piccoli motivi in rilievo (Anselmino, Pavolini, 1981, rispettivamente Forme VIII e X). Soprattutto i recenti scavi di Cartagine hanno fornito sicuri punti di riferimento per la cronologia di queste produzioni. La Forma Vili comincia a essere fabbricata verso la metà del IV sec. e si estingue nel corso del VI. La Forma X (la «africana classica») non è certamente prodotta prima del 400-425 circa (un frammento è stato rinvenuto nel castellum di Ad Pirum nel Friuli, abbandonato nel 394, ma fra i materiali del sito si contano anche altri reperti più tardi di tale data).

A Cartagine, fino al V sec. queste produzioni in sigillata rivaleggiano con le l. locali in ceramica comune, per le quali v. sopra (a esse si aggiunge, nel IV-V sec., il tipo Deneauve XI B, con serbatoio baccellaio e bollo nvndini). Ma in seguito le attestazioni di l. in sigillata appaiono maggioritarie. In particolare, dalla prima metà del VI sec. la Forma X prevale nettamente sulla Forma Vili, e nel VII sec. è l'unica attestata. Solo a partire dalla seconda metà del VII sec. si hanno indizî di una flessione quantitativa della produzione.

I motivi ornamentali - spesso tratti dal repertorio cristiano - dei dischi e delle spalle delle «africane classiche» hanno stretti rapporti con le decorazioni dei vasi sia in sigillata C3-C5 (Tunisia centrale), sia in sigillata D (Tunisia settentrionale): v. Mackensen, 1993, su tutta la problematica. Dal tardo V sec. in poi il repertorio ornamentale di queste l. si impoverisce, ma i motivi continuano a trovare confronti con quelli dei vasi.

Le stratigrafie di Cartagine hanno anche permesso di datare dalla metà del V al VI sec. una l. in sigillata africana fabbricata al tornio e senza becco (cfr. Anselmino, Pavolini, 1981, p. 205 s.), che può essere stata usata anche come calamaio.

La circolazione commerciale delle l. in sigillata evidenzia, per la Forma Vili (la più antica), una diffusione non molto capillare, ma estesa sia al Mediterraneo occidentale che al limes renano-danubiano; per la Forma X (la più recente), una presenza molto più forte nel bacino mediterraneo, soprattutto occidentale, ma un'assenza quasi totale a Ν delle Alpi. È un altro indizio della tendenza delle popolazioni dell'Europa settentrionale a sostituire, in età tarda, l'olio con altri mezzi d'illuminazione. Ma, anche all'interno della zona di massima diffusione, le presenze delle l. in sigillata sono percentualmente prevalenti su quelle in ceramica comune solo in un'area che include l'Italia meridionale, la Sardegna, probabilmente la Sicilia e la Spagna meridionale (cioè il tradizionale mercato delle l. africane fin dal II sec.). Più a Ν (Roma compresa) le attestazioni di queste l. sono nettamente minoritarie, benché esse conservino appieno il loro ruolo di modelli tipologici e decorativi (v. oltre).

Le l. connesse con la produzione di sigillata tripolitana (Anselmino, Pavolini, 1981, Forme XIII-XV), che ebbero una diffusione abbastanza ampia nel Mediterraneo, si daterebbero al V-VI sec., stando alle stratigrafie di Sidi Khrebiš.

Produzioni tardo-antiche in Italia e nel resto del Mediterraneo occidentale. - Alcune l. da contesti tombali di pieno III sec. nel Sannio, di produzione locale (AA.VV., Sannio, 1980), sono fra i pochi esemplari editi che documentino il passaggio dal tipo a becco cuoriforme e ornamentazione a perline al tipo Dressel 30, anch'esso decorato a perline, ma con ansa non forata e corpo globulare (Kugelform) che incorpora il becco. Il vero e proprio tipo Dressel 30 è però noto soprattutto a Roma, e le sue attestazioni sono tutte comprese nel IV-V secolo. Nelle coeve l. romane e ostiensi di tipo Provoost 3B (Provoost, 1970), si può riconoscere una degenerazione delle Dressel 29 ad ansa trasversale.

È attestata una produzione italica imitante le l. in sigillata africana (per un inquadramento: Bailey, 1980, tipo S, 1-11); per la cronologia ci si basa su quella dei rispettivi modelli africani. Roma, nel V sec., fu certo uno dei maggiori centri di produzione: alcuni marchi sono comuni alle Dressel 30. Ma l. di questi tipi furono fabbricate anche nell'Italia meridionale, dove sono state rinvenute matrici imitanti l. in sigillata sia tunisina, sia tripolitana. A Ordona è prodotto un tipo che ricorda anche le l. «a perline» del II secolo. Altre matrici di l. imitanti le africane sono documentate in Sardegna. Per l'Italia centro- settentrionale, invece, ci si deve per ora limitare a ipotizzare una diffusa attività di imitazione dei prototipi africani, sulla base dell'aspetto locale di esemplari rinvenuti in molti centri.

Nell'Italia settentrionale in età tardo-antica sono attestate anche altre peculiari produzioni: si va dalle l. invetriate fabbricate a Carlino presso Aquileia nel III-V sec. a quelle al tornio di Concordia nel IV-V, che si inseriscono in una diffusa tendenza «nordica» ad abbandonare la tecnica a matrice.

