COSTA, Lorenzo

Enciclopedia Italiana (1931)

COSTA, Lorenzo

Adolfo Venturi

Pittore. Nacque a Ferrara, secondo quanto si suppone, circa il 1460, morì a Mantova nel 1535. Fu educato da Cosmè Tura, come dimostra un S. Sebastiano dove è la scritta col suo nome, in ebraico, nella Galleria di Dresda. Già nel 1483 era a Bologna, e lavorava nel palazzo Bentivoglio; nel 1488 dipingeva, nella cappella Bentivoglio in San Giacomo Maggiore, la famiglia di Giovanni II, signore di Bologna, intorno al trono della Vergine; nel 1490 rappresentava, nella stessa cappella, i Trionfi del Petrarca. Nel 1492, lavorò intorno alla gran pala d'altare della cappella dei Rossi, ora Baciocchi, in S. Petronio, rivelando il profondo rivolgimento dell'arte sua, che s'arresta ai primi del 1500 e che intristisce nelle opere posteriori; nell'Incoronazione di Maria in S. Giovanni in Monte (1501), nel S. Petronio tra altri Santi della pinacoteca di Bologna (1502), nella Presentazione al tempio del Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino (1502), nella Deposizione dello stesso museo (1504), nella tavola della Galleria nazionale di Londra (1505), nello Sposalizio di Maria della pinacoteca bolognese (1505), nelle due istorie dell'Oratorio di S. Cecilia (1506). Alla fine di quest'anno il C. era a Mantova, chiamatovi a sostituire Andrea Mantegna come pittore ufficiale della corte dei Gonzaga. Sin dal 1505, Isabella d'Este faceva sollecitare il C. per un quadro da porre nel suo camerino, il Regno delle Muse, ora al Louvre, al quale fece seguito la rappresentazione del Dio Como, che era già stata ideata dal Mantegna. Nel 1507, il pittore lavorava assiduamente nel palazzo di San Sebastiano a Mantova: nel 1508 ritraeva Isabella d'Este, per cui compiva anche una Sacra famiglia inviata alla corte francese nel 1510, e otto tele con Istorie del Vecchio Testamento, oggi disperse in parte a Roma nella collezione Visconti Venosta, a Bergamo nella donazione Morelli, a Londra nella Galleria nazionale proveniente da sir Henry Layard. Poco lavorò dopo, stanco, malato, e meno ancora quando un gran concorrente sopravvenne nella corte stessa: Giulio Romano. Nel 1522 dipinse il gran quadro a gloria di Federico Gonzaga, investito generale delle armi pontificie, ora a Teplitz presso i principi Aldringen; e prima, nel 1518, colorì una Venere da inviarsi al re Francesco I; nel 1520 ritrasse l'umanista Mario Equicola; nel 1525 compì la pala d'altare per la chiesa di S. Silvestro, ove il pittore fu sepolto l'anno 1535.

Il S. Sebastiano di Dresda riflette l'arte di Cosmè Tura nei contorni guizzanti e crudi, non nella ferrea gagliardia, come il ritratto di musico, nella Galleria nazionale di Dublino, pure ascritto al Tura, per i lineamenti irregolari e tormentati, comuni con il S. Sebastiano. Dopo questi saggi giovanili, il pittore è attratto a Bologna dai gloriosi affreschi di Ercole da Roberti nella cappella Garganelli, e, senza l'energia propria al grande caposcuola ferrarese, allinea i figli e le figlie di Giovanni II Bentivoglio in gradazione d'età, come tanti manichini, presso il trono della Vergine, nella cappella bentivolesca in S. Giacomo Maggiore. Ivi appaiono impressioni di Ercole, nei Trionfi della Fama e della Morte, nei personaggi diritti e muti, nelle composizioni tutte in superficie, senza scienza prospettica.

Nel ritratto di Giovanni II Bentivoglio, dipinto dopo il 1490, come nel plastico S. Sebastiano della raccolta Cassoli a Reggio Emilia, le forme prendon larghezza, solidità, rilievo scultorio. Certo non un estranea alla nuova tendenza verso il tutto tondo la visione dell'arte veneta, e più propriamente di pitture d'Antonello: e l'influsso veneto si afferma compiutamente nella pala di S. Petronio a Bologna, capolavoro del C. Ma ben presto scompare dal ferrarese la traccia del breve entusiasmo per le forme venete. Lavorando in Bologna, è attratto dal Francia, e deriva dal modello di lui la grazia devota della Santa Martire nell'ancona della pinacoteca bolognese e il ritmo fluente delle pieghe, il volto oblungo e grave nel contorno monacale di veli della Vergine adorante Gesù nella pinacoteca di Lione, gli angeli musicanti e il Bambino dalle deboli braccia nella pala della chiesa di S. Giovanni in Monte, ove dà un primo cenno delle strascicanti cadenze che si ripeteranno nelle ultime sue opere, di quel linearismo calligrafico che va oltre l'arte di Francesco Francia.

Tale tendenza sempre più si sviluppa nello stile del C. e ne esaurisce le deboli energie: nelle figurine smilze dell'Adorazione dei Magi di Brera, e nella pala di S. Giovanni in Monte a Bologna, dove il pittore, che ha veduto l'ancona del Perugino ora nella pinacoteca bolognese, studia arie estatiche di santi, dipinti a fatica secondo uno schema geometrico affatto superficiale. Dopo avere, sull'esempio dei veneti, costruita con senso spaziale la composizione, torna indietro, e decora i suoi quadri, come le sue prime pitture, di linee affatto superficiali.

Sempre secondo linee di superficiale regolarità e simmetria, il C. dispone le figure immiserite, intristite, oscillanti; fa cadere i drappi in lunghe pieghe falcate, in nastri pieghevoli come liane, aumentando la fralezza delle immagini, sullo sfondo di paesi sempre più sfumati di tinte, sempre più vaporosi e inconsistenti. Così appare sfumato il paese nella Sacra Famiglia del museo di Dublino; così leziose e illanguidite si presentano le figure dell'Oratorio di Santa Cecilia, e le altre apatiche, malinconiche e timide per i quadri dello stanzino d'Isabella d'Este, oggi al Louvre. Tra le opere di questo periodo è la Sant'Anna della raccolta Brivio a Milano, notevole per l'accordo fra la cantilena precorreggesca di curve e la nebulosità del chiaroscuro, che infonde al paese leggerezza di velo.

In Mantova il Mantegna fu modello al C., quando questi colori il gran quadro, ora nel castello dei principi Aldringen a Teplitz, destinato al palazzo di S. Sebastiano; ma anche le teste particolarmente imitate dal Mantegna perdettero nell'unzione costesca ogni grandezza.

Bibl.: A. Venturi, L.C., in Arch. stor. dell'Arte, I (1888), pp. 241-56; T. Gerevich, Sull'origine del Rinascimento pittorico in Bologna, in Rass. d'arte, VIII (1907), pp. 177-184; id., in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VII, Lipsia 1912 (con ampia bibl.); A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, iii, Milano 1914, pp. 829-47; id., Capolavori primitivi inediti del Francia e del Costa a Reggio Emilia, in L'Arte, XXIV (1921), pp. 185-88; G. Gronau, Frauenbildnisse des Mantuaner Hofes von L.C., in Pantheon, I (1928), pp. 235-41; L. Ozzola, Perugin oder Costa?, ibid., V (1930), p. 164; L. Venturi, Ignoto capolavoro di L. C., in L'Arte, n. s., I (1930-31), pp. 552-55.

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