DA PONTE, Lorenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DA PONTE, Lorenzo

Giovanni Scarabello

Nacque a Ceneda (attuale Vittorio Veneto), nel ghetto, il 10 marzo 1749, primogenito di Geremia Conegliano e Rachele Pincherle, ebrei. Il padre era un conciatore di pelli di limitate fortune discendente da un Israel da Conegliano, che nel 1597 era venuto in Ceneda, vi aveva fondato un banco di pegno ed era stato tra i promotori di una comunità ebraica successivamente dispersa. A Ceneda il D., il quale per il momento si chiamava ancora Emanuele Conegliano, dopo aver imparato a leggere e scrivere, ricevette una ulteriore, povera educazione per parte di un rustico e manesco pedagogo locale. Una educazione, tuttavia, presto integrata e sostituita dalla lettura dei libri che l'occasione offriva alla vivacità e curiosità del tipo di ingegno di cui egli già si mostrava provvisto.

Una prima svolta nella sua vita, dopo che a cinque anni gli era morta la madre, venne dalla decisione del padre di farsi cristiano onde poter sposare, dopo quasi dieci anni di vedovanza, la cristiana Orsola Pasqua Paietta, una giovinetta di circa diciassette anni di età. Assieme al padre, ricevettero il battesimo, il 29 ag. 1763, anche i tre figli e tutti assunsero il cognome del vescovo di Ceneda Lorenzo Da Ponte che li aveva battezzati. Emanuele ne assunse anche il nome e divenne appunto Lorenzo Da Ponte, mentre il padre da Geremia diveniva Gasparo, il fratello secondogenito da Baruch diveniva Girolamo ed il fratello terzogenito da Anania diveniva Luigi. Con l'appoggio del vescovo che li aveva battezzati, il D. ed il fratello Girolamo furono accolti, sempre in quel 1763, nel seminario di Ceneda. Qui il D. proseguì gli studi con riguardo particolare al latino e all'italiano, sicché ben presto, secondando la sua naturale propensione al versificare, si mise in grado di gareggiare nella composizione poetica (sonetti, canzoni, ecc.) con ingegnosi coetanei come Michele Colombo; Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso furono, in quegli anni, i suoi autori. Restò sino a tutto il 1763 nel seminario di Ceneda, e successivamente, dopo esserne rimasto fuori, alla fine del 1769, passò a quello di Portogruaro, dove nel 1770 ricevette gli ordini minori, fu insegnante di retorica e poi vicedirettore sino al luglio 1773, presentò nel 1772 alcuni poemetti tra cui un Ditirambo sopra gli odori, ed infine il 27 marzo 1773 venne ordinato sacerdote e celebrò la prima messa.

Nell'autunno del 1773 il D., congedatosi dal seminario di Portogruaro, tentò l'avventura a Venezia, la città capitale, la Dominante dello Stato veneto. Quivi, mentre per vivere si era messo a fare il pedagogo, s'immerse, con adesione naturale ed immediata, nella vita estroversa e densa di rapporto umano consumato in rapide trame esistenziali che aveva scena negli spazi urbani veneziani dell'epoca. Nel bollor dell'età, di temperamento vivace, avvenente nella persona, così si descrive nelle Memorie (ediz. a cura di G. Gambarin-F. Nicolini, Bari 1918, I, p. 13), le trame dalle quali egli soprattutto si lasciò irretire furono trame d'amore: Angiola Tiepolo, delicata, gentile, eppur violenta amante, e la romanzesca - forse solo immaginata - Matilda. Gli intrighi passionali della gelosissima Angiola (una notte gli tagliò i capelli per non farlo uscire di casa), le ribalderie e le miserie di quel giocatore disperato, di quell'"emporio" di vizi che era il fratello di lei, certi ambienti veneziani intrisi di libertinaggi senza destini e senza spessori ideologici, furono per il D. un apprendistato al fascino, fino all'abbiezione, della frivolezza, della sessualità, dell'amore, del bizzarro delle situazioni. Dopo un anno di vita piena di piacevoli agitazioni, il D., con l'aiuto del fratello Girolamo, prete anche lui, il quale morirà trentenne di lì a poco, riuscì momentaneamente a staccarsi dalla soggezione a fascini di questa fatta. Fuggiasco, quasi, da Venezia alla fine del 1774 e scampato anche a un ritorno di fiamma del vecchio amore per Angiola, egli si allogò come professore di "umanità" e di retorica nel seminario di Treviso.

Nella placida cittadina veneta furono i fascini, pericolosi talora anch'essi, della poesia a porlo in altri guai. Il 1º ag. 1776, egli fece recitare agli studenti una sua "accademia poetica" (varie poesie latine ed italiane con una prefazione in prosa) dal titolo 'Segli uomini per le leggi e per le distribuzioni della civil società abbiano il sentiero della felicità umana appianato o ristretto; o se per queste leggi medesime sieno in rapporto alla loro felicità nel primiero stato rimasti (pubbl. dal Marchesan, pp. 367-430). Colleghi invidiosi e bempensanti locali montarono immediatamente un clima di scandalo evocando contro di lui il fantasma di Gian Giacomo Rousseau. Intervennero i riformatori dello Studio di Padova e l'affare ingrossò tanto che fu il Senato veneziano medesimo direttamente con un proprio decreto (caso abbastanza eccezionale) a sancire l'esclusione del D. dall'insegnamento nel territorio veneto, a poco essendogli valse le protezioni e le amicizie, peraltro intimidite, di patrizi come Bernardo Memmo e Pietro Zaguri con i quali egli era entrato in dimestichezza a Venezia, nonché di intellettuali di prestigio come Gasparo Gozzi.

