LINGUA E TECNOLOGIA

Il Libro dell'Anno 2010

Gino Roncaglia

Lingua e tecnologia

Usi della lingua e strumenti di rete

di Gino Roncaglia

27 gennaio

A San Francisco, Steve Jobs, fondatore e amministratore delegato di Apple, presenta iPad, ‘tavoletta’ ultrasottile, con schermo multi-touch, che si inserisce di prepotenza nel settore in continua espansione dei libri digitali, destinati a rivoluzionare le modalità tradizionali di lettura e anche di scrittura.

Comunicazione e linguaggio nel mondo digitale

Il settore delle nuove tecnologie digitali e dei nuovi media ha uno spazio sempre più rilevante nella nostra vita comunicativa. La maggior parte della comunicazione interpersonale a distanza avviene ormai attraverso il supporto diretto o indiretto di tecnologie digitali. La posta elettronica ha soppiantato quella su carta; la telefonia su rete mobile e il VOIP (Voice Over IP, ovvero la telefonia attraverso la rete Internet) tendono a sostituire quella su rete fissa (a sua volta gestita sempre più spesso attraverso centraline digitali); la musica ha già superato la prima generazione di supporti digitali, rappresentata dai CD, indirizzandosi sempre più chiaramente verso formati come l’MP3, adatti alla trasmissione via rete e all’ascolto attraverso dispositivi portatili; in campo televisivo, al digitale satellitare si affianca il passaggio al digitale anche per le trasmissioni terrestri (un passaggio per il quale il 2010 ha rappresentato l’anno di svolta) e digitale è la quasi totalità dei nuovi schermi televisivi; fotografia, videoregistrazione, cinema sono a loro volta saldamente approdati al mondo digitale e perfino l’ambito della lettura, che si è rivelato per molti aspetti il più resistente, si apre oggi a libri elettronici e giornali distribuiti via rete.

Certo, il medium non è il messaggio, ma ne influenza largamente l’orizzonte di possibilità e le forme. Non stupisce quindi che questa evoluzione negli strumenti del comunicare abbia effetti estremamente rilevanti sulle forme e, in particolare, sugli usi della lingua. Non si tratta semplicemente di analizzare prestiti e neologismi di un settore ‘alla moda’, ma di comprendere il funzionamento e i cambiamenti della lingua nel suo incontro con un ambiente comunicativo nuovo, le cui caratteristiche fondamentali si possono riassumere, da questo punto di vista, in cinque punti:

a) il carattere globale della rete, che determina una forte spinta verso l’uso dell’inglese, ‘lingua globale’ in tutte le situazioni in cui la comunicazione sia anche solo potenzialmente allargata a soggetti appartenenti ad ambiti linguistici diversi (per esempio, come vedremo, nel caso dei social network);

b) la disponibilità di uno spettro assai ampio di strumenti e contesti comunicativi diversi, dalla posta elettronica alla chat, dai siti web tradizionali ai blog, dai forum ai social network, dagli SMS ai sistemi di instant messaging, dai sistemi di messaggistica multimediale alle piattaforme di scrittura collaborativa come i wiki: strumenti caratterizzati dall’uso di registri linguistici diversi, e spesso anche dal ricorso a terminologie specializzate;

c) la velocità nello scambio comunicativo, che caratterizza almeno alcuni di questi strumenti: in particolare quelli sincroni, come la chat e l’instant messaging, ma anche alcuni fra quelli asincroni, come la posta elettronica, con la ben nota conseguenza dell’avvicinamento della comunicazione scritta a forme linguistiche proprie dell’oralità;

d) la tendenza all’espansione della comunicazione multicodicale, che affianca al testo scritto l’uso di immagini e suoni: a partire dalle ‘emoticon’ (piccole icone destinate a rappresentare azioni o stati d’animo o ad abbreviare forme testuali complesse, realizzabili sia usando segni di punteggiatura – per esempio la ben nota rappresentazione di un volto sorridente, :-) – sia in forma grafica) per arrivare ai messaggi MMS, che uniscono testo e immagini o brevi filmati, o allo scambio di foto e video commentati attraverso i social network, o ancora alla fortissima integrazione di codici comunicativi diversi presente all’interno delle pagine web. Forme di multicodicalità erano e sono naturalmente assai diffuse anche al di fuori del mondo digitale, ma l’integrazione dei diversi codici comunicativi è più frequente e più stretta in un contesto in cui la codifica digitale dell’informazione ne costituisce la base comune (si tratta del fenomeno della cosiddetta convergenza al digitale);

e) l’integrazione di agenti software all’interno del processo comunicativo, che diventa in tal modo il risultato non solo di atti comunicativi espliciti da parte delle persone coinvolte, ma anche dell’elaborazione o dell’integrazione di tali atti da parte di programmi destinati a semplificare o standardizzare la comunicazione stessa, a renderla suscettibile di elaborazione automatica o a migliorarne l’efficacia; esempi tipici – ma non certo unici – di questa tendenza sono gli strumenti di traduzione automatica, o quelli che integrano i messaggi con informazioni di geolocalizzazione.

