CREOLE, LINGUE

Enciclopedia Italiana (1931)

CREOLE, LINGUE

Carlo Tagliavini

. Col nome piuttosto improprio di lingue e dialetti creoli i linguisti designano quelle parlate che sono sorte dalle lingue europee sulla bocca di razze di colore e che si distinguono tutte, indipendentemente dal materiale lessicale, per certi caratteri comuni e principalmente per la perdita della flessione. I dialetti creoli si sono formati indipendentemente, in varie parti del globo, seguendo un processo psicologico comune. La definizione secondo cui gl'idiomi creoli sarebbero composti di un lessico europeo adattato a una grammatica indigena è fondamentalmente errata. Gli accidenti della storia e della vita quotidiana che hanno portato uomini bianchi in regioni abitate da uomini di colore, hanno richiesto la mutua e rapida comprensione di questi individui parlanti lingue di tipi differentissimi. Ma tale formazione accidentale di una lingua mezzo, non sarebbe stata certo vitale se altre cause non avessero contribuito a renderne manifesta la praticità; questo coefficiente è venuto dal commercio degli schiavi, per cui venivano a trovarsi insieme numerosi schiavi provenienti da regioni diverse e parlanti idiomi differenti. La mutua comprensibilità fra questi uomini di colore era possibile solo adottando una lingua comune, e questa fu trovata nello stesso idioma artificiale che serviva nei rapporti fra padroni e schiavi. Il padrone bianco per la sua cultura, per la sua forza, ha imposto le parole, evitando tutte le difficoltà grammaticali e aiutandosi coi gesti; siccome, per es., la formazione del plurale per mezzo di -s esistente in parecchie lingue europee (inglese, spagnolo, portoghese) non satebbe stata compresa, invece di dire per es., piedras disse piedra-piedra o formò costrutti simili, ripetendo, certo inconsciamente, una fase per la quale erano pur passate alcune lingue primitive ed esistente fino ad oggi in certi idiomi.

Resta sempre un problema difficile, il limite fra lingue creole e lingue creolizzanti, e questo tanto di più, in quanto, come ha ben notato H. Schuchardt, dovunque viene parlato un dialetto creolo si continua sempre e diuturnamente la mescolanza con la lingua madre europea, a seconda delle conoscenze linguistiche dei parlanti. La nostra definizione ci permette di escludere senza altro dalla trattazione di questo articolo tutte quelle varietà di lingue europee che, trasportate fuori d'Europa, hanno sì modificato più o meno la loro essenza, ma conservano i tratti essenziali della loro struttura grammaticale (per es., franco-canadese; ispanoamericano; luso-brasiliano, ecc.). Saremo invece più incerti per ciò che riguarda la "lingua franca" (v.) che H. Schuchardt ritiene non doversi chiamare creola, mentre R. Lenz la definisce come "la più antica lingua creola con base neolatina".

Si è già detto che ciò che riunisce ed accomuna fra loro le lingue creole non è già, come si potrebbe credere a un esame superficiale, il loro contenuto lessicale, ma la loro struttura linguistica interna; nei varî dialetti creoli, avvertiva lo Schuchardt, "non abbiamo alcuna divergenza, ma un parallelismo, giacché essi sono formati di materia differente sullo stesso piano e con lo stesso stile". Tuttavia, per la comodità della trattazione, noi daremo un sommario elenco delle principali parlate creole, aggruppandole secondo la "materia" che costituisce il loro lessico e cioè secondo le lingue europee che ne formano la base.

