Lotta biologica

Enciclopedia del Novecento (1978)

Lotta biologica

Sergio Bettini

di Sergio Bettini

Lotta biologica

sommario: 1. Introduzione: a) cenni storici; b) oggetto della lotta biologica; c) definizioni; d) lotta integrata; e) eradicazione; f) aspetti ecologici; g) resistenza; h) inquinamento. 2. Lotta biologica con l'impiego di organismi eterologhi: a) Batteri; b) Funghi; c) Virus; d) Protozoi; e) Nematodi; f) Artropodi (parassiti, predatori e Artropodi competitivi); g) veleni di origine animale; h) altri gruppi. 3. Lotta biologica con l'impiego di organismi omologhi: a) manipolazione genetica; b) feromoni; c) ormoni. 4. Altri metodi: a) attrattivi; b) antifeedants (fagostatici). 5. Risultati e previsioni. □ Bibliografia.

1. Introduzione

a) Cenni storici

Quel particolare tipo di intervento cosciente dell'uomo sull'equilibrio naturale che chiamiamo ‛lotta biologica' ha avuto forte impulso negli ultimi decenni; anche in passato tuttavia è stato oggetto di studio e ha avuto ampia attuazione pratica. Sembra sia stato Erasmus Darwin, nonno del più celebre Charles, a proporre per primo, nel 1800, veri e propri metodi di lotta organizzata contro afidi a mezzo di larve di Sirfidi e contro i bruchi della cavolaia a mezzo di uccelli predatori.

A tradurre in opera i primi esperimenti, con promettenti risultati, fu l'americano C. V. Riley, pioniere dell'importazione negli Stati Uniti di predatori e parassiti di specie di insetti nocivi alle colture americane (1880-1890).

Malgrado l'interesse destato da questi primi tentativi, la lotta biologica è scienza giovane, e le tecniche con cui essa era applicata ai tempi degli studiosi che abbiamo appena ricordato sono state di recente rinnovate e moltiplicate: grazie a questi nuovi strumenti, la ricerca nel campo della lotta biologica sta oggi progredendo e si propone obiettivi più ambiziosi.

Le ragioni di questo rinnovato interesse per la lotta biologica sono da ricercarsi, come vedremo in seguito, in particolari situazioni, che riguardano la biologia, l'economia e, in larga misura, l'evolversi delle condizioni sociali e psicologiche del mondo moderno.

b) Oggetto della lotta biologica

Prima di entrare nel merito dell'argomento e prima ancora di tentare la sintesi di un'accettabile definizione del termine stesso - prima, insomma, di esaminare quanto si ritiene debba essere compreso, in questa sede, nella nozione di lotta biologica - è necessario considerare innanzitutto qual è l'‛oggetto' verso cui si ritiene la lotta biologica debba essere diretta. Prendiamo un caso limite. In teoria, anche la guerra biologica sarebbe soltanto un tipo particolare di lotta biologica; solo che, in questo caso, l'uomo ne è - purtroppo - l'oggetto; è dunque evidente che non la si può includere nel presente contesto, anche se alcuni poco pubblicizzati metodi biologici dovrebbero, per la loro raffinata ingegnosità, essere additati come chiari esempi di ben programmate metodologie, al servizio però di principi refutabili.

Nell'uso comune, l'‛oggetto' della lotta biologica è sottinteso, ma non viene specificato, anche perché la sua definizione comprende una lunga lista di organismi, che va dai Virus, alle Piante, ai Vertebrati. Un metodo di lotta biologica ha avuto certamente ampio successo con l'introduzione degli antibiotici in medicina, intorno all'anno 1940, tuttavia non prenderemo qui in considerazione, per evidenti motivi di praticità, gli organismi patogeni per l'uomo e per gli animali e l'intervento di tipo farmacologico che solitamente viene ad essi opposto. Il nostro ‛oggetto' sarà invece costituito da alcune categorie di organismi nocivi, o semplicemente molesti, che fanno parte di quel più vasto gruppo conosciuto con il termine inglese di pests (che poi non è altro che la traduzione letterale del termine latino pestis, nel senso di male, flagello, danno grave), attualmente accolto anche in altre lingue. È evidente che in italiano un analogo significato non si può attribuire che al termine generale ‛organismi nocivi', dal quale escluderemo a priori (come abbiamo già accennato) gli organismi infettivi per l'uomo e per gli animali, ma non quelli delle piante.

c) Definizioni

Secondo la definizione riportata da B. P. Beirne (v., 1967) con il termine pests si intende una vasta parte, non rigidamente delimitata, degli organismi viventi che consideriamo di solito (ma non sempre a ragione) come dannosi a noi e alla nostra proprietà. Si deve poi aggiungere che questi organismi nel loro complesso sono uno dei fattori maggiormente nocivi alla salute, al benessere e perfino alla sopravvivenza dell'uomo. Con tale definizione, necessariamente generica in quanto intesa a includere un vasto numero di organismi di natura molto diversa, l'autore vuole comprendere non solo quelli che direttamente sono la causa del danno ma anche quelli che, come i vettori di malattie dell'uomo, degli animali e delle piante, ne sono la causa indiretta. Vorremmo qui sottolineare anche l'estrema labilità del significato che solitamente si attribuisce al termine ‛nocivo', dovuta all'instabilità di alcuni fattori sui quali si basa il concetto stesso di ‛danno'.

Giustamente il Beirne specifica che il significato del termine dipende spesso da un'opinione personale. E ciò è tanto più ovvio se si considera, per esempio, che la soglia di accettazione di una qualsiasi molestia causata da un organismo può variare notevolmente da individuo a individuo. Il termine deve perciò comprendere altri organismi oltre quelli conosciuti come infestanti (nei quali sono compresi solo i Metazoi); gli organismi nocivi, intesi come pests, possono quindi essere: Virus, Batteri, Miceti, Protozoi e Nematodi patogeni per le piante o i prodotti vegetali e per gli animali; Aracnidi, Insetti e Molluschi che siano causa diretta o indiretta di malattie per le piante o per l'uomo o per gli animali; Vertebrati nocivi all'uomo, all'agricoltura e ai suoi prodotti; piante infestanti.

Qualsiasi organismo nocivo potrebbe in teoria essere oggetto di un qualche metodo di lotta biologica; in pratica il campo si restringe a: Virus, Batteri, Funghi, Artropodi, Molluschi, Nematodi, Roditori, Uccelli e piante infestanti.

Una volta definito, pur nei suoi termini più generali, ciò che si vuole intendere per ‛organismo nocivo', vediamo qual è propriamente il significato di ‛lotta biologica'.

La lotta biologica non è che uno dei vari tipi di lotta contro gli organismi nocivi (pest control). Questa viene definita dal Beirne come ‟qualsiasi azione che viene deliberatamente intrapresa, continuata o intensificata dall'uomo e che ha come oggetto la prevenzione, la riduzione o l'eliminazione del danno causato dall'organismo nocivo" (v. Beirne, 1967, p. 27). Si è soliti suddividere questa lotta in vari tipi a seconda dei mezzi impiegati per attuarla, mezzi che possono essere fisici, chimici, biochimici o puramente biologici. È tuttavia difficile fissare dei confini netti tra i differenti tipi di lotta: i singoli casi di intervento, infatti, non possono in generale essere rigidamente classificati come appartenenti solo all'uno o all'altro di essi; ciò è tanto più vero per i mezzi che abbiamo sopra definito come propriamente ‛biologici'. Per evitare confusione, sarà bene chiarire ulteriormente come uno stesso gruppo di organismi (a volte perfino la stessa specie) possa rappresentare tanto il soggetto da colpire quanto il mezzo di lotta; è il caso dell'impiego di maschi sterili, degli attrattivi sessuali, ecc.

Secondo Beirne, lotta biologica è ‟l'uso da parte dell'uomo di organismi viventi al fine di limitare o evitare i danni provocati dagli organismi nocivi" (v. Beirne, 1967, p. 31). È evidente in questa definizione l'implicita discriminazione di altri tipi di lotta, come quelli che impiegano mezzi fisici o chimici, ed è anche d'altra parte ovvio, secondo l'autore, che tutto ciò che non è organismo ‛vivente' non può essere incluso, per definizione, entro i confini della lotta biologica.