Altre produzioni italiche si collocano in un orizzonte cronologico ancora più tardo. Le c.d. Catacomb Lamps (Bailey, 1980, tipo U) frequentissime a Roma, sono probabilmente prodotte qui dal VI sec., poiché sembrano assenti dai contesti urbani del V. Le l. siciliane dette anche «a rosario», per la decorazione a perline del disco-canale, sono largamente diffuse solo a partire dalla fine del VI e soprattutto nel VII sec.: esse circolarono soprattutto in Tunisia, Libia, Malta, Sardegna e Italia, dove sarebbero state anche imitate (Bailey, 1980, tipo S, IV; Garcea, 1987; Bailey, 1988; Ceci, 1992).

Le produzioni tarde della Penisola Iberica e della Gallia sono poco note, se si eccettuano una varietà locale di Dressel 30 a Conimbriga, datata stratigraficamente al IV sec., e le imitazioni di l. in sigillata africana documentate in Spagna (Lopez Rodriguez, 1981, nn. 161-162) e soprattutto nella Gallia meridionale (Raynaud, 1982).

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(C. Pavolini)

INDIA. - Periodo protostorico. - Nella civiltà dell'Indo sono attestate l. in rame e un numero notevole di l. in ceramica grossolana con beccuccio triangolare schiacciato su di una parte dell'orlo prima della cottura. Si tratta del tipo più semplice, a piattino o a ciotolina, tuttora in uso nel subcontinente. Dagli scavi di Harappā sono documentati altri tipi di l. di ceramica: alcuni di forma rettangolare con la parte posteriore rialzata (che doveva probabilmente fungere allo stesso tempo da serbatoio e da presa); altri a forma di calice basso con piedistallo e quattro corte prese equidistanti per la sospensione; con serbatoio cilindrico dalla parte superiore semichiusa e un profondo beccuccio ovoidale; con serbatoio tronco-conico e quattro beccucci, che sembrano anticipare nella forma le tarde l. di bronzo caratteristiche dei templi dell'India meridionale. Sono documentate inoltre l. con un piedistallo a forma di calice o composte da un piattino-serbatoio collocato su un piede scanalato.

Un recipiente di forma insolita è stato interpretato come porta-candela. È composto da una vaschetta posta su un basso piedistallo, con tre corti manici verticali sul bordo, piatti e forati. Il centro presenta una cavità cilindrica poco profonda.

In due edifici di Mohenjo-daro sono stati osservati mattoni aggettanti dalla struttura muraria che, a giudicare dalle tracce di nerofumo lasciate sulle pareti, servivano per la sistemazione di lucerne. In un caso è probabile che lo stesso mattone fungesse da l., poiché presenta la superficie superiore concava ed è inserito in una nicchietta posta all'imbocco di una scala.

La funzione di l. è stata attribuita anche a diverse figurine femminili di terracotta, con originali acconciature, gonnellino, cinture e ornamenti applicati come collane, bracciali, fiori, ecc. Talvolta le figurine mostrano ai lati della testa vistosi copricapi simili a canestri. Questi sono stati interpretati dal Mackay come l. a causa delle tracce di nerofumo riscontrate sugli orli.

La produzione ceramica di alcune aree dell'India occidentale protostorica deriva per lo più da quella della Civiltà dell'Indo. Da Rojdi (Gujarat, prima metà del II millennio a.C.) proviene una serie di l. di ceramica lavorate al tornio, con ingubbiatura rossastra e bande scure orizzontali dipinte sul bordo. La forma è circolare con l'orlo introflesso, al fine di evitare fuoriuscite del combustibile, e con il beccuccio leggermente aggettante. Questo tipo di l., che dal nome della regione è detto «del Saurashtra», è attestato fino agli inizî del I millennio a.C., negli strati tardi del Periodo III di Rangpur (Gujarat, 1000-800 a.C. circa).

Per le culture calcolitiche dell'India occidentale (circa fine ΙΙΙ-inizî I millennio a.C.) disponiamo di numerosi esempî di l. in terracotta, lavorate a mano, che possono essere ricondotte a quattro tipi principali: l. circolari con serbatoio a forma di piccola ciotola con una protuberanza sul bordo per lo stoppino e a volte con manico verticale opposto a quest'ultima, oppure a forma di basso cilindro con base piatta e con un leggero incavo sul bordo per lo stoppino; l. ovoidali o a «foglia di pipai», in genere a base piatta, pareti dritte e una scanalatura longitudinale per l'alloggiamento dello stoppino; l. rettangolari con base piatta, scanalatura longitudinale e protuberanza per lo stoppino, che presentano talvolta accanto alla scanalatura incavi circolari; l. quadrate di forma varia: con pareti dritte, base piatta e presa ad aletta su un angolo; a ciotola bassa con gli orli ristretti agli angoli per l'alloggiamento di più stoppini; a ciotola con pareti alte, gli angoli ristretti e prominenti e con un piedistallo cilindrico alla base. Generalmente si tende a considerare le forme più semplici come le più antiche rispetto a quelle più elaborate (come p.es. quelle provenienti da Navdatoli).

