CRIVELLI, Lodrisio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CRIVELLI, Lodrisio

Franca Petrucci

Appartenente al ramo della famiglia milanese, che nel XVII sec. divenne dei marchesi di Agliate, nacque da Francesco, cavaliere, probabilmente nel 1412.

Il C., di cui si ignora il nome della madre e l'esatto luogo di nascita, ebbe un fratello, Antonio, e sposò Clara di Franchino Castiglioni, da cui ebbe almeno due figli, il nome di uno dei quali fu Enea. Alcuni biograli credettero che la figura del C. dovesse scindersi in quelle di due omonimi, ma il Gabotto convalidò definitivamente l'ipotesi già ventilata che si trattasse di un'unica persona.

Il C. compì studi giuridici e si licenziò in epoca imprecisata in diritto civile. Successivamente entrò al servizio dell'arcivescovo di Milano, Bartolomeo Capra, che lo condusse con sé a Basilea, dove nel 1432 si recò per partecipare al concilio e dove morì l'anno successivo. Presso il card. Capranica si trovava in questa città in quel periodo anche E. S. Piccolomini, che in seguito fu molto legato al C.; ma non fu certamente allora che si instaurò una vera e propria amicizia fra i due. Susseguentemente il C. si impiegò come segretario (o con più umili funzioni, secondo le malevoli affermazioni di F. Filelfo) presso Francesco Marliano. Dal 1436 circa prese servizio come segretario di Francesco Pizolpasso, arcivescovo di Milano, rimanendovi fino al 1443.

Fu durante questo periodo che il C. ampliò le sue nozioni classiche, imparando il greco, ed entrò in contatto con umanisti quali P. C. Decembrio, Poggio Bracciolini e soprattutto F. Filelfò. Conobbe quest'ultimo almeno dagli inizi del 1441, se non c'è esagerazione nella lettera del Filelfo degli ultimi giorni del dicembre 1442, in cui chiede la restituzione di un codice di Diodoro, che il C. aveva avuto in prestito da due anni. Sempre durante il servizio presso il Pizolpasso, e probabilmente nel 1436, prestò la sua opera come copista, trascrivendo il testo del commento di Donato al Phormio di Terenzio da una copia che il Decembrio aveva tratto da un codice inviatogli dal Pizolpasso. Allo stesso Decembrio fece rivedere una sua traduzione dal greco in latino, l'Epistola Ióhannis Crysostomi ad Cyriacum episcopum. Se il Pizolpasso in una lettera al Decembrio da Basilea dei settembre del 1438 (A. Paredi, Labiblioteca del Pizolpasso, Milano 1961, p. 231) si riferisce a questa traduzione, non sembra che il revisore abbia trovato il lavoro molto soddisfacente. L'operetta, conservata manoscritta in varie biblioteche italiane, fu pubblicata fra le Epistole di E. S. Piccolomini (n. CCCVI) edite a Norimberga nel 1496. Probabilmente di poco posteriori alla morte di Niccolò III d'Este (26 dic. 1441) sono gli epitaffi composti dal C. in questa occasione, in uno dei quali si auspica il seppellimento delle viscere dei defunto a Milano, (editi a Ferrara nel 1735 da F. Borsetti, Historia almi Ferrariae gymnasii, 1, p. 46) e riediti da L. Capra nel 1973.

Almeno dal settembre-ottobre 1441 il C. fu ascritto al Collegio di diritto civile dell'università di Bologna, dove il 17 maggio 1442 presentò Galeazzo Batrigari, che si laureò quel giorno. Il 13 aprile dell'anno successivo conseguì la laurea in diritto canonico: probabilmente era ancora al servizio del Pizolpasso, che lasciò in quello stesso anno, quando fu assunto all'università di Pavia ad lecturam ordinariam Decretalium con lo stipendio di 300 fiorini. Il C., che dal 25 giugno 1443 appartenne al Collegio dei giuristi di Milano, mantenne l'incarico anche per gli anni 1444-45, 1445-46 e 1447-48. Costituita la Repubblica ambrosiana, il C. passò all'ateneo sorto allora a Milano, ad lecturam ordinariam iuris canonici.

