SIGNORELLI, Luca

Enciclopedia Italiana (1936)

SIGNORELLI, Luca

Mario Salmi

Pittore, nato a Cortona intorno alla metà del secolo XV, ivi morto il 16 ottobre 1523. Luca Pacioli e il Vasari affermano che egli si formò alla scuola di Piero della Francesca; la qual cosa confermano le reminiscenze di Piero in dipinti giovanili del S. e primo un affresco frammentario (1474) nella torre detta del vescovo a Città di Castello. Sulla base di questo affresco si sono supposti anteriori esempî dell'attività dell'artista (ricordato come pittore fino dal 1470) tre tavole di stile nettamente aderente a Piero della Francesca (Madonne del Museo di Boston, della Christ Church Library di Oxford e della Collezione Villamarina a Roma). Ma il S., essendo dotato, a differenza del suo maestro, per il movimento, fu attratto dall'ambiente fiorentino che realizzava con mezzi più adeguati alla sua visione, quali l'incisività della linea e la gagliardia del chiaroscuro, rilevabili in un'Annunciazione già a Casa da Monte, ora in San Francesco di Arezzo; in una Madonna del latte, di vasto respiro monumentale, ad onta delle sue dimensioni modeste, nella Pinacoteca di Brera a Milano, e in una Flagellazione nello stesso istituto, che, unita in origine alla tavoletta precedente, componeva con essa un "segno" da processione. Il S. si era allora accostato ad Antonio Pollaiolo e doveva avere anche apprezzato la grandiosità decorativa di fra Filippo Lippi nei dipinti murali della cappella maggiore del Duomo di Prato. L'orientamento fiorentino dell'autore è sempre più chiaro negli affreschi della sacristia della Cura nella Basilica di Loreto.

I biondi angeli liberamente disposti negli otto spicchi della cupola hanno vesti tortuose e serpeggianti di ricordo verrocchiesco, che accentuano la loro danza leggiera, e al disotto le gravi figure degli evangelisti e dei dottori sono di una monumentalità che fonde tendenze pierfrancescane e lippesche. La stessa umanità risoluta, fiera, animata da santo zelo, torna negli apostoli delle pareti, abbinati come quelli di Donatello nelle porte della sacristia di San Lorenzo a Firenze; mentre nella Conversione di S. Paolo ivi affrescata, gli armigeri investiti da una subita luce che li determina nella loro forma secca e saettante, disorientati e atterriti intorno a Saul che fissa l'immagine divina, rispecchiano un'altra umanità: quella violenta e rissosa degli scherani delle compagnie di ventura, attuata con energia di gusto pollaiolesco.

Qualche differenza di fattura negli affreschi lauretani ha fatto supporre che il S. vi avesse come collaboratori Pietro Perugino e Bartolomeo de la Gatta; il quale ultimo di fatto si può riconoscere in parte nell'affresco della Cappella Sistina a Roma col Testamento e la Morte di Mosè (1481-82), dove le forme nude o tornite nei loro aderenti costumi rivelano le preferenze del S. per la figura umana mentre certe dolcezze espressive di caratiere umbreggiante una minor forza di realizzazione in alcuni gruppi sembrano dovute a una assai libera interpretazione dei cartoni del maestro. In una pala nel duomo di Perugia (1484), il S. ci presenta integri i suoi ideali, tutto volto a definire i caratteri fisici e morali dell'uomo (si osservi il vibrante nudo del S. Onofrio) con bronzea consistenza che si riflette nel trono e nei gradini, rifuggendo da effetti di grazia persino nell'angelo che suona la tiorba, ma insistendo su certe precisazioni e minuzie fiammingheggianti. Poi egli continua sulla stessa via con la virilità della sua tempra di montanaro, coerentemente. Il ritratto di uomo nel museo di Berlino, dai piani larghi e di uno splendido cromatismo, è collocato contro un paese dove nudi e figure in movimento richiamano, con modi ripetuti negli sfondi di altre opere (si veda la Madonna col Bimbo e due profeti agli Uffizî), all'insistente esclusiva evidenza dei valori umani; l'Educazione di Pan (circa 1490), anche a Berlino, ci offre del soggetto classico una romantica fantasia di toscana misura nei nudi nettamente squadrati; la Sacra Famiglia degli Uffizî, forme eroiche adattate mirabilmente, sull'esempio del Botticelli, alla foggia circolare della tavola. Alla più animata Annunciazione (1491) della Galleria comunale di Volterra e alla architettonica Circoncisione della Galleria Nazionale di Londra vanno unite altre memorabili opere dell'ultimo decennio del secolo (tondo con la Visitazione del Museo di Berlino, Gonfalone della Galleria di Urbino del 1494, Madonna della Pinacoteca di Monaco, i laterali della pala di San Cristoforo del 1498, già in Sant'Agostino di Siena, ora a Berlino, pala nel Museo Metropolitano di New York, ecc.), di potenza monumentale e drammatica, che si conserva nelle piccole storie delle predelle (ad es. nella Natività del Battista al Louvre). Negli affreschi del chiostro di Monteoliveto Maggiore con Storie di San Benedetto (1497 e oltre) la narrazione procede con efficacia incalzante, sebbene non senza squilibrî dovuti agli aiuti, e la luce e il rilievo vi giungono a una determinazione metallica e dura del modellato, adatta ai volti patibolari dei guerrieri di Totila, con vigoria che non sarà più da lui superata.

