LOPEZ Y ROYO, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LOPEZ Y ROYO, Filippo

Raffaele Pittella

Nacque il 26 maggio 1728 a Monteroni (oggi Monteroni di Lecce), "terra" da tempo sottoposta alla giurisdizione feudale della sua famiglia, dal duca Antonio e dalla gentildonna romana Maria Teresa Caffarelli, figlia del duca di Turone Alessandro Maria.

Il primo Lopez y Royo stabilitosi in Terra d'Otranto era stato un certo Bartolomeo, di un ramo collaterale della casata, che vi aveva contratto matrimonio con donna Giulia Bisantizzi, esponente della locale nobiltà. Giunto a Napoli dalla Navarra al seguito di R.F. Nuñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres e viceré dal 1637, aveva inizialmente fissato la sua dimora in Ostuni, ma si era presto trasferito nel basso Salento, divenendo signore dei feudi di Ortensano e Maccarino e acquistando nel 1663 - nel clima di stabilità del mercato della terra feudale che caratterizzò gli anni immediatamente precedenti e successivi alla rivoluzione di Masaniello (Tommaso Aniello d'Amalfi) - i casali di Taurisano e Monteroni da Pietro Fernández de Castro, conte di Lemos. Ma solo a partire dalla terza generazione alla sua discendenza era stato concesso di fregiarsi del titolo ducale, conferito da Carlo II, che il 2 luglio 1692 "in contemplazione de' [suoi] meriti […] e dei suoi predecessori […] creò Duca di Taurisano […] D. Antonio Lopez Royo - padre del nostro Filippo - i suoi eredi e successori ordine successionis" (Putignano, p. 562).

Per il L., sesto di otto figli e terzo di quelli maschi, sin da fanciullo si profilò inevitabilmente un futuro da ecclesiastico, il che lo portò ad allontanarsi presto dalla casa paterna per compiere i primi studi sotto la guida dei teatini del convento di Lecce. Stessa sorte toccò al secondogenito Alessandro, avviato alla carriera ecclesiastica a Roma, come pure a tutte le sorelle - eccezion fatta per l'ultimogenita, Eleonora, andata in sposa al duca di Corigliano F. Trani - per le quali si aprirono le porte del monastero leccese di S. Giovanni Evangelista, che a lungo godette della protezione dei duchi Lopez y Royo.

Trasferitosi a Napoli già prima del 1741, il L. vi completò la sua formazione nella casa teatina di S. Paolo Maggiore, presso la quale, dal 1744, svolse anche il prescritto periodo di noviziato che lo portò a diventare chierico regolare della Congregazione. Il 6 ag. 1752, nella cappella del palazzo episcopale di Stabia, venne promosso all'ordine del presbiterato alla presenza del locale vescovo, monsignor G. Coppola. In seguito fu dapprima lettore di filosofia nel seminario di Messina e poi, fatto ritorno nella capitale, in S. Paolo. Designato "prefetto de' Giovani" dai superiori dell'Ordine, il L. di lì a poco lasciò nuovamente Napoli per Roma, dove acquistò fama sia per le doti evidenziate quale "espositore" delle SacreScritture in S. Andrea della Valle, sia per la cultura mostrata come docente nel collegio di Propaganda Fide. Nel 1768, quando era procuratore generale della sua Congregazione, essendo venuto a mancare monsignor N. Sánchez de Luna, al L. fu affidata la cattedra episcopale di Nola; fu consacrato a Roma il 22 maggio, alla presenza del cardinale G.F. Stoppani. Indetti alcuni sinodi al fine di riportare sotto l'autorità episcopale il clero locale, si dedicò con particolare zelo al riassetto materiale e culturale del seminario diocesano, fra i cui insegnanti volle anche il concittadino I. Falconieri, poi rettore, sacerdote e letterato vittima della reazione borbonica dopo l'esperienza rivoluzionaria partenopea del 1799.