Datata 1° giugno 1444 è l'Epistola composta di trentatre distici elegiaci, diretta dal C. a Francesco Aleardi e scritta in occasione del ritorno di Francesco Barbaro a Venezia da Milano. È conservata manoscritta nella Bibl. Vallicelliana di Roma (E49), nella Marciana di Venezia (Marc. lat., XIX120 e X 209) e nella Bibl. Queriniana di Brescia (C V 10). Un'opera del C. che si usa attribuire al periodo in cui insegnò a Pavia sono le Explanationes in Decretalium primum atque secundum, che furono a metà dei Cinquecento inserite nell'elenco delle opere da pubblicare da parte dell'Accademia veneta, ma che ora sono perdute.

Anche se si sostiene che il C., come parecchi altri membri della sua famiglia, sia stato favorevole alla presa di potere a Milano di Francesco Sforza, ciò si deduce soltanto dalla sua Oratio habita ante ill.mum d. Franciscum Sfortiam ducem Mediolani, datata 15 marzo 1450, conservata manoscritta (Chig. J V 175, cc. 29r-31v) nella Bibl. Ap. Vat. (il codice del fondo Cottoniano del British Museum, che la conteneva, segnato Galba A I, risulta disperso in G. Planta, A catalogue..., London 1802, p. 242). Quest'orazione che il C. tenne a Monza, dove lo Sforza risiedette prima di fare il suo solenne ingresso in Milano è stata edita, ma senza che ne fosse indicato l'autore, nei Rerum gestarum Francisci Sfortiae... commentarii di G. Simonetta (pp. 343 ss. dell'ed. dei Rer. Ital. Script.). In essa si plaude allo Sforza, di cui si esaltano le virtù militari e la dote della clemenza, come all'iniziatore di un'era di pace e di quiete; si accenna che la vittoria dello Sforza deve considerarsi il compiersi del volere di Dio, dei quale il novello duca era devotissimo; si elogia anche Bianca Maria.

Era stata definita Oratio nel catalogo del Planta, cit., anche un'operetta, già contenuta anch'essa nel codice Corton Galba AI e conservata nel manoscritto Chig. J V 175, cc. 32v-39v (De ornatissimo triumphalique in urbem Mediolanensem ingressu ill.mi et excel.mi Francisci Sfortiae Vicecomitis ducis Mediolani), che in realtà è la relazione particolareggiata delle accoglienze tributate allo Sforza quando fece il suo ingresso solenne a Milano il 15 marzo 1450. Nel medesimo codice Chigiano (cc. 32rv) sono contenuti trentasei esametri del C., che sembrano dei medesimo periodo, di esaltazione dello Sforza.

Dal 1449 il C. era intanto passato ad insegnare diritto canonico nello Studio di Ferrara. Vi rimase fino al 1452, ma non si sa bene se e quando vi soggiornasse. Certo nell'autunno del 1451 era a Milano, dove curava gli interessi e la conservazione dei beni di F. Filelfo, fuggito a Cremona a causa della peste. L'anno successivo invece era a Ferrara nell'estate e a Milano nell'autunno. Rimangono alcune lettere che il C. durante quell'anno indirizzò al duca di Milano, che dimostrano i buoni rapporti che intercorrevano fra i due, benché - anche se molti suoi biografi affermano che egli fu fatto ben presto dal nuovo signore segretario ducale - non ci sia traccia del conferimento al C. di incarichi ufficiali da parte dello Sforza. A quest'ultimo nel gennaio del 1452 il C. indirizzava una lettera in forma di relazione che forniva, non sappiamo in base a quale competenza, varie informazioni sull'imperatore Federico III. Nel medesimo anno otteneva dal duca che gli tenesse a battesimo un figlio. Un'altra lettera-relazione il C. scrisse allo Sforza il 3 ott. 1452: in essa forniva al duca notizie politiche sulla Boemia e l'Ungheria.