Esorcizzato con gozzoviglie e feste il provvedimento del Senato veneziano (così al D. piace ricordare nelle Memorie la conclusione dell'affare), egli si ristabilì a Venezia, dove fu dapprima ospite di Bernardo Memmo (fine 1776-inizio 1777), al quale sedusse l'amante Teresa, figlia di un calafato dell'Arsenale, che il patrizio, sotto apparenza di protezione si teneva in casa. Indi divenne segretario di Pietro Zaguri, presso il quale nel 1777 conobbe Giacomo Casanova ed entrò in amicizia col patrizio Giorgio Pisani, un personaggio pieno di irrequietezza intellettuale e politica che, di lì a poco, nell'estate del 1780, con attacchi spericolati e un po' sconsiderati all'establishment veneziano si tirerà addosso un provvedimento di relegazione per mano degli inquisitori di Stato.

Il 1777, il 1778 e parte del 1779, a Venezia, per il quasi trentenne D. furono anni esistenzialmente ruggenti. Le tracce vivaci di quell'intenso vissuto, più che nelle reticenti Memorie, sono rimaste nelle carte del processo per "rapto di donna honesta", adulterio e pubblico concubinaggio che gli esecutori contro la Bestemmia condussero contro di lui fra il maggio e il dicembre del 1779.

Un vissuto di turbolente esibizioni amorose-sessuali, questo del D., da non considerarsi tuttavia eccezionale nella Venezia dell'epoca pervasa dal clima di fine-repubblica. Era successo che, quando era stato allontanato dalla casa di Bernardo Memmo, il D. avesse preso alloggio in casa di un artigiano, tale Carlo Bellaudi lavorante di piume, e avesse messo in piedi una tresca con la moglie di questo, Angiola. Fu questa tresca, e non ragioni politiche legate alla sua amicizia con Giorgio Pisani come il D. nelle Memorie vorrebbe far credere, che spinsero gli esecutori contro la Bestemmia, il tribunale veneziano che si occupava di tutela della moralità pubblica con riguardo ai gruppi medio bassi della popolazione, ad intervenire contro di lui. Nelle carte processuali c'è uno sfilare di testimoni che vengono a raccontare come il D. si fosse lasciato vedere maneggiare Angiola sotto le sottane; si fosse fatto scorgere mentre, lei pettinandolo, la "toccava dinanzi"; si fosse mostrato mentre, nudo, si ostentava a lei da una stanza all'altra, nudo sotto il tabarro mentre la prendeva in piedi in una casa di donne di mondo dov'egli, non nascondendo il suo stato sacerdotale, era pagato per suonare il violino. Altri testimoni ancora riferirono che dal seminario di Treviso era stato cacciato per sospetto di sodomia e di deflorazione di fanciulla; che la sua fama era di libertino; che egli aveva avuto rapporti carnali con Angiola al cospetto di un'amica di lei; che nella chiesa di S. Luca, quando celebrava messa con i suoi lunghi capelli effeminati, non cessava di far errare i suoi sguardi sulle fedeli, alla ricerca di lascive intese; ch'egli corteggiava donne di teatro; che per lui succedevano tra donne furibonde liti di gelosia; infine, ch'egli era rimasto ebreo nel suo intimo: un campionario di episodi di "mala vita" di un genere che non è infrequente trovare nei processi degli esecutori contro la Bestemmia e che peraltro, denota nel D. oltre che il gusto per la tresca erotico-amorosa anche il gusto per una scena pubblica in cui la tresca stessa avesse ad esaltarsi di rappresentazione e di provocazione. Angiola Bellaudi, nel periodo in cui era l'amante del D., partorì tre volte: i neonati vennero abbandonati presso l'ospedale veneziano di S. Maria della pietà; un parto avvenne addirittura per strada. Essendosi il D. sottratto in tempo all'arresto, gli esecutori contro la Bestemmia pronunciarono contro di lui, il 17 dicembre 1779, sentenza di bando per quindici anni dallo Stato veneto. Probabilmente a far pesare su di lui la mano della giustizia era stata proprio l'ostentazione, la pubblicizzazione scandalosa della sua scostumatezza.

Riparato a Gorizia, nel Friuli austriaco, tra il settembre del 1779 e il dicembre del 1780, il D., per vivere, si dette da fare come scrittore, si appoggiò agli ambienti nobiliari e accademici della città e venne accolto col nome di Lesbonico Pegasio nella neo formata Colonia romano-sonziaca referente all'Arcadia di Roma. Pubblicò allora Le gare degli uccelli (Gorizia 1779), canzone celebrativa della pace di Teschen tra Austriaci e Prussiani nonché il poemetto eroicomico Il capriccio (ibid. 1780) e il poemetto pastorale Il cechino (ibid. 1780); si applicò alla traduzione della tragedia di J.-F. Laharpe Il conte di Warwick (ibid. 1780), dei Fasti goriziani di Rodolfo Coronini conte di Cronberg (ibid. 1780); produsse rime come gli Sciolti del signor Lorenzo Da Ponte, in Poesie per il solenne ingresso di Sua Eccellenza Mss. Zorzi Pisani, procuratore di S. Marco per merito (Venezia 1780); pubblicò ancora il poemetto La gratitudine ossia La difesa delle donne (Gorizia 1780) che, per gli ambigui giudizi che conteneva sul loro passato, suscitò le ire dei conti Nicolò ed Antonio d'Attems di S. Croce, i quali si presentarono armati di bastone in casa dello stampatore Valerio de' Valeri, in cui era alloggiato il D., ma dalla quale egli aveva prudentemente traslocato in casa del conte Luigi Torriani, che se l'era preso in qualità di cappellano domestico. Oltre ai risentimenti di qualche vacuo nobilotto, il D. aveva suscitato qualche invidia in intellettuali del posto come Giuseppe De Coletti. Di lì a poco, accampando di essere stato chiamato dall'amico Caterino Mazzolà, poeta di corte dell'elettore di Sassonia, che aveva conosciuto in casa Memmo, il D. lasciò Gorizia e, passando per Vienna in lutto per la morte dell'imperatrice Maria Teresa avvenuta il 29 nov. 1780, si portò a Dresda non trascurando di pubblicare, il sonetto Per la morte di Sua Maestà l'Imperatrice Maria Teresa (Vienna 1780).

