LORENZO Monaco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LORENZO Monaco (al secolo Piero di Giovanni)

Grazia Maria Fachechi

Si ignorano i dati anagrafici di questo artista nato nella seconda metà del XIV secolo (nel 1367, secondo Gronau; a metà degli anni Settanta, per Eisenberg, 1989): dai documenti si conoscono nome e patronimico, Piero di Giovanni. Pur se senese di nascita ("dipintore da Siene" lo dice un documento del 1415: Sirén, 1905, p. 13), fu certo fiorentino per formazione culturale. Come si apprende dai memoriali cinquecenteschi del monastero dei camaldolesi di S. Maria degli Angeli di Firenze, nel dicembre del 1391 fece qui la sua professione di converso, seguita nel settembre 1392 dall'ordine minore del suddiaconato e nel febbraio del 1395 dal diaconato (Eisenberg, 1989, p. 205). L'iscrizione col nome di battesimo alla Compagnia di S. Luca (per la quale non è registrato l'anno: ibid.), la confraternita cui appartenevano i pittori e gli artigiani esercitanti mestieri affini, nonché la sua abitazione (o più probabilmente bottega) nella parrocchia di S. Michele Visdomini, indicano che la sua attività pittorica era iniziata in un tempo precedente alla sua entrata in convento (Frosinini, in L. M., 1998). Se ne deduce che la sua professione cominciò prima dell'inizio dell'ultimo decennio del Trecento, quando appunto era ancora un laico, e che, pittore già affermato nel momento del suo ingresso al monastero, non venne costretto ad abbandonare l'attività secolare (Zeri, 1964 e 1965).

A partire dal 1402 compare nei documenti come "don Lorenzo che sta in San Bartolo del Corso" (Frosinini, in L. M., 1998, p. 16), o, comunque, "fue degli Angeli", il che dimostra che egli condusse la sua vita, e non solo l'attività artistica, fuori dal chiostro se non addirittura fuori Firenze, come dice Vasari e come conferma una scritta in margine a un disegno della collezione Lehman del Metropolitan Museum di New York (Kanter, 1994, p. 301).

A causa della sua intensa attività di artista, certamente autorizzata dalle gerarchie del suo Ordine e considerata come un'attuazione del precetto benedettino del lavoro affiancato all'orazione, L. dovette dunque ottenere un permesso in deroga per gestire una vera e propria bottega, ubicata in un primo tempo presso la chiesa di S. Bartolomeo in corso degli Adimari, una zona a quel tempo fittissima di officine artistiche di vario livello e specializzazione, e in un secondo momento in un edificio posto di fronte allo stesso monastero degli Angeli (Frosinini, in L. M., 1998).

Non si sa se cominciò la carriera come pittore o come miniatore. In genere si ritiene che nella prima fase della sua attività, durante gli anni trascorsi in monastero, fu preponderante l'attività miniatoria, appresa plausibilmente da don Silvestro Gherarducci, il più importante miniatore a S. Maria degli Angeli con don Simone Camaldolese, e documentata dai pagamenti del 1412 e 1413 per gli antifonari di S. Maria Nuova a Firenze (Levi D'Ancona, 1962; Eisenberg, 1989). Tuttavia la sua attività dovette iniziare di certo molto prima. L. lavorò soprattutto per lo scriptorium di S. Maria degli Angeli (Levi D'Ancona, 1962; Boskovits, 1995), ma non solo. La miniatura più antica a lui attribuita (Kanter, 1994; Boskovits, 1995), una "S" iniziale istoriata con la Pentecoste, appartiene a un graduale miniato da Niccolò di Giacomo per il monastero olivetano di S. Michele in Bosco a Bologna.

Databili stilisticamente ai primi anni Novanta (Kanter, 2004) sono un'iniziale del Corale 13 (conservato a Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana) e quattro iniziali ritagliate (Berlino, Staatliche Museen, Miniature 1232 e 4592; Aachen, Suermondt-Ludwig-Museum, n. 24; collezione privata); mentre sulla base dei documenti si può ascrivere al 1396 (Levi D'Ancona, 1978; Bent; Kanter, 1994) un antifonario per S. Maria Nuova (Firenze, Museo nazionale del Bargello, Corale C 71).

Tra i suoi primi lavori è anche il gruppo di iniziali istoriate con santi e profeti degli antifonari di S. Maria degli Angeli (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Corali, 1, 5, 8 e 7, quest'ultimo attribuito a Matteo Torelli e Bartolomeo di Fruosino da Levi D'Ancona, 1998), completati, secondo le sottoscrizioni, e dunque, per ciò che riguarda la stesura del testo, rispettivamente nel 1396, 1394, 1395 e 1406 (Kanter, 1994), ma decorati successivamente, e quindi in parte decurtati di alcune miniature, rintracciate in altre biblioteche e musei stranieri.