Non è nota l'attività del C. per qualche anno, ma nel maggio del 1456 fu incaricato dal duca di una missione diplomatica. La Repubblica genovese era dilaniata dai contrasti fra le fazioni interne e sopraffatta dalle difficoltà esterne. Francesco Sforza paventava che, costretto dalle circostanze. il doge si stringesse troppo alla Francia. Insieme a Giovanni della Guardia il C. fu inviato dal duca presso il Campofregoso; il 1° giugno era già tornato dalla missione. Aveva dovuto riferire allo Sforza la notizia, sgraditissima per il duca, dell'accordo segreto stipulato fra il doge e Carlo VII il 24 maggio. Tuttavia lo Sforza riteneva che ci fosse ancora qualcosa da tentare per staccare il Campofregoso dalla Francia e il 16 agosto forniva di nuovo i due ambasciatori di credenziali per il doge, ma anche questa seconda missione non poté avere esito favorevole.

Quando il 17dic. 1456E. S. Piccolomini fu creato cardinale, il C., rallegrandosi con l'antico conoscente, gli dedicò trentuno distici elegiaci (editi a Caserta nel 1897da C. Stomajolo, Un'elegia gratulatoria di L. C.al card. E. S. Piccolomini, in Per il giubileo sacerdotale dell'ecc.mo card. Alfonso Capecelatro..., pp. 314-21; ora riediti da L. F. Smith nel IX vol. di Studies on the Renaissance), con la data 13 genn. 1457 e il titolo Adpatremreverentia et cultu dignissimumetdominum praecipuumd. AeneamSilviumDei gratia episcopumSenensem et sacrosanctae Romanae Ecclesiae-presbyterum cardinalem nuper creatum. È all'invio di questo carme che si riferisce con ogni probabilità la lettera dei Piccolomini del 17 febbraio successivo, che negli Opera... omnia di Pio II (p. 776) è attribuita al 1455. In essa il novello cardinale si mostra felice del riannodarsi dei rapporti con il C., che non sapeva prima dove si trovasse. Soddisfatto di questo avvio, il C. il 17 agosto inviò al Piccolomini la sua vecchia traduzione dell'Epistoladis. Giovanni Crisostomo e il cardinale gli rispose ringraziandolo il 22 ottobre e meravigliandosi della sua conoscenza del greco. Il C. compì anche un'altra traduzione dal greco al latino, quella degli Argonautica dello Pseudo Orfeo, che fu edita anonima a Venezia nel 1523, insieme agli Argonautica di Valerio Flacco. Almeno in due delle copie manoscritte di quest'opera, essa è preceduta da una dedica in esametri a Pio II. Dedicata quindi al Piccolomini dopo la sua elezione a pontefice, non sappiamo però quando sia stata compiuta.

Nell'ottavo anniversario dell'avvento al ducato di Francesco Sforza il C. ebbe l'incarico di comporre e di leggere un'orazione latina in presenza e in lode del duca; essa è conservata manoscritta a Milano, nella Bibl. Ambrosiana (O 57 sup., cc. 97-102) e a Siena, nella Bibl. comunale (H IX 12, cc. 40-60v). Precedente all'agosto dell'anno successivo è il carme di duecentotrentasei esametri dal titolo Pro expeditiortecontra Turcos, edito nell'Appendice del volume XXIII, 5, della 2 ed. dei Rer. Ital. Scriptores. Esso è un'esortazione fatta a nome del card. Piccolomini a Callisto III per incitarlo a prendere iniziative per indire una nuova crociata contro i Turchi. Nella finzione il papa accettava i suggerimenti e paragonava la funzione del cardinale presso di lui a quella di Agrippa presso Ottaviano.

Il 19 agosto il Piccolomini saliva al soglio pontificio con il nome di Pio II e il C. fu chiamato a far parte dell'ambasciata milanese che lo Sforza inviò a Roma per porgere le congratulazioni al nuovo papa. Passando da Firenzuola egli scrisse al duca una lettera con varie informazioni politiche, riguardanti soprattutto la Spagna. Faceva parte della missione Tommaso Moroni da Rieti, che il 4 ottobre pronunciò un discorso davanti al papa. Il C. ne lesse un altro due giorni dopo, pubblicato nel medesimo volume dei Rer. Ital. Scriptores, con il titolo Oratio habita a L. C. ducali oratore coram sanc.mo d. papa Pio II° in sacro rev.mo cardinalium collegio. La benevolenza del pontefice verso di lui si manifestò con la concessione del titolo, probabilmente onorifico, di segretario apostolico, conferitogli il 17 ottobre. Prima del 6 dicembre il C. era tornato a Milano, dove divenne forse allora coadiutore dei cancelliere del Consiglio segreto, Ambrosio Cavalieri.