A Dresda, dove visse nel 1781, lavorò assieme al Mazzolà all'adattamento e traduzione di opere teatrali come Atys e Cibele da Ph. Quinault. Uomini di peso intellettuale e sociale apparivano attratti, almeno nei tempi brevi, dal personaggio Da Ponte. A Dresda, per esempio, amarono aver dimestichezza con lui l'influente amico dell'elettore di Sassonia, conte Camillo Marcolini, ed il cappellano di corte, l'ex gesuita padre Michael Hubert, dotto traduttore del Metastasio, cui il D. dedicò i Sette Salmi in parte pubblicati nelle Memorie (I, pp. 81-85). Per converso, i suoi rapporti con le donne parevano alimentarsi della casualità degli incontri e delle situazioni purché quelli e queste fossero stati dimensionati a un minimo di intricate evenienze di trama, colpi di scena, contrasti. A Dresda, sono due figlie del pittore della locale Accademia di belle arti, Giuseppe Camerata, a dilacerare di incertezza il D.: tutte due belle e disponibili, a lui scegliere. Ma era appunto la situazione in sé che lo attraeva: una scelta l'avrebbe distrutta. Talché, nelle Memorie, il D. non esita a raccontare di aver lasciato Dresda proprio per non addivenire alla scelta stessa.

Portatosi a Vienna alla fine del 1781 o inizi del 1782 - quivi risulta pubblicata la sua fiaba-poemetto Filemone e Bauci (Vienna 1781) -, il D. si appoggiò all'influente compositore Antonio Salieri ("Hofkapellmeister"), cui lo aveva raccomandato il Mazzolà, e fece a tempo a conoscere Pietro Metastasio, poeta cesareo, il quale morirà il 12 apr. 1782. Saranno, quelli viennesi, anni di apprendistato e poi di intensa, scaltrita pratica nel lavoro dello scrivere per il teatro musicale nonché nel gioco della contrattazione del successo con gli uomini del potere che per quel teatro mostravano complessi interessi. Nel 1783, dopo esser stato introdotto presso l'imperatore Giuseppe II (il quale aveva ripristinato nella capitale l'Opera italiana) grazie al ciambellano conte Franz Xaver Wolf Orsini-Rosenberg, che gli era amico, il D. ottenne la carica abbastanza ben remunerata di poeta dei teatri imperiali. In quell'anno stesso, venne rappresentata a Vienna la tragedia L'Ifigenia in Tauride adattata dal D. da un libretto francese di N. F. Guillard musicato da Ch. W. Gluck, ma il vero e proprio esordio di D. si ebbe un anno dopo, senza troppo successo, con il diamma giocoso Il ricco d'un giorno per la musica del Salieri.

Nel frattempo, il D. continuava a metter fuori composizioni poetiche di vario genere come i sonetti Alla Santità di Pio VI (Vienna 1782), in occasione della venuta di quel papa a Vienna, e il componimento A Sua Maestà Cesarea Giuseppe Secondo (s. l.né d., ma Vienna 1783). Pare anche abbia collaborato nel 1784 con Casanova, ritrovato a Vienna dove questi era giunto nel 1783, alla stesura dei versi I bei capelli di Silvia (L.Da Ponte, Memorie e altri scritti, a cura di C. Pagnini..., p. 899). Altri testi poetici, il D. si trovò a scriverli in quel periodo, per attaccare chi gli faceva concorrenza nel lavoro e nel favore dei potenti, come, temibilissimo, Giambattista Casti, il quale, portatosi a Vienna nel settembre del 1783, aspirava al posto di poeta cesareo e godeva dell'appoggio del conte Rosenberg, un appoggio che era venuto meno al Da Ponte.

Il 1785 e il 1786 furono anni in cui il lavoro di autore di testi per il teatro musicale (per lo più drammi giocosi) del D. acquistò carattere di professionalità: per il compositore V. Martin y Soler, ricavò da Le bourru bienfaisant di Goldoni il libretto Il burbero di buon cuore;intervenne con rimaneggiamenti nel testo dell'opera Il finto cieco, musicata da G. Gazzaniga; scrisse (spesso si trattava di adattamenti) per la musica di V. Righini Il Demogorgone ovvero Il filosofo confuso; per Martin y Soler, Una cosa rara, o sia Bellezza e onestà; per S. Storace, Gli equivoci (dalla Comedy of Errors di Shakespeare), tutte opere presentate nel 1786 a Vienna. Ma soprattutto - e sarà questo l'avvenimento destinato a dar grande evidenza alla sua biografia nella memoria dei posteri - il D. scrisse per Wolfgang Amadeus Mozart la commedia per musica Le nozze di Figaro, tratta da Le mariage de Figaro di Beaumarchais. Il lavoro venne rappresentato al Burgtheater di Vienna il 1º maggio 1786, e fu un grande successo.

