LINO

Enciclopedia Italiana (1934)

LINO (dal lat. linum; fr. lin; sp. lino; ted. Flachs; ingl. flax)

Ernesto SESSA
Domenico Lanza
Aristide CALDERlNl
Ugo LA MALFA

Genere di piante Dicotiledoni della famiglia Linacee. I Linum sono erbe annuali o vivaci, qualcuno sufrutescente, per lo più glabri. Hanno foglie alterne, rarissimamente opposte, anguste, integerrime, con stipole nulle o glanduliformi. I fiori sono gialli, azzurri, rossi o bianchi, più o meno lungamente peduncolati, disposti in racemi o cime, o raccolti in glomeruli o spighe, con sepali 5 integri, petali 5 liberi o brevemente saldati fra loro per le unghia, a bocciamento contorto, fugaci, stami 10 ipogini saldati fra loro alla base, dei quali 5 alterni ai petali fertili e 5 opposti ai petali ridotti a minuti staminodî portanti alla base all'esterno una glandola ciascuno. L'ovario è supero 5-loculare, con 2 ovuli per loggia, separati da un falso setto; con 5 stili liberi o più o meno uniti. Capsula aprentesi per deiscenza setticida in 5 valve 2-sperme o in 10 1-sperme. Semi ovoideoschiacciati con un tegumento esterno coriaceo, che nell'acqua si gonfia per mucillaggine, e altri due interni meno consistenti; embrione carnoso oleifero, albume scarso.

Il genere Linum conta circa 90 specie nelle regioni temperate e subtropicali; poche fra i tropici dell'America Meridionale.

La specie più importante, largamente coltivata come pianta tessile e oleifera è il L. usitatissimum L. È pianta annuale, con radici gracili, fusto solitario eretto semplice, ramificato solamente in cima, alto sino a 1 m., foglie inferiori lanceolate ottuse, le altre lineari acute; fiori in cime racemiformi all'apice del fusto; sepali con 3 nervi ben manifesti; petali azzurri lunghi 2-3 volte il calice; capsula globosa rostrata alta circa 1 cm., superante il calice, con ripiegature interne glabre, restante chiusa a maturità; semi lunghi 4-8 mm., rostrati, bruni, lucidi. La sua sottospecie L. humile Miller è pianta più piccola, più ramosa e a fiori più grandi, con capsule aprentisi a scatto e a ripiegature interne cigliate, con semi più chiari. Specie molto affine al L. usitatissimum è il L. angustifolium Huds. (lino selvatico), che cresce spontaneo nella regione mediterranea e che alcuni ritengono sia il suo stipite. Esso è vivace o annuale, ha fusti numerosi diffusi alla base, foglie tutte lineari o lanceolato-lineari, acute, sepali con nervi di cui i 2 laterali rudimentali, petali di colore più pallido, capsula più piccola, a ripiegature interne cigliate, semi più piccoli non rostrati. Anch'esso dà una fibra tenacissima e fine, ma non viene coltivato.

Il L. usitatissimum si coltiva attualmente in tutta l'Europa, nell'Africa settentrionale, in India, nel Giappone, nell'America Settentrionale e Meridionale. Non si conosce allo stato spontaneo; la sua coltura in Europa e in Egitto rimonta almeno a 5000 anni or sono; con ogni probabilità esso è originario della regione compresa tra il Golfo Persico, il Mar Caspio e il Mar Nero, donde (secondo De Candolle e Heer) fu portato dai Finni nell'Europa settentrionale e dagli Indo-europei occidentali nel resto dell'Europa. Ma anche prima era ivi coltivato a scopo alimentare il L. angustifolium, di cui si sono trovati resti nelle abitazioni lacustri e la cui coltivazione fu sostituita con quella del L. usitatissimum, più vantaggioso. I fasci di fibre liberiane del L. usitatissimum, liberati dai tessuti circostanti, costituiscono i filamenti tessili. Le singole fibre sono cilindriche, terminanti in punte acute, con canale centrale sottilissimo, nel taglio trasversale poligonali e distintamente stratificate, fornite di punteggiature oblique; la loro lunghezza è di 20-50 mm. e il diametro di 16-25 μ; trattate con acido solforico e iodio si colorano uniformemente in azzurro.

Oltre ai L. usitatissimum e L. angustifolium sono da ricordare il L. catharticum L., spontaneo in Europa e nell'Asia occidentale, a foglie tutte opposte, senza stipole e a petali bianchi affatto liberi, anticamente usato come purgativo; il L. grandiflorum Desf. a petali rossi, usato come pianta ornamentale da fiore; e nella flora spontanea italiana: L. decumbens Desf., L. perenne L., L. narbonense L., L. viscosum L., L. tenuifolium L., L. maritimum L., L. gallicum L., L. strictum L., L. nodiflorum L., L. flavum L., con parecchie sottospecie.

Coltivazione. - La coltivazione del lino è molto simile a quella della canapa (v.). Anche per esso infatti si richiede un'accurata preparazione del campo e un'abbondante concimazione ben mescolata alle zolle; in modo speciale poi occorrono al lino terreni soffici, grassi e piuttosto umidi.

Mentre la canapa è quasi esclusivamente prodotta per ricavarne la fibra, il lino è coltivato sia per la fibra, sia per il seme: i due diversi scopi richiedono provvidenze diverse. Nel primo caso occorre una seminagione fitta, con seme diligentemente selezionato ossia con chicchi lucidi e pesanti, che derivino dal raccolto dell'annata precedente, affinché si abbiano le massime probabilità di germinabilità; di tali grani occorrono kg. 180 circa per ha. e si possono ricavare circa q. 60-70 di fusti completi da cui si giunge a ottenere in media da q. 5,5 a 7,5 di tiglio. Nel secondo caso la semina può essere meno spessa, per consentire alla pianta più facile sviluppo, non importando che essa riesca grossa e ruvida. Esistono qualità di lino che si seminano in autunno; altre, e sono la maggior parte, in primavera come la canapa. È indispensabile, per una buona coltura, non incontrare temperature superiori ai 30°, mal sopportate dalla pianta. È perciò consigliabile, in Italia, di seminare piuttosto in anticipo, mentre in Belgio, in Irlanda, in Olanda, e specie in Russia questa precauzione non ha ragione d'essere.