Le lingue europee che hanno formato il lessico delle differenti parlate creole sono, come è naturale, quelle dei popoli marinari e conquistatori che hanno avuto maggior rapporto con le popolazioni di colore dell'Asia, dell'Africa e dell'America. A proposito di quest'ultimo continente è necessaria un'osservazione preliminare. In America non si sono formati idiomi creoli vitali altro che presso la popolazione di schiavi negri importata dall'Africa. Gl'Indî aborigeni americani o hanno conservata la loro lingua o hanno adottata quella dei conquistatori, o si sono serviti di una lingua americana più diffusa a guisa di lingua commerciale come è avvenuto nel Brasile. Il portoghese del Brasile ha assunto alcune voci delle lingue indigene tupi-guarani (v. brasile: Lingua); parimenti lo spagnolo del Chile (v. chile: Lingua) dall'araucano e, in misura minore, l'ispanoamericano delle altre nazioni dell'America Latina dalle altre lingue indigene (cfr. M.L. Wagner, in Zeitschr. f. rom. Phil., XL, 1920, p. 286 segg.), mentre alla loro volta le lingue indigene si impregnavano, più o meno, di voci delle lingue dei conquistatori (cfr. E. Nordenskiöld, Modifications in Indian culture through inventions and loans, Göteborg 1930, e Deductions suggested by the geographical distribution of some post-columbian words used by the Indians of S. America, Göteborg 1922). Tracce di parlari creoli, di effimera vita, si trovano solo sporadicamente; di un misto di spagnuolo e nahuatl fa cenno P. Carochi, Compendio del arte de la lengua mexicana, Mexico 1645, e di una simile miscela parlata nel Nicaragua riprodusse qualche saggio D.G. Brinton, The Güegüence, a Comedy Ballett in the Nahuatl-Spanish Dialect of Nicaragua, Philadelphia 1883 (cfr. anche Wagner, in Zeitschr. fur rom. Phil., XL, p. 308). Di simili parlate occasionali usate da pochi individui nella Bolivia, nell'Ecuador e nel Chile meridionale, fa cenno anche R. Lenz, in Anales de la Univ. de Chile, IV (1926), p. 726.

Di lingue creole che abbiano come elemento formativo preponderante l'italiano, ci sarebbe solo la lingua franca, ma per il suo carattere peculiare, v. franca, lingua.

Nella rapida enumerazione delle più importanti parlate creole cominceremo da quelle che hanno per base il portoghese, che sono le più numerose (cfr. anche: portogallo: Lingua):

a) In Asia troviamo tre gruppi di parlate creole con materia portoghese:

1. l'indoportoghese, parlato nelle poche oasi ancora politicamente portoghesi (Gôa, Damão, Díu), in qualche punto dei possedimenti britannici e francesi e nell'isola di Ceylon che fu altra volta e per lungo tempo in possesso portoghese. Distinguiamo dieci varietà: α) il dialetto di Díu (per cui v. Schuchardt, in Sitzungsber. Akad. Wiss. Wien, CIII (1883), pp. 3-17), caratteristico per la tendenza a sopprimere le vocali finali, p. es. corp = corpo, contr = contra, per il plurale a raddoppiamento completo, p. es. cão-cão = cães, e per i numerosi elementi gujarati (lingua neoariana); β) il dialetto di Damão, sul quale abbiamo una breve monografia di R. Dalgado, Dialecto indo-portuguez de Damão, Lisbona 1903, 2ª ed., Rio de Janeiro 1922; γ) il dialetto di Gôa (studiato da R. Dalgado, in Rev. Lusitana, VI, 1900; 2ª ed. Dialecto indo-portuguez de Gôa, Rio de Janeiro 1922), caratteristico per la caduta delle finali atone, per l'epentesi di un'i fra due vocali per togliere lo iato, per il pronome di cortesia babá (di origine concani) e per la frequenza della voce (〈 indostani hi "in verità") dopo il verbo, nonché infine per i numerosi elementi indiani (concani, indostani, ecc.); δ) il cosiddetto dialetto norteiro (settentrionale) e cioè la parlata creola-portoghese di alcuni abitanti della parte settentrionale della costa occidentale dell'India inglese (Bombay, Mahim, Bassein, Chaul, Bandora, isola di Salsette, ecc.), caratteristico per l'uso di forme perifrastiche del verbo (pres. tá comprá; perf. ja comprá, ecc.); ε) il dialetto creolo di Mangalore, in territorio inglese, studiato da Schuchardt, in Sitz. Akad. Wien, CV (1884), pp. 882-904, che presenta il solito plurale per raddoppiamento completo (p. es. crianç-crianç), la formazione perifrastica dei tempi (pres. to, tu; perf. positivo ja, negativo nunca; futuro lo) e che ha assimilato il genitivo sassone dell'inglese (todos casa's gente = toda a gente de casa); ζ) il dialetto creolo di Cannanore la cui vita è seriamente minata dall'inglese e dal dravidico malayalam, schizzato rapidamente da Schuchardt, in Zeitschr. f. rom. Phil., XIII, pp. 523-24; η) il dialetto creolo di Mahé, in territorio francese su cui si hanno solo pochi cenni di Schuchardt, l. c., pp. 516-21; ϑ) il dialetto di Cochin, studiato dallo stesso Schuchardt, in Sitz. Akad. Wiss. Wien, CII (1883), pp. 789-816, ormai quasi estinto, e assai simile al dialetto di Ceylon; ι) l'estinto dialetto del Coromandel, su cui raccolse preziosi cenni lo Schuchardt, in Zeitschr. f. rom. Phil., XIII, p. 490 segg., e infine, ultimo per la sua posizione geografica, ma primissimo per la ricchezza della letteratura: κ) il dialetto creolo di Ceylon, eccellentemente studiato da R. Dalgado, Dialecto indo- portuguez de Ceylão, Lisbona 1900, caratteristico per la riduzione di lh a i, per quella di ão ad ã, per il plurale formato con muito e infine per la collocazione delle preposizioni, portoghesi, dopo il sostantivo cui si riferiscono (calco sulle lingue dravidiche): p. es. noç tudoç par te muito amor = elle tem muita amizade a todos nós.