Il 22 genn. 1459 Pio II partì da Roma diretto a Mantova, dove avrebbe aperto il congresso nel settembre; arrivò a Siena il 24 febbraio. L'Ad Pium II p.m. de creatione sua, una composizione poetica in distici elegiaci, edita nel già citato articolo di L. F. Smith, porta la data 25 febbraio. Due giorni dopo il papa gli indirizzava un breve, consegnandogliene un altro diretto allo Sforza. Con ogni probabilità il C. tornò a Milano, perché da Mantova il 7 luglio Pio II comunicava al duca di Milano l'arrivo dei C., che presentò in quell'occasione al pontefice un suo "libellum... ornatu et doctrina elegantem", che non sappiamo però che opera contenesse. Ignoriamo anche se il C. rimase a Mantova, dove si trovava sicuramente alla chiusura del congresso, quando il 31 dicembre scriveva allo Sforza delle speranze nutrite da Pio II che la Dieta potesse portare a maggiori risultati di quanto "forse alcuni non hariano creduto". Nel gennaio il C. tornò a Milano con le copie affidategli da Ottone del Carretto delle bolle emanate dal papa e degli interventi del pontefice stesso da consegnare allo Sforza.

Perduta è una composizione probabilmente poetica che il C. scrisse per l'elezione a vescovo di Pavia di Iacopo Ammannati, avvenuta il 18 luglio 1460. Pubblicata per la prima volta dall'Ughelli (Italia sacra, V, Venetiis 1720, coll. 312 s.) e poi da B. Giovio (Opere scelte, Como 1887, pp. 200 s.) è invece l'Elegia ad populum Comensem in commendatione Lazari Scarampi Astensis ad eiusdem Ecclesiae cathedram assumptianno 1461 (20 agosto), composta di venticinque distici elegiaci. Da una lettera di Iacopo Ammannati, senza data, ma verosimilmente non molto posteriore al 18 dic. 1461, si ricava la notizia di altre due opere perdute del Crivelli. Una di importanza relativa era un epigramma scritto in occasione della nomina a cardinale dell'Ammannati, avvenuta appunto in quella data, l'altra era un'Apologia (o Apologeticus) rivolto probabilmente a Francesco Filelfo, definita dall'Ammannati una commenticiadisputatio fra il vescovo di Ancona e quello di Verona, che il novello cardinale aveva mostrato al pontefice e che con ogni probabilità non era stata scritta molto prima. Il C. continuava inoltre a produrre versi e prose in onore di Pio II. Tre composizioni poetiche in distici elegiaci (edite dallo Smith) sono databili due fra il maggio e l'agosto 1462 e l'altra nell'estate del medesimo anno, mentre è priva di data un'orazione conservata nella Bibl. naz. di Firenze (II X 31).

La fama del C. fu soprattutto legata ad un'opera in prosa latina di carattere storico volta a ricostruire le vicende della famiglia e del duca di Milano. L'unico dato sicuro per la sua datazione è che il probabile codice di dedica che la contiene non era compreso fra quelli della Biblioteca ducale di Pavia nell'inventario compilato nel 1459, ma che entrò nella biblioteca fra quest'anno e il 1469. Un termine post quem piùpreciso può essere dato dal fatto che nell'opera è citata la Sforziade del Filelfo, della quale l'11 nov. 1461 erano stati pubblicati otto libri. Il codice citato è ora il manoscritto Lat. 5889 della Bibl. naz. di Parigi ed ha il titolo De vita rebusque gestis Francisci Sfortiae Vicecomitis Mediolanensium ducis ill.mi. Dal Muratori fu edito però nel XIX vol. dei Rer. Ital. Script. con quello di De vita rebusque gestis Sfortiae bellicosissimi ducis et initiis Filii eius Francisci Sfortiae Vicecomitis Mediolanensium ducis commentarius ab anno circiter MCCCLIX usque ad MCCCXXIV. Quest'edizione fu condotta sul codice parigino, ma dell'opera esiste almeno un altro manoscritto, l'Ottob. lat. 1435 della Bibl. Ap. Vat., che nei vecchi repertori fu descritto come contenente l'Historia di Biondo Flavio e che P. O. Kristeller (II., p. 417) ha rivelato contenere invece l'opera del Crivelli. Esso può essere importante per la tradizione del testo, perché presenta correzioni ed aggiunte che lo rivelano più antico del codice di dedica.