Anche per l'epoca del raccolto bisogna distinguere tra lino da fibre e lino da seme: quello va tagliato parecchio in anticipo su questo, perché una piena maturazione va a danno della morbidezza delle fibre. Il raccolto in Italia si fa dalla metà alla fine di maggio e proporzionalmente più tardi in regioni nordiche.

In taluni paesi esteri, specialmente in Irlanda, si è iniziata la raccolta del lino meccanicamente, con macchine azionate dal loro proprio avanzamento a trazione animale: alcuni coltelli, dotati di lunghe punte e oscillanti intorno ad assi paralleli con movimenti incrociati fra loro, stringono la piantina a un certo livello dal terreno, la estirpano e la rilasciano. Il sistema fu tentato anche in Italia, però senza risultati, forse perché i terreni dove si coltiva il lino sono già troppo sodi e asciutti a maggio, all'epoca cioè della raccolta e quindi non cedono facilmente le piantine, onde i pettini sfuggendo parzialmente a esse ne strappano solo una parte, mentre di quelle rimanenti fanno cadere il seme.

La destinazione delle colture alle varietà per fibra o per seme dipende dal clima, dalla natura e giacitura del terreno e dallo stesso sistema di coltivazione. Nelle regioni a clima umido, come nell'Irlanda, nell'Olanda, nel Belgio, nella Francia litoranea, dalla Fiandra alla Vandea, nella Slesia, nei paesi baltici, nella Russia settentrionale, nell'Italia settentrionale si coltiva lino di varietà eletta per fibra. In regioni calde, invece, come nelle zone centrali degli Stati Uniti, dell'Argentina, dell'India Britannica, il lino viene coltivato per seme. La produzione di fibra di lino nel quadriennio 1928-31 rispetto alla media prebellica risulta dalla tabella seguente:

Le produzioni europea e sovietica (territorio europeo e asiatico) costituiscono la massima parte della produzione mondiale (90% circa). Fuori d'Europa e di Russia producono lino per fibra il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone e l'Egitto.

Purtroppo in Italia la coltura del lino per fibre, già florida un tempo nella Valle Padana (Lombardia, Piemonte, Marche, Emilia e Romagna), è andata negli ultimi anni riducendosi di molto.

Varie sono le cause di questo fenomeno. In Italia, le seminagioni autunnali davano lini detti ravagni, tipi forti, ruvidi, grossolani, non adatti a subire pettinature a fondo né a produrre filati fini, ma appena concorrenti per titolo e prezzi con quelli di canapa, dei quali, a conti fatti, costavano spesso di più, le seminagioni primaverili invece davano lini detti nostrani o linetti, più fini, più morbidi, ma troppo sovente di fibra cortissima o irregolare e quindi di troppo costosa lavorazione, prima in campagna rispetto alla pochezza del reddito e poi nell'industria rispetto ai lini esteri. Si noti che il ripetere le colture usando i semi prodotti d'anno in anno nelle stesse località non è favorevole a un buon raccolto, e pare che convenga cambiare radicalmente ogni due o tre anni, preferendo ricorrere a semi di regioni più fredde e alle qualità che l'esperienza può suggerire come meglio idonee ai nostri climi e alle nostre terre; il che non avveniva presso i contadini italiani. Forse anche perciò le qualità andarono immiserendo fino a che perdettero ogni pregio. Col linetto italiano si arrivava raramente al titolo 35, e con velocità ridotta a meno di 3000 giri in filatura, mentre i lini esteri normali raggiungono il titolo 40, a 5000 giri: ciò vale a dare un'idea della differenza di valore sia in linea tecnica sia in linea economica. In Russia dopo la guerra mondiale la produzione del lino fu intensificata; la classifica fu condotta con criterî severi e unica direttiva, sicché si ebbe sul mercato una vistosa e crescente quantità di fibra bene selezionata e presentata a prezzi così bassi da far pensare a un vero e proprio dumping. Fu il colpo di grazia per molte colture di lino in Francia, in Belgio, in Irlanda, ecc.

Il seme di lino, detto linseme, è prodotto in tutti i continenti nell'enorme quantità complessiva di circa 35-40 milioni di quintali annui, dei quali metà è data dall'Argentina, il resto dalla Russia, Stati Uniti, India Britannica, Colonia del Kenya, ecc. L'Italia, che è importatrice di olio di lino, non arriva a produrre i 100 mila quintali di seme. Questo, oltre che a minori consumi medicinali, commestibili e da ardere, serve specialmente per pitture e vernici in grazia della sua proprietà essiccante.

Prima lavorazione e caratteri. - Dopo il raccolto, il lino da fibra va sottoposto alle stesse operazioni in uso per la canapa, e cioè macerazione, asciugamento, stigliatura e scotolatura o spatolatura. Naturalmente, le operazioni si eseguono con particolari accorgimenti in relazione al carattere più delicato della fibra.

La macerazione ha luogo comunemente in vasca. Ma in Russia, e in minori proporzioni nel Belgio e altrove, essa viene più spesso compiuta sulla terra, alla rugiada, impiegando tempo maggiore, ma raggiungendo in compenso un grado di morbidezza e finezza di fibra non ottenibile con altri mezzi. Sono poi famosi i maceri belgi ad acqua corrente, alimentati dalla Lys, fiume a lento corso, che attraversa varî centri industriali e riceve molti rifiuti, e ha acque grasse indicatissime, oltre che per la macerazione, anche per i candeggi del filato e dei manufatti; si è anche introdotta, in anni recenti, la macerazione biologica (v. macerazione), con risultato tecnico che attualmente appare soddisfacente. In Italia esiste un impianto per tale macerazione, ma lavora con difficoltà per le condizioni della coltura del lino, rimasta deficiente nella plaga ove l'opificio è situato, e non essendo economico il trasporto da altre plaghe.