Il D. aveva conosciuto Mozart in casa del barone ebreo Raimund von Wetzlar già nel 1783. Mozart, nel maggio di quell'anno, raccontava al proprio padre in una lettera come l'abate italiano gli avesse promesso un libretto d'opera. È incerto se nel libretto dell'opera buffa Lo sposo deluso, o sia La rivalità di tre donne per un solo amante, che Mozart cominciò a musicare nel 1783 e poi abbandonò, nonché nel testo dell'oratorio Davide penitente, composto da Mozart nel 1785, e nel testo di Per la ricuperata salute di Ophelia, con musica di Mozart ed altri di quello stesso 1785, vi siano interventi ed eventualmente in che misura del Da Ponte. Comunque, il libretto che segnò il vero incontro di lavoro artistico tra Mozart e il D. fu quello per Le nozze di Figaro. Il desiderio di lavorare sulla commedia di Beaumarchais era stato espresso da Mozart, ma fu il D. che si batté per dar possibilità concrete all'impresa trattando direttamente con l'imperatore per superare i divieti di rappresentazione che gravavano sul testo di Beaumarchais, considerato troppo libero, e che si dette da fare per parare le mene del conte Rosenberg e del suo protetto Casti sempre in corsa per il posto di poeta cesareo.

Fu un momento felice. Via via che il D. scriveva le parole, Mozart scriveva per esse la musica. Le proposte della trama di Beaumarchais erano stimolanti per entrambi. Il D. immise in quelle proposte (e lo farà anche nei successivi libretti per Mozart) certo clima delle proprie esperienze esistenziali, il libertinaggio non intellettualistico o ideologico di certa vita, non solo la sua, ch'egli conosceva ed amava.

Dopo il successo delle Nozze di Figaro, Martin y Soler, Salieri e Mozart chiesero al D. nuovi libretti ed egli scrisse per il primo il dramma giocoso L'arbore di Diana, rappresentato a Vienna nel 1787, per Salieri ricavò da Tarare di Beaumarchais il dramma tragicomico Axur, re d'Ormus, rappresentato a Vienna nel 1788, mentre con Mozart si accordò per scrivere il dramma giocoso Il dissoluto punito o sia Il Don Giovanni, tratto da un libretto di Giovanni Bertati (ma ben lunga e larga era la tradizione delle trame su Don Giovanni). Il libretto del Bertati era stato scritto per la musica del Gazzaniga e rappresentato a Venezia nel carnevale del 1787.

Nelle Memorie il D. si dipinge in questo periodo mentre lavorava ore ed ore di ogni giorno alla stesura di questi libretti: sul tavolino una bottiglietta di tokai, il calamaio e una scatola di tabacco di Siviglia; fuori della porta una bella giovinetta, figlia della padrona di casa, che veniva nella sua camera a suono di campanello, la sua "Calliope" per le tre opere e per gli altri suoi versi di quegli anni. Il dissoluto punito o sia Il Don Giovanni venne rappresentato per la prima volta a Praga il 29 ott. 1787, presente anche Casanova venuto da Dux (controversa la questione di suoi apporti al libretto del Da Ponte). Fu un successo che tuttavia non si ripeté appieno nelle rappresentazioni che se ne fecero a Vienna quasi subito dopo.

Era un momento buono per il Da Ponte. Nel 1787 si era rappresentato a Vienna un suo Il Bertoldo per la musica di F. Piticchio; poco dopo escono due volumi di suoi Saggi poetici (Vienna 1788); nel 1788 va in scena, sempre a Vienna, Il talismano, con musica di Salieri, adattato da un omonimo libretto di Goldoni. E poi, ancora, su testi del D. (spesso solo adattamenti) vennero rappresentati, nel 1789, Il pastor fido (dal poemetto del Guarini) con musica di Salieri, L'ape musicale con musica di vari compositor i fra cui Mozart, La cifra con musica di Salieri; nel 1790, Nina o sia La pazza per amore con musica di G. Paisiello e J. Weigl, La quakera spiritosa con musica di P. Guglielmi, La caffettiera bizzarra con musica di Weigl.

Continuava frattanto la collaborazione con Mozart e il 26 genn. 1790 venne rappresentato a Vienna il dramma giocoso Così fan tutte o sia La scuola degli amanti. Assai discusso dai musicologi (tra gli altri B. Paumgartner e A. Einstein) il problema della configurazione dei rapporti di collaborazione tra il D. e Mozart in relazione agli esiti di eccezionale valore delle tre opere da essi assieme prodotte. Appare comunque evidente che ognuna delle due personalità, ciascuna a suo modo e misura, dovette trovare nell'altra stimoli felici alla liberazione di proprie potenzialità espressive.

In questo periodo il D., anche in relazione al fatto che l'abate Casti era lontano da Vienna, avrebbe potuto forse dar la scalata con successo al posto di poeta cesareo, se egli, con splendida imprevidenza, non avesse bruciato le sue possibilità pur di continuare la relazione che aveva imbastito con la cantante Adriana Gabrielli, moglie di Luigi Del Bene, detta "la Ferrarese", che cercò di imporre in tutti i modi non esitando ad urtarsi con molta gente di importanza. Immerso negli intrighi delle passioni amorose e negli intrighi necessari a tener posizione nel mondo del teatro sovvenzionato dai potenti, il D. finì con lo sbilanciarsi e giunse a metter fuori una lettera in versi che poteva suonare offensiva nei confronti di Leopoldo II, succeduto a Giuseppe II morto il 20 febbr. 1790. Con il nuovo imperatore, il quale tra l'altro, aveva inaugurato una politica di austerità finanziaria anche per quel che riguardava i teatri di corte, il clima della capitale era cambiato; ma il D. non se ne era reso conto. Comunque non era disposto a reprimersi troppo. Contro di lui fu messo in circolazione un libello intitolato Anti Da Ponte, in cui venivano additati risvolti poco edificanti della sua vita. Rotta era anche l'amicizia con Salieri. Nei suoi confronti l'atmosfera ostile montò al punto che all'inizio del 1791 egli venne espulso da Vienna dove, in gennaio, erano state presentate le due cantate Il tempio di Flora e Minerva e I voti della nazione napoletana, su testi suoi e musica rispettivamente di Weigl e Piticchio.

