LIPPI, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LIPPI, Lorenzo

Paolo Falzone

Nacque a Colle di Val d'Elsa, presso Siena, intorno al 1440. In una lettera all'amico e benefattore, nonché segretario di Lorenzo de' Medici, Niccolò Michelozzi, priva di indicazione dell'anno ma che potrebbe essere datata 1478, egli dichiara di essere giunto, "opibus destitus", all'età di trentasei anni ("sex et triginta annos iam natus", in Verde, II, p. 427). Assumendo tale datazione, l'anno della nascita potrebbe dunque essere il 1442. Il padre, Giovanni di Piero di Lippo, esercitava la professione di notaio. Della madre nulla è noto.

Ad avviarlo agli studi di grammatica fu il maestro Luca di Antonio Bernardi da San Gimignano. È certo però che il rapporto di collaborazione tra i due si protrasse ben oltre il periodo della prima formazione del Lippi. Il codice Conventi soppressi, J.VII.9 della Biblioteca nazionale di Firenze, contenente la traduzione degli Halieutica di Oppiano di Anazarbo, eseguita dal L. tra il 1475 e il 1476, reca infatti una nota di possesso nella quale Luca Bernardi notifica l'aiuto prestato all'allievo nell'opera di revisione del testo: "Liber mei Luce Antonii de Sancto Geminiano in quo plura sunt scripta in marginibus manu mea edita a Laurentio ser Iohannis Lippi Collensis […] Quem librum ego Lucas sopradictus cum ipso Laurentio emendavi et in bonam fidem reduxi" (Kristeller).

Ancora giovane, non è noto l'anno, il L. si trasferì a Firenze, dove strinse rapporti con i Medici e con esponenti dell'Accademia Platonica fiorentina, della quale fu membro. In una lettera a Martino Uranio, Marsilio Ficino giunge ad annoverarlo fra i suoi "familiares, confabulatores atque ultro citroque consiliorum disciplinarumque liberalium communicantes" (Della Torre, pp. 28 s.). All'attenzione della cerchia medicea egli s'impose, da subito, come buon conoscitore delle lingue antiche.

La discreta reputazione di uomo di lettere e, soprattutto, il favore di cui godeva presso i Medici gli valsero, nel 1473, la nomina a professore di poesia e arte oratoria allo Studio pisano, riorganizzato in quell'anno da Lorenzo de' Medici.

Gli Ufficiali dello Studio deliberarono che il L. tenesse l'incarico per tre anni, il primo fermo, con salario fissato alla somma, non elevata, di 80 fiorini, i restanti adbeneplacitum, alla condizione cioè che la condotta gli venisse rinnovata.

Fu proprio il L. a inaugurare, con un solenne discorso, le attività del nuovo Studio. Il discorso è tramandato, insieme con altri testi di provenienza fiorentina, da un'unica testimonianza, il ms. 45.C.17 (olim 582) della Biblioteca Corsiniana di Roma. Il codice fu allestito dal pistoiese Tommaso Baldinotti, amico di Angelo Ambrogini (Poliziano) e di Marsilio Ficino, dal 1479 poeta e copista ufficiale di Lorenzo de' Medici. Il discorso del L. assume, rispetto a precedenti esempi di oratoria accademica, pure assunti a modello, il carattere di una vera e propria laudatio Pisanae urbis. Tale carattere rispondeva al nuovo corso, di decisa apertura, impresso da Lorenzo de' Medici alle relazioni con Pisa. In questa prospettiva va pertanto valutato il riferimento a un'opera quale la Laudatio Florentinae urbis di Leonardo Bruni, oggetto di una sottile confutazione circa il tema, di origine platonica, dei rischi cui deve ritenersi esposta una città affacciata sul mare (richiamandosi al quale Bruni aveva inteso rovesciare in un vantaggio la mancanza, patita da Firenze, di uno sbocco sul mare). La trattazione di questo punto è impreziosita dal L. mediante il riferimento a una fonte classica: l'aneddoto, contenuto nel De architectura di Vitruvio, dell'architetto Dinocrate che porge ad Alessandro Magno il modello di una città ideale, sita sul monte Athos e racchiusa, al pari di Pisa, tra la montagna e il mare.