Nelle tombe megalitiche dell'India meridionale, di datazione discussa, ma collocabili intorno alla metà del I millennio a.C. o in epoca più bassa, sono state rinvenute con una certa frequenza l. di ferro, che presentano varie forme, per lo più destinate a essere appese. Il tipo più semplice è composto da una coppetta emisferica; talvolta a questa viene aggiunto un manico verticale con un gancio all'estremità superiore che la rende del tutto simile a un cucchiaio o a un mestolo. Questa l. «a mestolo» (spoon lamp) è attestata anche agli inizî del periodo storico, a Nāsik (strati della fase IIA, V/IV-III sec. a.C.) e a Ter (periodo «indo-romano» ITU sec. d.C.). Un tipo più articolato è costituito da un piattino-serbatoio con una sorta di manico, un montante verticale a staffa, alla cui estremità è attaccata parte di una catena o di una barretta metallica, da appendere a un lampadario oppure direttamente alle pareti. Il tipo è attestato in due varianti distinte per la forma del serbatoio (circolare o rettangolare) e del manico (ad arco o squadrato).

Dalle sepolture megalitiche provengono inoltre veri e propri lampadari formati da uno stelo verticale dalla cui estremità superiore si dipartono quattro ganci disposti a croce. Il lampadario era a volte appeso a un gancio, come si può desumere da un esemplare con anello di sospensione alla sommità. In ultimo, in alcune aree abitative sono state rinvenute diverse l. di terracotta: a ciotola con beccuccio triangolare, di dimensioni varie o a forma di stella, composte cioè da un piatto-serbatoio a pareti verticali, con molteplici beccucci; tale tipologia, con elaborazioni e varianti, ricorre frequentemente nelle l. di bronzo medievali note dai templi meridionali.

Periodo storico. - Dalla fine del I millennio a.C., fino all'epoca alto-medievale, si osserva una maggiore varietà sia nelle forme sia nei materiali impiegati per la produzione (terracotta, pietra, metalli).

Dei tipi in ceramica - i più diffusi - il più semplice è costituito da una ciotola con pareti carenate, senza manico né particolari elementi per l'alloggiamento dello stoppino. Le caratteristiche morfologiche di questa forma, le cui dimensioni oscillano tra i 5 e i 15 cm, sono largamente attestate in tutto il subcontinente per l'intero periodo storico.

L. con beccuccio triangolare e con un manico verticale attaccato al centro della ciotola sono documentate a Rang Mahal (Rajasthan), Bhītā e Śrāvastī (Uttar Pradesh). Una forma simile più elaborata è attestata a Taxila. Questa racchiude un serbatoio superiore destinato a contenere il combustibile, e uno inferiore che secondo l'interpretazione di Marshall conteneva acqua onde evitare il surriscaldamento delle pareti. Un analogo accorgimento sarà impiegato a Pāhārpur (Bangladesh), intorno all'VIII sec. d.C., dove le l. presentano un doppio serbatoio a scomparti concentrici.

Una variante del tipo a ciotola con beccuccio triangolare e alto piedistallo cilindrico proviene da Vaiśālī da strati databili intorno agli inizî dell'èra cristiana; un modello tardo, dal basso corpo squadrato sostenuto da quattro piedini, dal tarai nepalese; in un esemplare da Rang Mahal il piedistallo scanalato si allarga in corrispondenza della base; mentre un altro esemplare, da Nagara, è caratterizzato da sette beccucci triangolari sull'orlo.

Una serie di piccoli recipienti «a barchetta», con due lati ripiegati all'interno e con una piccola base circolare, attestati in un lungo arco di tempo, dagli strati tardi di Kauśāmbī (c.a IV sec. d.C.) e da Pāhārpur sono probabilmente un tipo molto semplice ed economico di lucerna.

Numerose l. a ciotola rinvenute nei recenti scavi italiani di Kathmandu sono di notevole interesse per il vasto repertorio iconografico impresso sui manici: raffigurazioni di divinità, personaggi semidivini, simboli, elementi vegetali. Da Kathmandu provengono inoltre diverse l. a calice con un basso piedistallo caratterizzato da incisioni che alludono a un fiore di loto stilizzato (talvolta pure con un manico ricurvo, usate forse anche come incensieri).

L. con corpo globulare, due beccucci troncoconici sottili e presa ad aletta, sono state rinvenute sia negli scavi di Kauśāmbī, sia in quelli di Bhītā. Questa forma potrebbe ispirarsi a modelli occidentali. Dagli scavi di Čārsada (Pakistan), da Ter e da Sonkh provengono infatti analoghe l. globulari. In un esemplare da Taxila, con la base piatta, la superficie semiglobulare e quattro piedini ai lati, è ben riconoscibile una figura di Atlante modellata sotto il beccuccio.

L'apporto diretto del mondo classico oltre che nei varí frammenti di l. romane, o di imitazione, rinvenuti ad Arikamedu e a Ter, si può riscontrare anche nei diversi ed espliciti riferimenti alle l. degli «Yavana» nella letteratura tamil.