Il D. guadagnò allora Trieste, dove inutilmente tentò di spiegarsi e giustificarsi con Leopoldo II, che in quella città gli aveva concesso udienza. Finalmente egli avvertì il vuoto di appoggi fattosi attorno a lui. Chiese aiuto ad amici-protettori di tempi lontani, come i patrizi veneziani Memmo e Zaguri, e a compagni di lavoro che pur qualcosa gli dovevano come Mozart e si spinse sino ad inviare una supplica al Consiglio dei dieci perché gli fosse concessa: la grazia per la condanna subita nel 1779 e gli fosse concesso di tornare a Venezia. Tutto inutilmente.

Possibilità di reinserimento nel mondo viennese parvero ricrearsi per il D. nel 1792 con la morte di Leopoldo II e l'ascesa al soglio imperiale di Francesco II. Non fu così: egli tornò brevemente a Vienna, ma per constatare che non vi era più posto adeguato per lui, con il Casti nominato poeta cesareo e il Bertati nominato poeta dei teatri imperiali. Il D., sempre nel 1792, ritornò allora a Trieste (nel primo e secondo soggiorno triestino mise fuori qualche testo tra cui, nel 1791, la tragedia Il Mezenzio) e quivi si unì (non è chiaro se, o comunque quando, si sia sposato) questa volta definitivamente con Anna Celestina Ernestina Grahl, figlia di un mercante, la "Nancy" delle Memorie. Assieme a lei, con un modesto capitale e con una "temerarietà da ventenne", si mise in viaggio per Parigi. Non giungerà tuttavia nella capitale francese: un po' perché non erano incoraggianti le notizie che per strada lo raggiungevano sui movimenti delle truppe rivoluzionarie francesi e un po' perché Casanova, incontrato a Dux, gli aveva messo in testa idee per una nuova meta: Londra.

Un suo dio, un suo "genio", come il D. annota nelle Memorie, lomuovevano. Giunto a Londra nell'ottobre del 1792, egli tentò di lavorare per il teatro con l'appoggio degli amici, il cantante-impresario Michael Kelly e il maestro Stephen Storace, ma l'impresa non riuscì. In quel periodo ebbe una frequente corrispondenza con Casanova, presso il quale si sfogava delle sue difficoltà, ricevendone talora in cambio cinici consigli come quello di "appoggiarsi" alla bellezza della moglie Nancy (di lui più giovane di una ventina d'anni).

Nel luglio 1793 il D. si recò in Belgio e poi, in settembre, in Olanda a cercare di farsi promotore di allestimenti di opere italiane. Alla fine dell'anno tornò a Londra dove, a dispetto di un suo rivale, Carlo Badini, aveva ottenuto il posto di librettista al King's Theatre in Haymarket (opera italiana). Iniziò così un altro ciclo di lavoro per il teatro che si protrarrà nella capitale inglese per più di un decennio. Anni in cui il D. dovette misurarsi con le difficoltà dell'ambiente teatrale inglese (carattere poco trattabile dell'impresario William Taylor, estrosità di prime attrici come Brigida Banti e Anna Morichelli) e con le difficoltà delle piccole imprese affaristiche, nelle quali egli si buttava sia per bisogno economico e sia per dar sfogo alla sua vitalità (gestione del bar del teatro, intraprese editoriali ecc.), che gli procurarono liti giudiziarie e persino condanne per debiti.

In quegli anni londinesi tra il 1793 ed il 1804, il D. mise al mondo quattro figli con Nancy e dette fuori numerosi testi per musica (opere serie, opere buffe, talora solo adattamenti e traduzioni) che testimoniano della sua solida professionalità. Testi, tra gli altri, per la musica di F. Bianchi (Antigona nel 1796, Il consiglio imprudente da Un curioso accidente di Goldoni nel 1796, Merope da Voltaire nel 1797, Cinna nel 1798, Armida nel 1802, forse anche La Semiramide nel 1794); per la musica di G. Paisiello (ripresa-adattamento de La Frascatana nel 1794); per la musica di D. Cimarosa (qualche intervento ne Il capriccio drammatico); per la musica di P. Guglielmi (qualche intervento ne La bella pescatrice nel 1794); per la musica di G. Sarti (qualche intervento ne I contadini bizzarri nel 1794); per la musica di V. Martin y Soler (La capricciosa corretta, o La scuola dei maritati, e L'isola del piacere, ambedue nel 1795); per la musica di J. Mazzinghi (Il tesoro nel 1796); per la musica di A. E. Grétry (interventi in Zemira e Azor nel 1796); per la musica di P. Winter (La grotta di Calipso nel 1803, Il trionfo dell'amor fraterno nel 1804, Il ratto di Proserpina nel 1804). A Londra, il D. ripropose anche un "pasticcio", il Don Giovanni in un atto, con musica di vari autori, tratto dal libretto del Bertati. Mise fuori anche qualche cantata come La vittoria con musica di Paisiello nel 1794; Le nozze del Tamigi e Bellona con musica di F. Bianchi nel 1797. Preparò altresì lo "show" Sei canzonette italiane (con versione inglese) nel 1795 per la musica di Martin y Soler, e curò la pubblicazione di sue composizioni poetiche con i volumi Il tributo del core (London 1793) e Saggipoetici (ibid. 1801).