Il L. sarebbe rimasto allo Studio pisano fino alla morte.

Oppiano di Anazarbo, Orazio, forse Esiodo furono tra gli autori letti a lezione dal Lippi. Da una lettera a Michelozzi, di datazione incerta, sappiamo che alcuni suoi studenti avevano espresso il desiderio di leggere, dopo l'Ars poetica oraziana, l'Eneide. A tal fine egli chiese all'amico di procurargli il commento a Virgilio di Tiberio Claudio Donato e i Saturnalia di Macrobio, indicando in Bartolomeo Scala e in Cristoforo Landino i probabili possessori dei codici (Verde, II, p. 429).

Il salario del L., per effetto delle sue reiterate richieste di aumento, fu portato, nel corso degli anni, a 125 fiorini. Un forte sentimento di precarietà, indotto dal carattere revocabile dell'incarico, condizionò tutta la sua carriera accademica obbligandolo, per un verso, a una copiosa produzione encomiastica, per un altro alla inesausta ricerca di protettori. A intercedere per lui furono in particolare Donato Acciaiuoli, celebrato dal L. in un lungo carme (Della Torre, p. 703 n. 3), e Michelozzi.

In una lettera del 22 marzo 1476 indirizzata agli Ufficiali dello Studio, Acciaiuoli, allora podestà di Pisa, si faceva garante delle doti del L. e chiedeva per lui, oltre a un aumento del salario, la riconferma dell'incarico per i successivi tre anni. Un'epistola di contenuto analogo, recante la medesima data, Acciaiuoli inviò anche a ser Giovanni di Bartolomeo Guidi, notaio delle Riformagioni (Verde, IV, 1, pp. 215 s.). Tra le lettere spedite a Michelozzi e contenenti richieste, più o meno esplicite, di protezione si segnala quella, redatta in volgare, che il L. inviò nel marzo 1481, nella quale egli avanzava, con toni accorati, la richiesta di una raccomandazione presso Lorenzo de' Medici, al fine di ottenere il rinnovo della condotta per altri tre o quattro anni e di scongiurare così il pericolo che al suo posto fosse nominato, come da più parti si mormorava, Francesco Filelfo (De Marinis - Perosa, p. 54).

Alle condizioni di oggettiva insicurezza patite allo Studio pisano si accompagnò un profondo senso di solitudine, umana e scientifica, della quale più volte egli ebbe a lamentarsi con gli amici fiorentini. Da aspra competizione, in effetti, furono segnati i suoi rapporti con il collega Bartolomeo da Pratovecchio, che ottenne la condotta nelle stesse materie, ma a un salario più alto.

Non poche testimonianze, distribuite lungo l'intero arco del suo magistero, rivelano gli sforzi attuati dal L. per indebolire, agli occhi dei suoi protettori, la posizione del collega. Del 1476 sono due lettere a Lorenzo de' Medici nelle quali il L. protesta perché Bartolomeo da Pratovecchio vuol tenere lezione nella stessa sua ora (Della Torre, p. 704). Senza indicazione dell'anno, ma collocabile agli inizi degli anni Ottanta, è invece una lettera indirizzata agli Ufficiali dello Studio (Albanese, p. 32), che vengono esortati dal L. a considerare senza pregiudizi l'esito della contesa tra lui e il collega ("tamquam e specula duellum intuentes") e a perequare i due salari. Al 1484-85 sembra infine risalire un'epistola che il L. scrisse all'amico e sodale Poliziano (Verde, IV, 2, pp. 586 s.), dove, senza nominarlo esplicitamente, accusava Bartolomeo da Pratovecchio, definito "garulus pomilio, sterilis in dicendo et in interpretando auctores ineptus", di infamare Poliziano, seminando dubbi sul suo sapere e sulla sua dottrina. Accompagnavano la lettera alcuni epigrammi, che egli e Naldo Naldi avevano composto per dileggiare la presunzione e l'ignoranza del calunniatore.