Sempre a Taxila, nella corte dello stūpa Dharmarājika, fu rinvenuta una figurina femminile fittile, con ricca acconciatura, che sostiene con le mani una l. a ciotola con beccuccio. Tale genere di immagine sarà noto come dīpalakṣmī, assai diffuso in India in connessione a particolari celebrazioni rituali (p.es. Lakṣmīpūjā).

Le l. in pietra provengono esclusivamente dalle regioni nord-occidentali del subcontinente e sono attestate dal periodo šaka-partico (intorno al I sec. a.C.) fino al V-VI sec. d.C. circa; a Taxila, Marshall individuò tre diversi tipi. Il primo è a forma di foglia o a cuore, con serbatoio aperto, bordo talvolta decorato, scanalatura per lo stoppino e uno o più manici spesso forati per la sospensione. Al secondo tipo appartengono le l. di forma globulare schiacciata, con decorazioni a testine animali, di possibile ispirazione ellenistica. Su un esemplare proveniente da Sirkap databile intorno alla metà del I sec. d.C., sono raffigurate foglie di acanto e una protome elefantina di elegante fattura in corrispondenza del beccuccio (raffigurazioni di protomi elefantine e leonine alternate a festoni floreali sono documentate su l. ceramiche da Śrāvastī, per un periodo forse più tardo). Il terzo tipo, anch'esso verisímilmente ispirato a modelli ellenistici, è di forma rettangolare con serbatoio aperto, manici ad aletta per la sospensione e beccuccio triangolare impostato su ima piccola testa umana aggettante da uno dei lati.

Nel Nord-Ovest sono attestate anche l. romboidali semiaperte, con tre o quattro strisce a risparmio congiungentisi al centro nella parte superiore. Oltre a queste sono documentate forme più semplici: ciotole ellittiche, ovoidali, sub-triangolari, rifinite a volte solo all'interno del serbatoio e sull'orlo.

L. in metallo, di identificazione spesso controversa, già in uso intorno alla metà del I millennio a.C., sono state rinvenute negli strati partici di Sirkap e in quelli più tardi (c.a V sec. d.C.) di Jauliāñ, a Taxila. Dagli strati tardi di questo sito provengono due tipi diversi: uno globulare, più elaborato, poggia su una base circolare piatta con corto piede cilindrico. Nell'altro caso si tratta di una l. di rame a forma di calice o coppa modellata come un fiore di loto, alla cui base è attaccato un braccetto a forma di S, forse per la sospensione. Questo tipo di l., con serbatoio a forma di loto, nei periodi successivi sarà frequentemente raffigurato sui rilievi votivi buddhisti.

Una classe di oggetti rituali, i c.d. votive tanks, comprende recipienti in terracotta per offerte votive in cui un elemento costante è rappresentato dalle l. che in numero variabile sono applicate lungo il bordo superiore. Sembra che in origine i votive tanks fossero costituiti da semplici bacili; tuttavia sono attestati con maggiore frequenza esemplari di forma rettangolare - verisímilmente più recenti dei primi - con diversi elementi variabili a seconda dei casi: cappelle in miniatura, scale, pilastrini, figurine di divinità femminili, di musici, di animali, ecc.

Le l. poggiavano spesso su piedistalli di vario tipo e materiale (ceramica, metallo, pietra), soprattutto impiegati per le funzioni religiose. Su un'iscrizione da Amarāvatī si può leggere che una devota aveva posto ai piedi del grande «caitya del Beato» un pilastrino per lucerna. Portalucerna di tale sorta sono spesso riprodotti, sempre in posizione centrale e con diversi personaggi adoranti, alla base dei rilievi gandharici raffiguranti Buddha, o Bodhisattva. Manufatti interpretati dagli archeologi come piedistalli rituali, se non addirittura come parti di pinnacoli, possono essere considerati come porta-lucerna del tutto analoghi ai più tardi dīpavṛkṣa.

Accanto all'utilizzazione di lampadari metallici, è attestato anche l'impiego di lanterne porta-lucerna, come quella in terracotta a forma di campana con un'apertura laterale, rinvenuta a Yeleśwaram, databile intorno al I-II sec. d.C.

Diverse testimonianze iconografiche (da Bhārhut, da Amarāvatī, dal Gandhāra, ecc.) attestano un'utilizzazione delle l. in ambito rituale.

Nei testi vedici e puranici esistono precisi riferimenti riguardo l'impiego di l. nel corso di rituali «minori» - come, p.es., nel caso di una cerimonia notturna in cui bisogna girare con una speciale l. per tre volte intorno al sovrano che è afflitto da insonnia - o comunque inerenti a rituali magico-religiosi di varia natura. La l. compare tra i varí elementi che compongono le liste dei sedici upacāra (doni rituali), necessari per compiere il cerimoniale della pūjā (venerazione della divinità). Il culto della grāmadevatā (dea tutelare7 del villaggio) può essere reso anche con una semplice circumambulazione del simulacro, tenendo in mano una l., al calar del sole. Una delle principali ricorrenze annuali hindu è la festa delle l., dīvalī (dīpāvalī «fila di l.»), che si svolge per alcuni giorni a partire dalla notte di luna nuova del mese di kārttika (metà ottobre/metà novembre) per commemorare la vittoria di Visnu sul demone Narakāsura; l'accensione delle l. (di per sé di buon auspicio), oltre a questa vittoria, vuole forse celebrare il ritorno del sole al termine della stagione delle piogge.