Nelle pagine che seguono alcune considerazioni generali relative al ruolo della scrittura nel mondo dei nuovi media consentiranno di discutere dei mutamenti nell’uso della lingua, partendo dal secondo degli aspetti elencati, la differenziazione degli ambiti e degli strumenti comunicativi, utilizzandolo come guida nell’analisi – necessariamente non esaustiva – di alcune delle altre caratteristiche ricordate.

La centralità della scrittura

Come si è già accennato, lo schermo del computer è diventato veicolo di contenuti fortemente multicodicali (è questo ormai il senso probabilmente più comune del temine ‘multimedialità’), che integrano testo, immagini, suoni, video. Ma ciò non ha affatto portato a un’eclisse o a un oblio della scrittura. Al contrario, è spesso proprio al codice scritto che è affidata una sorta di ‘regia’ dell’integrazione multimediale: basti pensare al fatto che i motori di ricerca devono di norma comunque ricorrere a descrizioni testuali per permettere la ricerca e il reperimento di informazione visiva e sonora. L’era della multimedialità non ha insomma portato a un depotenziamento della comunicazione scritta, ma semmai al riconoscimento del suo ruolo centrale anche come strumento di integrazione e raccordo fra codici comunicativi diversi.

Il mondo dei media digitali non è del resto caratterizzato da un nuovo ‘linguaggio unico’, quello della multimedialità, ma da una pluralità di stili e forme espressive corrispondenti a situazioni e necessità differenti, in cui gli specifici ‘dosaggi’ dei diversi codici danno vita a strutture basate di volta in volta su distinti e particolari equilibri di ruoli e priorità, e in cui la scrittura conserva in moltissime situazioni una posizione di assoluto rilievo. Non stupisce dunque che anche a livello di media digitali e di rete si possano riconoscere e investigare proficuamente forme testuali diverse, caratterizzate da registri e usi linguistici differenti.

Questo tratto accomuna le quattro forme di testualità digitale, su cui ci si può soffermare per indagare il loro rapporto con l’uso della lingua: posta elettronica, blog, messaggistica breve e social network.

La posta elettronica

La posta elettronica è fra le prime forme di scrittura di rete: nasce negli anni 1960, con le prime reti di computer, e precede di molto l’avvento del web, avvenuto nella prima metà degli anni 1990. Il punto di riferimento ‘naturale’ per la posta elettronica è certo la scrittura epistolare, ma fra queste due forme di testualità esistono anche importanti differenze. Questo gioco di relazioni e differenze è stato al centro negli ultimi anni di numerose analisi (Fiorentino 2004; Pistolesi 2004). In linea generale, la posta elettronica presenta un carattere di maggiore immediatezza e vicinanza al linguaggio parlato (e dunque un rapporto più stretto con l’oralità), ma conserva comunque alcuni aspetti tipici della scrittura epistolare ‘codificata’. Innanzitutto il suo carattere almeno in prima istanza asincrono, che distingue l’e-mail da forme di scrittura di rete ancor più vicine all’oralità, come il linguaggio di chat. Come nel caso della corrispondenza tradizionale, l’autore di un messaggio di posta elettronica sa che il suo corrispondente leggerà il messaggio solo dopo un intervallo di tempo (anche se la rapidità dell’inoltro contribuisce a ridurlo notevolmente), ma non sa, di norma, esattamente quando avverrà la lettura. L’intestazione del messaggio, pur se generata automaticamente, ha la funzione di identificare mittente e destinatario e i rispettivi indirizzi (funzione svolta dalle informazioni riportate sulla busta nel caso della corrispondenza cartacea), e comprende anche le informazioni tradizionalmente legate al timbro postale (data di spedizione, tragitto del messaggio nei suoi passaggi dal server di provenienza a quello di destinazione). Molto spesso, soprattutto nel caso di corrispondenti non abituali, l’autore del messaggio vi include formule salutatorie in apertura e chiusura.

La persistenza dei messaggi, che possono essere archiviati, salvati, citati e trasformati in qualcosa di assai simile a un corpus testuale interrogabile e ricercabile, costituisce un ulteriore fattore che avvicina la posta elettronica alla tradizione della corrispondenza epistolare. Anche da questo punto di vista la posta elettronica resta quindi intrinsecamente una forma di scrittura. Accostarla in maniera troppo diretta alla dimensione dell’oralità rischia dunque di essere fuorviante: lo stesso uso di forme linguistiche, lessicali e sintattiche vicine al parlato corrisponde a scelte spesso consapevoli di scrittura, e dunque al riconoscimento e all’uso di specifici registri nell’ambito della testualità scritta.

D’altro canto, il registro usato nel caso delle e-mail è più frequentemente e più marcatamente informale di quanto non avvenga nella corrispondenza cartacea, il linguaggio è spesso abbreviato (con la ripresa di molte delle abbreviazioni utilizzate nella lingua di chat), le frasi tendono a essere più brevi e la sintassi più vicina a quella del parlato. In questi casi, la posta elettronica sembrerebbe essere percepita dall’utente come uno strumento di comunicazione che offre una sorta di ‘sincronia ritardata’, anziché come totalmente asincrona (Pistolesi 2004 p. 132; Bazzanella 2005 p. 4), in grado dunque di collegare gli interlocutori in un orizzonte temporale condiviso. A questo si aggiunge anche la sensazione di condividere un luogo virtuale di interazione: non a caso, a differenza della corrispondenza tradizionale, le e-mail non riportano di norma indicazioni relative al luogo in cui i messaggi sono scritti, e gli interlocutori sembrano dare per scontato che lo spazio dello scambio epistolare sia la rete piuttosto che un contesto geografico reale. Queste caratteristiche contribuiscono evidentemente ad avvicinare la posta elettronica al parlato, anche se non nella misura tipica del linguaggio di chat e in generale dei sistemi di messaggistica sincrona.