Malgrado tali disagi, l'attività del L. allo Studio si svolse in modo regolare e continuo. Fece eccezione l'anno accademico 1479-80, iniziato con ritardo perché al L., che si trovava a Colle di Val d'Elsa, dove si era trasferito per i mesi estivi, non fu possibile raggiungere Pisa per l'inizio delle lezioni. Lo aveva trattenuto l'assedio cui le milizie del duca di Calabria Alfonso d'Aragona avevano sottoposto la cittadina, nell'ambito della guerra seguita alla congiura dei Pazzi che il re di Napoli Ferdinando I d'Aragona e il papa Sisto IV conducevano contro Firenze.

La strenua resistenza dei Colligiani indusse tuttavia il duca a togliere l'assedio. Il 22 ott. 1479, "ex Colle oppido", il L. scrisse sull'argomento una lettera a Lorenzo de' Medici, nella quale erano esaltati lo spirito combattivo e l'eroismo militare degli assediati (Verde, II, pp. 427 s.). L'evento gli ispirò inoltre alcuni distici celebrativi che si possono leggere in un codice della Biblioteca nazionale di Firenze (Magl., VII.1183, c. 108r), in un altro della Biblioteca nazionale di Napoli (Mss., V.E.59, c. 45r) e, frammentari, in altri testimoni. Tre di questi epigrammi si trovano trascritti nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.

L'assedio di Colle non fu privo di conseguenze per la situazione patrimoniale del Lippi. A giudicare, almeno, da una sua lettera di pochi mesi dopo a Michelozzi, nella quale lamenta di aver perso, "in illa miseranda obsidione", tutti i suoi beni (Verde, II, p. 428). Ciò rese più urgente per lui la necessità di assicurarsi l'impiego allo Studio. L'emolumento derivato dalla condotta, scriveva il L. nella citata lettera del marzo 1481 a Michelozzi, era l'unico mezzo per vivere, soprattutto ora che aveva "tolto moglie" e che a Colle "destructe", a seguito della guerra, erano le sue "cose" (De Marinis - Perosa, p. 54). La condotta fu prorogata per un altro triennio, al termine del quale si adoperò ancora per la sua conferma: nel 1485, pochi mesi prima di morire, scriveva a Piero de' Medici chiedendogli di raccomandarlo presso gli Ufficiali dello Studio (Della Torre, pp. 705 s.). A motivare la richiesta era la circostanza che nuovi ufficiali erano subentrati in carica nello Studio; si rendeva dunque necessario rinnovare presso costoro le raccomandazioni già effettuate presso gli ufficiali scaduti.

Il 1° luglio 1485 fu deliberato il rinnovo della condotta, ma nell'ottobre dello stesso anno il L., colpito dalla peste, morì lasciando la moglie, Dianora di Filippo dei Bombeni, e due figli (Dini, pp. 118 s.).

La fama letteraria del L. è essenzialmente legata alla sua opera di traduttore dal greco. La prima traduzione di cui si ha notizia è la versione, offerta a Cosimo de' Medici il Vecchio, di un'orazione di Isocrate, il Nicocle. Nel proemio egli dichiara di aver voluto eseguire la traduzione "non solum tanta rerum dignitate compulsum, verum etiam ut experirer siquid grecis litteris profecissem, e greco interpretatus sum" (Della Torre, p. 702). Terminus ante quem della traduzione è il 1464, anno della morte di Cosimo. Agli stessi anni deve essere assegnata la traduzione di un'altra orazione di Isocrate, l'A Nicocle, dedicata al viceré di Sicilia Lopez Ximénez de Urrea.