Anche altri autori danno definizioni limitative. Secondo C. B. Huffaker (v., 1971) il concetto di lotta biologica dovrebbe limitarsi a comprendere l'azione di parassiti predatori e patogeni, escludendo così l'impiego di maschi sterili e di sostanze di origine animale. R. F. Smith e H. T. Reynolds (v. FAO, 1966) escludono dalla lotta biologica qualsiasi sostanza chimica, sia essa un feromone o parte di un microrganismo patogeno. E. Biliotti (v. FAO, 1966) scrive che si intende classicamente, per lotta biologica, l'impiego contro gli organismi nocivi dei loro nemici naturali.

Tradizionalmente rientrano in questa stessa definizione anche i metodi diretti alla limitazione delle piante nocive per mezzo dei loro nemici fitofagi.

Ne consegue che le sostanze prodotte dagli esseri viventi e da questi separate, come ad esempio le tossine batteriche, non dovrebbero essere considerate, secondo la definizione di questi autori, come armi della lotta biologica. Questa interpretazione, tuttavia, non è scevra di confusione. Vi sono difatti alcune sostanze prodotte da animali viventi, quali ad esempio gli attrattivi sessuali, che agiscono e vengono impiegate sia come secreto da parte dell'insetto vivente, sia come prodotto sintetico di origine industriale. Non è corretto perciò tracciare una linea di demarcazione fra due diversi metodi impiegati per ottenere una stessa sostanza, e includerne invece uno solo nel capitolo della lotta biologica. Questo discorso ci porta naturalmente molto più lontano, perché si è trovato (per rimanere sempre nel campo degli attrattivi sessuali) che una serie di sostanze sintetiche può rimpiazzare egregiamente gli attrattivi naturali di alcune specie. In questo caso dunque abbiamo prodotti non naturali, che quindi non originano da animali viventi, ma che hanno la stessa azione dei prodotti naturali. In ultima analisi, un metodo di lotta che impiega tali prodotti sintetici va o non va considerato come una forma di lotta biologica?

Se includiamo nel campo della lotta biologica i secreti, dovremo includere non solo gli attrattivi e repellenti di origine animale ma anche quelli di sintesi e di estrazione vegetale. Sarebbe però utile limitarci a quelle sostanze che non sono insetticide, bensì influiscono sulle funzioni dell'organismo nocivo in modo da modificarne il comportamento. Due autori orientati in questo senso sono D. Wood (v. Wood e altri, 1970) e M. Beroza (v., 1970).

Un altro esempio della difficoltà che presenta una definizione ristretta di lotta biologica viene offerto dal campo delle sostanze velenose o repellenti prodotte da Funghi, Anellidi, Artropodi, ecc.: mentre è di scarso interesse pratico - salvo poche eccezioni - l'utilizzazione da parte dell'uomo di tali organismi che possiedono, da vivi, un effetto antagonista verso gli organismi nocivi da combattere, è invece di grande interesse pratico l'impiego delle stesse sostanze velenose o repellenti da essi estratte o sintetizzate in laboratorio. Si tratta in ogni modo anche in questo caso di sostanze che causano nell'artropodo un effetto ben definito, identico a quello indotto naturalmente dall'organismo vivente con funzione aggressiva.

Riteniamo perciò più comprensiva una definizione di lotta biologica che consideri non solo l'impiego di animali viventi e di microrganismi patogeni, ma anche di sostanze da essi stessi derivate, sia per estrazione che per sintesi. Viene così escluso dai metodi di lotta biologica l'impiego di sostanze originate da piante superiori (insetticidi, sinergici; v. tabella).

d) Lotta integrata

Si usa oggi, per lo più, trattare le popolazioni di organismi nocivi utilizzando in modo compatibile tutte le tecniche possibili al fine di ridurre la densità delle popolazioni stesse e di mantenerla a livelli inferiori a quelli che sarebbero economicamente dannosi o nocivi all'uomo: chiamiamo questo metodo ‛lotta integrata', intendendo di solito l'integrazione di metodi biologici con metodi chimici (v. pesticidi).

Tabella

e) Eradicazione

In alcuni casi, come vedremo, si è assistito, come risultato finale di una estesa e lunga campagna con metodi sia chimici che biologici, alla scomparsa di una popolazione di individui appartenenti a una determinata specie. Si parla in questi casi di ‛eradicazione' della specie da un territorio. Ciò si è verificato nella maggior parte dei casi in seguito a precise valutazioni teoriche, e solo raramente come fatto accidentale e insperato (cioè come un risultato ottenuto in seguito a campagne programmate solo per diminuire la densità dell'organismo nocivo fino a livelli tollerabili, e non per eradicarlo).

Ora, ci si può domandare se sia vantaggioso tentare di conseguire di proposito l'eradicazione piuttosto che la semplice riduzione della popolazione della specie nociva a livelli accettabili dal punto di vista sanitario o economico.

In particolari circostanze, ove esiste una chiara finalità sanitaria o economica, la pianificazione di una lotta che abbia l'eradicazione come fine da raggiungere può essere giustificata (vettori di malattie, ecc.). Va tenuto presente però che per ottenere questo fine il costo della lotta sarà assai più alto di quello sufficiente ad abbassare la densità della popolazione della specie nociva, per cui la spesa dovrà essere ripartita entro un ragionevole numero di anni. In particolare, ci si dovrà garantire affinché la specie non possa essere reintrodotta nel territorio trattato. Di qui la necessità di operare in linea di massima su territori ben delimitati da barriere biogeografiche e di impiegare un adeguato servizio di quarantena. Provare l'avvenuta eradicazione di una specie da un dato territorio è difficile: il semplice non reperimento di individui della specie, per esempio, non è sufficiente a dimostrarlo; la prova che offre maggiori garanzie è data dal non reperimento per un lungo periodo di anni. Esistono tuttavia metodi biologici assai sensibili per provare la presenza di individui della specie, quali l'impiego di attrattivi sessuali che, oltre ad essere strettamente specifici, sono attivi anche a concentrazioni bassissime e a notevole distanza. Esempi classici di eradicazione sono stati forniti, come vedremo, da applicazioni di metodi biologici.

f) Aspetti ecologici

Nella sua corretta interpretazione, ogni metodo di lotta contro organismi nocivi consiste fondamentalmente in una questione di ‛ecologia applicata'; tuttavia, la sua esecuzione è stata per lungo tempo condotta non solo con poca attenzione verso la reale necessità della lotta stessa, ma in alcuni casi anche con poca attenzione verso i vari effetti collaterali nocivi o perfino verso quei discutibili vantaggi che il raccolto stesso, nel caso di interventi nell'agricoltura, poteva ottenere.

Difatti, come già accennato, la lotta contro una specie non rappresenta in definitiva che una manipolazione dell'ambiente naturale, e quindi un'alterazione dei rapporti esistenti in un territorio fra le diverse specie vegetali e animali, in quanto la diminuzione della densità di una specie porta invariabilmente a un turbamento dell'equilibrio naturale; turbamento che in alcuni casi può sfuggire all'osservazione, in altri può temporaneamente rimanere a livelli non identificabili dall'uomo per poi raggiungere repentinamente, se il fenomeno perdura, valori di rottura e condizioni di irreversibilità. Queste nuove condizioni possono, a volte, risultare dannose per la salute o per l'economia dell'uomo. Una manipolazione ecologica si ha in tutti i casi di lotta, dall'impiego dei pesticidi ai vari metodi di lotta biologica.