Agli antifonari di S. Maria degli Angeli si aggiunge nel 1409 e nel 1410, come si evince dalle sottoscrizioni, un graduale in quattro volumi, tre dei quali contenenti interventi di Lorenzo. Per i primi due (il Corale 18 della Biblioteca Medicea Laurenziana e uno andato perduto) L. eseguì i disegni per miniature mai colorate, alcune delle quali rintracciate. Per il terzo volume (il Corale 3 della stessa biblioteca fiorentina) realizzò otto iniziali miniate e alcuni disegni, completati più tardi da Battista di Biagio Sanguigni e Zanobi Strozzi (Kanter, 2004).

Gli ultimi interventi di L. miniatore si riscontrano in due volumi dei corali per S. Maria Nuova (Firenze, Museo nazionale del Bargello, Corali, E 70 e H 74) che sono da mettere in rapporto con i documenti di pagamento del 1412 e del 1413. Entrambi i codici sono opera di collaborazione con Matteo Torelli e sembrano essere stati miniati fino a un decennio più tardi rispetto a quanto indicato nei documenti (Levi D'Ancona, 1958; Eisenberg, 1989) per lo stile più maturo e quasi "impressionistico" di Lorenzo.

A L. è stato attribuito (Ciardi Duprè Dal Poggetto) anche il Ritratto di Seneca, condotto con grande finezza del tratto, nel codice 2618 della Biblioteca Riccardiana di Firenze (incollato sul verso della c. 1), che mostra il filosofo e tragediografo latino seduto in posa solenne e statuaria sulla tipica cattedra del magister in visione prospettica.

Nelle pagine dei libri da lui miniati, L., una volta superate col Corale laurenziano 3 alcune esitazioni nel rapporto tra le figure e le lettere che le contengono, nonché una certa dipendenza da don Simone Camaldolese e don Silvestro Gherarducci, mostra le caratteristiche peculiari del suo stile, che si incontrano anche in pittura, cioè l'uso calligrafico della linea volta a realizzare un disegno teso e nervoso, che traduce in immagini le minime vibrazioni della sua sensibilità inquieta, e i toni delicati dei colori.

L. lavorò a lungo e intensamente soprattutto come pittore su tavola, campo nel quale ottenne presto, già all'inizio del nuovo secolo, una grande fama, rivelandosi il maggior pittore di soggetti sacri in Firenze.

Due sole opere sono tuttavia documentate: il polittico concluso nel 1410 per l'altare maggiore della chiesa del convento di Monte Oliveto a Firenze, raffigurante la Vergine in trono col Bambino fra i ss. Bartolomeo, Giovanni Battista, Taddeo e Benedetto (Firenze, Galleria dell'Accademia), e l'Incoronazione della Vergine, firmata e datata 1414, per l'altare maggiore della chiesa conventuale di S. Maria degli Angeli (Firenze, Uffizi). Queste tavole mostrano un artista già interessato alle novità del gotico internazionale e costituiscono la base per la ricostruzione dell'attività giovanile.

A fronte di questi scarsi dati certi, molti sono invece i dipinti attribuiti a L. su basi stilistiche (Boskovits, 1975), quasi esclusivamente tempere su tavola, spesso di piccole dimensioni e con funzione devozionale privata.

Difficili da datare, anche a causa della confusione che avvolge la sua carriera di miniatore, e genericamente ascritti alla metà degli anni Novanta del Trecento, rivelano un artista che, formatosi nella bottega di Agnolo Gaddi (e non, come dice Vasari, di Taddeo Gaddi, morto nel 1366), cerca di approfondire, sull'esempio di Spinello Aretino, la mescolanza fra tradizione giottesca e fantasia lineare che caratterizza la cultura fiorentina della fine del secolo. Ispirato da una religiosità forte e tormentata, all'inizio esita sulla scelta delle sue fonti decorative; interpreta tuttavia sia le eleganze grafiche gaddesche sia la monumentalità severa di Andrea Orcagna. Tra questi dipinti sono il pannello con la drammatica ed espressiva Agonia nell'orto (Firenze, Galleria dell'Accademia) e la Vergine col Bambino in trono e due angeli (Cambridge, Fitzwilliam Museum), databile già ai primi anni del Quattrocento, che supporta l'origine fiorentina dello stile di L., vista la struttura architettonica del trono, di stampo giottesco, che contribuisce in modo determinante, insieme con le figure, a creare uno spazio solido e tangibile in contrasto con l'astratto fondo oro e i colori, di tradizione orcagnesca, nonché la dolcezza dei visi e l'umanità nei gesti, che mostrano una familiarità con Spinello Aretino.