La volontà del L. di adeguare le proprie scelte letterarie ai gusti culturali di casa Medici, già esplicita in queste prime prove, trova conferma nella traduzione dello Ione di Platone (Biblioteca nazionale di Firenze, Magl., VIII.1443), di qualche anno posteriore. La dedica a Piero de' Medici, figlio di Cosimo il Vecchio, data l'orazione tra l'agosto 1464 e il dicembre 1469, data della morte di Piero. Nella lettera dedicatoria il L. afferma di aver maturato il proposito di tradurre lo Ione in seguito a una discussione, avuta con l'amico Domenico Benivieni, intorno alla natura del furore poetico (la lettera è in Megna, pp. 27 s.).

La restante produzione del L. s'inserisce nell'ambito della sua attività presso lo Studio pisano. Al primo periodo di insegnamento risale la citata traduzione del poemetto sulla pesca di Oppiano di Anazarbo, gli Halieutica. L'opera, in cinque libri, espone le conoscenze ittiologiche necessarie all'attività della pesca. Della traduzione, offerta a Lorenzo de' Medici, è possibile ricostruire, in modo abbastanza preciso, genesi e svolgimento sulla base di quanto il L. ne scrisse a Michelozzi (cfr. De Capua, pp. 77-79). Il 5 apr. 1475 egli chiedeva da Pisa all'amico fiorentino un manoscritto di Oppiano ("si poterit Oppianum ad me exportari, erit id mihi quoque gratissimum"); il successivo 29 luglio il manoscritto risulta trovarsi nelle mani del L. ("accepi Oppianum, qui mihi gratissimus fuit, tum quia vetustissimus tum quia a vobis tam benigne missus est"). Si tratta, come accertato da De Capua, dell'attuale ms. Fonds grec, 2735, custodito a Parigi presso la Bibliothèque nationale.

Il lavoro avanzò speditamente: neanche cinque mesi più tardi, con lettera datata 1° dicembre, egli dichiarava all'amico di aver completato la versione del quarto libro e di attendere ormai alla traduzione del quinto e ultimo. Nella stessa lettera il L. comunicava, in versi ludici, la volontà di accantonare definitivamente, a favore di Oppiano, la latinizzazione di Esiodo, richiesta precedentemente da Michelozzi e in elaborazione già da sei anni (Hankins, II, pp. 486 s.; De Capua, p. 78 n. 3). L'opera di traduzione fu portata a termine prima del 20 giugno dell'anno successivo, data in cui il manoscritto fu restituito a Michelozzi. Questa prima bozza di traduzione fu quindi trascritta su una copia di lavoro, sulla quale proseguì, con la collaborazione del maestro, Luca di Antonio Bernardi, l'opera di revisione e di limatura del testo. Tale copia s'identifica con l'attuale codice Conv. soppr., J.VII.9 (413) della Biblioteca nazionale di Firenze; la traduzione degli Halieutica vi è preceduta dalla Vita Oppiani e da un proemium, contenente la dedica a Lorenzo de' Medici. Gli aspetti più rilevanti della traduzione consistono nella cura dell'elemento prosodico, nell'amplificazione epica di alcune parti del poemetto, nel prevalente uso di traslitterare gli ittionimi greci.