Esistono altri termini che vengono spesso usati e si riferiscono a ‛come' eseguire la lotta. Ad essi si attribuiscono varie interpretazioni che sono frequentemente causa di confusione. Per esempio il termine di ‛lotta ecologica', con cui si intende fondamentalmente ‟la manipolazione di fattori dell'ambiente, già esistenti, ai fini di colpire direttamente gli organismi nocivi per influire indirettamente su di loro sfruttando i loro nemici naturali" (v. Beirne, 1967), ha un valore relativo se si considera che il concetto della variazione di fattori dell'ambiente è del tutto ovvio e scontato in partenza: non si può infatti concepire alcun tipo di lotta - in quanto tale, intesa a variare la densità dell'organismo nocivo - senza che in esso sia implicito l'aspetto ecologico delle modifiche apportate dall'uomo. Smith (v. Accademia Nazionale dei Lincei, 1969) sostiene al riguardo che lotta biologica non significa oggi il trasferimento di entomofagi da un punto all'altro del globo. Dalla relazione esistente fra l'entomofago e il suo ospite, il più delle volte considerati allo stato individuale, si è passati a considerare quella esistente tra le popolazioni dei due e gli altri elementi della comunità, il che ha aperto nuovi orizzonti all'applicazione del metodo.

Esistono molti gruppi di sostanze - per es. gli antifeedants (fagostatici) - che, pur non uccidendo immediatamente l'organismo nocivo, possono alterarne le funzioni a danno della specie stessa. Queste sostanze agiscono in modo specifico su alcune funzioni dell'organismo, ma essendo nella maggior parte dei casi di origine sintetica o tutt'al più estrattiva, e non originando quindi da organismi della stessa specie (come invece nel caso degli ormoni), possono essere classificate a cavallo tra i pesticidi e le sostanze impiegate nella lotta biologica. Difatti, da un lato provocano nell'organismo selettivamente colpito talune disfunzioni, quali potrebbero anche essere causate da sostanze ormonali, ovvero inducono nell'organismo alterazioni ormonali secondarie; e dall'altro, determinando alla fine la morte dell'organismo, sono simili ai pesticidi i quali si sa bene che in molti casi ledono solo alcune funzioni vitali (alterazioni del comportamento per cui gli organismi colpiti sono più facilmente predati da altri organismi, ecc.).

g) Resistenza

La recente sensibilizzazione ai problemi ecologici nata dall'uso dei pesticidi si sta traducendo in un incoraggiamento a tipi di lotta che non sono ecologicamente dannosi e verso i quali è meno probabile che si sviluppino fenomeni di resistenza negli organismi combattuti. In tal senso si tende attualmente a rafforzare l'organismo internazionale che si occupa della lotta biologica e cioè l'IOBC (International Organization for Biological Control of Noxious Animals and Plants): esso, fondato nel 1956 come comitato dell'IUBS (International Union of Biological Sciences), nel 1967 risultava costituito da 27 membri appartenenti a 16 paesi dell'Europa occidentale e del bacino del Mediterraneo; ristrutturato nel 1969, attualmente comprende 30 paesi, tra i quali gli Stati Uniti.

La lotta biologica presenta attualmente aspetti di grande rilievo. Difatti, in seguito all'uso, in molti casi indiscriminato, dei pesticidi tradizionali, sono sorti due problemi: il fenomeno della ‛resistenza' e l'inquinamento dell'ambiente. Un altro grave svantaggio, inoltre, è dato dagli effetti dei pesticidi sugli organismi benefici che non rappresentano l'obiettivo della lotta, cioè da quegli effetti biologici che vengono chiamati ‛non intenzionali'.

La resistenza può insorgere verso una sola sostanza tossica come verso un'intera serie di sostanze: in molti casi quest'ultima condizione ha portato al punto in cui è impossibile combattere l'organismo nocivo con i pesticidi tradizionali. E proprio in questi casi che si presenta la necessità di ricorrere o ad eventuali nuovi insetticidi con meccanismi di azione diversi (che oggi stentano ad apparire sul mercato) oppure alla lotta biologica. È vero che la resistenza, che in effetti consiste in un rapido processo selettivo di tipo darwiniano, è un fenomeno che in teoria può insorgere in qualsiasi popolazione verso qualsiasi sostanza nociva o condizione sfavorevole, ma è anche vero che la maggior parte dei metodi di lotta biologica non hanno ancora mostrato, per diversi motivi, alcun segno dell'instaurarsi di un processo di resistenza, anche se per alcune sostanze ci si attende che prima o poi questa condizione si debba presentare.

h) Inquinamento

L'inquinamento dell'ambiente da parte dei pesticidi è nella maggior parte dei casi conseguenza del fenomeno stesso della resistenza, condizione che obbliga l'operatore ad aumentare le dosi del pesticida e/o il numero delle applicazioni per cercare di ottenere risultati che si avvicinino a quelli originari. Tale inquinamento è ovviamente tanto più grave quanto più elevata è la tossicità e la persistenza della sostanza. Difatti, l'eventuale uso, per esempio, di esteri fosforici poco persistenti e con tossicità selettiva verso alcuni artropodi nocivi, non sarebbe privo di effetti deleteri immediati su molte altre forme di invertebrati, con grave pericolo di rottura di delicati equilibri ecologici. L'uso invece di metodi biologici, in particolare di quelli altamente specifici, sarebbe scevro di questo tipo di danno e inoltre non sarebbe fonte di inquinamento.

2. Lotta biologica con l'impiego di organismi eterologhi

Il campo della ricerca di metodi di lotta biologica con l'impiego di organismi diversi da quello da combattere è vasto e comprende prevalentemente: a) parassiti sensu lato (Virus, Batteri, Funghi, Protozoi, Artropodi, Nematodi, ecc.) con la caratteristica però che l'azione parassitaria deve unirsi a un reale danno dell'ospite tale da condurlo a morte, o menomarlo si da ridurne la capacità riproduttiva, ecc., cioè, debbono essere realmente patogeni; b) predatori (Artropodi, Vertebrati, ecc.); c) competitivi, in grado con la loro presenza nello stesso habitat di limitare la densità della popolazione dell'organismo nocivo (Artropodi, ecc.); d) animali velenosi e loro prodotti, ecc.

Fino ai tempi recenti, tuttavia, la produzione su scala industriale di organismi patogeni è stata limitata a qualche virus, a due batteri (Bacillus popilliae e Bacillus thuringiensis) e a un fungo (Beauveria bassiana).

Il futuro della lotta biologica basata sugli organismi patogeni presenta vari ostacoli a causa delle scarse conoscenze che ancora si hanno sulla loro patogenicità e sulla loro capacità di conservarsi in condizioni naturali.

Il fatto che alcuni organismi siano patogeni per altri di un'altra specie non vuol dire che essi lo siano anche per una popolazione come lo sono per l'individuo colpito. L'attecchimento da parte di un patogeno con la conseguente morte dell'ospite può rappresentare un processo di selezione naturale in cui gli organismi più deboli vengono eliminati a tutto vantaggio della specie o per lo meno di quella particolare popolazione. Quindi l'azione patogena, per essere efficace nella lotta biologica, deve condurre a una notevole diminuzione della popolazione della specie nociva, tanto da ridurre sostanzialmente il danno da essa arrecato.

a) Batteri

La maggior parte dei batteri entomogeni, che sono altamente patogeni per gli Insetti, appartengono al gruppo dei coccobacilli. La loro specificità per gli Insetti non sembra essere così alta come per gli animali superiori. Di solito l'infezione avviene attraverso l'alimentazione.

Sebbene molti siano i Batteri capaci di causare vere epidemie e la conseguente morte di una larga percentuale degli Insetti colpiti (come nel caso di setticemie da Serratia marcescens, e da Aerobacter aerogenes, patogeno per le cavallette), tuttavia le specie di batteri che fino ad oggi si sono potute impiegare nella lotta contro insetti nccivi sono pochissime.

La ricerca nel campo dell'impiego dei batteri entomogeni come metodo di lotta biologica ha avuto enorme impulso da parte di E. A. Steinhaus.

