LIGURIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

LIGURIA

Graziella Galliano
Alessandra Manfredini
Giovanna Rotondi Terminiello
Graziella Ardesi-Federico Morchio

(XXI, p. 122; App. II, II, p. 205; III, I, p. 993; IV, II, p. 338)

Popolazione. − Nel corso del ventennio marcato dai censimenti del 1971 e 1991 la L. ha confermato comportamenti per molti aspetti peculiari. La popolazione ha registrato un calo continuo, passando da 1.853.578 residenti nel 1971 a 1.807.893 nel 1981 (contraendosi del 2,5%), e ha subito un decremento ancora maggiore nel decennio successivo: al censimento del 1991 la popolazione era di 1.676.282 abitanti. Come in altre regioni dell'Italia nord-occidentale, ma con più forte intensità, tale calo è dovuto al saldo naturale negativo, che non viene più compensato dal saldo migratorio.

Dal confronto del tasso di natalità media annua (che nel decennio 1971-81 ammontava al 10,2ı) e quello di mortalità (13,9ı) con i corrispondenti valori dell'Italia nord-occidentale (rispettivamente 13,2ı e 11,9ı) emerge chiaramente una delle peculiarità liguri, che ha anticipato l'andamento demografico di altre regioni italiane. Nei primi anni Ottanta il tasso di natalità in L. si manteneva poco al di sopra del 6ı, con una differenza di due punti rispetto a quello dell'Italia nord-occidentale e di quattro nei confronti della media nazionale. Contemporaneamente il tasso di mortalità, compreso fra il 12,5ı e il 13,5ı, era più alto di due punti e mezzo del corrispondente dell'Italia nord-occidentale e di circa quattro punti di quello nazionale. In complesso, l'indice di natalità della regione si stava avvicinando alla media nazionale, mentre quello di mortalità − a causa della più elevata età media della popolazione locale − presentava sempre valori sostenuti.

Nel 1991 gli uffici anagrafici hanno registrato 11.477 nati, 23.111 morti; per il 1989 si sono avuti 35.118 immigrati da altre regioni italiane e 5186 dall'estero, 34.844 emigrati in altre regioni italiane e 1907 all'estero.

Sul saldo demografico i flussi migratori hanno svolto un ruolo di minore importanza soprattutto negli anni successivi al 1975, perché la loro differenza ha superato raramente le 3000 unità, su uno scambio che un tempo coinvolgeva in L. mediamente 80.000 individui.

Anche la composizione in base al sesso è significativa: nel 1991 sono stati contati 900 uomini ogni 1000 donne (contro i 935 dell'Italia nord-occidentale e i 950 del dato nazionale). Ciò è dovuto in gran parte alla maggiore longevità femminile, tipica dei paesi a economia avanzata, con alte quote di popolazione anziana. Quest'ultima componente ha assunto in L. un'incidenza assai rilevante. Nel 1971 la popolazione al di sopra dei 65 anni costituiva il 15,5% dei residenti contro l'11,3% nazionale; dieci anni dopo le due percentuali salivano, rispettivamente, al 18,8% e al 13,2% con una differenza quindi ancora più marcata; nel 1991 questa classe di età raggruppava più di un quinto dei residenti (21%) contro il 14,8% nazionale. Contemporaneamente le classi d'età più giovani subivano contrazioni sensibili, scendendo al di sotto dei valori nazionali già nel 1971: la popolazione al di sotto dei 25 anni costituiva il 30,2% dei residenti (contro il 39,1% nazionale), dieci anni dopo il 28,6% (contro il 37,1%), venti anni dopo il 24,03% contro il 32,01% nazionale.

All'elevato invecchiamento demografico dei Liguri corrispondeva un pari aumento della speranza di vita alla nascita, che nel triennio 1970-72 era di 69,1 anni per i maschi e di 75,6 per le femmine e nel periodo 1984-88 era salita a 72,9 e a 79,7, conservando valori sempre superiori alla media nazionale (rispettivamente 72,6 e 79,1).

La struttura familiare ligure presenta interessanti specificità a causa del basso tasso di matrimoni; nel 1991 ne sono stati celebrati 8122 di cui 70,9% di rito religioso (contro l'82% nazionale), le separazioni legali sono state 2116 (pari a 122,8 ogni 100.000 abitanti, contro il 76,3 nazionale) e i divorzi 1445 (83,9 ogni 100.000 abitanti contro il 48 nazionale).

Le caratteristiche sin qui delineate sono sufficienti a spiegare le ridotte dimensioni della famiglia ligure: nel 1991 essa era composta da 2,5 membri (contro i 3 della media italiana) e molto diffusa era la famiglia formata da una sola persona, che rappresentava il 27,23% del totale regionale, contro il 17,83% nazionale. Questa percentuale è destinata ad aumentare sensibilmente perché la L. presenta anche un'alta incidenza di famiglie composte da due membri (28,03% contro il 23,63% italiano).