L'opera, in due libri all'inizio della quale il C. manifesta il suo apprezzamento per Leonardo Aretino, Biondo Flavio, Niccolò Camulio e Iacopo Bracelli, si limita a narrare la vita di Muzio Attendolo Sforza: il suo abbracciare la carriera militare, il servizio sotto i Fiorentini, l'acquisto di Cotignola, quindi le sue vicende presbo Giovanna II fino alla morte nel 1424 alle foci del Pescara, terminando con la morte di Braccio. Questa è la materia però che , era stata trattata, abbracciando questi due medesimi termini cronologici, da Antonio Minuti nella sua Vita di Muzio Artendolo Sforza, in volgare, finita con ogni probabilità nel 1458. Sembra che il C. si sia basato su quest'unica fonte, limitandosi a tradurla in un latino abbastanza elegante. Inspiegabile è poi il fatto che volendo narrare la vita dello Sforza il C. si sia limitato a scriverne soltanto un'ampia premessa. Nella Biblioteca di Pavia ci sarebbe stato anche un codice contenente un volgarizzamento dell'opera del Crivelli.

Interrotta rimase anche l'altra opera storica del C., il De expeditiorte Pii papae II adversus Turcos. Edita una prima volta nel 1733 nel XXI vol. dei Rer. Ital. Script., furipubblicata nel volume XXIII, 5, della 2 edizione della medesima raccolta, a cura di G. C. Zimolo, sulla base di due codici, ma ne esistono almeno altri due, anche se uno (Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 5619, cc. 1-62v) è del XVII secolo e nell'altro (Ibid., Barb. lat. 2315) il testo è incompleto. L'opera ha lo scopo di illustrare e documentare l'impresa di Pio II, diretta a fondere insieme le forze cristiane per intraprendere una nuova crociata. Essa, come l'opera precedente, parte da lontano, nientedimeno che dalla storia dei Persiani, poi dei Saraceni e dei Turchi, per arrivare alla fine del primo libro alla vittoria di Federico III a Belgrado. Nel secondo, dopo la narrazione delle vicende ungheresi fino all'avvento di Mattia Corvino, all'assedio e distruzione di Corinto, alla morte di Callisto III, il C. comincia a entrare nel vivo e, si può dirlo, poiché la prima parte è opera di compilazione di scarso valore, nella parte più originale e importante della narrazione: le riunioni preliminari al congresso di Mantova, i discorsi di Pio II e degli oratori, l'apertura del congresso il 1° giugno 1459 con i vari discorsi, compreso quello del papa. Il De expeditione si interrompe a questo punto. Il fatto che il C. si rivolga a Pio II, cui l'opera è dedicata, come a persona vivente, restringe la datazione della sua composizione dal 1459 all'agosto del 1464. C'è anzi chi ha opinato che il C. abbia interrotto la compilazione a causa della morte del papa. L'opera è comunque, come afferma lo Zimolo, "una rielaborazione organica delle fonti sulle crociate" per la prima parte, di valore storico piuttosto limitato e acquista un valore documentario dall'avvento di Pio II al soglio pontificio.