Molti ricercatori sottolineano la difficoltà di indurre infezioni batteriche su popolazioni di insetti nocivi data l'ampia distribuzione dei Batteri stessi in natura. E ovvio che se le condizioni sono favorevoli le epidemie sorgono spontaneamente. Non si devono tuttavia sottovalutare i mezzi a disposizione dell'uomo, che può intervenire inoculando nell'ambiente forti concentrazioni della specie batterica in particolari periodi (meglio se sfavorevoli alla popolazione d'insetti), oppure influendo negativamente, con altri mezzi, sulla resistenza globale della popolazione da colpire. Citeremo come esempio più noto l'impiego dei ceppi di Bacillus thuringiensis, batterio cristallifero, produttore di spore infettanti, di cui sono state preparate recentemente formulazioni in polvere per applicazioni sul campo.

Oggi si conoscono circa 110 specie di Lepidotteri e 8 di Ditteri suscettibili all'azione di questo batterio, ma solo 16 specie di Insetti, come nel 1967 è stato dimostrato negli Stati Uniti, sono praticamente controllabili con prodotti a base di Bacillus thuringiensis. Tale suscettibilità però varia da ceppo a ceppo, tutti producenti tuttavia un analogo cristallo proteico ma con caratteristiche di tossicità diverse. Il cristallo è costituito da una proteina complessa che rappresenta solo uno dei prodotti tossici elaborati dal batterio; tale proteina, ingerita dall'insetto, viene scissa nel suo intestino, e i peptidi che ne derivano agiscono sulle sinapsi del sistema nervoso centrale causando la paralisi dell'animale. La proteina intatta, infatti, se inoculata nell'insetto, non mostra alcuna tossicità.

Il batterio non persiste nel terreno e va perciò applicato periodicamente, come i tradizionali insetticidi. L'industria se ne è largamente occupata e da vari anni il Bacillus thuringiensis viene messo in commercio sotto forma di insetticida. Uno dei vantaggi del suo uso sta nel fatto che i cristalli stessi sono tossici, e quindi il batterio non si deve necessariamente riprodurre sul terreno o nell'organismo colpito. Poiché esiste una notevole specificità da parte dei vari ceppi di Bacillus thuringiensis, questi non provocano praticamente alcun danno verso gli insetti benefici dell'agricoltura.

Fra gli esempi di lotta con Batteri che hanno avuto successo è da ricordare quello effettuato contro il coleottero Popillia japonica che fu importato negli Stati Uniti e divenne una delle specie più dannose all'agricoltura. Prima della seconda guerra mondiale un programma governativo distribui 109 tonnellate di polvere di spore di Bacillus popilliae che lentamente ridussero la densità dell'ospite a livelli tollerabili.

b) Funghi

I Funghi entomogeni sono stati i primi microrganismi a essere riconosciuti come causa di malattia degli Insetti (l'infezione da Beauveria bassiana fu descritta da Agostino Bassi nel 1835).

I Funghi patogeni per gli Insetti esplicano la loro azione in due modi ben distinti: se vengono ingenti o penetrano attraverso l'esoscheletro. È ovvio che in questo secondo caso adeguate condizioni dell'ambiente esterno sono essenziali. Affinché una specie di fungo entomogeno si sviluppi in una popolazione di Insetti sono pertanto necessarie alta temperatura e umidità nonché una concentrazione di Insetti. Sfruttando tali condizioni naturali è quindi possibile distribuire spore di Funghi entomogeni con probabilità di successo, ma l'eventualità che si presentino circostanze adatte è molto bassa.

Per quanto riguarda i Funghi del genere Entomophthora, che infettano l'insetto penetrandone l'esoscheletro, una specie ben conosciuta è Entomophthora muscae, parassita di Musca domestica e di altre specie di Muscidi. (Per quanto riguarda il genere Entomophthora, è necessario agire con prudenza nell'allevamento di specie ad esso appartenenti: alcune di esse risultano patogene per l'uomo).

La famiglia dei Celomicetacei, Funghi che invadono l'emocele dell'ospite, comprende varie specie parassite di larve di zanzare appartenenti a diversi generi. Sono conosciute circa 250 specie del genere Cordyceps, funghi dai colori vivaci, fra i primi ad essere descritti come parassiti degli Insetti nei quali penetrano dall'esterno. Lo stesso tipo di invasione dell'insetto attraverso la cuticola è proprio dei Funghi che provocano negli Insetti il tipo di infezione chiamata muscardine dai francesi. Tipico di questo gruppo è Beauvena bassiana, ben noto parassita del baco da seta.

A eccezione del genere Entomophthora, i Funghi patogeni per gli Insetti sono poco specifici (Beauveria bassiana è patogena per 65 specie di Insetti), sicché il loro uso deve essere prudente, per non colpire le specie benefiche di Insetti predatori e parassiti.

c) Virus

L'uso di Virus nella lotta biologica non è nuovo: l'esempio classico è dato dall'introduzione del virus mixomatoso in Australia nel 1950 contro il dannoso coniglio selvatico.

Oggi si conoscono almeno 250 infezioni da Virus in circa 175 specie di Insetti. Di questi Virus 170 sono rappresentati da poliedrosi nucleari. Le poliedrosi sono caratterizzate dalla formazione di inclusioni nei tessuti dell'ospite infettato. Tali inclusioni racchiudono le particelle virali, a bastoncello o sferiche. Le poliedrosi si dividono in nucleari o citoplasmatiche a seconda della zona cellulare ove il virus si moltiplica. La poliedrosi nucleare è conosciuta da più di un secolo, cioè da quando nel 1856 E. Cornalia e A. Maestri, l'uno indipendentemente dall'altro, descrissero la malattia nel baco da seta. Più recente è la prima descrizione di poliedrosi citoplasmatica, effettuata da N. Ishimori nel 1934, sempre nel baco da seta.

Le granulosi consistono nella presenza di numerose piccole inclusioni granulari nelle cellule infettate. La prima osservazione di una granulosi fu compiuta da A. Paillot nel 1926 in larve di cavolaia. Le granulosi sono state osservate solo in larve di Lepidotteri.

Esiste inoltre un gruppo di Virus patogeno per gli Insetti che non presenta inclusioni. Il primo virus di questo gruppo fu evidenziato nell'ape da parte di E. A. Steinhaus e H. B. Wasser nel 1949.

Un virus infettante può interferire con l'attecchimento di un secondo virus; non vi è interferenza se il tessuto colpito dai due virus è differente, come per la poliedrosi citoplasmatica e quella nucleare; a volte esiste anche sinergismo fra due virus. Si verifica spesso che alcuni individui di una popolazione infettata sopravvivano. Si tratta in questo caso di individui più resistenti, oppure il virus è mutato?

Nell'applicazione pratica si dovrebbero preferire i virus conosciuti come ‛corpi d'inclusione' in quanto già protetti contro le avverse condizioni ambientali. A volte un virus può essere più efficace se usato in combinazione con un batterio, come ad esempio il virus della poliedrosi nucleare unito al Bacillus thuringiensis contro la processionaria del pino Thaumetopea pityocampa. Un esempio di lotta, per mezzo di Virus, che ha avuto successo è quella effettuata contro il bruco dell'erba medica, Colias eurytheme.

Fino ad oggi sono stati isolati solo pochi virus patogeni per gli artropodi che abbiano importanza medica e veterinaria (FAO/OMS, 1973).

d) Protozoi

L'importanza delle infezioni protozoarie negli Insetti è stata per lungo tempo sottovalutata, e questo forse perché molte di esse hanno un decorso benigno e cronico e causano raramente la morte dell'insetto: ma un buon numero è anche altamente patogeno. Sappiamo poco della biologia di questi protozoi patogeni in quanto purtroppo la maggior parte di essi non è mai stata coltivata in mezzi artificiali.

Poche sono le infezioni dovute a flagellati e amebe. Degli Sporozoi ben note sono da tempo le infezioni da Oregarine e da Coccidi. Mentre queste infezioni non recano generalmente gravi danni all'ospite, le infezioni da Microsporidi invece causano importanti malattie negli Insetti. Ben conosciute sono la pebrina del baco da seta causata da Nosema bombycis e la malattia che colpisce le api dovuta a Nosema apis. Infezioni da Microsporidi appartenenti alla famiglia Nosematidae sono state osservate in almeno 14 ordini di Insetti, ma principalmente nei Ditteri e nei Lepidotteri: circa 200 specie sembrano esserne colpite. Le spore di questi organismi sono abbastanza resistenti da sopportare condizioni ambientali avverse e poter reinfettare nuovi individui. Importante è la loro trasmissione che, pur avvenendo di regola per ingestione, può effettuarsi in alcuni casi anche da una generazione all'altra attraverso le uova.