I movimenti migratori in questi ultimi anni non sono stati rilevanti. I flussi di popolazione fra le quattro province liguri sono particolarmente modesti (7%), ma si mantengono piuttosto elevati quelli dai comuni dell'entroterra verso la costa; di segno positivo, pur se molto contenuto, sono gli scambi con l'estero; quasi la metà dei flussi interessa le altre regioni italiane. Le conseguenze di questi movimenti sono comunque importanti perché contribuiscono, in complesso, ad accrescere la classe d'età compresa fra i 15 e i 24 anni e, nello stesso tempo, a modificare l'assetto insediativo regionale.

L'attuale tipologia insediativa ligure si articola, essenzialmente, su tre fasce di comuni: quelli costieri di maggiori dimensioni, che hanno conosciuto un intenso sviluppo demografico fino al 1971, seguito da un calo continuo (soprattutto Genova, La Spezia e Savona); quelli ''di corona'' ai precedenti, che hanno beneficiato degli effetti della deurbanizzazione dei centri maggiori, assorbendone la popolazione; i comuni dell'entroterra, sempre più colpiti dallo spopolamento. Lungo le principali valli (Bormida, Scrivia, Fontanabuona, Magra), gli insediamenti hanno seguito, in senso altimetrico, un'evoluzione pressoché analoga. In complesso, lungo un arco di 200 km e profondo 5 km (a partire dalla costa) si concentra più dell'80% dei residenti liguri.

Ad accentuare lo sviluppo dell'urbanizzazione costiera ha contribuito il turismo, soprattutto quello residenziale. Nel 1991 il patrimonio abitativo era composto da 948.286 abitazioni, il 72% delle quali occupate, il restante 28% non occupate. Oltre i due terzi di queste ultime risultavano distribuite nei comuni costieri non capoluogo di provincia, caratterizzati da intenso sviluppo turistico. L'indice di affollamento (0,6) era più basso del corrispondente italiano (0,8).

L'occupazione dello spazio è avvenuta seguendo gli ormai tradizionali meccanismi di trasformazione territoriale che privilegiano la logica delle convenienze economiche immediate. Come documentano le rilevazioni annuali dell'ISTAT, nel periodo 1970-82 in L. sono stati sottratti alla superficie agraria e forestale più di 18.000 ha e i dati censuari precisano che la superficie agraria utilizzata dei comuni costieri (26.158 ha nel 1982) si è ridotta del 13,8%, quella dei comuni interni (90.323 ha) del 22%. Qui sono stati determinanti l'abbandono dei terreni coltivati e il successivo passaggio a produzioni spontanee; sulla costa l'agricoltura ha difeso solo le aree più remunerative, come le floricole, le uniche che hanno conosciuto qualche espansione.

Condizioni economiche. − L'invecchiamento demografico ha causato una notevole riduzione della popolazione attiva e, all'interno di questa, si è accentuata la tendenza alla terziarizzazione, già manifestatasi nei decenni precedenti. Nel 1991 gli attivi stimati dall'ISTAT in 633.000 si distribuivano solo per il 4,4% nel settore primario; il 23,2% nel secondario; il 72,4% nel terziario. Significativo è sempre il confronto con le percentuali nazionali (8,4; 32 e 59,6) che si avvicinano maggiormente a quelle registrate in L. nel 1971. L'esame più dettagliato della composizione professionale conferma la continua ''impiegatizzazione'' dei Liguri e il calo della manodopera operaia e dei lavoratori in proprio, per il ruolo di larga preminenza assunto dalle attività commerciali, dal turismo e dalla pubblica amministrazione. Le prime assorbono il 39% degli imprenditori e dei liberi professionisti, il 47% dei lavoratori in proprio e il 73% dei coadiuvanti.

La contrazione degli attivi nell'industria riflette tendenze in atto da tempo. Le grandi imprese hanno dovuto affrontare crisi finanziarie tali da impedire o ritardare adeguate ristrutturazioni e riconversioni tecnologiche e produttive; per il vero, nel decennio 1971-81 esse hanno assorbito dal 26,8% al 30,8% degli addetti, ma li hanno sottratti alle imprese medie.