Erano avvenute intanto vicende cariche di conseguenze per la vita del Crivelli. I rapporti col Filelfo si erano guastati. Il termine post quem generalmente accettato per la rottura fra i due umanisti è l'agosto del 1461, quando ambedue scrissero, uno in prosa, l'altro, il C., come si è visto, in versi, due composizioni per l'elezione dello Scarampi. Benché l'inimicizia, che il Filelfo sostenne essere sorta per una disputa fra il C. e il figlio Giovan Mario, si sviluppasse con toni asperrimi e pubblici, non fu questo che ebbe conseguenze negative per il C., quanto piuttosto il fatto che successivamente egli cadde in disgrazia dello Sforza. La sua permanenza nel Collegio dei giurisperiti di Milano termina nel 1463 ed è in quell'anno che il C. perse il favore del duca. Lo Zimolo ha rivelato che la sua colpa fu di aver subornato i testi in una causa che lo opponeva a Luca Crotti. Questi lo citò davanti a un tribunale criminale, che ottenne la conferma che i testi avevano mentito. Fu allora che il C. senza aspettare che si pronunciasse sentenza contro di liti e senza licenza dello Sforza lasciò Milano, rifugiandosi presso il papa.

Con il pontefice, che si recava ai bagni di Petriolo, il C. lasciò Roma il 4 febbr. 1464. Il mercoledì delle ceneri si fermarono a Pienza, per giungere pdi a Siena il 21. Il 15 febbraio il C. scrisse un componimento poetico (edito dallo Smith) in distici elegiaci, interessante anche per il valore documentario, l'Ad Polymniam in musam in laudem Pientiae civitatis. Poco dopo sentì il bisogno di esaltare le virtù terapeutiche delle acque di Petriolo, dove il papa si curava, scrivendo un'altra composizione in distici elegiaci, l'Ad thermas Petroleas encomion, datata 25 marzo e conservata nella Bibl. Ap. Vat. (Ottob. lat. 823, cc. 158-159).

La vicenda giudiziaria del C. intanto si evolveva, senza risolversi. Egli fece citare il Crotti davanti agli auditori di Roma, facendo esporre la citazione alle porte della chiesa di Correggio. Lo Sforza, che aveva ricevuto due brevi dal papa in favore del C., si indignò, sia disapprovando la sua fuga, che pareva denotare mancanza di fiducia nell'amministrazione della giustizia nel ducato, sia rammaricandosi che il messo non avesse portato la citazione del Crotti a Milano, dove sarebbe stato rispettato e protetto. Al papa lo Sforza chiese che il C. non fosse impiegato in alcun ufficio e che anzi gli fosse impedito di prendere servizio presso alcuno. li C. tornò a Roma con il pontefice il 19 maggio e anche se fra lui e il duca di Milano cominciò uno scambio di lettere, tuttavia quest'ultimo sembrava essergli divenuto irremovibilmente contrario.

Quando Pio II partì per Ancona, da dove avrebbe dovuto iniziare la crociata, il 18 giugno, il C. non lo seguì immediatamente, poiché il 5 luglio scriveva ancora allo Sforza da Roma, ma lo raggiunse ad Ancona nella prima decade di agosto. Non si sa in quale data fosse stato fatto da papa Pio II abbreviatore apostolico; si può soltanto osservare che la riorganizzazione del Collegio degli abbreviatori era stata apprestata dal papa nel maggio; già in una lettera del 22 febbraio il C. aveva però annunciato il conferimento accordatogli di questa carica. Da Ancona si recò prima a Reggio e poi a Piacenza. da cui il 17 agosto scrisse allo Sforza, ignorando ancora che il papa era morto. Egli chiedeva al duca di potersi portare a Nerviano, ove possedeva una casa e li aspettare la licenza del duca di potersi recare al suo cospetto per scusarsi e giustificarsi. Almeno dagli inizi di ottobre il C. era a Roma, di dove il 3 e il 5 scriveva allo Sforza piatendo sempre il suo perdono, definendosi "uno tristo afflicto passionato", denunciando maneggi rivolti contro di lui da Luca Crotti e raccomandandogli i suoi due figli.