È interessante rilevare che le larve di alcune specie di zanzare sono ospiti di Microsporidi. Le stesse sono anche infettate da ciliati, i quali offrono dal nostro punto di vista il vantaggio di poter essere coltivati in vitro.

e) Nematodi

Numerose (circa 1.000) sono le specie di Nematodi parassiti di almeno 16 ordini di Insetti: circa un terzo di queste specie è stato segnalato in Lepidotteri. Di questi Nematodi non possono essere considerati importanti per la lotta biologica quelli che vivono saprofiticamente nell'intestino dell'insetto; mentre più importanti sono le specie che invadono i tessuti e la cavità del corpo dell'ospite. Esempi sono Neoaplectana glaseri, parassita della larva di Popillia japoniea, e un'altra specie dello stesso genere, non ancora bene identificata, che, dopo essere penetrata nella cavità del corpo delle larve di Cydia pomonella, inocula nell'ospite un batterio gram-negativo causa di grave setticemia e della morte della larva.

f) Artropodi (parassiti, predatori e Artropodi competitivi)

Vengono compresi in questo paragrafo in particolare i nemici degli Insetti (e Aracnidi). Questi nemici possono essere suddivisi in parassiti, predatori, e organismi competitivi. Il maggior numero dei nemici naturali degli Insetti sono altre specie d'Insetti e Aracnidi. Poiché sarebbe impossibile enumerare tutti i gruppi di Artropodi nemici degli Insetti e Aracnidi nocivi, diamo qui alcuni esempi della loro utilizzazione in particolari casi di interesse pratico.

Il gruppo delle Cocciniglie ha avuto molti esempi di applicazione nella lotta biologica già nel secolo scorso. Nel 1868 Icerya purchasi fu accidentalmente introdotta in California ove si insediò negli agrumeti, causandovi gravi danni, tanto da minacciare la distruzione dell'industria locale degli agrumi. E poiché l'omottero era distribuito in tutti i continenti tranne che in Australia, fu proprio il che si ricercarono i nemici che potessero essere importati in California. Ne conseguì che due specie, la coccinella Rodolia cardinalis (un buon predatore) e la mosca parassita Cryptochaetum iceryae, furono introdotte e si riprodussero in California. La mosca in un primo tempo e la coccinella negli anni seguenti dimostrarono una capacità impensata di insediarsi negli ecosistemi della California portando in breve alla distruzione della pericolosa cocciniglia. Questo è un esempio classico.

Nel 1910 la cocciniglia Crysomphalus ficus invase gli agrumeti di Israele. Per combattere questa specie dannosa furono introdotti gli endoparassiti Aphytis holoxanthus e Pteroptrix smithi. Un totale controllo biologico fu ottenuto in pochi anni nelle pianure costiere dove si trovano le aree degli agrumeti.

Più di recente, circa nel 1934, la cocciniglia Parlatoria oleae invase gli uliveti della California. Nel 1949 ebbe inizio l'introduzione di ceppi dell'endoparassita Aphytis maculicornis, provenienti da diversi paesi dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia. In breve si notò che l'unico ceppo che facilmente si poteva acclimatare in California era quello persiano, introdotto nel 1952. La produzione massiva di questo ceppo portò alla distribuzione di 27 milioni di insetti in varie località della California, in un periodo compreso fra il 1952 e il 1960. Benché si fosse ottenuto un buon controllo della cocciniglia, i risultati non furono del tutto soddisfacenti in quanto gli agrumi presentavano ancora un modesto grado di infestazione. Ciò era dovuto principalmente alle condizioni meteorologiche sfavorevoli al parassita durante alcune estati, ma anche all'inquinamento dell'ambiente da parte di insetticidi. Nel 1957, pertanto, due nuove specie di parassiti della cocciniglia, raccolte nel Pakistan, furono allevate e introdotte in California. È interessante la pratica di trattare con DDT alcuni alberi in modo da eliminare le specie locali di parassiti della cocciniglia e quindi ottenere una forte infestazione di queste piante su cui allevare poi come in un ‛insettario da campo' i parassiti da introdursi nella zona.

La cocciniglia rossa degli agrumi invase la California fra il 1868 e il 1875. Vari furono i tentativi di combattere l'insetto con l'introduzione di predatori, quali alcune specie di coccinelle, o di Imenotteri parassiti, come talune specie di Aphytis. Ciò avvenne all'inizio del secolo, quando le conoscenze sulla sistematica di questo gruppo erano molto scarse. Questo portò a una serie di errori di diagnosi di specie che causarono un ritardo di circa 50 anni nell'uso di parassiti adatti.

Finalmente, dopo vari insuccessi, e chiaritene le ragioni, la ricerca di nuovi parassiti fu diretta verso l'Asia dove furono reperiti due endoparassiti, Comperiella bifasciata e Prospaltella perniciosa, introdotti in California rispettivamente nel 1941 e nel 1947. Riconosciuti nello stesso 1947 i vantaggi dell'introduzione delle specie di Aphytis per combattere altre specie di Cocciniglie, venne introdotta nel 1948 Aphytis lingnanensis, originaria della Cina. Ma per le caratteristiche morfologiche e del ciclo biologico della cocciniglia rossa, questa specie può essere attaccata dall'ectoparassita limitatamente a brevi periodi del suo ciclo. Essa divenne presto quella dominante fra i parassiti della cocciniglia rossa specialmente nelle aree costiere della California, ma non così nelle aree interne ove le condizioni climatiche le sono meno favorevoli. In queste aree, pur essendo la specie Aphytis lingnanensis fermamente stabilita, la sua capacità riproduttiva non raggiungeva il livello necessario per conferirle una sufficiente azione di contenimento della popolazione di cocciniglia. Il problema è stato risolto nel 1956-1957 con l'importazione dall'India della specie Aphytis melinus e con il lancio di 2,5 milioni di femmine fecondate allevate in California. Questa specie, che si adatta con maggior facilità a condizioni climatiche estreme, è riuscita non solo a colonizzare le aree interne ma nello stesso tempo a spostare competitivamente Aphytis lingnanensis. Così nel 1962 la densità della cocciniglia rossa raggiunse i livelli più bassi osservati in molti anni.

In Italia A. Berlese introdusse Prospaltella Berlesci, parassita endofago della cocciniglia del gelso Aucalaspis pentagona.

Con queste ricerche gli autori hanno dimostrato la necessità di importare i parassiti e di impiegare più di una specie se si vogliono ottenere buoni risultati nel campo della lotta biologica.

Un altro esempio è dato da Operophtera brumata, lepidottero introdotto accidentalmente nel Nordamerica dall'Europa e particolarmente temuto per i danni che può apportare alle zone boschive. La lotta biologica intrapresa nel Canada nel 1954 ha dato risultati insperati con l'introduzione di Cyzenis albicans, un dittero tachinide, e di Agrypon flaveolatum, una vespa icneumonide. Uno studio biologico preliminare molto accurato era già stato compiuto da D. G. Embree nel 1917 in un'area limitata di foresta e i dati sui rapporti fra le due specie di parassiti avevano fornito indicazioni precise e promettenti per un esperimento di lotta biologica. Un aspetto imprevedibile del problema è che, non appena la densità degli ospiti e dei parassiti decresce, alterazioni inaspettate della loro struttura genetica possono anche verificarsi, dovute forse a fenomeni di consanguineità o di selezione. È ovvio che risultati di questo tipo non sempre sono prevedibili.

Quanto detto finora sull'uso di Artropodi nella lotta biologica si riferisce a specie importate da regioni distanti separate da barriere biogeografiche definite. Ma è possibile anche impiegare parassiti e predatori che agiscono nello stesso ecosistema.