La stigliatura è eseguita a mano o con macchine del tipo di quelle in uso per la canapa, ma di dimensioni più piccole in relazione alla minore lunghezza della fibra (65-90 cm.). La scotolatura o spatolatura è eseguita comunemente a mano, eccetto che nei maceri industriali, e nelle Fiandre in generale, dove è in uso il cosiddetto mulino fiammingo, formato da spatole o ventole sottili di legno, le quali, ruotando veloci su un asse, sbattono le punte delle mannelle che un'operaia va loro presentando prima dall'uno e poi dall'altro capo, e così le puliscono, le raddrizzano e anche le ammorbidiscono: è questo un lavoro abbastanza delicato e dall'intelligenza e dalla mano dell'operatrice dipendono molto la distensione delle fibre e la resa quantitativa in tiglio.

I lini presentano caratteristiche diverse secondo le provenienze e la lavorazione. Dei lini italiani della Valle Padana, i ravagni risultano piuttosto piatti, hanno colore giallo bruno rossiccio, sono spesso con le teste arruffate che trattengono ostinatamente le punte a spillo, dove erano attaccati i semi; i lini nostrani sono rotondi, più lucenti, di colore giallo-oro in tutte le varie gradazioni: conservano parecchie pagliuzze e spesso molte stoppe nel corpo della mannella. I lini di Napoli (Arzano, Casapulla) e quelli della Calabria sono tutti di colore aureo, di fibra poco fine e piuttosto piatta, lunghi e forti, ma poco suddivisibili alla pettinatura. I lini russi sono per lo più di colore grigio lucido, più chiari i macerati a terra (stlanec), più scuri i macerati ad acqua (mõcenec), salve le eccezioni naturali in così grande massa proveniente da disparate e vastissime provincie: in ambo i casi la fibra è rotonda, diritta, abbastanza uniforme e talvolta un po' stopposa; la forza è varia, maggiore per lo più nei secondi mentre la suddivisibilità e filabilità sono maggiori nei primi. I lini belgi sono ottimi quasi sempre, di speciale morbidezza e lucentezza, sempre lunghi e ben lavorati, di svariato colore: i Courtrai di un bel giallognolo chiaro, gli Ecloo di un giallo più intenso, i Wallon quasi neri, spesso finissimi e quindi di pregio speciale: forse i semi di Courtrai sarebbero i più indicati per l'Italia. I lini olandesi sono pure lunghissimi, più forti e ruvidi in generale, chiari di un giallo biancastro gli Zelanda, verdognoli i Frisia e per lo più di fibra piatta e meno fine. I lini irlandesi di un chiaro argenteo sono pregiati per la loro morbidezza e filabilità.

Commercio. - Il mercato principe di lini greggi era, ed è ancora in gran parte, Gand, quantunque oggi i Sovieti trattino anche per vendite dirette. Lo specchio che segue riassume la classifica russa che fa da base mondiale per le contrattazioni, così come i prezzi disciplinano più o meno quelli di tutte le altre nazioni.

Lini russi. - Monopolio dei Sovieti.

Stlanec: provenienze principali: 1° gruppo: Viled, Lala, Suchona; 2° gruppo: Totma, Kadnikov, Grazovec, ecc.; 3° gruppo: Vologda, Jaroslavl′, Kostroma, Čerepovec, Ljubim, ecc.; 4° gruppo: Beeck, Kašin, Krasnyj Cholm, Uglič (Charino, Rybinsk, ecc.); 5° gruppo: Tver′, Vladimir, Kotelnič, Jaransk, Starista, Stepurino, Novgorod, Petropavloskoe, Tobolsk, Novosibirsk, ecc.; 6° gruppo: Syčevka, Vjazma, Smolensk, Vitebsk, Mohilev, Janoviči Orlov, Rjazan′, Kazan′, Omsk, Tara, ecc.

La scala di valore è discendente dal 1° al 6° gruppo; pure discendenti sono le marche di ogni gruppo, designate con OF, VF, F; O, I°, II° III°, Brak "scarto" (negli ultimi gruppi manca la prima marca); i valori relativi delle varie marche sono segnati da numeri fissi partendo da un massimo di 35 per la OF del 1° gruppo, e giungendo a un minimo di 6 per il Brak del 6° gruppo.

Močenec. - Provenienze principali: 1° gruppo: Gdov, Ostrov, Opočka, ecc.; 2° gruppo: Pskov, Luga, Toropec, Cholm, ecc.; 3° gruppo: Porchov, Godorok, Vitebsk, Siberia in generale, ecc.; 4° gruppo: Drisa, Polock, ecc.

Le marche sono F, O, I°, II°, III°, IV°, Brak; i numeri indici dei valori relativi cominciano col 21 per la marca F del 1° gruppo e terminano col 3 per il Brak del 40 gruppo.

Lini lettoni. - Monopolio lettone (Riga). - Močenec: 1° gruppo: Schwaneburg; 2° gruppo: Livonia; 3° gruppo: Hoffs. Marche: OR, R, ZK, SPK, PK, K, W.

In generale il 1° gruppo sta tra il 2° ed il 3° russo močenec e cosi via.

Lini estoni. - Mercato libero (Tallinn). - Močenec: 1° gruppo: Pečur; 2° gruppo: Wõru; 3° gruppo: Fellin, Tartu. Marche G, R, HD, D, OD, LOD. Sono quasi alla pari dei russi močenec.

Lini lituani. - Mercato libero (Kaunas). - Močenec: Tipi più andanti di tutti i precedenti e poco usati da noi.

Le vendite dei lini russi si compiono, normalmente, in sterline oro a 90 giorni, contro tratta accettata. Lo stesso sistema vale per i lini belgi e olandesi, che si mantengono d'ordinario a prezzi di un quinto o un quarto superiori ai prezzi medî russi, ciò che corrisponde alla differenza di pregio.

Esiste poi un larghissimo e vario mercato di stoppe e di pettinati: questa è una differenza sostanziale rispetto alla canapa. Ossia, mentre la maggioranza dei filatori di canapa parte dalla materia greggia e la pettina da sé con criterî proprî in vista dei dati filati da ricavare, molti filatori di lino si limitano a filare puramente certi tipi, e in pochi titoli, acquistando esclusivamente merci semilavorate: si trovano, p. es., filature in Francia, o in Belgio, che producono appena stoppe dal 20 al 25%. In Italia non esiste mercato.