Ma il genio del S. si può misurare soprattutto nella decorazione della cappella di S. Brizio nel duomo di Orvieto, già iniziata dall'Angelico (1447), che si era limitato a dipingere due vele della vòlta col Cristo giudice e i Profeti, e ripresa e condotta a fine (1499-1503) dal nostro.

Nelle altre sei vele questi dispose gli angeli e gli apostoli, i martiri e le vergini, i dottori e i patriarchi, in gruppi che compongono altrettanti estatici cori. Nelle pareti ritrasse l'uomo coi suoi sentimenti espressi in un'atmosfera di tragedia o di beatitudine. Le storie dell'Anticristo, in una vasta scena priva di minuzie paesistiche, riflettono il torbido ambiente dei sobillatori negli episodî di rapida azione, e terminano bruscamente con la caduta del falso iddio, folgorato da un angelo. In quel mondo di lotte e di rancori il S. dipinse il suo ritratto dai lineamenti maschi e dagli occhi fermi, scrutatori, insieme con quello mite e candido dell'Angelico. Poi, nella parete d'ingresso, ai profeti che predicono solenni il Finimondo contrappose la fuga incomposta dell'umanità percossa da getti di fuoco sinistramente obliqui nel cielo sanguigno, umanità che prorompe, come torrente in piena, nei primi piani coi suoi scorci che sembrano soverchiare i limiti naturali della parete. Due atletici arcangeli tubicini incombono, nella scena accanto, sugli uomini, ora purificati dalla morte, che risorgono e riprendono sereno aspetto umano e giovanile, affratellati da un concorde sentimento di elevazione a Dio. Ma è appena un attimo perché, dopo la Resurrezione della carne, le passioni esplodono di nuovo nel dramma della pena eterna. Tre arcangeli, saldi nel cielo, assistono allo strazio dei dannati che implacabili demoni assillano e spingono verso l'antro dell'Inferno. Presso di loro due peccatori precipitano inseguiti da due diavoli; una donna lussuriosa, che guarda con livido timore, è recata sulle spalle da un demone orrendo e ghignante. Ma il dramma è soprattutto affidato alla massa: a quel complicato groviglio di corpi che occupa tanta parte della composizione dove il S., libero da ogni intento narrativo, raggiunge altezze degne di Dante.

Nel Paradiso una folla di nudi bellissimi, seccamente squadrati, è forse soverchiata dalla schiera grandeggiante degli angeli. In un'altra composizione dietro l'altare, che unisce le due precedenti, agli Eletti affioranti sui primi piani, corrispondono i Dannati traghettati sulla riviera di Acheronte, di dimensioni minori, a gruppi rincorsi e flagellati dai demoni, quasi passaggio alle scene del ricco basamento a grottesche, le quali rivelano il fervore drammatico e il carattere di essenzialità nel S. illustratore. Sono monocromati, tolti da episodî dell'Averno classico e dei primi undici canti del Purgatorio, che appariscono coi ritratti di poeti e di filosofi - Omero, Empedocle, Lucano, Virgilio, Ovidio, Stazio, Orazio (?) e Dante - col proposito di accennare la vita del mondo antico e del mondo cristiano nei suoi rapporti con l'oltretomba.