In natura avvengono occasionali ‛esplosioni' di popolazioni di organismi nocivi. Raramente, in condizioni normali, esistono nell'ambiente insetti fitofagi che aumentano improvvisamente di densità in quanto sono regolati da nemici naturali che tendono a mantenere le specie nocive entro livelli tollerabili. Dove invece l'uomo interviene regolandone artificialmente la densità, per esempio a mezzo di insetticidi, là è più frequente l'insorgere di questi improvvisi aumenti che sono senz'altro dovuti, almeno in parte, alla diminuita densità delle popolazioni di organismi che effettuano di per sé una lotta biologica naturale. Ovviamente soltanto pochi di essi possono essere praticamente impiegati in una lotta biologica artificiale, ma vale la pena di ricordare che il solo fatto di non eliminare queste specie può permettere agli stessi organismi di influire positivamente sulle specie nocive.

Una lunga serie di specie nocive e dei relativi parassiti e predatori viene elencata da K. S. Hagen e altri, da R. L. Rabb, da A. W. MacPhee e C. R. MacLellan (v. Huffaker, 1971).

Un posto a parte hanno gli Insetti impiegati nella lotta contro le piante infestanti, poiché si viene a verificare in questo caso l'inversione dei ruoli fra pianta e insetto: la prima non sarà più protettà bensì eliminata, mentre il secondo passerà da organismo nocivo ad agente attivo nella lotta biologica.

Alcuni autori sostengono che la lotta biologica contro le piante infestanti offre molti più esempi di successo, temporaneo o definitivo, che non quella contro gli artropodi parassiti o predatori. Tali esempi contemplano casi distribuiti in tutto il mondo e iniziano agli albori del secolo. Anche qui i successi maggiori si sono ottenuti in seguito all'importazione di specie esotiche e, specialmente, con l'uso di più di una specie fitofaga. Il metodo non è tuttavia esente da rischi in quanto non si può a priori conoscere quali saranno le nuove abitudini delle specie importate. Vale in questo caso come esempio quanto si verificò in India in seguito all'introduzione di Teleonemia scrupulosa, effettuata per distruggere le erbe del genere Lantana, che diresse invece il suo attacco anche contro le preziose piante di teak, appartenenti alla stessa famiglia di Lantana.

g) Veleni di origine animale

Fra i metodi di lotta biologica si possono elencare, come abbiamo visto, oltre a quelli basati sull'impiego di organismi patogeni o predatori, anche quelli che si avvalgono di sostanze da essi derivate. Lo stesso vale quindi per i veleni prodotti da altri organismi che, in nessun caso, potrebbero essere impiegati da vivi.

Notevole impulso hanno avuto nell'ultimo decennio le ricerche nel campo dei veleni animali, e soprattutto di quelli degli Artropodi, con lo scopo di scoprire sostanze pesticide con nuovi meccanismi d'azione; ma i risultati non sono stati fino a oggi di alcuna utilità pratica. Invece, in seguito a osservazioni casuali, dei ricercatori giapponesi notarono che alcuni molluschi, se parassitati da un anellide marino, Lumbriconereis heteropoda, acquistavano proprietà tossiche verso i Ditteri che si nutrivano sui molluschi stessi. L'isolamento da questo anellide della sostanza tossica, la nereistossina, segui di li a poco, e non molto tempo dopo un'industria locale sintetizzò un suo derivato, il Cartap, con spiccate qualità insetticide. Tale sostanza agisce sulla trasmissione nervosa a livello del sistema nervoso centrale degli Insetti causando paralisi, e possiede pertanto un meccanismo d'azione ben diverso da quello degli insetticidi tradizionali. Questo fatto riveste particolare importanza in quanto tale prodotto può essere impiegato con successo contro quelle specie che presentano oggi un alto grado di resistenza estesa a tutti i gruppi di insetticidi tradizionali. Pur considerando questa sostanza come facente parte dei mezzi di lotta biologica, le sue caratteristiche di impiego non differiscono da quelle proprie degli insetticidi; pertanto il suo uso va ritenuto un metodo intermedio fra quelli chimici e quelli biologici.

h) Altri gruppi

Varie specie appartenenti ai più diversi gruppi (Nematodi, Molluschi, Pesci, Anfibi, Uccelli, Mammiferi) sono state utilizzate in vari progetti di lotta. Fra tutti, citeremo un esempio classico: l'impiego di specie del genere Gambusia (piccoli pesci larvivori) importate in vari paesi malarici per potenziare i programmi di lotta contro le larve di specie di Anopheles vettrici del plasmodio.

Una larga esperienza si è avuta in Italia in questo campo nel periodo precedente l'impiego del DDT.

3. Lotta biologica con l'impiego di organismi omologhi

a) Manipolazione genetica

Con il termine ‛manipolazione genetica' si intende qualsiasi condizione o trattamento atto a ridurre il potenziale riproduttivo di organismi nocivi alterando o sostituendo il loro materiale ereditario.

Fino a oggi sono stati eseguiti studi e attuati alcuni programmi esclusivamente su Insetti. Vari fenomeni di origine genetica che si presentano in natura possono essere sfruttati per combattere popolazioni di organismi nocivi. Questi fenomeni includono: a) formazione di ibridi sterili, derivanti cioè dall'incrocio di due specie; b) incompatibilità citoplasmatica, che origina dall'incrocio di ceppi di origine geografica diversa; c) meiotic drive, che si osserva nelle popolazioni con cromosomi contenenti fattori letali, ecc.

L'uomo, in alcune circostanze, può favorire questi fenomeni a suo vantaggio, ad esempio sfruttando casi di incompatibilità citoplasmatica. Si sa infatti che i meccanismi di isolamento riproduttivo, che sono responsabili del mantenimento di barriere fra popolazioni naturali, offrono abbondante materiale per operare manipolazioni genetiche. Prelevando quindi da un territorio individui di una specie che presentano incompatibilità citoplasmatica verso altri di un ceppo diverso, appartenenti a un altro territorio, e trasferendo un ceppo da un territorio all'altro, si possono ottenere riduzioni sensibili nelle dimensioni della popolazione naturale. Una specie di zanzara, Culex pipiens fatigans, è stata impiegata per un esperimento del genere. Un ceppo raccolto in California fu allevato in massa e poi lanciato nel villaggio di Okpo in Birmania alla media di 500 maschi al giorno. Poiché lo spermio del ceppo californiano era incompatibile con il citoplasma delle uova del ceppo locale, durante il periodo di immissione vi fu un costante declino nella schiusa delle uova deposte.

L'uomo può anche causare, per mezzo di agenti fisici o chimici, alterazioni cromosomiche da utilizzare come metodi di lotta biologica. Con l'uso di irradiazioni o di sostanze chemosterilanti è infatti possibile indurre dominanti letali in una popolazione nociva, e ciò seguendo due metodi. 1) In uno si opera in natura in modo da far entrare in contatto con sostanze chemosterilanti maschi o femmine della specie, di solito per mezzo di attrattivi. Così facendo si effettua la sterilizzazione di una parte della popolazione naturale i cui individui sterili non solo non sono in grado di riprodursi, ma limitano anche la riproduzione essendo in concorrenza con gli individui fertili della popolazione naturale. In questo caso il trattamento a mezzo di chemosterilanti è un metodo simile a quello su cui sono basati gli insetticidi convenzionali, solo che con l'induzione della sterilità non ci si limita a colpire direttamente una parte della popolazione ma si colpisce indirettamente anche il resto in quanto se ne riduce la capacità riproduttiva. Questo viene chiamato il bonus effect. 2) Con l'altro metodo si procede a sterilizzare con irradiazioni o chemosterilanti i maschi della specie da combattere e a distribuirli poi in natura. Si tratta in questo caso di allevare in massa la specie da combattere, sterilizzarla e poi distribuire sul terreno gli individui sterili affinché interferiscano con la riproduzione della popolazione naturale fertile. Sarà ovviamente necessario conoscere la densità della popolazione da sopprimere e operare in circostanze in cui la densità è più bassa onde limitare il numero degli individui sterili da lanciare.