In ottemperanza a quanto stabilito da Ferdinando IV, che lo nominò arcivescovo metropolita di Palermo e Monreale a seguito della scomparsa di monsignor F. Sanseverino, il L. dopo ventotto anni di attività pastorale abbandonò Nola alla volta della Sicilia. L'8 maggio 1793 il sovrano informò della decisione Pio VI, il quale a sua volta concesse al L. di indossare il pallio arcivescovile il 17 giugno, con una reservatio pensionis di 2912 ducati d'oro. Fatto il suo ingresso nel capoluogo siciliano il 20 settembre - quando il Senato cittadino, in segno di reverenza, invece della tradizionale bianca chinea gli offrì in dono 200 onze - subito si preoccupò di istituire una commissione, composta da ecclesiastici e laici e da lui stesso presieduta, per sovrintendere alle questioni spirituali e patrimoniali legate alla gestione della diocesi.

L'insediamento a Palermo del nuovo arcivescovo coincise con il brusco cambiamento di rotta della Corona rispetto all'assolutismo riformatore, consequenziale all'indebolimento dello spirito illuminista che sino ad allora aveva contraddistinto il regime borbonico. Fu una scelta che inevitabilmente condusse il baronaggio siciliano a scindersi in due opposti fronti: da una parte le forze più conservatrici e reazionarie, a cui la monarchia non mancò di dare il suo sostegno, dall'altra gli strati più liberaleggianti della nobiltà, costretti all'emarginazione rispetto ai processi di privatizzazione dei beni ecclesiastici e demaniali.

Nel gennaio del 1795, morto in circostanze misteriose il massone F.M. d'Aquino principe di Caramanico, che come viceré di Sicilia aveva evitato a lungo che consenso o simpatia verso la Francia rivoluzionaria fossero intesi come delitto politico, il L. fu designato a suo successore con il titolo di "presidente e governatore" del Regno, assumendo così stabilmente funzioni già esercitate in occasione di una prolungata assenza da Palermo del Caramanico, dall'agosto 1794. Nel proliferare delle attività cospirative, il sovrano aveva dunque deliberatamente rinunciato a nominare un viceré politico, per l'impellente necessità di saldare l'esigenza di qualche libertà di azione avvertita dal baronaggio siciliano agli interessi specifici della Corona. L'attività politica del L., nelle cui mani ricadde l'amministrazione isolana, ebbe infatti fra gli obiettivi più urgenti quello di impedire il possibile formarsi di un partito filofrancese.

In questo ambito va anche collocato il ripristino dell'antica e invisa usanza di importazione spagnola, il "giuoco dei tori", peraltro proibita più volte dal Senato palermitano (l'ultima nel 1786), con l'obiettivo di distrarre l'attenzione popolare dagli avvenimenti d'Oltralpe.

Del resto, sono questi gli anni della condanna a morte di F.P. De Blasi, l'intellettuale aristocratico che per il 3 apr. 1795 aveva progettato una rivolta repubblicana, che si sarebbe dovuta concludere con il disarmo delle truppe regie e con la cattura del presidente-vescovo Lopez y Royo.

Giunto in Palermo il 22 luglio 1798 il nuovo viceré, il principe T. Firrao, dopo due giorni il L., esonerato dai suoi impegni politici, si imbarcò per Napoli, allontanandosi così definitivamente dall'isola nonostante fosse ancora titolare della sua diocesi. Solo il 4 sett. 1801 - dietro diretto interessamento del cardinale F. Ruffo, plenipotenziario della monarchia napoletana, e a seguito di una sua personale supplica al pontefice - il L. ottenne la dispensa dagli obblighi vescovili con il riconoscimento di un appannaggio di 2000 onze. Insignito del titolo di cavaliere di S. Gennaro e fregiato delle croci dell'Ordine constantiniano e gerosolimitano, trascorse gli ultimi anni della sua esistenza fra Napoli e il feudo di famiglia di Monteroni.

Il L. morì a Napoli il 1° maggio 1811.

Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Dataria apostolica, Processus Datariae, voll. 145, cc. 200-210; 171, cc. 470-475; Arch. del sostituto del Concistoro, a. 1793, c. 63; Archivio concistoriale, Acta camerarii, vol. 41, cc. 4-5, 28; Arch. di Stato di Napoli, Cedolari di Terra d'Otranto, vol. 29, c. 937; Catasti onciari, vol. 7947, c. 98; Esteri, f. 3674; Palermo, Biblioteca comunale, Mss., Qq.E.94, n. 7; G.E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1842, pp. 686-694, 711; A. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d'Otranto, Lecce 1927, p. 123; A. Putignano, Monteroni, vicende feudali e comunali, Cavallino 1988, pp. 561-565; Hierarchia catholica, VI, pp. 313, 327.

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