Dopo la morte la memoria di papa Pio II subì gli attacchi di Francesco Fileifo e del figlio Giovan Mario. Naturalmente a Roma gli estimatori del pontefice defunto, capeggiati dal card. Iacopo Ammannati Piccolomini, che come si è visto era in relazione con il C., reagirono alle censure, prima protestando presso Francesco Sforza, che si trovò nella necessità di fare arrestare i due Filelfo, e poi pregando il C. di assumere pubblicamente le difese del papa, per lui quasi doverose. L'Apologeticus adversus calumnias Francisci Philelphi pro Pio II m. p., datato 21 nov. 1464, recentemente rinvenuto da R. Avesani, è contenuto in tre codici della Bibl. Ap. Vat., l'Ottob. lat. 1199, l'Ottob. lat. 2056 e il Regin. lat. 2018. Esso, diviso in tre parti, si rivolge al Filelfo, che aveva osato accusare papa Pio direttamente a Paolo II, meravigliandosi dell'impudenza dimostrata nel non aver temuto la reazione del papa, come anche del duca di Milano. Il C. continua poi citando episodi della vita e dell'attività di Pio II, rimproverando il Filelfo di falsità e di sacrilegio e di tributare al nuovo pontefice lodi errate e improprie. Conclude difendendo Pio II dalle accuse rivoltegli.

Il 19 genn. 1465 il C., fra gli scritti del quale per Pio II si può aggiungere anche un epitaffio di sei distici elegiaci, conservato nell'Ottob. lat. 1199, c. 52r, inviò con una sua lettera l'Apologeticus allo Sforza, con il quale si era nel frattempo riconciliato. In questa missiva egli partecipava al duca di essere divenuto segretario del protonotario apostolico, Obietto Fieschi, di cui era nota la devozione allo Sforza. Chiese inoltre il consenso ducale per un canonicato di S. Nazzaro, conferito al figlio Enea da Pio II. Sembrerebbe inoltre che egli abbia composto uno scritto in occasione della morte a Roma dell'oratore ducale, Ottone dei Carretto, avvenuta l'11 gennaio. Successivamente il C. lasciò l'impiego presso il protonotario; infatti in una lettera del 13 luglio il vescovo di Reggio, G. B. Pallavicini, cui nel giugno il C. aveva inviato l'Apologeticus, gli proponeva di divenire precettore dei tre figli di Manfredo da Correggio per 100 fiorini d'oro annui.

La risposta dei Filelfo all'Apologeticus è del 1° ag. 1465. In essa l'umanista ribadì le accuse a Pio II, si difese dagli attacchi portatigli dal C. e contrattaccò duramente, accusando il C. di essersi macchiato di sodomia, di essersi appropriato dei beni dell'arcivescovo Capra, quando questi morì a Basilea, di essere uomo terribilmente dedito ai peccati di gola, tanto da essere stato per questo cacciato dai due suoi impieghi presso Francesco Landriano e presso Obietto Fieschi e da essere incorso in un incidente disgustoso vomitando in pubblico m casa di Luigi Crotti. Dà inoltre un ritratto fisico del C., da cui, pur volendo usare Il testo con la dovuta cautela, emerge la figura di un uomo affetto almeno da una sgradevole pinguedine.

Fra le opere dei C., oltre a due orazioni in lode di Francesco Sforza (Pesaro, Bibl. Oliveriana, ms. A e Milano, Bibl. Braidense, AC X 32), che forse facevano parte di quella Series trumphi ill.mi Francisci SfortiaeVicecomitis Mediolani ducis, che G. A. Sassi, nell'introduzione muratoriana al De vita, dice il C. avere scritto, bisogna elencare un Deregno Ecclesiaeliber, in esametri, il cui codice di dedica è conservato nella Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 3594. Esso, dedicato a Paolo II e quindi databile, poiché nell'Apologeticus non vi si accenna, fra il novembre 1464 e il luglio 1471, narra la storia della Cristianità e della Chiesa, dalle persecuzioni all'affermazione sotto Costantino, la chiamata di Pipino contro i Longobardi da parte di Stefano, i rapporti fra Carlo Magno e Roma, fra Sigismondo imperatore e Eugenio IV, per arrivare a trattare quindi dello Stato della Chiesa sotto Paolo II.

Del C. non si conoscono altre vicende o altre opere, né la data e il luogo della morte.