2. il sinoportoghese parlato a Macao, detto dai linguisti portoghesi semplicemente "macaista", studiato da I.F. Marques Pereira, Subsidios para o estudo dos dialectos crioulos do Extremo-Oriente, nella rivista Ta-ssi-yang-kuo, Lisbona 1899-900 e da Leite de Vasconcellos, Sur le dialecte portugais de Macao, in Bol. Soc. Geogr. Lisboa, 1892. Il macaista riduce lh in l (vela per velha), non conosce distinzione di generi, forma i plurali, quando sono necessarî, per raddoppiamento completo (porco-porco), usa i possessivi nella forma femminile anche per il maschile, forma il presente con ta, il perfetto con ja e il futuro con logo. Accanto al vero macaista esiste un idioma semi-creolo con pretese letterarie nel quale sono scritti la maggior parte dei testi.

3. il maleoportoghese, che comprende due varietà: α) il dialetto creolo dell'isola di Giava che tende a scomparire ma che fu vivissimo all'epoca del dominio portoghese e del quale possediamo documenti risalenti al sec. XVII. Tali documenti, trovati a Batavia, insieme con testi moderni raccolti a Toegoe, hanno formato l'oggetto d'una importantissima ricerca di H. Schuchardt, in Sitz. Akad. Wien, CXXII (1891), pp. 1-256. Il dialetto creolo di Toegoe è uno dei più interessanti perché ha una buona dose di malese; β) le varietà creole di Malacca (che fu portoghese dal 1511 alla metà del Seicento) e di Singapore per cui cfr. Prostes, in Bol. Soc. Geogr. Lisboa, 1882, p. 702 e Coelho, ibidem, III, 14. Anche nel possedimento portoghese dell'isola di Timor esiste qualcuno che parla un dialetto creolo portoghese, ma si tratta di persone che vengono da Macao.

b) In Africa possiamo distinguere tre gruppi di negroportoghese (cfr. Schuchardt, in Zeitschr. f. rom. Phil., XII, pp. 242-254):

1. il negroportoghese dell'arcipelago del Capo Verde (studiato da J. Vieira Botelho da Costa e Custodia José Duarte, Breves estudos sobre o creolo das ilhas de Cabo Verte, in Bol. Soc.Geogr. Lisboa, VI, pp 325-388 e da Schuchardt, in Literaturbl. f. germ. u. rom. Phil., VIII, pp. 132-141 e in Zeitschr. f. rom. Phil., XII, pp. 311-322), che ha per caratteristiche la riduzione di lh > i, la formazione del plurale con ũs o tante, il presente e il futuro formati con ta e uno strano ca negativo (forse da nunca).

2. il negroportoghese della Guinea Portoghese o "guineense" (studiato da F. de Barros, in Revista de Estudos Livres, 1885, p. 153 segg., da Bertrand Bocande, in Bull. Soc. Géogr. de Paris, 1849, p. 73 segg. e specialmente da Schuchardt, in Zeitschr. f. rom. Phil., XII, pp. 301 segg. e da M. De Barros, in Revista Lusitana, V, pp. 174 segg. e 271 segg. e VI, 300 segg.) usato come lingua franca fra i negri delle diverse razze.