Il turismo ha sempre una parte rilevante nell'economia della regione anche se il suo ruolo tende ad attenuarsi. Alla stazionarietà del flusso italiano, che predilige il settore extralberghiero (residenze secondarie), corrisponde una continua contrazione degli stranieri. Nel 1990 sono state registrate negli esercizi alberghieri 9.943.488 presenze italiane e 2.982.583 straniere (con permanenza media di 3,8 giorni), negli esercizi complementari rispettivamente 3.226.790 e 864.056 (permanenza media 6,4), negli alloggi privati rispettivamente 5.976.667 e 278.247 (permanenza media 27,3). L'attrezzatura alberghiera è composta di 2312 esercizi con 95.079 letti (pari al 5,6% dell'attrezzatura italiana), quella rimanente da circa 280.000 posti letto, distribuiti prevalentemente nei campeggi e negli alloggi privati

Anche se i dati relativi al turismo seguono un andamento pressoché costante, il settore è soggetto a una crescente concorrenza da parte delle altre aree turistiche italiane, dotate delle infrastrutture ricreative e sportive sempre più richieste dal turismo di massa. La lunga tradizione turistica ha causato l'obsolescenza di alcune strutture alberghiere; d'altra parte la particolare conformazione del bacino di utenza del turismo ligure, che racchiude nel raggio di 300 km la più alta quota di domanda esistente in Italia, assicurando la fedeltà di molti ospiti ha contribuito a rendere meno pressante la necessità di rinnovamento. I rischi insiti nello sfruttamento di questa rendita di posizione, in una fase di mutamenti delle esigenze del turista, sono evidenti.

L'attività portuale, cardine tradizionale dell'economia ligure, ha subito per cause molto complesse un'involuzione costante a partire dalla metà degli anni Settanta. È inoltre fallito il tentativo di organizzare aree periportuali oltre Appennino, ma risulta molto promettente il futuro dei trasporti unitizzati, per la recente entrata in esercizio di un nuovo terminale (Calata Sanità) per contenitori e in previsione dell'entrata in funzione del porto ''satellite'' di Genova-Voltri, destinato solo a trasporti in containers. Anche il porto di La Spezia si è attrezzato per il movimento dei containers, seguito, in modo più lento, da quello di Savona, che ha occupato parte della rada di Vado Ligure. Ma tutte e tre le città devono superare i problemi della ristrutturazione delle aree industriali liguri.

Nel capoluogo regionale, in occasione delle celebrazioni colombiane, sono state trasformate alcune aree portuali, anche se gli edifici per l'Esposizione Specializzata La nave e il mare, il Palazzo dei Congressi e altre strutture sono stati realizzati senza un piano di impiego futuro. Oggi il porto di Genova conserva una posizione di primo piano quale scalo commerciale italiano, seppure con un volume di traffico (circa 40 milioni di t all'anno) stazionario; inoltre, esso vanta il secondo posto (dopo Napoli) per traffico di passeggeri e per traffico di crocieristi (dopo Venezia). Dopo 20 anni di precarietà, l'attività aeroportuale di Genova-Sestri, con l'apertura della nuova aerostazione, si è affermata: nel 1991 sono stati contati circa 720.000 passeggeri e la frequente inagibilità degli aeroporti di Milano e Torino per la nebbia garantisce all'aeroporto ligure una funzione insostituibile, limitata solo da episodi di ventosità. Sono occorsi più di vent'anni di lavori per migliorare la linea ferroviaria Finale Ligure-Savona-Varazze (con lo spostamento del tracciato in nuove sedi e doppio binario); attualmente i lavori proseguono in altre tratte della zona di Imperia. Anche la costruzione della metropolitana di Genova segue tempi molto lenti; è stato realizzato solo un brevissimo tratto, utilizzando una galleria già esistente. In complesso, il sistema infrastrutturale lamenta lacune soprattutto nei collegamenti verso l'interno e fra le aree più urbanizzate. L'autostrada, che dovrebbe svolgere funzioni di grande comunicazione, assume in alcune zone crescenti funzioni urbane e metropolitane che si sovrappongono a quelle portuali e turistiche, con conseguenti gravi congestioni e disfunzioni.

Nonostante la crisi endemica del capoluogo ligure e l'assenza di poli sostitutivi di sviluppo modellati sulle aree-sistema del localismo economico, la L. si connota nel quadro socio-culturale delle regioni italiane per gli elevati tassi di scolarità, per i significativi livelli qualitativi e quantitativi delle attività culturali, per gli indici molto alti di lettura. Come attestano questi e altri indicatori, la qualità della vita dei liguri può essere considerata di buon livello.

Bibl.: G.M. Ugolini, Liguria. Una struttura lineare inevitabilmente concentrata, in I sistemi locali delle regioni italiane (1970-1985), Memorie Società Geografica Italiana, vol. xliii, Roma 1989, pp. 186-210; AA.VV., La scoperta della Liguria, Milano 1991. Per trattazioni su singoli temi, v. le varie pubblicazioni dell'Istituto Ligure di Ricerche Economiche Sociali (ILRES) e le Pubblicazioni dell'Istituto di Scienze Geografiche della Facoltà di Magistero dell'università di Genova.