In ambito buddhista troviamo chiari riferimenti alle l. in una sezione del Vinaya (norme comportamentali monastiche), dove si dice che colui che sovrintende alle l. deve per prima cosa accendere la l. nella cappella dove si trovano lo stūpa e l'immagine del Buddha. Diverse iscrizioni, inoltre, si riferiscono a donazioni in denaro, parte del quale destinato all'accensione delle l. poste di fronte alle immagini principali, o di fronte alla cappella contenente le reliquie del Beato.

Bibl.: Periodo protostorico: E. J. H. Mackay, Further Excavations at Mohenjo-Daro, Nuova Delhi 1938, pp. 59, 79,172, 192, 260-261, tavv. LX, 4; LXI, 46,50; LXV, 1,2; LXVI, 47; LXXV, 21-23; M. S. Vats, Excavations at Harappa, Delhi 1940, pp. 374-375, tav. LXXI,81-88; S. R. Rao, Excavation at Rangpur and Other Explorations in Gujarat, in Ancient India, XVIII-XIX, 1962-1963, pp. 101, 120- 121, figg. 33, 20; 43, 101-102a; tavv. XXI, a,9; XXIII, a,2; S. B. Deo, Z. D. Ansari, Chalcolithic Chandoli, Puna 1965, pp. 119-121, figg. 60, 1-5, 61, 1; H. D. Sankalia, S. B. Deo, Z. D. Ansari, Excavations at Ahar (Tambavati), Puna 1969, pp. 188, 194, figg. 115-116, tavv. XVIII-XIX; iid., Chalcolithic Nav- datoli (Excavations at Navdatoli 1957-59), Puna-Baroda 1971, pp. 374-378, figg. 117, 3-8, 118, 1-2, tav. XXVIII, 1-6; L. S. Leshnik, The South Indian 'Megalithic' Burials. The Pandukal Complex, Wiesbaden 1974, passim, figg. 8, 10-11; 15, 8; 16, 28-30; 20, 26; 23, 16; 42, 20; 44, 14; M. K. Dhavalikar, H. D. Sankalia, Z. D. Ansari, Excavations at Inamgaon, I, 2, Puna 1988, pp. 599-614, figg. 13, 44-50; G. L. Possehl, M. H. Raval, Harappan Civilization and Rojdi, Nuova Delhi-Bombay-Calcutta 1989, pp. 108, no, 129, figg. 56, 1-4; 68, 13.

Periodo storico. - J. Marshall, Excavations at Sahith Mahêth, in ASIAR 1910-11, p. 22, tavv. X, 11; XIIa,2,8; id., Excavations at Bhitä, AISAR, 1911-12, pp. 83, 85, tavv. XXIX, 50; XXX, 101; V. R. R. Dikshitar, Studies in Tamil Literature, Madras 1930, p. 260; K. N. Dikshit, Excavations at Paharpur, Bengal (MASI, 55), Delhi 1938, pp. 77-94, tavv. LXIL, 2-7; LXIV, e,3; R. E. M. Wheeler, Arikamedu: an Indo-Roman Trading-Station on the Coast of India, in Ancient India, II, 1946, pp. 60, 63, 101, figg. 18, 22-23, 42,1; J. Marshall, Taxila, Cambridge 1951, pp. 421-422, 500-501, 542, 602, tavv. CXXIX,v; CXXV, nn. 135-141; CXLI, bb-dd; CXLII, a-e,h,i; CXLVI, nn. 111, 114, 116; CLXIII, d-f; CLXXVII, n. 386; H. Rydh, Rang Mahal. The Swedish Archaeological Expedition to India (Acta Archaeologica Lundensia, 3), Lund-Bonn-Bombay 1959, pp. 130-132, 133, 153-154, figg. 94,13-15; 97,1-4; 98; K. Deva, V. Mishra, Vaisali Excavations: 1950, Vaiśālī 1961, p. 31, figg. 14, 43, 43a-d; M. Wheeler, Charsada. A Metropolis of the North-West Frontier, Oxford 1962, pp. 119, 124-125, figg. 51,8,9; 52,11; tavv. XIV, 1; XL,D; XLIV,2; S. B. Deo, Archaeological Investigations in the Nepal Tarai: 1964, Kathmandu 1968, p. 27, tav. VII, a; R. N. Metha, Excavation at Nagara, Baroda 1968, pp. 108-109, fig. 51,7,9; B. N. Chapekar, Report on the Excavation at Ter (1958), Puna 1969, pp. 123-124, fig. 34,6-7; G. R. Sharma, Excavations at Kauśāmbī 1949-50, Delhi 1969, pp. 186, 187, figg. 34,198,208; B. P. Sinha, S. R. Roy, Vais'äh Excavations 1958-1962, Patna 1969, pp. 96, 98, figg. 43,16; 44,10-11,14-15; C. Margabandu, N. M. Ganam, Finding of Roman Lamps at Ter (Tagara) and Failaka Islands, Persian Gulf, in The Andhra Pradesh Journal of Archaeology, I, 1979, 2, pp. 91-98; G. Verardi, Excavations atHarigaon, Kathmandu (IsmeoRepMem, XXV), Roma 1992, pp. 124-134, passim, tavv. XXXV-ΧΧΧΙΧ, XLV, LXXIV-LXXVIII, LXXXIII, CVIIIa, CXII, CXXVII, CXXXVII-CXXXIX.