3. le varietà negroportoghesi delle isole del Golfo di Guinea, sia di quelle poche rimaste politicamente appartenenti al Portogallo, sia di quelle cedute alla Spagna; distinguiamo: α) il negroportoghese dell isola di São Thomé, studiato molto bene dallo Schuchardt, in Sitz. Akad. Wiss. Wien, CI (1882), pp. 889-917 e poi da R. Almada Negreiros, O dialecto de S. Thomé, in Hist. ethn. da ilha de S. Thomé, Lisbona 1895 e caratteristico per la sua grande semplicità; β) il negroportoghese dell'Ilha do Principe, investigato dallo Schuchardt, in Zeitschr. f. rom. Phil., XIII, pp. 463-465; γ) il dialetto dell'isola Annobóm (ora in spagnolo Annobon) detto anche fá d'Ambú ("fala de Anno-Bom"?), studiato magistralmente dallo Schuchardt, in Sitz. Akad. Wiss. Wien, CXVI (1888), pp. 193-226. È importante notare che nei possessi portoghesi africani di Angola e di Mozambico, non si sono formati idiomi creoli.

Passando ai dialetti creoli formati con lo spagnolo, ne citeremo due:

1. il maleospagnolo delle isole Filippine (oggi appartenenti agli Stati Uniti, ma per molti secoli in possesso della Spagna); questo dialetto creolo, studiato da H. Schuchardt, in Sitz. Akad. Wiss. Wien, CV (1883), pp. 111-150, contiene parecchi elementi tagali;

2. il negrospagnolo parlato dai negri di Cuba e su cui manca ancora uno studio preciso (cfr. per il momento A. Montori, Las modificaciones populares del castellano en Cuba, Avana 1916).

Mancano pure studî sulle parlate creole dei negri di alcune regioni del Messico, del Venezuela e della Colombia. Citeremo anche qui, perché la maggior parte del suo tesoro lessicale è di base spagnola, una delle lingue creole più interessanti e cioè il papiamento, idioma creolo parlato nell'isola di Curaçao nelle Antille Olandesi. Il papiamento è la sola lingua creola che serva anche come strumento di cultura; formato dapprima dai negri è oggi divenuto la lingua comune dell'isola giacché l'olandese è conosciuto solo da pochi. Si pubblicano giornali, libri, riviste in papiamento e la chiesa cattolica usa questa lingua nelle sue prediche. La grammatica del papiamento è ridotta ai minimi termini e il lessico contiene 95% elementi ispano-portoghesi e solo 5% olandesi. Le parole di origine africana sono pochissime, notevole però il pronome nan "essi". Il papiamento è stato studiato in modo completo ed esauriente in un grosso volume di R. Lenz, El papiamento, la lengua criolla de Curazao, la gramática mas sencilla, Santiago de Chile 1928 (anche in Anales de la Universidad de Chile, IV, 1926 e V, 1927) v. anche curaçao: Lingua.

Molte varietà creole si sono formate con a base il francese; ricorderemo qui brevemente i due principali gruppi:

1. il gruppo dei dialetti creolo-francesi dell'Africa (impropriamente detto maleofrancese da L. Adam, Les idiomes négro-aryens et maléo-aryens, Parigi 1886), comprendente: le parlate creole delle isole Mascarene (Riunione o Bourbon) con leggiere varianti di creolo dell'isola Borbone, malgascio-creolo, creolo-mozambico e mauriziano. Questi dialetti sono stati studiati assai bene da Ch. Baissac, Études sur le patois créole mauricien, Nancy 1880; da Vocy-Focard, Du patois créole de l'île Bourbon, Saint-Denis 1885, ma specialmente da H. Schuchardt, in Romania, XI, pp. 589-593 e da Dietrich, ibid, XX, pp. 216-277. Speciali caratteristiche di questo gruppo sono le epentesi di vocali per sciogliere i gruppi di consonanti medie o iniziali; la qualità della vocale epentetica dipende o dalla vocale della sillaba seguente o da una consonante labiale vicina, p. es. boulanc "blanc", ceudouron "cendre", garand "grand" alla Riunione, e coulou "clou", siquizé "excusez" all'Isola Maurizio; 2) le parlate negrofrancesi dell'America fra le quali ricorderemo il creolo della Martinica (cfr. J. Triault, Étude sur le créole de la Martinique, Brest 1874), il creolo della Guiana Francese, quello della Trinidad, quello di Haiti, quello della Luisiana e infine quello delle Antille, studiato molto bene da René De Poyen Bellisle, Les sons et les formes du créole dans les Antilles, Baltimora 1894.