Tra l'ottobre del 1798 e il marzo del 17993 il D. tornò in Italia, accompagnato da Nancy, per un viaggio, pagato dall'impresario Taylor, alla scoperta di talenti del bel canto da scritturare. Egli trasformò questa spedizione, che doveva essere di lavoro (da questo punto di vista i risultati furono modesti), in una ripercorrenza dei luoghi e delle situazioni degli anni di intensa libertà di vita della sua giovinezza: Ceneda e il vecchio padre, ma soprattutto Venezia, dove egli cercò con tale aderenza e concretezza le immagini del suo passato turbinoso nella città, i compagni e le compagne di libertinaggi di venti anni prima, da suscitare sospetto negli organi di sorveglianza dell'imperial regio governo austriaco, nelle cui mani, da pochi mesi, finita la Repubblica aristocratica e la breve esperienza della Municipalità democratica provvisoria del 1797, si trovava Venezia. Espulso ancora una volta dalla città, il D. toccò Padova, Ferrara, dove rivide Giorgio Pisani, Bologna, dove conobbe Foscolo, Firenze, ed infine ritornò a Londra.

Guastatisi i rapporti con l'impresario Taylor e trovatosi per qualche tempo allontanato dal suo posto al King's Theatre, il D. mise su una libreria, anche editrice, specializzata nella vendita di libri italiani. Sarà lui l'editore-venditore dei suoi Saggi poetici del 1801 e di altre opere di autori italiani (Casti, Tasso, Ariosto, Parini, Beccaria, Maffei e altri). Una impresa libraria che funzionava bene, ma che non bastò, alla lunga, a raddrizzare le situazioni debitorie in cui il D. venne a trovarsi dopo aver riallacciato i rapporti col King's Theatre, in gran parte a causa delle sventatezze del Taylor.

Maturava intanto un'altra svolta importante nell'esistenza del Da Ponte. Nell'agosto del 1804, chiamata colà dai propri parenti, Nancy era partita per l'America con i quattro figli di cui uno in fasce. L'anno seguente, un po' per desiderio dei suoi, un po' per l'aggravarsi degli intrighi finanziari in cui si trovava, anche il D. decise di partire. Nell'aprile del 1805 si imbarcò per Filadelfia, dove giunse il 4 giugno col suo piccolo bagaglio comprendente alcuni libri e una cassetta di corde da violino.

A cinquantasei anni, a "Nuova Jorca" (New York), il D. si rimise a inventarsi la vita: improvvisatosi droghiere, pochi mesi dopo passò da New York ad Elisabethtown (N. J.) con un socio "vizioso" che gli dette mano a condurre gli affari sull'orlo del fallimento. Tornato, all'inizio del 1807, a New York con tutta la famiglia (i figli erano cresciuti a cinque) conobbe occasionalmente il giovane studioso Clement Clarke Moore, il quale rimase affascinato dalla sua personalità. Il Moore gli procurò la possibilità di mettere su un piccolo corso di lingua italiana in casa del proprio padre, preside del Columbia College. Ben presto, grazie all'entusiasmo del D., crebbe il numero degli allievi, delle materie e degli insegnanti (fra i quali, Nancy). A supporto delle sue lezioni, il D. dava per esercitazione la lettura di una storia della sua vita che sarebbe uscita di lì a poco (Storia compendiosa della vita di Lorenzo Da Ponte scritta da lui medesimo. A cuisi aggiunge la prima letteraria conversazione tenuta in sua casa, il giorno 10 marzo dell'anno 1807, in New York, consistente in alcune composizioni italiane, sì in verso che in prosa, tradotte in inglese dai suoi allievi, New York 1807) e che avrebbe costituito poi un nucleo delle Memorie.

In terra d'America (nel 1808 a New York si stampò una sua canzone Agli Stati Uniti d'America) gli affari apparivano al D. a dimensione di "avventura", quali in Europa gli erano parse certe tresche erotico-amorose: si associò a un distillatore di liquori e ci rimise parte del denaro che era riuscito a racimolare con la scuola d'italiano. Di conseguenza (ma anche per insistenze dei parenti di Nancy), nel giugno 1811, si trasferì con la famiglia a Sunbury in Pennsylvania dove - divenuto in quell'anno cittadino americano - ricominciò a trafficare nel settore dei liquori, droghe, medicinali. Si mise anche nei trasporti (Sunbury-Filadelfia) e, nel 1814, aprì una modisteria. Lasciate queste imprese, nelle quali aveva avuto alti e bassi di fortuna sullo sfondo di una realtà americana in tumultuosa espansione, nell'agosto 1818 passò a Filadelfia, dove riuscì a mettere assieme di che vivere insegnando e raccogliendo libri italiani che il figlio Giuseppe andava a commerciare a New York. Di nuovo il D. entrò in contatto con New York e Clement Moore lo convinse a ritornarvi e a riprendervi l'insegnamento dell'italiano.