I blog

Anche la scrittura dei blog ha profonde radici nella tradizione testuale precedente e in particolare in due forme testuali assai diffuse: il diario e l’articolo di giornale o rivista (si potrebbe ancora citare la scrittura epistolare nata per la diffusione pubblica).

I blog, o weblog, sono siti web realizzati utilizzando un particolare strumento di gestione dei contenuti (CMS, Content Management System) che semplifica l’operazione di inserimento di testi in rete da parte dell’utente, organizzandoli in maniera automatica sulla base di un layout grafico (template) prefissato. I CMS utilizzati per realizzare un blog sono assai semplici, e gestiscono contenuti organizzati in messaggi (post) ciascuno dei quali accompagnato da un titolo, una data e un’ora di inserimento, un autore (la maggior parte dei blog ha un singolo autore, anche se è spesso possibile per i lettori aggiungere commenti), e un insieme di altre caratteristiche specifiche sulle quali non ci soffermiamo in questa sede.

Questa struttura ricorda immediatamente quella di un diario, e del resto lo stesso nome weblog potrebbe essere tradotto come ‘diario su web’. La forma-diario costituisce così un riferimento per numerosi blog, soprattutto quelli con un’impostazione fortemente narrativa, che pongono al centro del loro interesse l’autore e le sue reazioni e riflessioni sugli avvenimenti del giorno, personali e pubblici. Ma non tutti i blog hanno una natura immediatamente diaristica. In effetti, possono avere funzioni assai diverse: possono costituire una palestra di personal journalism e in questo caso il riferimento – rispetto al quale valutare sia gli elementi di continuità sia quelli di innovazione – è il giornalismo su carta; o una funzione di rassegna e segnalazione (di siti web, di libri, di dischi…) e il riferimento più immediato diventa allora la forma-recensione; o una funzione organizzativa e progettuale, avvicinandosi a una raccolta di documenti e ‘report’ di lavoro, articolata in questo caso spesso attorno a più autori anziché attorno a un autore singolo; o ancora una funzione informativo-promozionale sulle novità relative a un’azienda o un prodotto, producendo una sorta di newsletter aziendale. È insomma difficile, al di là della comune struttura basata su una successione cronologica di post relativamente brevi, identificare un modello singolo e uniforme di ‘scrittura di blog’, anche perché fra le tipologie sopra ricordate sono naturalmente possibili (e anzi frequenti) ibridazioni e contaminazioni di ogni genere. A questa pluralità di scopi e funzioni corrisponde dunque l’uso di una grande varietà di registri linguistici diversi (Tavosanis 2006), accomunati però di norma da livelli piuttosto alti di complessità sintattica e di competenza lessicale: nel blog non sono frequenti abbreviazioni e forme colloquiali, il modello è di norma quello della scrittura argomentativa e non quello dell’oralità.

Proprio i blog, che trasferiscono in rete le forme di testualità legate alla scrittura di un ‘pezzo’ relativamente breve e – pur nella successione dei post – di norma conchiuso e autosufficiente, e che si propongono dunque come qualcosa di abbastanza simile a ‘testate’ editoriali, rappresentano forse la forma di scrittura di rete in cui il rapporto di relazioni e differenze con la scrittura tradizionale è più stretto e nel contempo più articolato. Non a caso il mondo dei blog interagisce in maniera diretta e continua con i media tradizionali (e in particolare con il mondo della carta stampata e del giornalismo radiotelevisivo), riprendendone e commentandone spesso le notizie o, al contrario, alimentandolo con osservazioni e segnalazioni nate in rete. Ed è la scrittura di blog che, spesso più dello stesso giornalismo professionale su web, si pone in diretta continuità con una delle funzioni più rilevanti del giornalismo tradizionale, quella di strumento per eccellenza di formazione e di espressione dell’opinione pubblica.

Anche nel caso dei blog, tuttavia, agli aspetti di continuità con forme di testualità più tradizionali si accompagnano importanti differenze e innovazioni. La più rilevante sta nel fatto che i weblog e i loro post fanno pienamente parte della rete di rimandi e collegamenti che costituisce il web. I rimandi da un weblog all’altro, e dai singoli blog e post ad altre risorse di rete, sono quindi frequentissimi, e danno vita a una vera e propria ragnatela di riferimenti incrociati (blogosfera).