Più di altri pittori della sua generazione, L. fu attento alle novità dei due artisti tardogotici fiorentini, L. Ghiberti e G. Starnina. In particolare, il ritorno di Starnina a Firenze nei primissimi anni del Quattrocento da Valenza (centro di una delle varianti più colorite del gotico internazionale), con la realizzazione degli affreschi nella cappella di S. Girolamo al Carmine (di cui sopravvivono pochi resti), fatti di grafie vivaci, raffinati colori, figure vestite in modo fastoso ed eccentrico e dai gesti decisi, rappresentò un momento decisivo per L., contribuendo al suo nuovo orientamento.

Da questo istante, generalmente, nella pittura di L. le figure, dalle caratterizzazioni fisionomiche anche aspre, si allungano e si contorcono dolcemente, racchiuse da contorni taglienti ma ritmici, rivestite di ampi panneggi falcati, immerse in una luce che crea magici effetti sui colori innaturali, aciduli, cangianti e contrastanti, annullando, in tal modo, ogni senso di spazio. L. è tuttavia estraneo al gusto profano e naturalistico della cultura cortese. Elimina fiori, animali, ornamenti; riduce il paesaggio ad aspre schegge di roccia. Mentre gli artisti tardogotici preferivano rappresentare l'aspetto multiforme, fastoso, mondano della realtà, L. vedeva l'arte in termini di presentazione devota, volta a edificare l'osservatore, per mezzo di originali soluzioni stilistiche che spiritualizzano le immagini e ne accentuano il mistico distacco dalla realtà. Lo fa, per esempio, col tema della Crocifissione che da rappresentazione di un evento storico viene trasformato in una scena di meditazione devota sul crocifisso, come già nella tavoletta del Museo di Altenburg, dove si nota la presenza anacronistica dei tre santi, Bernardo, Francesco e Romualdo, a evidenziare che il crocifisso è un'effigie, o nella tavola della collezione Lehman di New York, in cui le dimensioni ridotte del Cristo in croce rispetto ai dolenti si spiegano solo come immagine che Giovanni e Maria presentano al riguardante.

L'apertura ai modi tardogotici non fu comunque da subito convinta. Nel 1404 L. eseguì infatti due opere molto diverse fra loro, quasi antitetiche dal punto di vista stilistico: la Pietà dell'Accademia di Firenze, una delle opere di grande formato di L., tra le più farraginose e arcaiche, con figure il cui andamento grafico è angoloso e spezzato, e il trittico del Museo della Collegiata di Empoli, aggiornato invece sullo Starnina, dove i grafismi sono ormai diventati calligrafie e dove a lievi torsioni della linea (particolarmente evidenti nella figura del Bambino in grembo alla Madre nello scomparto centrale) si somma una certa libertà inventiva.

La tendenza dei successivi lavori, in ogni caso, è chiaramente in direzione dei ritmi gotici dell'altare di Empoli, portati alle estreme conseguenze in alcuni dipinti come la Madonna dell'Umiltà del 1405 nella collezione Berenson di Villa I Tatti a Firenze (una delle tante volte in cui L. sperimentò questo soggetto nell'arco della sua carriera), l'Incoronazione della Vergine del 1407 (S. Benedetto fuori Porta a Pinti, ora nella National Gallery di Londra), il trittico con il Compianto sul Cristo Morto (Praga, Galleria nazionale), l'Agonia nell'orto degli ulivi e le Tre Marie al sepolcro del 1408 (Parigi, Louvre), l'Annunciazione di S. Procolo del 1409 (Firenze, Accademia) e la già citata pala d'altare di Monte Oliveto. Ma l'apogeo della carriera di L. in questo periodo è rappresentato dalle già citate miniature presenti nel graduale di S. Maria degli Angeli (Corale 3).

Durante l'ultima decade della sua attività, a cominciare dalla Madonna dell'Umiltà (Washington, DC, National Gallery of art) e dalle miniature del codice H 74 (Firenze, Museo del Bargello), i dipinti di L. diventano generalmente più scuri e popolati da tipi sempre più espressivi. La sua linea si fa manierata e le sue figure tese, a volte quasi caricaturali; mentre si accentua l'allungamento degli elementi architettonici. L'opera chiave di questo periodo, la già citata pala d'altare firmata e datata 1414 con l'Incoronazione della Vergine per S. Maria degli Angeli, suo capolavoro e uno dei più singolari dipinti fiorentini, è un compendio di questi aspetti del suo stile.