Nella tabella della pag. 218 sono contenuti i dati relativi all'esportazione di lino dai principali paesi.

La grande esportazione di lino grezzo dalla Francia dipende dal fatto che questo paese preferisce far macerare il proprio lino in Belgio per reimportarlo stigliato. I paesi che importano fibra di lino sono principalmente l'Inghilterra, la Germania, il Belgio, gli Stati Uniti. L' Italia importò nel 1930 q. 8.666 di lino greggio, 744 di lino pettinato e 6.562 di stoppa; nel 1931 q. 3.928 di greggio, 4.733 di pettinato e 5.069 di stoppa.

Filatura. - Il diagramma di filatura del lino è simile a quello della canapa, salvo una maggiore delicatezza degli organi delle macchine in dipendenza delle caratteristiche particolari delle fibre.

Le mannelle di fasci fibrosi, dopo un sommario assortimento, che nei tipi migliori si tralascia, sono passate direttamente alla pettinatura meccanica. Solo eccezionalmente per lini con pedali molto sporchi e stopposi può precedere una grossolana spuntatura a mano su pettini simili, salve le maggiori dimensioni, a quelli della squadratura.

La pettinatrice per lino ha un numero di serie di pettini superiore a quello della pettinatrice per canapa; e cioè fino a 24 serie, perché il lino può ulteriormente raffinarsi. La produzione giornaliera può calcolarsi sui kg. 800 di lino greggio con un ricavo press'a poco entro i limiti percentuali che seguono:

La squadratura è fatta su punte più fini di quelle usate per pettinato di canapa; qualche volta per economia viene omessa, ma ciò è sempre a danno della filatura. Mentre nella canapa i pettinati e le stoppe servono entrambi per filare i titoli dal 3 al 25 a umido e dal 2 al 12 a secco, nel lino i pettinati s'impiegano per filare a umido da un minimo eccezionale di 14 a un massimo di 70 ÷ 80, con un medio di 30 ÷ 40 (si arriva eccezionalmente fino al titolo 300); le stoppe a umido cominciano verso il titolo 10 per raggiungere il 40, con una media di 20 ÷ 25; a secco si comincia dai numeri bassi quasi come per la canapa e si va fino al 25 ÷ 30, stando nel medio titolo 16. La stessa vastità della gamma dimostra quanta sia la differenza di valore tra lino e lino. L'impasto, ossia la miscela dei varî tipi di pettinato, oppure di stoppa, merita gli studî più accurati. Per i lini ravagni e nostrani, ormai ridotti a scarsi quantitativi, è possibile e conveniente la combinazione con la canapa sulla stenditrice, oppure sulla carda; si ottengono marche di speciale colore e che sono molto apprezzate dal consumo artigiano e da taluni candeggi di refi per pizzi e ricami. Dei lini russi è d'uopo conoscere molto bene le numerose qualità e provenienze per non trovarsi con filati striati, o che presenteranno striature più tardi dopo il candeggio in filo, o peggio in pezza: in via generale è pericoloso mescolare stlanec con močenec, anche perché è più arduo ottenere una regolarità di resistenza. Dei lini belgi non si mescolano mai quelli a terra con quelli ad acqua.

Nella stenditura, nella cardatura e in tutta la preparazione di filatura (v. canapa) le dimensioni del macchinario sono più ridotte in confronto di quelle della canapa; le punte, i pettini, le barrette sono più sottili, e sottilissime se si tratta di arrivare a stoppini per titoli elevatissimi (dal n. 100 in su). Il numero dei passaggi di stiratoi aumenta fra 4 e 5 (eccezionalmente 6) per il lungo tiglio, e fra 3 e 4 (eccezionalmente 5) per le stoppe: ossia la lavorazione è più accurata che non per la canapa, dovendosi appunto conseguire un grado di regolarità molto maggiore, affinché l'esile stoppino non si spezzi in filatura, né il filato presenti punti di eccessiva debolezza.

L'energia impiegata è proporzionalmente inferiore a quella necessaria per la canapa; però negli stiratoi si arriva spesso a un maggior numero di sezioni, o teste, fino a 8, e nei banchi a fusi a un maggior numero di fusi, fino a 120; si ha quindi una compensazione parziale. Quando si vuole ottenere un filato a secco di grandissima regolarità, dopo gli stiratoi il nastro passa a un banco a fusi speciale, a barrette porta-pettini procedenti in discesa lungo un piano a forte pendenza invece che su un piano orizzontale; così si guida a quello dove esso subisce l'azione torcente dell'aletta, che poi gli dà direttamente la torsione definitiva e produce il filo. In questi banchi filatori i rocchetti stanno per lo più fra i 3 e i 5 pollici inglesi di altezza utile, mentre nei banchi a fusi si scende dai 9 (10) ai 6 (5) pollici, e nei filatoi da 31/2 (4) a 2 pollici, forse anche a minori dimensioni per titoli elevati, che si filano soltanto da a due o tre filature in tutto il mondo (Lilla, Belfast).

Dai filatoi su rocchetti di dimensioni pari a quelli della canapa si producono titoli più fini, ossia, p. es., sui 21/2 pollici si fila normalmente il 25 canapa e il 35 lino, come titoli medî (per la titolazione del lino v. canapa); ciò dipende da una maggiore resistenza del lino, dovuta anche alla maggiore elasticità del lino e al maggior numero di accoppiamenti e di stiri che ha subito.

Poiché i maggiori quantitativi di filati di lino sono destinati alla tessitura, salvo pochi che si usano per refi, occorre che essi diano catene e trame di ottima fattura. La catena deve essere forte e liscia, ossia senza pelosità, e non deve presentare falle di resistenza: sono perciò da scegliersi i lini già naturalmente forti, cui si darà una torsione (T) un po' più accentuata in filatura (T = 1,8 ÷ 2√t, dove t = titolo). La trama invece deve essere morbida, meno serrata, per riempire meglio il tessuto, e quindi non necessita materia tanto forte quanto soffice e si preferisce una minore torsione (1,5 ÷ 1,7 √t). I filati che sono destinati a formare la catena dei tessuti vanno imbozzimati in filatura invece che in tessitura, a differenza di quanto si fa nella lavorazione della canapa.