SMS e tweet

Gli SMS (brevi messaggi di testo scambiati attraverso le reti di telefonia mobile) e i tweet («cinguettii»: messaggi non più lunghi di 160 caratteri scambiati in rete attraverso il popolare sistema di messaggistica Twitter) rappresentano probabilmente la forma più estrema del ‘parlar spedito’. L’uso di abbreviazioni e la focalizzazione del messaggio sulla trasmissione di un singolo contenuto informativo – di norma fortemente legato al momento in cui il messaggio viene scritto, e dunque alla dimensione dello ‘sta accadendo adesso’ – rappresentano caratteristiche tipiche di queste forme di testualità. Ma mentre gli SMS sono in genere inviati da un mittente a un destinatario specifico, i tweet sono di norma pubblici e – a meno che l’autore non imposti il proprio account in modo da renderlo accessibile solo ai propri amici o indirizzi esplicitamente il tweet a un singolo destinatario – possono essere letti da chiunque abbia accesso al sistema di messaggistica. Questo carattere pubblico ha reso Twitter un sistema particolarmente adatto a due situazioni specifiche: l’informazione rapida e in tempo reale sull’attualità (ne è esempio l’uso che di Twitter hanno fatto fra il 2009 e il 2010 gli studenti iraniani impegnati nelle proteste contro il regime), e la creazione di un backchannel per commenti veloci legati a conferenze, congressi, eventi pubblici.

Alla base di questi usi in qualche misura specializzati di Twitter è il meccanismo degli hash tags: categorie che descrivono il messaggio attraverso una parola chiave o una sigla, inserite all’interno del messaggio stesso facendole precedere dal segno #. Sempre all’interno dei tweet, il segno @ viene invece utilizzato per la menzione di un altro utente del sistema, e l’abbreviazione RT (ReTweet) per indicare un messaggio ripreso da un altro utente. Così, per esempio, il tweet «RT @YahooNews: UPDATE: #BP’s trial run of #oilspill cap has been extended to monitor it for another 24 hours: http://yahoo.it/9hB7I2» rimbalza (attraverso il RT) un aggiornamento trasmesso via Twitter da Yahoo News, secondo cui il monitoraggio da parte di BP della copertura del pozzo di petrolio danneggiato nel Golfo del Messico sarà esteso per altre 24 ore. Le parole BP (British Petroleum) e oilspill («perdita di petrolio») sono precedute da #, per indicare che rappresentano le parole chiave sotto cui categorizzare il messaggio, mentre il link che lo conclude rimanda a una pagina web con la notizia per esteso.

Non avendo un destinatario specifico, è molto frequente che i tweet siano scritti in inglese, anche se a scriverli sono utenti provenienti da altre aree linguistiche. Inoltre, come si è visto, al loro interno sono spesso contenuti link che rimandano a pagine o siti web, o a contenuti multimediali (in particolare video e immagini). Come si vede, nonostante la brevità del messaggio le convenzioni che si sono sviluppate attorno a Twitter permettono di ottenere una enorme densità informativa, ma richiedono anche un linguaggio estremamente specializzato, che si allontana non solo dal modello della testualità scritta ma anche da quello del linguaggio parlato.

I social network

Sempre più diffusi, e non più solo fra un pubblico adolescente, i social network come Facebook rappresentano uno strumento per la gestione di relazioni interpersonali, permettendo al singolo utente di costruire una rete di contatti e di utilizzarla fondamentalmente per due scopi: creare un flusso (feed) di informazioni relativamente alle proprie attività, in un formato che ne consente la raccolta e visualizzazione da parte delle persone con cui si è in contatto sul sistema, e aggregare e visualizzare gli analoghi flussi informativi provenienti dai propri contatti.

Questi flussi informativi sono composti da contenuti eterogenei: brevi messaggi ‘di stato’, in cui l’utente descrive quel che sta facendo, esprime un’opinione su un fatto di attualità, segnala o condivide un contenuto; ma anche messaggi generati automaticamente dalle applicazioni che usiamo (esempio dell’intervento diretto di agenti software nella produzione di contenuti informativi). Anche in questi casi, soprattutto se i propri contatti appartengono ad aree linguistiche diverse, si ricorre spesso all’uso dell’inglese come lingua franca.

La gestione dei social network tende sempre più ad allargarsi all’uso di strumenti di comunicazione mobile, come gli smartphone, che permettono di visualizzare e aggiornare in tempo reale sia il flusso informativo proveniente da noi, sia quello relativo ai nostri contatti. In tal modo, gli smartphone allargano la loro funzione comunicativa: non più solo strumenti per telefonare o scambiare SMS, ma terminali informativi utilizzati per veicolare tipologie diverse di comunicazione, accomunate dalla velocità di distribuzione dei messaggi e dalla mediazione ed elaborazione del contenuto da parte di agenti software.

Conclusioni

Le osservazioni fin qui svolte rappresentano naturalmente solo esempi – anche se significativi – dei mutamenti che l’uso dei media digitali sta producendo nelle forme e nei linguaggi della comunicazione interpersonale via rete. Una comunicazione che non passa più solo per il computer da scrivania: se fino a qualche tempo fa si parlava di ‘comunicazione mediata dal computer’ (CMC, Computer Mediated Communication), si deve oggi riconoscere che il nostro orizzonte si è allargato a un ecosistema digitale articolato e complesso, costituito da una pluralità di strumenti e dispositivi diversi, ciascuno dei quali influenza, a suo modo, i linguaggi che utilizziamo per comunicare.