Nell'aprile 1819, a settanta anni, il D. era di nuovo a New York e si rimetteva nell'impresa dell'insegnamento con quello spirito e passione pieni di entusiasmante vissuto che catturavano gli allievi e davano successo alle sue lezioni come testimonia anche il fatto che alcuni di essi chiesero di essere ospitati a casa sua per avere con lui più ampio sodalizio di vita, il che lo spinse ad organizzare, dal 1821, quella specie di pensionato domestico che sarà la "Ann Da Ponte's Boarding House" (sopravvissutagli sino al 1840). E tutto ciò nonostante qualche libello che circolava anonimo con pesantissime accuse contro di lui. Al suo ritorno aveva dato alle stampe An extract from the life of Lorenzo Da Ponte with the History of several dramas written by him and among others, "Il Figaro","Il Don Giovanni" and "La scola degli amanti", set to music by Mozart (ibid. 1819). Nel frattempo, egli, a più riprese, donava libri italiani di sua proprietà alla New York Public Library. Successivamente, ancora, farà comprare alla Public Library e al Columbia College libri italiani che andranno a costituire ed alimentare fondi specifici.

Un dolore profondo gli causò, nell'estate del 1821, la morte del figlio Giuseppe. Per un anno abbandonòl'insegnamento e per qualche tempo si ritirò in campagna presso amici, dove tradusse in italiano in terza rima The Prophecy of Dante di Byron (La profezia di Dante di Lord Byron, tradotta in terza rima da Lorenzo Da Ponte, Nuova Jorca 1821). All'inizio dell'anno aveva pronunciato il discorso apologetico Sull'Italia poi stampato (New York 1821), in risposta ad attacchi anti italiani della stampa inglese.

Tornato a New York e all'insegnamento si associò al giovane figlio Carlo in un negozio di libri italiani (Catalogo ragionato dei libri che si trovano attualmente nel negozio di Lorenzo e Carlo Da Ponte, Nuova Jorca 1823) e nel 1823 incominciò a pubblicare, partecipando all'edizione, le sue Memorie (Memorie di Lorenzo Da Ponte, da Ceneda, scritte da esso, I-IV,ibid. 1823-27). Nel 1825 Clement Moore fece creare per lui un posto di insegnante di italiano al Columbia College, mentre egli pubblicava qualche scritto di commento a Dante (Critique on certain passages in Dante, in New York Review and Athenaeum Magazine, I[1825], pp. 156-158, 241 s., 325-327) e polemizzava contro lo storico William H. Prescott per alcune sue considerazioni sulla letteratura italiana (Alcune osservazioni sull'articolo quarto pubblicato nella "North American Review" il mese d'ottobre dell'anno 1824, Nuova Jorca 1825).

Quello della introduzione dell'opera italiana in America era stato un evento sempre sperato dal Da Ponte. Nel novembre del 1825 tale evento si realizzò con l'arrivo a New York della compagnia lirica di Manuel Garcia, che comprendeva, assieme ad altri bravi cantanti, anche la figlia di costui, Maria, la quale sarebbe divenuta famosa come Maria Malibran. L'esordio al Park Theatre si ebbe con Il barbiere di Siviglia di Rossini e fu un successo. Un calorosissimo incontro del Garcia con il D. portò all'allestimento e rappresentazione con ampi consensi, il 23 maggio 1826, del "suo" Don Giovanni. Nel 1827, oltre a una Storia della lingua e della letteratura italiana in New York (New York 1827) con aggiunta di altri scritti, il D. pubblicò il quarto ed ultimo volume delle Memorie, di cui un paio di anni dopo (la censura le aveva proibite nei territori italiani sottoposti alla dominazione austriaca) uscirà una seconda edizione (Memorie di Lorenzo Da Ponte da Ceneda in tre volumi, scritte da esso. Seconda edizione corretta e ampliata ed accresciuta d'un intero volume e dialcune note (Nuova Jorca 1829-1830).

Ampia la varietà di lettura e giudizio critici sulle Memorie e frequenti i confronti con quelle di Casanova, Goldoni, Carlo Gozzi, ecc., o con quelle (utili per notizie sul D.) dell'amico Michael Kelly (Reminiscences, London-New York-Toronto 1975). Forse non abbastanza valutato il fatto che il D. scrisse la propria biografia - la quale, pure, per molta parte ha scenario nei "vecchi regimi" settecenteschi europei - immerso ormai da anni in una esperienza di epoca e di strutture (economico-sociali, soprattutto) assolutamente nuove: quelle dell'Ottocento e degli Stati Uniti d'America. Di qui forse anche la sua scrittura puntata sul rapido e animato racconto dei fatti, dei personaggi, degli atteggiamenti psicologici nella loro espressione pratica. Una scrittura adattata a una vita - quella del D. - che ha bensì "attraversato" e talora seguito i percorsi degli "avventurieri" settecenteschi (tanto per usare la stanca nomenclatura di certa critica), ma che ha partecipato altresì alle "movimentazioni" di sviluppo del mondo nuovo. Per certi aspetti della sua vita (sceneggiata e, naturalmente, mistificata nelle Memorie) o, almeno, per come quegli aspetti si propongono ad attuali sensibilizzazioni, oggi forse ci si può chiedere se il D., oltre che come autore europeo, non possa esser messo in valutazione anche come autore "americano".

Ottantenne, nel 1830, il D. si adoperò per lanciare in America la nipote Giulia approdata a New York assieme al padre, il fratellastro del D. Agostino, ma una esibizione della giovane cantante ne L'ape musicale, che non ebbe troppo successo, e il matrimonio di lei mortificarono le sue speranze. Editò Alcune poesie (New York 1830, pubblicate anche col titolo Mazzetti di fiori e Mazzetti di fiori austriaci) e Poesie varie (ibid. 1830), riprendendo in questo volume anche scritti aggiunti nella seconda edizione delle Memorie. Nell'ottobre del 1831 la morte di Nancy gli procurò profondo dolore. In memoria di lei scrisse una serie di sonetti apparsi in Versi composti daLorenzo Da Ponteper la morte di Anna Celestina, Ernestina sua virtuosissima e adorata consorte (ibid. 1832), contenente anche altri scritti.