La traduzione del L. conobbe negli ambienti umanistici una discreta fortuna e destò la curiosità di numerosi eruditi. Già nel settembre 1476 un accademico catalano, Petrus Miquel Carbonell, segretario del re di Spagna, chiedeva al L. una copia del suo Oppiano latino che, dopo qualche resistenza iniziale dovuta alla provvisorietà del testo, il L. provvedeva a inviare nel mese di dicembre tramite un amico comune, Girolamo Paolo di Iacopo da Barcellona. La copia, che si conservava autografa a Tournai (Bibliothèque de la ville, Mss., 77), è andata distrutta durante il secondo conflitto mondiale, ma è disponibile un'accurata descrizione del codice (P. Faider - P. Van Sint Jan, Catalogue des manuscrits conservés à Tournai. Bibliothèque de la ville et du séminaire, in Catalogue général des manuscrits des bibliothèques de Belgique, VI, Gemblaux 1950, pp. 73-75). Rispetto alla precedente, la nuova copia rivelava un testo più corretto e meno approssimativo; la traduzione del poema era inoltre arricchita da un carme di dedica a Carbonell e da un gruppo di eleganti distici, composti dal L. su scene di vita naturale (De Capua, pp. 106-108). La complessa vicenda testuale della traduzione degli Halieutica si conclude con la pubblicazione della editio princeps, stampata a Colle di Val d'Elsa, presso Bono Gallo, nel 1478 (De Capua, pp. 71 s.; Indice generale degli incunaboli [IGI], n. 7006). Il testo si presenta ormai nella sua forma definitiva; è aggiunto, rispetto alla copia per il Carbonell, un carme di Filippo Posco al L., nel quale sono esaltati l'utilità e i pregi della traduzione; accresciuto appare infine il numero dei Disticha, già inclusi nella copia donata all'erudito catalano.

Con qualche incertezza è attribuita al L. anche la traduzione del poema sulla caccia, i Cynegetica dell'altro Oppiano, Oppiano di Apamea. La versione, che, tradita dal solo ms. Magl., VII.934 della Biblioteca nazionale di Firenze, ha conosciuto una circolazione assai ristretta, restò incompiuta.

Nel panorama delle versioni latine eseguite dal L., tutte da scrittori pagani, fa eccezione la traduzione di un'omelia di s. Giovanni Crisostomo offerta a Lorenzo de' Medici (Della Torre, p. 706).

Tra le composizioni originali del L. sono da ricordare le Satire e il Liber proverbiorum. Le cinque Satire si ispirano evidentemente a modelli antichi. Esse sono precedute da un proemio nel quale il L., offrendo l'opera a Lorenzo de' Medici, elogia la poesia satirica, capace di educare l'animo all'esaltazione delle virtù e alla riprovazione del vizio. La prima satira, posteriore al 1478 (vi si accenna alla congiura dei Pazzi), è "contra illos qui male iudicant" e mette in guardia dai falsi poeti. La seconda colpisce invece "qui male dispensant tempus et divitias", a essi opponendo l'esempio del Magnifico. In una prima redazione, attestata nel codice J.IX.13 della Biblioteca comunale di Siena, la satira era dedicata a Federico da Montefeltro, "invictissimum Urbini Ducem". Giacché Federico fu creato duca da Sisto IV nel 1474, questa prima stesura è da situarsi dopo il 1474 e prima del 1478, allorché il duca di Urbino guidò l'esercito pontificio nella guerra contro Firenze.

Nella terza satira il L. compone l'elogio della vera felicità, riposta non nelle sfrenate ambizioni, bensì nella vita povera e nei piaceri dello spirito. La quarta satira sviluppa il tema, già oraziano, dei pericoli cui si espongono quanti tentano cose "difficilia, ardua et supra humanas vires". L'ultima satira, dal tono più raccolto, mette in scena un colloquio svoltosi lungo l'Arno, durante il carnevale di un anno imprecisato, tra il L. medesimo e l'amico Giovanni Vittorio Soderini. Per bocca di costui l'autore rinnova l'esaltazione di una vita semplice e lieta del poco, non turbata dal desiderio delle ricchezze.