Segni di scrittura: dai pittogrammi alle emoticon

Se si considerano scrittura tutte «le tracce grafiche dotate di significati convenzionali» (G.R. Cardona) che gli uomini hanno adoperato per registrare e comunicare pensieri e linguaggio dai tempi più antichi fino a oggi, è evidente che non si può parlare di storia della scrittura, ma piuttosto di ‘storia delle scritture’ o meglio dei sistemi di intercomunicazione per mezzo di segni registrati convenzionali adottati dalle diverse società in modi differenti a seconda dei loro livelli di sviluppo e dei loro bisogni. Negli ultimi decenni, nell’ambito degli studi sulla scrittura condotti da linguisti, antropologi, etnologi, paleografi, a una visione alfabeticocentrica (ed eurocentrica) se ne è venuta affiancando un’altra più articolatamente globale e relativistica, che appare aperta alla considerazione anche delle realizzazioni grafiche di culture non alfabetiche, ovunque e in qualsiasi periodo di tempo siano state operanti. Quando si adotta una prospettiva del genere è ovvio che non si può neppure porre il problema di un’origine della scrittura in quanto tale.

I primi sistemi di scrittura

Serie di segni e di figurazioni con qualche valore comunque comunicativo risalgono in effetti assai indietro nel tempo, al Paleolitico superiore (dal 38.000-36.000 all’8500 circa a.C.). Più tardi, almeno dal Mesolitico, si cominciano ad avere veri e propri sistemi di segni grafici; si tratta in genere di sistemi pittografici, che tendono a registrare e trasmettere non un linguaggio, ma un pensiero o una narrazione attraverso la realizzazione coordinata di figurazioni più o meno essenzializzate; si pensi alle cosiddette iscrizioni dei Camuni in Val Camonica (7° millennio a.C.). Se ne trovano tracce in realizzazioni grafiche nordamericane e africane; i sistemi di scrittura dei Maya e degli Aztechi dell’America Centrale, attestati, per i Maya, all’incirca dall’inizio dell’era cristiana, erano fondamentalmente pittografici.

Metodi grafici essenzialmente pittografici furono all’origine anche dei più complessi sistemi di scrittura formatisi fra il 4° e il 3° millennio a.C. nell’area della Mesopotamia e in quella del Nilo (Egitto), in concomitanza con la prima rivoluzione agricola dell’umanità. In effetti in questa zona geografica, in funzione delle esigenze di registrazione e di distribuzione controllata di cibarie e di beni all’interno di economie organizzate in veri e propri agglomerati urbani, si vennero formando dapprima in Mesopotamia la scrittura cuneiforme (circa 3350 a.C.) e poi in Egitto quella cosiddetta geroglifica (circa 3150 a.C.). Nella scrittura cuneiforme si verifica il lento passaggio da una fase essenzialmente ideografica a una essenzialmente fonetica, in cui i singoli segni rappresentano dapprima parole di una determinata lingua (ideogrammi), poi anche suoni, acquistando la possibilità di essere adoperati anche per registrare testi in altre lingue. Le iscrizioni cuneiformi venivano per la maggior parte eseguite su tavolette di argilla fresca, disponendo i segni (a forma di chiodo, donde il nome della scrittura) in senso verticale fino alla prima metà del 2° millennio a.C.; in seguito, probabilmente per ragioni tecniche, si passò a una disposizione su linee orizzontali. La scrittura cuneiforme fu creata in area sumera e venne adoperata per lunghissimo tempo anche altrove, per es. a Ebla, in Anatolia, dagli Ittiti, e ancora da altre civiltà e per altre lingue (circa 15) usate nel Vicino Oriente antico, fino al persiano antico.

La scrittura geroglifica (il nome è greco) fu adoperata in Egitto come scrittura solenne dal 3000 a.C. fino al 1° secolo a.C.; essa consisteva in un complesso sistema di segni costituiti da figure molto bene caratterizzate, disegnate e impaginate, di persone, animali, piante, oggetti e così via, ognuno dei quali poteva avere, oltre alla designazione della cosa raffigurata, altri due valori: quello, fonetico, delle consonanti presenti nel nome dell’oggetto rappresentato, e quello, determinativo, di concetti in qualche modo a esso connessi. Gli Egiziani a fini documentari e usuali adoperarono anche due sistemi diversi di scrittura corsiva, ambedue derivati dalla scrittura geroglifica: la ieratica, costituita da segni essenzializzati, con tratti aggiuntivi in funzione diacritica e legati fra loro dalla corsività del ductus, scritta da destra a sinistra in genere con calamo su papiro, e la successiva demotica (dal 7° secolo a.C. al 5° secolo d.C.), ancor più corsiva e semplificata. L’arte dello scrivere, per la ricchezza e la complessità del sistema di segni adoperato, era circondata in Egitto di grande considerazione; si credeva che la scrittura fosse stata inventata e data agli uomini da un dio, Toth, e gli scribi costituirono sempre nella società egiziana una categoria privilegiata di funzionari oltre che una vera e propria ristretta élite intellettuale e tecnica.

Fra il 2200 e il 1700 circa a.C. si sviluppò nella valle dell’Indo un tipo di scrittura pittografica consistente in una serie di segni (oltre 400) non ancora interamente interpretati, adoperata soprattutto in sigilli e graffiti; è probabile che questa scrittura protoindiana sia in qualche modo derivata per imitazione dalla più antica scrittura, anch’essa pittografica e non ancora interpretata, degli Elamiti, adoperata nel territorio di Susa dal 3000 a.C. e testimoniata da un limitato numero di iscrizioni.