Per i «votive tanks»: J. Marshall, op. cit, pp. 465-467, tav. CXXXVI,153-156, 158,159, 163, aa-cc; S. C. Ray, Evolution of Hindu-Buddist Art in the Gangetic Valley: a Study on the Basis of Stratigraphie Evidence of Archaeological Excavations., in M. Yaldiz, W. Lobo (ed.), Investigating Indian Art, Berlino 1987, pp. 273-290.

Per i piedistalli porta-lucerna: Α. Μ. Hocart, in Memoirs of Archaeological Survey of Ceylon, I, Colombo 1924, tavv. LXII,i8i; LXIV,186-188; id., Archaeology Summary, in Ceylon Journal of Science, II, 1930, 2, p. 92, tav. LXX; K. N. Dikshit, op. at., pp. 77, 94, tavv. LXII,20,23; LXIV,3-4,7-8; R. E. M. Wheeler, Arikamedu..., cit., p. 91, fig. 90, 146a; G. Verardi, op. cit., p. 208, fig. 89, tav. CIX,b.

Per gli aspetti rituali, le evidenze letterarie e iconografiche: B. A. Gupte, Hindu Holidays and Ceremonials, Calcutta-Simla 1919, pp. 35-42, 116-123, 127, 230; J. Marshall, A. Foucher, The Monuments of Sāñchī, Calcutta 1940, I, p. 390; A. K. Coomaraswamy, La sculpture de Bhārhut, Parigi 1956, pp. 52, 66-67, tav. XIII, 33; XXIV,61; C. Sivaramamurti, Amaravati Sculptures in the Madras Government Museum, in Bulletin of the Madras Government Museum, n.s., IV, 1956, pp. 142, 228, 302, tavv. V,32,33; XLVI, I; LVLL,3a; A. Bareau, La construction et le culte des Stūpa d'après les Vinayapitaka, in BEFEO, L, 1962,2, p. 244; J. Gonda, Vedic Ritual. The Non-Solemn Rites, Leida-Colonia 1980, pp. 59, 247-248, 355, 417; G. Roth, The Physical Presence of the Buddha and its Representation in Buddhist Literature, in M. Yaldiz, W. Lobo (ed.), op. cit., pp. 291-312; G. Verardi, The Buddha's Dhūnī, ibid., pp. 369-383.

(A. A. Di Castro)

Estremo Oriente. - Nella parte continentale dell'Estremo Oriente sono attestate l. in contesti archeologici posteriori all'età neolitica; nell'arcipelago giapponese, invece, nel corso del periodo medio della cultura Jōmon compare una categoria di contenitori ceramici definiti l. in cui sono distinguibili diversi tipi di forme. Si tratta comunemente di piccole coppe (diam. 14/25 cm) il cui labbro continua in complessi manici a sella o tripartiti, ornati da intricate decorazioni incise e applicate (anche con motivi zoomorfi); tali manici formano con l'orlo due o più aperture che danno accesso all'interno del vaso e nello stesso tempo ne permettono la sospensione. Originarie della prefettura di Nagano nella regione montuosa del Giappone centrale e diffuse poi nel resto dell'arcipelago, tali «l.» non sono mai state rinvenute in associazione con altri tipi di vasellame o nel contesto di strutture abitative; l'estrema complessità degli orifizi, inoltre, rende quanto mai ipotetica la validità dell'interpretazione funzionale proposta. Questi vasi, soprattutto i tipi del Jōmon tardo caratterizzati da complesse forme a profilo composito, sono peraltro definiti anche «bruciatori per incenso»; solo nel periodo Jōmon finale un tipo di vaso a forma ovoidale, schiacciato lungo l'asse maggiore e con apertura nella parte più larga del corpo, può con un buon margine di sicurezza essere inteso come lucerna.

Nel caso delle culture neolitiche e dell'Età del Bronzo della Cina, non possiamo escludere che alcuni tipi di piatti o ciotole su alto piedistallo e di basse ciotole con tre piedi possano aver assolto la funzione di utensili per illuminazione, forse riempiti di grasso animale; va d'altra parte rilevato che il modulo edilizio prevalente nell'ambito delle culture neolitiche e della prima Età del Bronzo in Cina (come anche in Corea e Giappone) è quello della capanna a vano unico più o meno infossato nel terreno e provvisto di focolare centrale, il quale potrebbe aver soddisfatto la necessità di illuminazione domestica.