È ovvio che i due metodi possono essere impiegati con- temporaneamente ottenendo una più rapida soppressione della specie. Tuttavia i criteri informativi, il metodo, le metodologie e gli effetti sono interamente diversi nei due casi.

Le prime osservazioni sull'effetto delle radiazioni gamma sulla fertilità delle uova di Insetti risalgono al 1916. Tuttavia fu solo nel 1938 che Knipling propose ai suoi collaboratori l'idea di introdurre maschi sterili in una popolazione naturale della mosca parassita del bestiame, Cochliomyia hominivorax, al fine di combattere la specie. I primi risultati pratici si ebbero molti anni dopo (1955), quando cioè si riuscì a eradicare la specie dall'isola di Curaçao, e quando, più tardi, si ottenne lo stesso effetto negli Stati meridionali degli Stati Uniti.

Il successo di un programma di eradicazione del tipo impiegato per eliminare questo parassita è basato su varie condizioni tra cui le principali sono: la possibilità di poter compiere allevamenti di massa della specie da combattere e di riuscire a distribuire gli individui entro i confini occupati dalla popolazione naturale; la possibilità di non alterare il comportamento sessuale dei maschi irradiati con le dosi necessarie alla sterilizzazione; la necessità che le femmine della specie si accoppino una volta sola e infine che i maschi irradiati siano superiori di numero a quelli della popolazione naturale. È ovvio che per far fronte a quest'ultima condizione sarà utile che il numero dei maschi della popolazione naturale sia più basso possibile e per ottenere questo di solito si ricorre a metodi di lotta chimica, si procede cioè a una ‛lotta integrata'.

Il metodo del lancio dei maschi sterili ha avuto successo nell'eradicare dai loro territori, oltre che la mosca Cochliomyia hominivorax, anche la mosca del melone, Dacus cucurbitae, e la mosca orientale della frutta, Dacus dorsalis. Contro altre specie, fra cui il lepidottero Carpocapsa pomonella, la mosca della frutta del Queensland, Dacus tryoni, la mosca della frutta del Mediterraneo, Ceratitis capitata, la mosca domestica, Musca domestica, il coleottero Melolontha vulgaris e la mosca della frutta del Messico, Anastrepha ludens, sono stati condotti con successo esperimenti-pilota di lotta.

Il metodo che impiega i chemosterilanti per combattere gli Insetti può essere usato anche nella lotta contro altri organismi nocivi e in particolare contro i Roditori per i quali si pongono gli stessi problemi generali che per gli Insetti.

b) Feromoni

All'inizio del secolo le secrezioni esterne degli Artropodi, in particolare per quanto riguarda gli Insetti, venivano raggruppate in due grandi classi: i repellenti e gli attrattivi. Negli ultimi venti anni molte indagini sono state compiute sulla chimica e sul meccanismo d'azione di questi messaggeri chimici che controllano il comportamento degli Artropodi. È stato così coniato il termine ‛feromoni' (più corretto dal punto di vista filologico sarebbe ‛ferormoni') per indicare quelle sostanze che l'animale secerne per influenzare il comportamento di altri individui della stessa specie (v. ormoni: ormoni negli invertebrati). Oggi i feromoni vengono suddivisi in feromoni del sesso, della pista, dello sciame, di allarme, delimitanti il territorio di aggregazione, ecc. Ma questo non è il solo significato che si dà al termine. Alcuni autori infatti, intendono dividere i feromoni in due gruppi di sostanze: nel primo, i repellenti, includono non solo tutte quelle sostanze che hanno effetto di allarme sulla specie stessa, ma anche quelle ad azione antagonista verso individui di specie diverse. Nel secondo includono gli attrattivi. Questa concezione non ci sembra tuttavia giustificata, in quanto se tra i feromoni si dovessero comprendere tutti i repellenti - anche se prodotti da specie diverse - si dovrebbero allora includere in questa categoria anche altre sostanze repellenti, ad esempio quelle di origine vegetale, perché in alcuni casi (come per certi Coleotteri) è difficile separare le sostanze ingerite da quelle elaborate dall'insetto.

I feromoni sono sostanze attive a basse concentrazioni (10-12 nel caso della gyplure, attrattivo sessuale di Porthetria dispar) che, salvo poche eccezioni (ma si tratta in questi casi di veri feromoni?), sono specifiche per le specie che le secernono. Questa specificità contribuirebbe, secondo M. S. Blum (v. Beroza, 1970) a determinare in alcuni casi, come in quello degli Insetti sociali, un isolamento fra specie simpatriche, benché dalle esperienze di laboratorio finora eseguite, non potendosi valutare i molteplici fattori che operano in natura, non risulti esistere una specificità rigorosa. E questo vale sia per i feromoni di allarme, che per gli attrattivi sessuali e per i feromoni della pista.

Si è molto discusso se tutti i feromoni ad azione attrattiva si debbano classificare come attrattivi sessuali, termine che invece viene di solito riservato a quei feromoni che inducono nel sesso opposto variazioni comportamentali legate all'accoppiamento. D'altra parte alcuni autori asseriscono, a sostegno di questa tesi, che qualsiasi feromone ad azione attrattiva ha per ultimo scopo quello della propagazione della specie. Per dare un'idea della diffusione dei feromoni almeno nel campo degli Insetti, basta citare che nella femmina di 159 specie (di queste, 109 appartenenti ai Lepidotteri) è stata dimostrata la presenza di feromoni del sesso.

Sostanze attrattive sono state identificate in 8 specie di Coleotteri. Per alcuni di essi (Scolitidi), esperimenti di campo, sebbene discutibili, sono stati fino a oggi eseguiti sulle sostanze ottenute dal loro canale digerente. Si è visto in particolare che alcune di queste sono comuni a più specie.

Sono state recentemente sintetizzate sostanze con struttura simile a quella degli attrattivi sopra citati, ma il loro effetto non si è dimostrato maggiore. Poiché sostanze analoghe sono state estratte anche dagli escrementi di questi Coleotteri, che si nutrono della corteccia delle piante che attaccano, non è ancora chiaro il rapporto di tali sostanze con i feromoni. Inoltre, va notato che alcuni di questi attraggono sia il maschio che la femmina della stessa specie.

Per quanto riguarda invece le sostanze finora isolate da Dermestidi, sono in corso studi per saggiare la possibilità pratica di impiegare alte dosi di tali feromoni sul terreno, con lo scopo di alterare il comportamento di individui della specie e impedire così il loro accoppiamento.

Una ben nota sostanza, l'acido valerico, è stata identificata come l'attrattivo sessuale prodotto dalla femmina di Limonius californicus.

Recenti studi sui Curculionidi hanno messo in evidenza feromoni sessuali secreti dai maschi di Anthonomus grandis dimostrando inoltre che in essi aumentava il grado di attrattività se venivano nutriti con le gemme del cotone. Ma tali feromoni, impiegati sul terreno, hanno mostrato un'attività eguale per i due sessi. Impiegando maschi vivi come esca è stato raccolto, con trappole, un numero di individui svernanti sufficientemente alto da mantenere entro limiti tollerabili la densità della popolazione, almeno fino al momento in cui la nuova immigrazione di fine estate non ha annullato l'effetto delle trappole. Gli ultimi esperimenti sul terreno suggeriscono che l'uso dei feromoni sessuali di Anthonomus grandis potrebbe dare buoni risultati solo se combinato con altri metodi di lotta.

Ma, come abbiamo già detto, il numero maggiore di specie da cui sono stati isolati feromoni sessuali femminili appartiene all'ordine dei Lepidotteri. Fra questi l'esempio classico è dato da Porthetria dispar che secerne il potente feromone gyplure. Dopo trent'anni di studi questo composto è stato isolato da femmine adulte, caratterizzato e sintetizzato nel 1960. Oggi il prodotto è ottenibile in commercio a costo molto basso se si considera la piccolissima quantità necessaria per attirare i maschi anche a grande distanza. Questa sostanza è stata usata per molti anni in trappole speciali sia per combattere infestazioni di Porthetria dispar, sia per determinare la densità di popolazione in aree ove la specie sopravviveva a bassissimi livelli.