Per alcuni studiosi la scrittura cinese sarebbe stata a sua volta influenzata nel suo processo di tipizzazione (2° millennio a.C.) proprio dalla scrittura protoindiana. Certo è che nel territorio cinese già alla fine del 4° millennio a.C. si ebbero manifestazioni di scrittura pittografica; i primi esempi di una scrittura già formata su base pittografica e costituita da un gran numero di segni più o meno complessi, indicanti ciascuno una parola (e perciò, data la natura monosillabica della lingua cinese, una sillaba) si hanno in iscrizioni del 1400 a.C. La scrittura cinese (detta ‘lingua grafica’ in cinese per la sua autonoma capacità espressiva), pur attraverso notevoli evoluzioni, è l’unica di età così antica che sia rimasta sostanzialmente in uso fino a oggi. Essa comprende in totale alcune decine di migliaia di segni. Come materie scrittorie sono stati adoperati il bronzo, le ossa, la pietra, il bambù, la seta e, dal 1° secolo d.C., la carta. Anche in Cina, data la complessità del sistema grafico, l’uso della scrittura rimase appannaggio di una ristretta categoria di scribi e di letterati, che costituirono l’ossatura amministrativa dell’impero.

Nel Mediterraneo dal 2000 circa a.C. a Creta, sede della civiltà urbana minoica, si formarono due diversi sistemi di scrittura adoperati per fini amministrativi nei palazzi; l’uno, limitato, come sembra, ai sigilli, è sostanzialmente pittografico ed è detto ‘geroglifico’; l’altro, detto lineare A, fu usato dal 1700 a.C. in numerosi documenti scritti su tavolette d’argilla, pietra, metalli, ceramica, e non è ancora stato interpretato; fu diffuso anche nel territorio greco (Sparta). Sempre in Grecia, dal 1550 a.C. in avanti, si venne formando e fu usato un altro sistema grafico, derivato dalla lineare A, detto lineare B, interpretato da Michael Ventris nel 1952; si tratta di un sistema fonetico su base sillabica, che è stato largamente adoperato a Creta e nei centri micenei della Grecia per la registrazione di documenti inventariali.

I sistemi alfabetici

Prima della metà del 2° millennio a.C. nelle più importanti scritture delle civiltà mediterranee e mediorientali era già largamente presente il principio fonetico, per cui un determinato segno corrisponde a un determinato suono, contemporaneamente però a ideogrammi e a segni di tipo pittografico. Nell’area occupata dai Fenici e in particolare nel Sinai, si vennero affermando, a partire dalla metà circa del 2° millennio a.C., forme di scrittura puramente fonetiche costituite da un numero limitato di segni indicanti le sole consonanti, fino alla costituzione di veri e propri alfabeti consonantici: quello di Ugarit nell’attuale Siria (14° secolo a.C.) e quello fenicio, di 22 segni. Da quello fenicio derivò direttamente il primo vero e proprio alfabeto completo, dotato di segni indicanti sia consonanti sia vocali: quello greco, probabilmente inventato da Fenici in una località di scambio fra i due popoli (Creta, Cipro, costa fenicia) nel 9° secolo a.C. Le prime testimonianze di scrittura greca alfabetica risalgono all’8° secolo a.C. e sono di natura epigrafica.

Il periodo che seguì all’invenzione e alla diffusione dei primi sistemi alfabetici fu caratterizzato nell’area mediterranea e in quelle sud-asiatiche da una nuova e rapida fioritura di forme grafiche differenti nell’ambito di diverse aree linguistiche e culturali. In particolare in Europa l’alfabeto greco esercitò una forte influenza nell’area mediterranea e fu adottato già verso la fine dell’8° secolo a.C. in Italia dagli Etruschi con qualche adattamento rispetto al modello e quindi da altri popoli italici. A Roma e nel Lazio più o meno nel medesimo periodo esso fu ripreso, probabilmente con l’intermediazione degli Etruschi, dai Latini. Le prime testimonianze di scrittura latina giunte fino a noi sono iscrizioni su pietra o incisioni a sgraffio su metallo e presentano forme alfabetiche e disposizioni dello scritto molto vicine a quelle dell’alfabeto etrusco. La scrittura etrusca, diffusasi largamente in Italia a nord e a sud della Toscana, venne adottata da altri popoli italici; da scritture italiche derivò a sua volta l’alfabeto runico, che era formato da 24 o 33 segni e di cui è testimoniato l’uso per prodotti epigrafici a nord delle Alpi, dalla Germania alla Scandinavia, a partire dal 2° secolo d.C. Le scritture alfabetiche iberiche (almeno tre diversi sistemi) svilupparono forme derivate da modelli greci o direttamente fenici.