In Cina, vere e proprie l. sono riconoscibili soltanto dall'epoca detta degli Stati Combattenti (475-221 a.C.) e due sono i tipi base: a olio o grasso e «a candela». L. del primo tipo sono formate da un piattello a basso bordo o da una ciotolina, il cui interno è spesso suddiviso da una corona in un settore esterno (verosimilmente il serbatoio) e uno interno (verosimilmente il bruciatore); quelle del secondo tipo sono invece formate da un piattello su un alto stelo a base circolare, con perno centrale, sul quale doveva essere infissa la candela.

Diverse sono le varianti dei due tipi base e in tutti i casi si tratta di oggetti, rinvenuti per lo più in ricchi contesti funerari, legati all'ambiente aristocratico, come dimostra chiaramente l'eccezionale e fino a oggi unica l. in giada, formata da un largo piattello con bugia su stelo con base a calotta, con decori tipici dell'epoca degli Stati Combattenti. Tale l. in giada, dai depositi di Hetianshan nella provincia di Xinjiang (i migliori mai sfruttati dai lapicidi cinesi), già facente parte del Tesoro Imperiale, è oggi conservata nel Museo della Città Proibita a Pechino. Tra gli esempî più antichi riferibili al primo tipo - che quando provvisto di manico e di tre o quattro tozzi piedini è detto «l. portatile» - vanno ricordati due esemplari dell'epoca degli Stati Combattenti. Il primo, rinvenuto nel 1978 a Pingshan (Hebei) in una sepoltura regale del regno di Zhongshan, è costituito da quattordici ciotoline poste su altrettanti bracci che si riuniscono su un tronco centrale, con ciotolina apicale, sostenuto da una base figurata. La l., che può essere smontata in otto pezzi, ha la forma di un albero sul quale giocano diverse scimmie; alcune di esse sembrano sporgersi verso due inservienti che, in piedi alla base dell'albero, offrono loro della frutta. Sulla coppia di rami centrali sono poi appollaiati due uccelli mentre sulla cima si snoda una lunga lucertola (o drago); l'intero oggetto è sostenuto sulla groppa da tre statuine di tigri, ciascuna delle quali tiene tra le fauci un anello mobile. Il secondo esemplare, rinvenuto nella sepoltura M5 della necropoli di Shangcunling presso Sanmenxia (Henan), è costituito da un piattello su un alto stelo a forcina tenuto in mano da un personaggio inginocchiato e a braccia protese nel tipico atteggiamento delle statuine di offerente dell'epoca degli Stati Combattenti. I due esemplari potrebbero rappresentare i prototipi di due tipi di l., ad albero e antropomorfa, in voga nelle epoche successive, in particolare in epoca Han. Particolarmente interessante una l. ad albero, con evidenti elementi simbolici di carattere cosmologico propri di questa tipologia, dell'epoca degli Han Orientali (25-220 d.C.) rinvenuta nel 1987 a Xingren (Guizhou), formata da un candelabro a quattro bracci, sui quali sono raffigurate scimmie e uccelli, posto sul capo di un musicante stante su una tartaruga collocata all'interno di un drago attorcigliato. Sull'apice dello stelo centrale, poi, si attorciglia un lungo drago, molto simile a una lucertola, mentre ciascuno dei bracci sostiene una l. del tipo portatile.

Nell'epoca della dinastia degli Han Occidentali (206 a.C.- 24 d.C.) è attestata invece una complessa variante di l. a olio figurata, formata - in genere - da un corpo cavo di bronzo sul quale poggia un piattello con corona interna; sull'orlo del piattello si inserisce il bordo inferiore di due pareti scorrevoli semicircolari (o «a tegola») che permettono la regolazione della luce; il bordo superiore di tali pareti si inserisce sull'orlo di una cappa che convoglia i fumi del materiale combusto all'interno del corpo cavo riempito di acqua dove il fumo si raffredda e si deposita. Di notevole pregio artistico sono alcuni esemplari di tali l. figurate rinvenute in contesti tombali principeschi, come p.es. la l. in bronzo dorato detta, da una iscrizione presente su di essa, del «Palazzo dell'Eterna Speranza», rinvenuta nel 1968 nella tomba di Dou Wan moglie del principe Jin re di Zhongshan, ambedue sepolti in vesti di giada a Mancheng (v.). Come attesta l'iscrizione, questa l. proviene dal palazzo della nonna di Dou Wan, la potente imperatrice vedova all'epoca degli imperatori Jingdi e Wudi degli Han Occidentali, ha la forma di un'inserviente inginocchiata che tiene con la mano sinistra la base del piattello con le pareti scorrevoli, il braccio destro è portato sopra le pareti scorrevoli e l'ampia manica che ricade su di esse forma la cappa di aspirazione del fumo, mentre il braccio stesso fa da canna di collegamento con il corpo cavo. Di grande pregio e della stessa epoca è altresì la l. avimorfa rinvenuta nel sito di Wuxingzhuang (Shanxi), in cui il piattello a pareti scorrevoli è posto sul dorso di un uccello acquatico che con il capo volto all'indietro tiene nel becco un pesce; quest'ultimo forma la cappa di aspirazione e il collo torto dell'uccello, la canna fumaria. È pensabile che le molte l. avimorfe, per lo più rappresentazione della «fenice» portatrice di pace, databili alla fine degli Han Occidentali e all'inizio degli Han Orientali, possano essere interpretate come un riferimento simbolico ai pacifici periodi di regno di alcuni degli imperatori dell'epoca. L. in ceramica invetriata sono attestate dall'epoca degli Han Orientali, come p.es. quella rinvenuta nel 1974 a Baiguanzheng (distretto di Shangyu, Zhejiang), formata da un piattello sostenuto sul capo da un personaggio assiso che stringe tra le braccia un grosso topo.