L'imbozzimatura si fa a base di fecola, l'ungimento e la lucidatura a base di grassi: gli appretti devono essere fluidissimi e le matasse vi si devono immergere a caldo. L'essiccamento, che è il periodo più critico del ciclo, richiede molta pratica e continua attenzione. Occorre un apposito locale con limitato calore, ove le matasse si stendono a cavallo di appositi bastoni per un primo periodo di tempo: ma, appena esse non sono più inzuppate nel senso materiale della parola e tendono invece a formare una massa umida compatta, devono subito trasportarsi in altro locale a tettoia, senza riscaldamento e a pareti interamente apribili, munite di griglie regolabili per diminuire o accrescere il passaggio dell'aria esterna, e devono lasciarsi asciugare naturalmente, distese in piano verticale, a cavallo di grossi bastoni di legno a sezione quadrata, e mantenute in tensione da altri pesanti bastoni introdotti nel basso delle matasse stesse; una o due volte al giorno, pur lasciandole appese e manovrando a mano i bastoni inferiori, esse si sbattono per impedire che i fili si appiccichino tra loro a causa del potere collante delle bozzime e perché ogni filo rimanga a sé, ben lucidato e senza pelo. L'esposizione al sole o un eccesso di ventilazione o troppa umidità sono fatali, e nessun rimedio è valevole per sciogliere i fili di una catena impastata nell'asciugamento.

I refi cucirini devono avere torsione in filo molto forte. Un filato di lino di media forza, sollecitato alla trazione su 1 metro di lunghezza e lungo il proprio asse, presenta alla rottura una resistenza che può ritenersi uguale al quoziente del numero fisso 30 diviso per il titolo: forse un 10% in meno per la stoppa. Nei lini belgi scelti (Courtrai superiori) queste cifre sono superate talvolta del 40%. Sono appunto questi i lini impiegati nei banchi a fusi filatori di cui si è detto sopra e dai quali si ricavano filati per refi a più capi, a torsione diritta o rovescia, per calzaturifici meccanici, e talvolta anche i refi per manichette da incendio da sottoporre a fortissime pressioni d'acqua (oltre le 20 atmosfere). Per i calzaturifici meccanici s'impiegano pure treccine di filato a umido (verso il titolo 40), di ottima qualità, e fabbricate da macchinette trecciatrici a rocchetti marcianti su guide fra loro incrociate e dai quali si svolgono i fili (8, o 12, o 10) ché servono a formate la treccia tubolare.

Il mercato dei filati di lino è molto vasto: i centri più importanti sono Lilla e Belfast. In Italia non esiste mercato. La massima parte del filo è venduto candeggiato in 1/4 bianco, e sempre in pacchi da 3 (o da 6) bundles.

Tessitura. - Ha luogo come per la canapa, ma con macchinario un po' meno pesante, eccezion fatta per le olone di lino. A differenza della canapa, però, l'imbozzimatura ha luogo sempre in filato e non necessita quindi in tessitura (v. sopra).

Nella tessitura del lino è molto sviluppata, oltre che la lavorazione meccanica, la lavorazione manuale, eseguita generalmente nei centri rurali. Per la lavorazione nel telaio a mano v. tessitura.

I tessuti di lino si dividono in quattro grandi categorie, secondo la lavorazione. In tutte si possono trovare tipi misti con cotone in catena e lino in trama; si tratta di merce a miglior mercato, di più facile lavorazione: in questa, se i varî movimenti del telaio sono ben combinati gli uni rispetto agli altri, si riesce a nascondere un poco la catena mettendo in evidenza la trama per meglio imitare le tele di puro lino. Le categorie sono: a. armatura a tela su telai comuni (canapetta, candida, pannilini, ecc.); b. armatura a tela a 2 fili, ossia coi fili di ordito accoppiati 2 a 2 pure su telai comuni (olona, passatoia, panama, ecc.); c. tessuti operati su telai muniti di ratière (rinfranti, satin, tovagliati, ecc.); d. tessuti damascati su telai con Jacquard (tovaglie e tovagliati, ecc.).

In Italia le prime due categorie sono quasi esclusivamente di canapa, o miste di cotone e canapa, esclusi i panama; nella terza i rinfranti sono per lo più di canapa. All'estero la canapa in tessitura è assai meno usata.

Rifinitura. - Per la rifinitura dei tessuti di lino, oltre le macchine in uso per la canapa, ne sono anche usate, secondo le circostanze, altre come il bittel, il mangano, l'alzatrice, ecc.

Il bittel serve a dare un aspetto lucido quasi marezzato. Il tessuto si avvolge su un grande tamburo, che gira lentissimamente e su cui cadono alternativamente dei martelli di legno disposti lungo la sua generatrice.

Il mangano si usa per ottenere una speciale morbidezza. Il tessuto è avvolto su un rullo che si sospinge meccanicamente fra tre cilindri paralleli, due superiori in ghisa, e uno inferiore in carta compressa; su di essi si esercita una fortissima pressione idraulica e una rotazione periodica alternata nei due sensi; il rullo viene così trascinato a ruotare in avanti e indietro e la schiacciatura fra ogni strato di tessuto ottiene l'effetto desiderato.

L'alzatrice riporta in altezza voluta quei tessuti che, specialmente in operazioni di candeggio, hanno subito degli abbassamenti e insieme raddrizza le trame. Su due catene continue, correnti in tutta lunghezza sui fianchi della macchina, sono montate delle pinze che agganciano il tessuto alle cimosse. Le catene per la prima metà della macchina vanno divaricandosi in modo che, mentre partono a distanza tra loro pari a quella dell'altezza reale del tessuto, raggiungono poi quella voluta, che mantengono lungo la seconda metà del percorso: il tessuto viene evaporato durante il tragitto e infine avvolto sopra un rullo.