Nel Mediterraneo orientale e nel Vicino Oriente altre scritture alfabetiche destinate a larga espansione e a lunga vita nacquero dalle due grandi matrici costituite dalla scrittura fenicia e da quella greca. La scrittura aramaica, derivata da quella fenicia e ampiamente adoperata in una vasta area dai confini dell’Egitto all’Afghanistan, era costituita da un alfabeto consonantico di 22 lettere, cui furono aggiunti segni distintivi per indicare le vocali. Da essa discesero altre scritture palestinesi, sirio-arabe e, fra le più durature nel tempo, la siriaca, attestata da iscrizioni e poi, dal 5° secolo d.C., anche da codici, e soprattutto, dal 4°-3° secolo a.C., l’ebraica (dopo l’adozione di altri tipi grafici più antichi, scarsamente attestati), con due varietà, la ‘quadrata’ e la ‘corsiva’, e vasta produzione di libri di natura religiosa. Una diretta influenza della scrittura aramaica si è esercitata anche nella penisola indiana, dove due diversi tipi di scrittura alfabetica consonantica sono attestati dal 3° secolo a.C., la kharosti e la brahmi. In Etiopia, infine, il Regno di Aksum adottò, prima del 4° secolo d.C., una scrittura alfabetica consonantica affine a quella brahmi, trasmessa dall’Arabia meridionale, che è stata largamente adoperata per la produzione epigrafica e per quella libraria e che oggi è la scrittura ufficiale della Repubblica etiopica.

Dalla scrittura greca, assai diffusa nei regni ellenistici orientali e in Egitto, nel 2° secolo d.C. derivò la scrittura copta, che è in sostanza una maiuscola libraria greca con l’aggiunta di 6 o 7 segni di origine demotica; essa fu usata dalle comunità cristiane egiziane per iscrizioni e libri, come quelli, famosi, di Nag Hammadi (4°-5° secolo d.C.). Parimenti dalla maiuscola greca libraria derivò nel 4° secolo d.C. la scrittura gotica, inventata dal vescovo Wulfila per registrare per iscritto la sua traduzione in lingua gota dei Vangeli e usata soprattutto in Italia durante il dominio ostrogoto (5°-6° secolo). Ancora di ispirazione greca sono l’alfabeto armeno, costituito da 36 segni (5° secolo) e quello georgiano, con diverse varietà (5°-6° secolo).

Nei primi secoli dell’era cristiana, caratterizzati in Occidente, nell’area mediterranea e in quella vicinorientale, dalla presenza dell’Impero romano e in Estremo Oriente dall’organizzazione di quello cinese, la fase di creatività grafica, durata per quasi un millennio dopo l’invenzione del sistema alfabetico, apparve rallentare o esaurirsi. Le due grandi scritture del mondo classico occidentale, la greca e la latina, avevano portato alla scomparsa o alla marginalizzazione di molti altri tipi grafici; esse stesse furono modificate tipologicamente da forti trasformazioni, che portarono in campo latino alla nascita della minuscola (2°-3° secolo) e dell’onciale (4° secolo) e in campo greco all’affermazione graduale della corsiva minuscola, affermatasi nell’uso librario soltanto nel 9° secolo. In Estremo Oriente la scrittura cinese sviluppò una tipologia corsiva e venne canonizzata in modo definitivo dopo la rifondazione unitaria dell’Impero nel 221 a.C.; inoltre l’invenzione e l’adozione della carta come materiale scrittorio (1° secolo d.C.) accentuarono la diffusione generalizzata della scrittura nei territori appartenenti all’Impero e anche fuori di esso, come in Giappone, in Corea e, più tardi, in Mongolia (11° secolo) e in Vietnam.

Il millennio medievale (6°-15° secolo) fu caratterizzato nell’Europa occidentale prima dal cosiddetto ‘particolarismo grafico’, per cui tipizzazioni diverse di scrittura latina si affermarono in molte aree politico-culturali nate dalla dissoluzione dell’Impero romano, e poi da un processo di riunificazione grafica che portò alla creazione di una minuscola comune detta ‘carolina’ (fine 8°-9° secolo) e quindi, da questa, alla formazione della tipizzazione cosiddetta ‘gotica’ e di alcune corsive dell’uso pratico e documentario (12°-14° secolo). Nell’Europa orientale, caratterizzata dall’influenza o dal diretto dominio bizantino, furono elaborate fra 9° e 10° secolo due nuove scritture per i popoli slavi, la glagolitica, creata intorno all’863 dall’erudito Costantino-Cirillo, le cui lettere sono caratterizzate dalla presenza di un gran numero di piccoli cerchi (con derivazioni dalla contemporanea minuscola greca e dalla scrittura ebraica) e quindi, nella prima metà del 10° secolo, la cirillica, nata in Bulgaria dalla trasformazione e semplificazione della glagolitica (peraltro mai scomparsa dall’uso) per influenza dell’alfabeto greco maiuscolo e destinata a grande fortuna e lunga vita.

La nascita e soprattutto la grande diffusione, a partire dal 7° secolo, di un’altra importante scrittura alfabetica, quella araba, di derivazione indiretta dal grande ceppo aramaico, completarono nel corso del Medioevo il panorama delle scritture destinate a caratterizzare la storia della cultura scritta del mondo medievale, moderno e contemporaneo. L’alfabeto arabo, consonantico, è composto di 28 segni e ha conosciuto realizzazioni di altissima calligraficità (cufico). La sua diffusione, sull’onda dell’espansione politica del mondo arabo e di quella religiosa dell’Islam, è stata assai vasta, anche per la sua estrema adattabilità a esprimere per iscritto lingue diverse, dal persiano al malese, con estese presenze in Africa, dal Maghreb al Madagascar, in Afghanistan, in Pakistan, nell’Estremo Oriente. Qui si verificarono altri eventi di notevole rilievo: l’invenzione di un processo di riproduzione di testi scritti dapprima mediante la stampa di blocchi lignei incisi (Cina, Corea, Giappone, fra l’8° e il 9° secolo) e poi mediante l’uso di caratteri mobili (Cina, dall’11° secolo, e Corea, dal 13° secolo); quindi, poco prima della metà del 15° secolo, la creazione di una scrittura alfabetica coreana, la hangul, ancora in uso.