Anche nella Cocincina francese si è venuto a formare un idioma creolo sulla bocca delle persone di colore parlanti come lingua materna l'annamitico; esso è stato studiato dallo Schuchardt, Über das Annamitofranzösischen, in Sitzungsb. Ak. Wiss. Wien, CXVI (1888), pp. 277-234. In esso entrano parecchie parole annamitiche le quali conservano i loro "toni": p. es. Toi boucoup kai4 mien (ann. "chiacchierone").

Passiamo ora a idiomi creoli formati con lingue non romanze. Per l'olandese ci si presenta il problema se includere o no il cosiddetto afrikaans e cioè la lingua importata dagli Olandesi nella Colonia del Capo. Sebbene presenti un certo grado di creolizzazione, questo idioma mantiene il suo organamento grammaticale e quindi deve essere escluso dalla lista dei "dialetti creoli" (v. olanda: Lingua; sudafricana, unione). Nel creolo-olandese propriamente detto distingueremo:

1. in America alcune varietà di negro-olandese; nelle Antille, una volta danesi ed ora americane e specialmente nelle isole S. Tommaso, S. Giovanni e Santa Croce. Queste varietà, ora quasi estinte, sono state studiate da Hesseling, Het Negerhollandsch der Deense Antillen, Leida 1905; da H. Schuchardt, Zum Negerholländischen von St. Thomas, in Tijdschr. v. ned. taal en letterkunde, XXXIII, pp. 123-142 e da J. P. B. de Josselin de Jong, Het Negerhollandsch van St. Thomas en St. Jan (in Medeelingen d. k. Ak. v. Wet., Amsterdam, LVII). La lingua è molto deformata dai numerosissimi elementi inglesi. Anche nel Surinam esistono varietà di creolo-olandese, accanto al negro-inglese.

2. nelle Indie Orientali Olandesi accanto al cosiddetto Nederlandsch der Europeanen, che è un olandese con le solite parole indigene di tutte le lingue parlate in colonie, esiste un curioso idioma creolo chiamato de taal der sinjo's en nonna's (〈 port. senhor e donha?); cfr. van Ginneken, Handboek d. nederlandsche Taal, I, Nimega 1923, p. 300 segg.

Per gl'idiomi creoli a base inglese ci limiteremo a ricordare dapprima il negro-inglese della Sierra Leone. In esso si riconoscono molti elementi portoghesi (cfr. Migeod, The languages of West-Africa, Londra 1911, 1, p. 77 segg. e II, p. 179 segg.) Questo idioma creolo è anche chiamato broken english. Viene quindi il negro-inglese d'America; accanto ai negri degli Stati Uniti che parlano tutti più o meno bene l'inglese, nella Guiana Olandese esiste un idioma creolo a base inglese detto dagli Olandesi Ningre-Tongro e studiato da H. Schuchardt in Die Sprache der Saramakkaneger in Surinam, Amsterdam 1914 (in Verh. d. k. Akad. v. Wet., XIV, 6). Altre varietà esistono nella Luisiana (cfr. A. Fortier, in Trans. of Modern lang. Association of America, I, 96 segg.), ecc.

Molto importanti sono i dialetti melaneso-inglesi, studiati assai bene da Schuchardt, in Sitzungsb. Akad. Wiss. Wien, CV (1883), pp. 131-161, e in Englische Studien, XIII, 158-162.

La parlata creola delle coste del Pacifico meridionale è divenuta il gergo dei pescatori di trepang e si è diffusa per tutte le coste asiatiche del Pacifico col nome di Beach-la-mar (ingl. beech de mer dal fr. bêche de mer a sua volta dal port. bicho de mar "trepang, Holothuria edulis."). Nata nel Queensland e nelle isole Figi, alcune sue forme come mi savi, mi no savi (port.) o kau-kau "mangiare" (polinesiano) si sono diffuse fino alla penisola dei Ciukci (cfr. Churchill, Beach-la-mar, the jargon or trade speech of the Western Pacific, Washington 1911). L'inglese parlato in Cina ha dato origine a un idioma creolo interessantissimo detto pidgin-english (pidgin è la corruzione cinese dell'inglese business) molto notevole per la totale abolizione della flessione e per importanti riduzioni fonetiche (v. pidgin english).