Candeggio. - È una delle operazioni più importanti e difficili della lavorazione del lino: si esegue più specialmente sul filato, ma anche sul refe e sul tessuto. All'estero l'industria del candeggio sta a sé, indipendentemente dalla filatura o dalla tessitura; in Italia v'è qualche candeggio di tessuto, mentre quello dei filati fa parte integrante dell'unica grande azienda che fila il lino su vasta scala.

Il lino ha un tono di candeggio diverso dalla canapa e dal cotone, ossia conserva fondi speciali plumblei o bluastri, che sono assai pregiati, specialmente nelle tele di Fiandra, nei tipi Courtrai, ecc.

Il filato di lino è candeggiato fino a 1/4 bianco, e a questa gradazione, a pari lunghezza, pesa circa il 5% in meno del greggio e ha resistenza minore del 2 ÷ 5%. Raramente si candeggia fino a 1/2 bianco, ed eccezionalmente si va al di là; appunto per non perdere troppo in peso e in forza, specialmente nei titoli molto fini. Varî tessitori preferiscono avere un filato solamente lisciviato, per operare il candeggio interamente sul tessuto, così da avere un calo minore e un meno difficile lavoro a telaio.

Per la tecnica dell'operazione v. candeggio.

A. Herzog, Die Unterscheidung des Flachs- u. Hanffaser, Berlino 1926; Woodhouse e P. Kilgour, Spinning, weawing and finishing of jute, Londra 1929; G. Neumann, Über die Schlichterei der Flachsgarne, Dresda 1930; W. Kind, P. Koenig, W. Muller, Der Flachs, Berlino 1930; v. anche canapa.

Storia dell'industria. - Il materiale ricavato dal linum usitatissimum L. fu conosciuto in età molto antica presso i popoli dell'Oriente come presso quelli occidentali; basterà ricordare fra i primi gli Egiziani, che ci dànno nelle tombe antichissime bende di mummie che sono tra i più fini prodotti del genere dell'antichità, e tra i secondi le tombe preistoriche della Svizzera, che non ignorano, come del resto non lo ignorano le tombe di Micene e di Troia, il tessuto di lino. Le notizie, per altro, circa il modo di preparazione di esso non le abbiamo che da autori di età assai più recente e specialmente da Plinio (Nat. Hist., XIX, 16 e seg.): giunta la spiga a maturazione, la si taglia, la si lega in manipoli e la si pone a seccare al sole, poi la si fa macerare nell'acqua, poi ancora seccare, dopo di che viene battuta su pietre con speciali martelli; se ne distacca così la stoppa usata come lucignolo di lampade e per altri usi minori, e la fibra più fine, che viene allora pettinata e quindi sottoposta allo stesso processo di filatura, di tintura e di tessitura al quale era sottoposta la lana. Il seme poi veniva adoperato sia come commestibile, sia per l'estrazione dell'olio. Mentre per altro il lino è largamente coltivato e diffuso anzitutto in Egitto dove ne è sviluppata assai l'industria anche in età greca e romana, e la Palestina e la Fenicia si gloriano del tessuto di bisso di Berito e del lino di Damasco, e mentre la leggenda narra che la lidia Aracne sarebbe stata l'inventrice del filo di lino e di lino sono vestiti e difesi i soldati di parecchi eserciti di Oriente, la Grecia propria pare non abbia tenuto in molto conto la coltivazione di tale pianta e conseguentemente l'uso del prodotto per abiti; infatti, a eccezione di Amorgo che dà un lino celebre paragonabile al bisso, vediamo che gli abiti lintei sono importati da paesi stranieri, per esempio dall'Egitto, e usati meno largamente che altrove; per esempio il chitone di lino come abito usuale appare in Attica e in Ionia riservato alle classi ricche della popolazione e solo in secoli avanzati penetra come abito di uso comune. Anche in Roma e nello stato romano l'uso di prodotti lintei non diviene comune che assai tardi, verso la fine della repubblica; prima le vesti di lino paiono moda esotica o ricercata.

A conferma di tale fatto basta ricordare che le vesti di lino, proprio al contrario di quanto avveniva in Egitto, furono largamente vietate nell'esercizio sacerdotale e rituale e solo come specialissimo privilegio concesse alle vestali. Vanno invece ricordati i libri lintei che in Roma conservarono le liste dei magistrati già dal sec. V a. C.

La regione italiana, invece, dove il lino fu assai presto e largamente coltivato fu la Gallia Cisalpina e specialmente famosa andò per questo la regio Aliana fra Po e Ticino, e quella di Retorvium presso Voghera, e di Faventia (Faenza). La coltivazione delle piante e la preparazione di abiti lintei furono praticate anche nella Gallia Transalpina, nella Spagna e nella regione africana specialmente intorno a Cartagine. Durante l'impero, l'uso delle stoffe di lino andò diffondendosi sempre più, sicché nel sec. V ci è dato constatare che ben tre fabbriche statali di vesti di lino (lynifia) erano stabilite a Scitopoli (Palestina) a Vienna (Gallia) e a Ravenna. Parimenti, durante l'impero, si moltiplicarono i lintiones e i lynteari; ad Ostia, a Mileto, a Tralle e altrove.

Fra il 1200 ed il 1300 l'industria del lino, già limitata ai paesi del bacino del Mediterraneo, si estese alla Contea di Fiandra, all'Inghilterra, alla Germania. In Fiandra, acquistarono rinomanza le lavorazioni di Gand, Courtrai, Ypres; in Inghilterra, quelle di Shaftesbury, Lewes, Aylesham. In Germania, l'industria fiorì in tutta la Slesia, a Bielefeld e Warendorf (Sassonia), a Berge (Hannover), Jülich (Renania), ma soprattutto a Costanza e nei centri vicini di Ravensburg e St. Gallen, dove operò per circa 200 anni (sec. XIV-XVI) con successo la "Grosse Ravensburger Gesellschaft", trattando quasi tutto il lino di produzione locale.