Con arte che ha momenti di tragicità terribile, valendosi dei suoi mezzi stilistici maggiori, plasticismo e movimento, il S. realizzò, come nessuno dei suoi contemporanei avrebbe potuto, il dramma dell'umanità di fronte al problema dell'al di là e raccolse ad Orvieto quegli uomini, che, definiti nella loro varia esistenza fisica e spirituale, erano apparsi già nelle opere precedenti del maestro. Il ciclo orvietano rappresenta dunque la sintesi dell'arte di lui. Pure nella esecuzione (prima fu condotto il Paradiso, quindi l'Inferno, in ultimo il Finimondo e le Storie dell'Anticristo) apparisce la traccia degli aiuti che frenano la foga dell'artista, con un procedere meccanico e accademico, accertabile in un raffronto con gli stupendi disegni che rendono con spontaneità e immediatezza la plastica visione figurativa del S. (si vedano i disegni del Louvre e dell'École des Beaux Arts a Parigi, degli Uffizî a Firenze e altrove).

In rapporto stilistico col ciclo orvietano è la concentrata Deposizione di Cortona del 1502 (da avvicinarsi per composizione ad un affresco della Collegiata di Castiglion Fiorentino e ad un'altra nella cappella di S. Brizio), cui fanno da eco lontana certi vivissimi episodi nel fondo, dei quali anche si avviva la bronzea Crocefissione con la Maddalena ai piedi della Croce agli Uffizî; e, fra gli affreschi di San Crescentino a Morra (c. 1507), dovuti in gran parte agli scolari, la Flagellazione, di un respiro quasi michelangiolesco. Poi il S. si volge a forme aggraziate (di cui è traccia anche nei disegni di questo tempo) rivestite di colori chiari, addolcite per presumibili contatti con Raffaello e con Timoteo della Vite (ad es. nella pala di Brera del 1508) e persino col Perugino (Comunione degli Apostoli di Cortona del 1512); ma riprende spesso nella tarda operosità - esuberante e ineguale dovuta alla bottega che sopperisce alle richieste di una clientela di provincia - energici modi figurativi, ad es. nel Cristo sorretto da angeli e adorato da santi in San Girolamo di Cortona, nella cupa Deposizione dalla Croce di Umbertide (1515-16), nella stessa pala della Pinacoteca di Arezzo (1519-20), dove la Madonna col Bimbo, i profeti e i santi, di un fare un po' macchinoso e dipinti in parte dai discepoli con discordanza festaiola, riecheggiano la monumentalità dei tempi migliori.

Gli aiuti e gl'imitatori numerosi (oltre Bartolomeo della Gatta, si ricordino un Giovanni Battista, forse di Città di Castello; il cosiddetto Maestro di Griselda; G. Genga; P. P. Baldinacci di Gubbio, i cortonesi Tommaso Barnabei detto il Papacello e Francesco Signorelli, nipote di L.; Bernardo da Gualdo, ecc.) furono tutti mediocri e incapaci, nella loro superficialità, di comprendere l'insegnamento del maestro e solo Michelangelo Buonarroti, che col S. ebbe diretti rapporti, ne ricordò l'alto modulo figurativo nel dar vita alle sue eroiche visioni.

Il S., sbocciato da una sintesi stilistica fra Piero della Francesca e i grandi formalisti fiorentini, resta peraltro legato allo spirito del Quattrocento e la personalità di lui vi grandeggia solitaria conservando la rude schiettezza della sua razza montanara.

V. tavv. CXLV-CL.

Bibl.: G. Mancini, Vita di L. S., Firenze 1904 (informatissima e con la bibl. precedente completa; cfr. anche dello stesso: G. Vasari, Vite cinque annotate, ecc., ivi 1917); M. Salmi, in Rass. d'arte, 1916, p. 173; id., L. S., Firenze 1922; A. Venturi, L. S., Firenze (1922); L. Dussler, L. S., Berlino-Lipsia 1926 (serie Klassiker d. Kunst). Inoltre: B. Berenson, in Art in America, XIV (1926), pp. 105-17; id., in Gaz. des beaux-arts (1932), pp. 173-210; id., ibid., II (1933), pp. 279-293; U. Gnoli, in Metropolitan Museum Studies, IV (1932), pp. 1-2; M. Salmi, in L'Arte, XXVI (1923), pp. 67-71; id., in Boll. d'arte, n. s., II (1922-23), p. 476; R. Guerrieri, in Riv. d'arte, XIV (1932), pp. 233-241.

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