Benché l'esistenza di sostanze odorose legate alla ‛pista', per quanto riguarda gli Insetti sociali, fosse conosciuta già da anni, solo recentemente è stato osservato che i feromoni della pista, responsabili degli stimoli olfattivi, originano da tessuti ghiandolari specifici. Si tratta di un messaggio chimico che informa l'insetto dell'itinerario percorso da altri individui della specie e che ha lo scopo di indirizzare i membri di una società verso un particolare luogo. Tali feromoni sono stati rilevati nelle formiche, nelle api e nelle termiti. I feromoni della pista sono quelli meno specifici in quanto è stato dimostrato che sostanze prodotte da alcune specie sono attive anche verso altre appartenenti a generi diversi. Questi feromoni non determinano solamente ben precise risposte di difesa, ma spesso anche reazioni aggressive; tale diversità di risposta in qualche caso dipende dalla concentrazione del feromone stesso. Perciò, alcuni di essi, per la caratteristica reazione di fuga che inducono in specie diverse, possono a ragione essere classificati come sostanze repellenti.

In altri casi si osserva che per alcune associazioni di popolazioni di specie diverse esiste un comune feromone d'allarme (da notare che in uno di questi casi si tratta di un'associazione tra una specie di formica e una specie di stafilinide), il che è molto vantaggioso per la popolazione della specie sociale.

c) Ormoni

Gli ormoni degli Insetti (v. ormoni: ormoni negli invertebrati), o le sostanze ad azione ormonale, anche se studiati da molti anni, sono da poco entrati sulla scena della lotta biologica. Si conosce il ruolo di quelli della crescita e della muta, della diapausa, della metamorfosi, della riproduzione, ecc.

Con il termine ‛regolatori della crescita' si indicano varie sostanze, in parte estratte dagli Insetti e in parte sintetiche, che hanno in comune la proprietà di alterare le funzioni endocrine dell'insetto inducendo in un gran numero di specie ripetute mute nelle forme giovani e prevenendo l'impupamento normale.

Fino a pochi anni fa l'ormone giovanile veniva considerato come un'entità singola, prodotta dai corpora allata di alcuni Lepidotteri, che provocava effetti caratteristici in specie diverse rappresentative di vari ordini di Insetti. Ma con lo studio degli isomeri del farnesolo e recentemente con la scoperta della sostanza ad azione giovanile di origine vegetale (polpa di abete), strettamente specifica della famiglia Pyrrhocoridae (Hemiptera), è stato provato che alcune di tali sostanze possono essere selettive. Gli studi che dimostrano come le uova di Insetti, venuti a contatto con alcuni ormoni giovanili, non si schiudano, aggiungono particolare interesse agli impieghi pratici di queste sostanze. Non minore importanza hanno le ricerche attuali sugli effetti indiretti da parte di sostanze ad azione giovanile sulla diapausa.

Il successo recente delle ricerche sugli analoghi dell'ormone giovanile nel campo della lotta contro gli insetti ha portato alla produzione su scala industriale di alcune sostanze che presentano promettenti caratteristiche di attività verso alcune specie di zanzare e la mosca domestica (v. Staal, 1975).

4. Altri metodi

a) Attrattivi

Dai feromoni agli attrattivi di altra origine il passo è breve. Le prime importanti osservazioni furono eseguite su sostanze estratte dalle piante, e in particolare da quelle su cui si nutrivano le specie attratte. Le sostanze così isolate furono poi punti di partenza per la sintesi di innumerevoli prodotti più o meno attivi. Alcuni di questi, poi, oltre che attrarre l'insetto, posseggono una notevole attività stimolante l'ovodeposizione.

b) Antifeedants (fagostatici)

Per quanto riguarda invece le sostanze che inibiscono il comportamento di nutrizione, esse non hanno di regola un' azione tossica tale da uccidere l'insetto, ma lo inducono solo a interrompere l'alimentazione; se sopravviene la morte è dovuta unicamente al digiuno. La caratteristica che hanno alcune piante di resistere all'attacco di particolari specie di Insetti sembra doversi attribuire proprio ad alcune di queste sostanze. Esistono tuttavia altre sostanze di origine non vegetale, fra cui quelle a base di zinco, che hanno le stesse proprietà nei confronti del comportamento degli Insetti.

5. Risultati e previsioni

Non si può certo dire che oggi i metodi di lotta biologica abbiano preso il posto dei pesticidi tradizionali; questi ultimi vengono ancora ampiamente impiegati in molti casi contro le infestazioni da parte di parassiti delle piante, contro i vettori di malattie ecc. Tuttavia, diversi sono gli esempi di popolazioni di organismi nocivi diventate ormai resistenti a tutti i pesticidi disponibili sul mercato: in questi casi in particolare l'applicazione di metodi di lotta biologica risolverebbe il problema, che però non è il solo legato ai pesticidi tradizionali. Infatti, è frequente l'uso di sostanze persistenti, altamente inquinanti - anche se da una parte la legge e dall'altra il buon senso cercano di limitarne l'impiego per impedire un ulteriore inquinamento dell'ambiente - che causano danni all'uomo (residui negli alimenti), alla fauna (riduzione di predatori, insetti pronubi, ecc.) e alla flora.

Oggi esiste pertanto la tendenza a impiegare sempre di più sostanze poco persistenti che non aumentino gli attuali livelli di inquinamento e che non inquinino territori ancora indenni; ma la soluzione radicale del problema richiederebbe ovviamente un impiego di metodi molto specifici oltre che non inquinanti. Questi metodi si possono trovare attualmente solo nel campo della lotta biologica.

Ma in quanti e in quali casi ciò è stato possibile fino a oggi? Purtroppo, anche se la ricerca, sia da parte dell'industria sia da parte delle istituzioni universitarie e statali, è stata rivolta già da molti anni in questa direzione, le attuazioni di metodi biologici che possano con efficacia risolvere alcuni gravi problemi pratici sono ancora poche, anzi pochissime. Recentemente, ad esempio, sono stati riesumati perfino vecchi metodi caduti in disuso dopo l'affermazione incondizionata dei pesticidi di sintesi; fra questi ricordiamo l'impiego di varie specie di predatori di insetti nocivi.

È certo che lo sforzo compiuto da varie istituzioni per la ricerca nel campo della lotta biologica, tradotto in termini economici, ha raggiunto livelli molto alti. Ci si può domandare a questo punto se i risultati raggiunti possono giustificare tale impegno. Oggi non si può rispondere con obiettività a questo interrogativo, in quanto, mentre le applicazioni pratiche dei nuovi metodi di lotta biologica forse non giustificano l'entità dei capitali impiegati, si deve tuttavia riconoscere che è stata effettuata una gran mole di lavoro scientifico di alto livello su vari problemi (chimica degli ormoni e dei feromoni, genetica, fisiologia, etologia, ecc. degli organismi nocivi), il che non sarebbe stato raggiunto se la ricerca, specie nell'industria, avesse seguito i tradizionali canali della sintesi di nuovi pesticidi. La profonda conoscenza di alcuni argomenti non può che rappresentare un'indispensabile base di partenza per nuovi sviluppi pratici nel campo della lotta biologica.

Oltre all'aspetto economico è doveroso prendere in esame anche quello sanitario e sociale. È ovvio che non si può impostare il problema in termini esclusivamente economici quando si tratta della lotta contro organismi direttamente o indirettamente nocivi alla salute dell'uomo, in quanto qualsiasi impegno economico può essere giustificato per ottenere risultati positivi, anche se modesti, in questo campo. D'altra parte i risultati conseguiti possono a volte non giustificare i mezzi impiegati; è il caso tipico di alcuni pesticidi, il cui uso produce risultati specifici eccezionali, ma anche un duraturo inquinamento dell'ambiente. La società in casi simili può pretendere che venga impiegato un prodotto meno efficace o più costoso a vantaggio di un raccolto e di un ambiente meno inquinati. Soluzioni di questo tipo si possono raggiungere senz'altro con l'uso di metodi biologici.

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