Nel corso delle guerre di religione l'industria subì ampî spostamenti. Gli artigiani protestanti delle Fiandre si trasferirono nelle provincie settentrionali dell'Olanda. Gli artigiani di Francia, specialmente dopo la revoca dell'Editto di Nantes (1685), si trasferirono in gran numero in Irlanda e Scozia. Il parlamento inglese, che cercava in tutti i modi di scoraggiare in queste regioni l'industria della lana, favorì l'immigrazione e il sorgere della nuova industria; ed è in questo periodo che L. Cammelin creò nei dintorni di Belfast, a Lisburn, una fabbrica, iniziando l'attività di uno dei più grandi centri dell'industria liniera.

Durante tutto il Medioevo e l'età moderna, l'industria del lino si mantenne, più che ogni altra industria tessile, sotto la forma dell'artigianato. Ancora nel sec. XVIII i commercianti di lino della Slesia non operavano come Verlegern (da Verlag: v. industria: XIX, p. 161). In genere il lino era filato nelle campagne, dalle donne specialmente, e, quando non era utilizzato per usi casalinghi, era venduto ai piccoli artigiani tessitori, che, dopo la tessitura, lo cedevano ai commercianti. Tra i filatori e i tessitori, dove l'industria era molto sparsa, s'interponevano incettatori, che curavano anche la scelta del filato. Le operazioni di rifinutra (imbianchimento, appretto) erano o curate dai commercianti acquirenti del tessuto, con delle piccole imbiancatrici o dei mangani, o compiute in macchine installate a cura delle città o delle corporazioni.

I primi elementi di ordinamento capitalistico sorsero nell'industria del lino fra il sec. XVII e il XVIII, soprattutto nel ramo della rifinitura. Relativamente grandi installazioni per appretto e imbianchimento furono create o dalle case che commerciavano il tessuto per proprio conto o da capitalisti per lavorazioni in conto terzi. In Sassonia, Slesia, Boemia, ecc., le case commerciali erano fornite di macchine d'appretto per proprio conto; a St. Gallen invece le compagnie lavoravano per conto di terzi. In Olanda (Haarlem, ecc.) l'industria della lavorazione per conto di terzi era sviluppatissima: trattava lini di ogni parte d'Europa, dalla Slesia all'Irlanda. Nella filatura e tessitura esempî di ordinamento capitalistico si ebbero in Scozia, in Olanda, in Russia. Generalmente, la produzione di lino grosso continuò a essere sparsa per la campagna, la produzione di lino fino andò organizzandosi capitalisticamente nelle città (Edimburgo, Courtrai, Bielefeld, Warendorf). Molto attivo, dal secolo XVII, il commercio di lino con le colonie dell'Asia e dell'America.

Alla fine del sec. XVIII, mentre l'industria del cotone aveva già attuata la sua grande trasformazione meccanica, quella del lino, che aveva la difficoltà di lavorare una fibra lunga, iniziava i primi timidi tentativi. R. Arkwright aveva tentato di filare il lino nelle macchine da cotone, ma senza successo. Nel 1787 J. Kendrew e Th. Porthouse di Darlington brevettarono e nel 1792 J. Aytonn di Kirkcaldy perfezionò un filatoio di lino. Seguitono i tentativi di certi Robinson e W. Brown. Solo nel 1811, su concorso bandito da Napoleone I, Ph. de Girard, ingegnere di Lourmarin, dopo molte ricerche, riuscì a costruire un filatoio a 12 fusi, suscettibile di utilizzazione industriale. Il de Girard, che non poté far valere l'invenzione in Francia per la caduta dell'imperatore, andò a impiantare il suo filatoio a Hirtenberg, per invito di Francesco I, e ne favorì la diffusione in Boemia, Moravia, Sassonia, Slesia. Nel 1817 costruì altre due macchine, una per la filatura delle stoppe e una per la pettinatura meccanica del lino. Nel 1825, il de Girard impiantò una grande filatura in Polonia, in località che poi si chiamò in suo onore Zyrardow.

Frattanto, in Inghilterra, si perfezionavano le invenzioni di Kendrew e Porthouse. Nel 1824, un certo Marshall impiantò a Leeds la prima grande filatura. Si produssero dapprima filati grossi, ma poi si arrivò a filare numeri finissimi, e in breve l'industria acquistò un assoluto primato. Nella stessa Inghilterra, il telaio per tessere veniva introdotto nel 1821 a Kirkcaldy e nel 1824 ad Aberdeen dalla ditta Marberly e Co.

L'introduzione della lavorazione meccanica nell'industria del lino ne migliorò di molto la situazione, e attenuò gli effetti della concorrenza del cotone, che era stata veramente imponente nei primi decennî del sec. XIX. Nel 1881 si contavano in Europa secondo la Irish Flax Supply Association, 3.039.686 fusi e 83.289 telai meccanici. L'Inghilterra con l'Irlanda contava 1.335.906 fusi e 42.014 telai, la Francia 470.000 fusi e 22.000 telai, l'Austria-Ungheria 380.440 fusi e 500 telai, la Germania 318.467 fusi e 8000 telai, il Belgio 295.140 fusi e 4755 telai, la Russia 160.000 fusi e 3000 telai, l'italia 59.223 fusi e 722 telai. Dalla fine del secolo scorso le condizioni dell'industria andarono però peggiorando. Scemavano coltura e consumo, quella per l'eccessiva fatica della lavorazione in campagna, questo per l'insufficiente rimunerazione della lavorazione in filatura. Diminuiva il numero dei fusi in Inghilterra, Austria-Ungheria, Germania, Italia, mentre aumentava leggermente in Francia e Belgio e più decisamente in Russia. Durante la guerra mondiale, sia per la scarsezza di mano d'opera agricola, sia per la devastazione di molte regioni linicole, come le Fiandre e il nord della Francia, sia infine per lo scoppio della rivoluzione russa, il lino quasi scomparve dal mercato. E se nel dopoguerra vi fu qualche miglioramento, in anni recenti la concorrenza del rayon e del cotone, offerti a prezzi bassissimi, ha ancora più depressa l'industria. Qualche iniziativa, specie nell'Irlanda del Nord (Irish and Scottis Linen Guild) e in Francia, diretta a un miglioramento estetico e qualitativo della produzione, potrà forse dare sollievo al mercato.