Il Liber proverbiorum, anch'esso dedicato a Lorenzo de' Medici, è una raccolta di cento brevi sentenze, di varia tipologia, ispirate a fonti antiche, alcune mediate da analoghe raccolte coeve. L'ultimo proverbium, la storiella del pappagallo e del pavone (Fabula psitaci et pavonis), opera del L., esprime un tema caro all'autore: la certezza che un giorno o l'altro gli uomini "virtutibus prediti, quanvis diu in obscuro sint, tandem in lucem veniunt et virtutis proemia reportant". La cronologia del Liber è incerta. Intorno al 1474, sulla base del proverbium 85, che contiene un riferimento alle pratiche nepotistiche di Sisto IV, propone di datarlo Timpanaro. Posteriormente alla morte del pontefice, avvenuta nell'agosto 1484, ritenendo che nel proverbio costui sia menzionato come non più in vita, lo data invece Verde. Il Liber proverbiorum, che testimonia l'interesse per la letteratura paremiologica destinata a culminare negli Adagia erasmiani, è attestato da un buon numero di manoscritti e incontrò notevole apprezzamento presso i contemporanei.

Il corpus poetico del L. include, inoltre, carmi encomiastici ed epigrammi, per lo più inediti: genere, quest'ultimo, nel quale egli fu particolarmente versato.

Edizioni delle opere: K. Müllner, Laurentii Lippii Collensis opuscula tria, in Programm des K.K. Staats-Ober-Gymnasiums zu Wiener-Neustadt am Schlusse des Schuljahres 1900-1901, Wiener-Neustadt 1901 (ed. delle Satire, dei Proverbi e dell'orazione inaugurale dello Studio); L. Galante, I "Cynegetica" di Oppiano tradotti da L. L. da Colle, in Miscellanea storica della Val d'Elsa, XII (1904), pp. 93-116; V.R. Giustiniani, L'orazione di L. L. per l'apertura dell'Università di Pisa, in Rinascimento, s. 2, IV (1964), pp. 272-283; J. Ijsewijn, Laurentii Lippi Collensis Satyrae V ad Laurentium Medicem, in Humanistica Lovanensia, XXVII (1978), pp. 21-44; F. Di Benedetto, Epigrammi latini di L. L. per l'assedio di Colle Val d'Elsa del 1479, in Interpres, II (1979), pp. 123 s.; G. Albanese, "Et Pisas brevi novas Athenas futuras", Una Laudatio Pisanae urbis per l'inaugurazione dell'Università (1473), in Studi per Umberto Carpi, a cura di M. Santagata - A. Stussi, Pisa 2000, pp. 37-41 (sezione iniziale dell'orazione inaugurale dello Studio).

Fonti e Bibl.: F. Dini, L. L. poeta e la sua famiglia in Colle Val d'Elsa, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1901, t. 28, parte 3a, pp. 110-129; A. Della Torre, Storia dell'Acc. Platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 28 s., 702-708; M.E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists, Boston 1962, III, pp. 1994 s.; V.R. Giustiniani, L'orazione di L. L. per l'apertura dell'Università di Pisa, in Rinascimento, s. 2, IV (1964), pp. 265-284; T. De Marinis - A. Perosa, Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, Firenze 1970, pp. 49-54; A.F. Verde, Lo Studio fiorentino, 1473-1503. Ricerche e documenti, Firenze 1973-85, II, pp. 424-429; IV, 1, pp. 92 s., 197-199, 215 s., 237, 306, 379 s.; IV, 2, pp. 586-595; S. Timpanaro, Appunti per un futuro editore del "Liber proverbiorum" di L. L., in Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, a cura di R. Cardini et al., II, Roma 1985, pp. 391-435; J. Hankins, Plato in the Italian Renaissance, Leiden-New York 1991, I, pp. 5, 305; II, pp. 475 s., 486-488; P. De Capua, L. L. e la traduzione degli "Halieutica" di Oppiano, in Studi umanistici, III (1992), pp. 59-109; P. Megna, Lo "Ione" platonico nella Firenze medicea, Messina 1999, pp. 27 s.; G. Albanese, "Et Pisas brevi novas Athenas futuras"…, in Studi per Umberto Carpi, cit., pp. 3-41; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 163a; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VII, p. 302.

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