Da una lettera di I. Gherardi del 18 marzo 1488 il C. risulta sicuramente morto, ma ancora una volta coinvolto in polemiche e controversie. Il nunzio infatti riferisce le lamentele dei figlio Enea nei confronti di G. Simonetta, che avuta in prestito l'opera storica sugli Sforza dei C. non gliela aveva mai restituita. Non mancavano allora "qui dicant hanc [quella del Simonetta] esse historiam a Leodrisio Cribello scriptam" e dal confronto con le due opere le loro accuse risultano giustificate. Dopo la scoperta del secondo codice del De vita, che termina come l'altro di dedica con l'anno 1424, non possono aver luogo le illazioni di coloro che sospettavano il Simonetta di aver volontariamente distrutto i libri successivi al secondo, l'esistenza dei quali poteva essere presupposta anche dalle parole di B. Fazio, che nel suo De viris illustribus (Florentiae 1745, p. 15) sosteneva che il C. "in libros digessit" le gesta di Francesco Sforza da lui illustrate in orazioni in prosa. Il C. suscitò anche l'inimicizia del Porcellio, che gli dedicò due epigrammi malevoli, l'uno conservato nell'Urb. lar. 708 a c. 45 e nel Vat. lat. 2857 a c. 38v e l'altro, In Leodericum Orpheiin latinum male vertentem, nell'Urb. lat. 709, c. 68v. Non molto stimato come storico, il C. è il primo degli storici umanistici milanesi, ma anche come umanista non riuscì a conquistare che un posto di secondo piano.

Il figlio del C., Enea, nato a Milano, compare per la prima volta in una lettera di G. Gherardi del A marzo 1488. in cui si riferisce che Enea accusava Giovanni Simonetta di essersi appropriato dell'opera dei C. e si proponeva di appellarsi a Ludovico Maria Sforza per ottenere la restituzione dei manoscritto. L'anno successivo Enea risulta commissario della Ferma del sale. Qualificato da E. Casanova (Nobiltà lombarde, Milano 1930, s. v.) come segretario del Moro, fu nominato dall'ottobre del 1493 ad beneplacitum podestà e commissario di Bortnio. Referendario generale dal 5 genn. 1497, l'anno dopo diveniva capitano della Valle di Lugano. Il 24 marzo 1499 era a Lugano, di dove riferiva dei movimenti di un emissario francese, che si muoveva fra la città elvetica e la corte imperiale. Nell'agosto del medesimo anno, mentre era commissario di Domodossola, fu incaricato dal duca, che doveva provvedere a difendere il ducato dall'esercito francese - che, guidato da Gian Giacomo Trivulzio, aveva cominciato le operazioni militari contro il dominio sforzesco - di reclutare truppe e capitani. Fu inviato per questo nel Vallese e lì si ammalò, perdendo del tempo prezioso. Rimessosi, chiese istruzioni alla segreteria ducale, ma si era ormai. nel settembre e ogni difesa appariva inutile: gli si rispose di provvedere solo a restituire le somme che avrebbero dovuto servire per gli ingaggi. Nella regione elvetica egli aveva anche stipulato un trattato con Matteo Schiner, per cui il ducato avrebbe dovuto corrispondere al vescovo una pensione annuale di 1.000 ducati.

Durante la dominazione francese Enea subì la confisca dei beni, ma ne ottenne la revoca in epoca imprecisata. Tornato il potere nelle mani di uno Sforza, Massimiliano, pare che abbia avuto qualche forma di collaborazione con il duca, dal quale fu incaricato di esigere da alcuni feudatari il loro contributo per una tassazione straordinaria. Sposò nel 1512Ippolita di Gregorio Prato, da cui ebbe Giovanni Andrea. Giovanni Battista, Lodrisio, Giovan Pietro, Giovan Paolo e Caterina. La data presunta della sua morte è il 1525.

Alla p. 342 del IX volume della Storia di Milano (Milano 1961) è riprodotto un ritratto di Enea, che, presentato come la copia di un originale del 1509, lo qualifica commissario dei sale. Si può dedurre da ciò che il C. ebbe questa carica durante la dominazione francese o anche, ed è forse più probabile, che l'originale dei ritratto risalga ad un periodo anteriore della vita del Crivelli.

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