Non proprio creolo, ma abbastanza creolizzante, è l'anglo-indiano studiato da Schuchardt, in Engl. Studien, XV, pp. 286-305 e di cui abbiamo un notissimo dizionario di Yule e Burnell, Hobson Jobson, being a glossary of Anglo-Indian colloquial words and phrases, Londra 1886 (5ª ed. 1903).

Con questa breve disamina non crediamo certamente di aver elencato tutti gl'idiomi creoli. Molti sono rimasti esclusi, come p. es. il tahitiano delle coste, il giapponese di Yokohama, il cosiddetto gergo chinook che serve da lingua franca ai commercianti francesi e inglesi della costa nordoccidentale dell'America dall'Alasca al fiume Oregon, il russo-cinese di Kjachta (cfi. Črepanov, Izv. istor. otd. Imp. Ak. Nauk, II, 1853), ecc.

Nate da condizioni speciali di necessità, le lingue creole sono state spesso un prodotto effimero che, con le necessità stesse che le avevano causate, si sono estinte. Una specie di lingua creola individuale si può formare in ogni momento e in ogni luogo; quelle che hanno resistito fino a oggi hanno trovato un ambiente favorevole e hanno continuato a rispondere a un bisogno. Create da adulti in un primo momento, le lingue creole di un determinato gruppo di individui, sono divenute le lingue materne di altri e hanno assunto un certo grado di stabilità. Da questo momento hanno cessato di essere un prodotto artificiale e son venute a sottoporsi alle naturali leggi del linguaggio umano.

Bibl.: Addison var Name, Contributions to Creole Grammar, in Trans of the Amer. Phil. Ass., 1871, pp. 123-167; Gaidoz, in Revue critique, 1881-1882; H. Schuchardt, Bibliographie créole, in Rev. critique, 1883, I, p. 314 segg.; Thomas, The theory and practice of creole, Port of Spain 1869; L. Adam, Les idiomes négro-aryen et maléo-aryen. Essai d'hybridologie linguistique, Parigi 1883; A. Coelho, Os dialectos romanicos ou neo-latinos na Africa, Asia e America, Lisbona 1881-83; H. Schuchardt, Kreolische Studien, Vienna 1882-1891 (Sitz. d. k. Ak. d. Wiss., 101-122); R. Lenz, El papiamento, Santiago 1928.

Sul creolo-portoghese, oltre le opere citate, cfr. E. Teza, Indo-portoghese, in Il Propugnatore, V, p. 129 segg.; H. Schuchardt, Allgemeines über das Negerportugiesische, in Zeitschr. f. rom. Phil., XII, p. 242-54 e Allg. ü. d. Indoportugiesische (Asioportugiesische), in Zeitschr. f. rom. Phil., XIII, pp. 476-517; A. De Paula Brito, Dialectos creoulos portuguezes, in Bol. Soc. Geogr. Lisboa, 1887; Leite De Vasconcellos, Dialectos crioulos portugueses de Africa, in Rev. Lusitana, V, 211 segg.; Esquisse d'une dialectologie portugaise, Lisbona-Parigi 1901; Opusculos, IV, Coimbra 1928.

Sul creolo-spagnolo, v. indicazioni presso Lenz, op. cit.

Sul creolo-francese, Dietrich, in Romania, XX, 216 segg.

Sul creolo-olandese cfr. bibl. presso v. Ginneken, Handboek der nederlandsche Taal, I, Nimega 1923 e v. d. Meer, Historische Grammatik d. niederl. Sprache, Heidelberg 1927; buon riassunto anche presso Lecouterie-Grootaers, Inleiding tot de Taalkunde en tot de Geschiedenis van het Nederlandsch, Lovanio 1928, p. 258 segg.

Per il creolo-inglese v. H. Schuchardt, in Engl. Studien, XII, pp. 370-74; K. Lentzner, Colonial English, Londra 1891; O. Jespersen, Language, Londra 1922, p. 216 segg. Tutta la letteratura speciale è indicata ai singoli paragrafi.

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