Si tratta certamente della più ambiziosa opera di Lorenzo. L'iscrizione che corre tutto intorno al dipinto indica il suo permanente stato monacale, sebbene egli avesse vissuto fuori dal convento per circa diciotto anni. Nonostante l'opera sia racchiusa in una cornice tripartita che ricorda la forma dei trittici trecenteschi, il campo pittorico presenta uno spazio unificato. Al centro, in alto, davanti a un ciborio gotico da cui guardano alcuni angeli, Cristo pone la corona sulla testa della Madre, che è vestita con l'abito bianco dei camaldolesi, mentre una schiera di santi, dieci per ogni lato, assistono all'evento. Da un pinnacolo sopra lo scomparto centrale, Dio benedicente guarda in basso. L'Annunciazione è sistemata nei due pinnacoli sopra gli scomparti laterali e dieci profeti sono inseriti nei pilastri della cornice. Una predella di sei rettangoli racconta la Leggenda di s. Benedetto accanto alla Natività e all'Adorazione dei magi.

L'ultima fase dell'attività di L. è caratterizzata da un progressivo placarsi del linguaggio, insieme con una ricerca di valori plastici e spaziali.

Poco dopo aver completato la monumentale Incoronazione della Vergine, L. eseguì la decorazione della cappella Bartolini Salimbeni in S. Trinita a Firenze, sua prima e unica opera murale, che mostra, anche dal punto di vista tecnico, una maniera non allineata ai canoni del "buon fresco" della tradizione fiorentina del tempo.

Il programma, probabilmente il più complesso che egli avesse mai intrapreso, condotto con il contributo piuttosto estensivo di collaboratori, consisteva in otto scene, tratte da testi apocrifi, dalla Vita e leggenda della Vergine nelle pareti, Quattro profeti nella volta e Quattro santi sul soffitto dell'arco d'entrata, tutto ancora visibile in situ. Lo schema era completato dalla pala dell'Annunciazione, anch'essa nel suo luogo originario, con una predella composta di quattro scene, la Visitazione, la Natività, l'Adorazione dei magi e la Fuga in Egitto. Sull'asse della cappella, l'Assunzione della Vergine sulla parete esterna sopra l'entrata è allineata al Miracolo della neve nella lunetta della parete retrostante, che a sua volta è situata direttamente sopra l'Annunciazione della pala. L'intero complesso era indubbiamente organizzato per adattarsi alle esigenze devozionali mariane dei donatori.

La pala dell'Annunciazione rivela che L. incontrò il nuovo naturalismo verso il 1420; c'è il tentativo di realizzare un assetto architettonico più convincente in accordo con le figure che lo occupano; lo spazio è complesso, con una stanza che si apre su un'altra stanza, rivelando un labirinto di spazi. Tuttavia rimane quella sorta di insostanzialità delle più antiche strutture. Anche le figure sono diventate più voluminose, i panneggi sono semplificati, ma conservano sempre la loro eleganza cortese.

Comunque, in uno degli ultimi lavori, l'Adorazione dei magi (Firenze, Uffizi), probabilmente da identificare con una commissione del 1422-23 per una pala d'altare in S. Egidio a Firenze, L. reintrodusse linee e colori memori dell'Annunciazione di S. Procolo del 1409 o delle miniature del Corale 3 della Laurenziana, due opere a volte confuse con prodotti di questo periodo tardo.

Qui le figure ruotano in pose di estrema eleganza, rivestite di colori quasi fluorescenti mentre certi profili in ombra fanno già intuire la presenza di spunti masacceschi, forse filtrati da Masolino da Panicale. Questi si fanno più insistiti nelle ultime opere, quali i tre pannelli di predella dell'Accademia di Firenze (soprattutto in quello centrale con la Natività) dove L. punta a una sorta di ricerca di profondità spaziale indicativa della sua ricettività nei confronti delle novità in direzione rinascimentale che andavano maturando sulla scena fiorentina.

L'ultimo lavoro cui il pittore mise mano, senza riuscire peraltro a portarlo a compimento a causa della morte, fu ancora per S. Trinita: una grande pala d'altare, in forma di trittico ma verosimilmente già a campo unitario, commissionata da Palla Strozzi per il secondo altare della sacrestia-cappella funebre della famiglia, per la quale L. eseguì la predella presto staccata (Firenze, Galleria dell'Accademia) e le tre cuspidi con le Storie di Cristo post mortem; qualche anno più tardi (1432) fu il Beato Angelico a portare a termine l'opera, dipingendo nella parte maggiore una Deposizione dalla Croce (Firenze, Museo di S. Marco), in parte variando il programma iconografico previsto da L. (La chiesa di S. Trinita).

Non si conosce l'esatta data della morte di L. che dovette avvenire intorno al 1423-24 fuori Firenze; fu sepolto nella cappella del coro di S. Maria degli Angeli (Frosinini, in L. M., 1998).

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