Passato a vivere in casa del figlio Lorenzo, fu aiutato a sollevarsi dal dolore da una nuova avventura imprenditoriale nella quale si lanciò nell 1832: una partecipazione alla impresa teatrale del tenore impresario Jacques Montrésor, che egli aveva convinto a venire dall'Europa con una compagnia d'opera. L'impresa, nonostante l'attività frenetica del D. che a Filadelfia era riuscito a raccogliere 8.000 dollari di sottoscrizioni, si concluse non troppo bene con lo scioglimento della compagnia dopo poco più di una trentina di rappresentazioni e con un paio di scritti polemici del D. sulla vicenda: Storia incredibile ma vera. Parte I. Storia dellaCompagnia dell'Opera Italiana condotta daGiacomo Montresor inAmerica, in agosto dell'anno 1832 (Nuova Jorca 1833) e Storia incredibile ma vera. Parte II (New York 1833; per questi lavori e le intitolazioni: L. Da Ponte, Memorie e altri scritti, a cura di C. Pagnini..., pp. 911 s.).

A ottantaquattro anni l'idea di un teatro stabile italiano da fondare a New York dominava ancora il D.: si associò nel 1833, con tale Riva Finoli e si mise a raccoglier denaro, elaborare programmi, promuovere consensi finché riuscì a far allestire a New York (all'incrocio fra Church e Leonard) un teatro, l'Italian Opera House, che venne inaugurato trionfalmente il 18 nov. 1833 con La gazza ladra di Rossini. La nuova impresa (circa 150.000 dollari per metter su il teatro), rimasta quasi per intero sulle spalle del D. anche dal punto di vista organizzativo, dopo due stagioni e un buon numero di rappresentazioni, dovette chiudere per il deficit finanziario ed il teatro passò ad altri.

Gli ottantacinque anni di età - nel frattempo il D. aveva pubblicato Storia americana, ossia Il lamento di Lorenzo DaPonte quasi nonagenario al nonagenarioMichele Colombo (Nuova Jorca 1835) e Frottola per far ridere di L. Da Ponte, abitante da trentaanni negli Stati Unitid'America e onorato nella sua liberacittadinanza (ibid. 1835) - lo costrinsero ad assumere la parte del vecchio: scrive agli amici lontani, vorrebbe tornare in Italia. Non trova ascolto, e sono i suoi familiari e qualche amico, come il Mobre, che lo aiutano anche materialmente a vivere. Nel 1831, dopo la morte di Nancy, il D. aveva avuto uno scambio epistolare con il patriarca di Venezia Iacopo Monico e aveva cominciato a preparare una sua conciliazione con la Chiesa cattolica. Questa impresa di ritorno alla Chiesa si concluse nell'agosto del 1838 tra il D. e il prete chiamato quando la vita del poeta stava con ogni evidenza avviandosi alla fine.

Il D. morì il 17 ag. 1838 in Spring Street 91 a New York, ed ebbe un gran funerale con Clement Moore e Pietro Maroncelli che reggevano i cordoni del feretro. Perdute rimangono le tracce della sua sepoltura.

Fra le più importanti e recenti ediz. e traduzioni delle Memorie: Memorie, a cura di G. Gambarin-F. Nicolini, I-II, Bari 1918; Denkwürdigkeiten des Venetianers L. Da Ponte, a cura di G. Gugitz, I-III, Dresden 1924-25 (con accurate e numerose note di puntualizzazione sulla biografia del D.); Memoirs of L. Da Ponte, Mozart's Librettist, a cura di L. A. Sheppard, London 1929; Mémoires (1749-1838) suivis de lettres inéd. de L. Da Ponte à Jacques Casanova, prefaz. e note di R. Vèze, Paris 1931; Memoirs of L. Da Ponte, trad. di E. Abbott, note di A. Livingston, prefaz. di T. G. Bergin, New York 1959; Memorie, a cura di C. Pagnini, Milano 1960; Mein abenteuerliches Leben. Die Memoiren des Mozart-Librettisten, a cura di W. Klefisch, Hamburg 1960; Gesch. meines Lebens. Memoiren eines Venezianers, a cura di C. Birnbaum - H. Kesten, Tübingen 1969; Die Memoiren des Mozart-Librettisten, galanten Liebhaber und Abenteuerers L. Da Ponte, trad. di G. Albrecht, Berlin 1970; Pameti, trad. di J. Kostohryz, Praha-Bratislava 1970; Mem. e altri scritti di L. Da Ponte, a cura di C. Pagnini, prefaz. di P. Chiara, Milano 1971 (con accuratissima bibl. delle opere del D. e comprendente, oltre alle Memorie, una scelta di altri scritti del D., tra cui il discorso Sull'Italia, il saggio sulla Storia della lingua e letter. ital. in New York, la Storia della compagnia dell'opera ital. condotta da Giacomo Montresor in America, la Frottola per far ridere e parecchie composizioni poetiche). Fra le poche recenti ediz. di libretti del D., da segnalare: Tre libretti per Mozart, a cura di P. Lecaldano, Milano 1956 (con abbondanti ed accurate note); Memorie. Libretti mozartiani, pref. di G. Armani, Milano 1976.

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