L'uso delle complesse l. figurate in bronzo sembra non essere soprawisuto alla dinastia Han. A partire dal III sec. infatti sono attestate soprattutto semplici l. in ceramica invetriata e in grès con invetriatura céladon in cui il piattello, che può fungere o da ricettacolo per olio o da base per la candela, è sostenuto da uno stelo su base tonda. A questo tipo appartengono sia la l. con stelo a forma di orso rinvenuta nel 1958 a Qingliangshan presso Nanchino e datata da un'iscrizione al 265 d.C., sia la grande l. con invetriatura céladon rinvenuta nella tomba di Lou Rui, re di Dong'an, della dinastia dei Qi Settentrionali (550-577), morto nel 570; in quest'ultima, forse di uso funerario e le cui decorazioni applicate e incise rivelano un forte influsso centroasiatico, il piattello è sostituito da una capiente coppa emisferica. A partire dalla dinastia Tang, il tipo di l. più diffuso, sia con stoppino a olio sia a candeliere, sembra essere quello con piattello, o bugia, su stelo con base tonda.

Anche nell'Asia sud-orientale l'uso di l. non è attestato prima della fine del I millennio a.C. Nella regione vietnamita le più antiche attestazioni di l. rivelano chiaramente importazioni dalla Cina della dinastia Han o la presenza di artigiani cinesi (il Vietnam settentrionale fu occupato dagli Han nel in a.C.). Di ispirazione «Han» è p.es. la l., databile forse intorno al III sec. d.C., rinvenuta nella sepoltura n. 3 di Lạch-tru'ó'ng (Provincia di Thanhhoa) formata da un offerente genuflesso che tiene tra le mani un piattello (per olio o grasso). Alle spalle del personaggio, sul quale sono presenti delle figurine antropomorfe miniaturistiche, sono fissati tre bracci a S; su di essi dovevano essere fissate due l. con elementi avimorfi (bracci laterali) e la l. con testa di drago (braccio centrale), rinvenute nella stessa tomba. Convincente l'interpretazione offerta da O. Janse, autore della scoperta nel 1935, del personaggio come simbolo antropomorfo dell'albero solare (o albero della vita), tanto diffuso in Cina, sul quale si radunano le anime dei defunti (in questo caso, le piccole figurine antropomorfe).

Un'influenza molto più occidentale rivela la variegata tipologia delle l. in terracotta in uso, dalla odierna Cambogia alla Birmania, a partire dal IV-V al X sec d.C. Si tratta principalmente di l. a olio distinguibili in due categorie: a ciotolina semplice e a l. «romana» provvista di serbatoio e bruciatore. Le l. del primo tipo (umbelicate, con orlo semplice, con orlo pizzicato a beccuccio, con orlo a beccuccio e pilastrino centrale di sospensione per lo stoppino, con orlo dentellato), sempre in ceramica, sono di piccole dimensioni e forse usate come l. votive (anche per la loro associazione a strutture architettoniche monumentali, p.es. a Tha Kae, Sab Champa, Tambon Phra Pathon, Ban Ku Muang nella Thailandia centrale, Oc-éo in Vietnam e Pagan in Birmania), rivelerebbero influenze provenienti dal mondo indiano. Quest'ultimo sarebbe anche responsabile della trasmissione del secondo tipo, la l. «romana», che presenta un particolare tipo di beccuccio o il labbro pinzato per alloggiare lo stoppino immerso nella sostanza combustibile (probabilmente grasso animale). Del secondo tipo di l. si conoscono diverse varianti in ceramica di produzione locale e un noto esemplare in bronzo, rinvenuto nel 1927 a Pong Thuk nella Thailandia centrale, verosimilmente di produzione bizantina; in bronzo è anche una l. in forma di makara (mostro mitico marino) proveniente da scavi clandestini a Oc-éo. Degna di essere menzionata è una l. in terracotta rinvenuta nel 1983 a Ban Tha Kae (Lopburī, Thailandia centrale); si tratta di una particolare variante della l. «romana»: una ciotola con corpo grosso molto arrotondato e un affusolato beccuccio orizzontale. Essendo un unicum per l'area indocinese, la l. di Ban Tha Kae troverebbe confronti vicini con l. rinvenute su suolo indiano a Ter e datate tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C.

Sempre peculiari dell'Asia sud-orientale sono le c.d. takan, o l. a piattino con orlo pizzicato e pilastrino centrale con foro di sospensione passante in verticale, attestate in grande quantità nei siti storici della Thailandia centrale dove, in contesti Dvāravatī, numerosi sono anche i «candelieri» in metallo (prevalentemente bronzo), composti da uno stelo su piedistallo emisferico, un piattino e una piccola ciotola per contenere la candela di cera.

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(F. Rispoli)