L’ultima delle grandi scritture alfabetiche a raggiungere la sua definitiva canonizzazione fu quella latina, cui nell’Italia del Quattrocento furono attribuite le forme minuscole (ricalcate sulla carolina altomedievale) e quelle maiuscole (ricalcate su quelle dell’alfabeto epigrafico classico) ancora oggi in uso nella stampa; la variante gotica, progressivamente limitata prima ai paesi dell’Europa settentrionale e poi a quelli di lingua tedesca, ha visto sempre più ridursi la sua area di uso, fino all’abolizione voluta da Adolf Hitler nel 1941. Il sistema della stampa a caratteri mobili, reinventato in Renania intorno alla metà del 15° secolo, contribuì grandemente alla diffusione dell’alfabeto latino in Europa e fuori e anche alla canonizzazione di altre scritture trasferite a stampa soprattutto a fini di evangelizzazione dalla fine del 16° secolo in avanti. Anche per questo la diffusione della stampa e l’espansione, dovuta a ragioni religiose e politiche, di alcune grandi scritture alfabetiche, hanno bloccato nell’età moderna il processo di creazione di nuove forme grafiche, tranne che in aree marginali e a economia tradizionale, come la scrittura dei Tuareg in Africa e alcune scritture create in America Settentrionale da missionari per alcuni popoli pellirosse.

Attualmente la divisione del mondo in aree grafiche differenti ricalca le maggiori divisioni culturali e politiche che segnano il pianeta; la scrittura latina, più generalmente diffusa in tutti i continenti, rappresenta la cultura del mondo capitalistico occidentale e dei paesi a esso più strettamente collegati; la scrittura cirillica si è diffusa in tutti i territori che costituivano l’ex Unione Sovietica e le sue zone di influenza; il Giappone e la Cina hanno mantenuto le loro rispettive autonomie grafiche in virtù della coerenza politico-ideologica da un lato e della forza dell’economia dall’altra; la scrittura araba caratterizza da più di un millennio la cultura islamica e le regioni in cui essa è solidamente affermata o attualmente in espansione, con funzione alternativa all’alfabeto latino; l’alfabeto greco e quello ebraico continuano a rappresentare le tradizioni grafico-culturali di due popoli di antichissima cultura.

I nuovi alfabeti grafico-testuali

I grandi sistemi di scrittura in uso nel mondo, tutti vecchi di secoli se non di millenni, rappresentano dunque un fenomeno, tipicamente politico, di affermazione o di declino di una presenza, di un’influenza, di un rapporto vincolante di predominio diretto o indiretto di un popolo o di un’area politico-culturale su un altro popolo o in un’altra area.

Anche sotto questo profilo si propongono come un fenomeno assolutamente nuovo, proprio per il loro carattere interculturale, gli alfabeti grafico-testuali in uso nel web e nello short messaging, di cui esempio tipico sono le emoticon. Il termine, crasi delle parole inglesi emotional e icon, indica particolari combinazioni di caratteri utilizzate per integrare tratti comunicativi non verbali. La loro origine si collega con la difficoltà di esprimere con il minor numero di caratteri possibile emozioni e stati d’animo, per es., nel manifestare il sarcasmo o l’ironia insiti in una frase, che si evidenziò con il diffondersi del BBS (Bulletin Board System, antenati telematici delle odierne comunità virtuali di Internet) e del Teletext (servizio di messaggistica diffuso attraverso il segnale televisivo), sistemi di comunicazione testuale molto usati tra la fine degli anni 1970 e per gran parte degli anni 1980. Secondo una ricerca del febbraio 2002, l’origine delle emoticon e del loro uso sarebbe da attribuire a Scott Fahlman, studioso di scienze informatiche, che, nel settembre 1982, propose, all’interno del BBS della Carnegie Mellon University, di utilizzare le sequenze di caratteri :-) e :-( per disambiguare il contenuto di espressioni umoristiche, al fine di evitare inutili dispute derivanti da fraintendimenti.

L’immediatezza e le limitazioni quantitative dei moderni media testuali hanno provocato una veloce diffusione delle emoticon e l’ampio uso ne ha incrementato varietà e fantasia. L’esigenza di supplire ai linguaggi cinesico ed emozionale ha aggiunto alle due codifiche di base (sorriso e tristezza) una lunga serie di espressioni facciali e posizioni corporee. Espressioni di gioia, come :->, di disperazione, come :'- per un uomo in lacrime, ma anche sofisticate raffigurazioni, come <3 per un cuore o @>-- per una rosa, trovano posto nel panorama delle espressioni non verbali trasmissibili testualmente. Le emoticon sono spesso accostate alla smiley face creata da Harvey Ball nel 1963 (una faccina gialla e sorridente, tondeggiante e stilizzata): in molti sistemi di messaggistica (istantanea e non) ogni emoticon è automaticamente rimpiazzata dalla smiley face recante la medesima espressione.

riferimenti bibliografici

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