Come localizzazione l'industria non ha molto variato dalle sue preesistenti condizioni. In Inghilterra continua ad accentrarsi nell'Irlanda del Nord, Scozia e Yorkshire. Belfast nell'Irlanda, Dunfermline e Perth nella Scozia sono i centri della lavorazione più fine (batiste, fazzoletti, tovagliame, ecc.); Dundee, Arbroath, Forfar, Kirkcaldy, Aberdeen nella Scozia i principali luoghi di produzione di vele, sacchi, tappeti e altre lavorazioni grosse; Leeds e Barnsley nello Yorkshire i maggiori centri commerciali. L'industria importa filati dal Belgio, dalla Francia e dalla Cecoslovacchia: esporta manufatti negli Stati Uniti, in Germania, nelle colonie. In Francia l'industria della filatura è concentrata in prevalenza nel circondario di Lilla; la tessitura a Bailleul, Hollein, Lilla, Armentières, dove si producono quasi tutti i tipi; ad Abbéville-Amiens, Hallencourt, dove si produce biancheria da tavola, a Comines, dove si producono tessuti per busti, a Cambrai, Valenciennes, dove si producono tela fine, batista e linon per biancheria fine, ecc. L'industria esporta specialmente in Belgio, Gran Bretagna, Germania. Nel Belgio, l'industria della filatura è concentrata specialmente intorno alla regione di Gand. Una buona parte della qualità di lino più fine, come per es., il lino Courtrai e il lino blu, viene inviata in Inghilterra. Le filature indigene lavorano in prevalenza lino importato dalla Lettonia, Estonia e Russia e le qualità meno fini di lino indigeno. Il filato non è imbianchito che eccezionalmente, quando serve alla confezione di tele damascate, tessuti rigati per materassi, ecc. La tessitura è accentrata principalmente nelle due Fiandre, e poi nelle provincie di Anversa, Brabante e Hainaut. A Courtrai, Gand, Thourout si produce tela per tende e materassi, a Gand e Ruysbroeck biancheria da tavola e tela damascata, a Roulers, Iseghem, ecc., tela bianca. Il Belgio esporta filati di lino in Gemiania, Gran Bretagna, Irlanda, tessuti in Gran Bretagna e Stati Uniti.

In Germania l'industria della filatura è concentrata in prevalenza nella Slesia, seguita a distanza dalla Sassonia, dalla Renania, dalla Baviera e dal Württemberg. La Germania fabbrica principalmente tessuti di lino semplici e non molto fini e tessuti misti. Importa materia prima dal Belgio, dalla Lituania, dalla Russia e dalla Lettonia, filati dalla Cecoslovacchia, dal Belgio, dall'Estonia; esporta tessuti per lo più negli Stati Uniti.

In Cecoslovacchia, l'industria è concentrata nella Boemia settentrionale e in Moravia. La filatura produce in prevalenza filati di numero medio e inferiore. La tessitura fabbrica tessuti di filo grossolano e semplici, tele ordinarie o diverse come tele da imballaggio, da vele, biancheria da tavola a disegno. Molte fabbriche producono tessuti misti. La materia prima è importata dalla Lettonia, Germania, Lituania. L'industria esporta filati e tessuti in Gran Bretagna, Austria, Ungheria, Stati Uniti, ecc.

Importanti centri industriali si hanno anche in Russia (Mosca, Leningrado, Vladimir, Vitebsk, Kazan′, Kaluga), in Estonia (Narva), in Polonia (Zyrardow), ecc.; negli Stati Uniti (stati di Oregon, Michigan, Minnesota), che importano la massima parte dell'eccedenza europea.

In Italia la grande industria liniera ebbe origine dopo il 1840, con l'impianto di opifici meccanici a Villa d'Almè e a Cassano d'Adda. Furono questi stabilimenti a costituire il primo nucleo della Soc. An. Linificio e Canapificio Nazionale che A. Ponti creò nel 1873, dando vita al più potente organismo industriale del ramo. Le condizioni dell'industria sono state in Italia alterne. Buone nel 1880-85, quando tutti gli stabilimenti poterono lavorare in pieno, andarono gradatamente peggiorando negli anni seguenti. Dopo il 1900 un leggiero miglioramento permise la costruzione dei nuovi impianti, ma a partire dal 1910 si tornò in una fase di crisi. Nel 1913 fu costituita la "Commissionaria vendita filati per l'Italia", agenzia che ebbe per compito di disciplinare tutto il mercato del lino e della canapa. Ma nel 1920, dopo che il Linificio e Canapificio Nazionale era riuscito ad assorbire altre imprese, e specialmente le Manifatture Italiane Riunite, la Commissionaria fu sciolta. Nel 1928, l'industria del lino e della canapa insieme contava 290 stabilimenti con 31.000 operai, 110.000 fusi di filatura di canapa, 15.000 fusi di filatura di lino, 5700 telai. Il solo Linificio e Canapificio Nazionale riuniva 21 stabilimenti con 15.000 operai, 105.000 fusi, 1800 telai. L'industria è accentrata più specialmente in Lombardia (89 stabilimenti e 14.338 operai), Veneto (30 stabilimenti e 2415 operai), Emilia (58 stabilimenti e 3177 operai), Campania (108 stabilimenti e 3250 operai). Mentre per la canapa l'industria può provvedere a tutto il consumo interno e alimentare inoltre una forte esportazione, per il lino essa produce in misura inferiore alle esigenze del mercato.

Bibl.: H. Thédenat, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquit. (1904), pp. 1260 seg. 1263 seg.; F. Olck, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI (1909), col. 2435 seg.; H. Blümner, Technol. u. Termin. der Gewerbe u. Künste, 2ª ed., I, Lipsia 1912, p. 178 seg.; Reil, Beitr. z. Kenntnis d. Gewerbes im hell. Aegypten, Borna-Lipsia 1913, p. 97 seg.; W. Sombart, Der moderne Kapitalismus, Monaco 1928; A. J. Warden, The Linen trade ancient and modern, Londra 1867; A. Zimmermann, Blüte und Verfall des Leinengewerbes in Schlesien, Breslavia 1888; Enc. méth.: Manif., II, p. 302.

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