Preistoria. - Paleolitico. - A differenza dei vicini siti francesi (Vallonet, Terra Amata, Lazaret), la L. ha poche testimonianze del più antico Paleolitico; i pochi dati provengono da scavi condotti nel 19° secolo e quindi sono solo parzialmente utilizzabili. A Grotta del Principe, ai Balzi Rossi, un'industria proveniente da breccia consolidata è caratterizzata da manufatti atipici su scheggia, mentre un livello sovrastante, della fine del Riss, ha rivelato materiali dell'Acheuleano superiore, con bifacciali e strumenti su scheggia; negli stessi livelli si è rinvenuto un frammento di osso iliaco, appartenente a un adulto di sesso maschile, dai caratteri tipici di Homo erectus. Nei livelli inferiori della Grotta del Colombo, datati al Riss, sono stati rinvenuti strumenti su scheggia in quarzo e quarzite, con ritocco a scaglie tipo Quina arcaico.

Paleolitico Medio. - I livelli musteriani presenti nelle grotte liguri poggiano sulla spiaggia marina fossile ''tirreniana'', che in alcuni casi (per es. alla Madonna dell'Arma) è stata datata a 95.000±5000; questo periodo, ben documentato in molte grotte dei Balzi Rossi, è caratterizzato dalla presenza d'industria musteriana con tecnica levallois: è presente nei livelli 5-2 della Barma Grande in depositi antropici ricchi di focolari, a Grotta del Principe (focolari E-D), a Grotta Santa Lucia e Grotta della Madonna dell'Arma (livelli K-V) e, sull'altopiano finalese, a Grotta delle Mànie.

Un musteriano più ricco di denticolati, e sempre caratterizzato dalla presenza della tecnica levallois, si sovrappone, al Riparo Mochi, a livelli musteriani più antichi. Nella Grotta del Caviglione sono attribuibili al musteriano quattro livelli distinti di focolari e nella Grotta dei Fanciulli i livelli L, M, N hanno rivelato strumenti musteriani. A Grotta delle Fate, i cui livelli inferiori erano riferibili alla prima fase della glaciazione del Würm, accanto a un musteriano tipico ricco di raschiatoi, sono stati recentemente identificati alcuni reperti umani di tipo neandertaliano.

Anche in una fase avanzata del Würm le grotte liguri continuano a essere frequentate: la recrudescenza climatica è attestata da analisi polliniche, effettuate per es. a Grotta delle Mànie, e da faune di clima freddo rinvenute associate alle industrie. A Grotta del Principe, depositi crioclastici indicano un sensibile peggioramento climatico, confermato dalla presenza di renna nel grande focolare B, caratterizzato dal sovrapporsi di 9 livelli di combustione.

Paleolitico Superiore. Nel corso della glaciazione del Würm, avviene una lenta e profonda trasformazione in campo antropologico: legato a un'industria dai caratteri nuovi, l'Aurignaziano, compare il tipo umano moderno, Homo sapiens sapiens.

A partire da circa 40.000 anni fa, tutta la regione dei Balzi Rossi viene sistematicamente e intensamente frequentata: a Riparo Mochi è presente un protoaurignaziano a lamelle a dorso marginale che in altri contesti (a Castelcivita di Salerno) è stato datato circa 30.000 anni fa; l'Aurignaziano antico, individuato negli strati superiori (strato F), è presente anche al Caviglione e alla Grotta dei Fanciulli (strato K); è contraddistinto dall'abbondanza dei grattatoi, soprattutto carenati e a muso ed è associato a un'industria ossea con significativa presenza di punte a base spaccata. Dai livelli K-G di Grotta dei Fanciulli proviene la doppia sepoltura di una donna anziana e di un giovane, dai tratti negroidi, deposti in posizione ranicchiata. Tra i livelli G e H è stata inoltre rinvenuta una singola sepoltura maschile, in posizione supina. Recenti revisioni attribuiscono queste sepolture a un momento più avanzato, forse all'inizio del Gravettiano.

Presenti in molte grotte liguri, i complessi gravettiani si differenziano notevolmente dai precedenti, caratterizzandosi spesso a livello regionale con differenziazioni notevoli. Nella serie di focolari sovrapposti del Riparo Mochi è presente un gravettiano a punte a dorso, indifferenziato, e in seguito un gravettiano a bulini di Noailles, mentre un gravettiano finale è attestato a Grotta dei Fanciulli (strato o ''focolare'' G).

Livelli gravettiani sono presenti, con testimonianze più o meno consistenti, nelle altre grotte dei Balzi Rossi, mentre la prima occupazione umana all'Arma dello Stefanin risale all'Epigravettiano antico, come i focolari 3-1 delle Arene Candide e il focolare F della Grotta dei Fanciulli; da quest'ultima località proviene la sepoltura doppia di due bambini, con abbondanti conchiglie in prossimità del bacino e una sepoltura femminile singola. Alla Barma Grande varie sepolture, tra le quali quella di una donna, di un uomo e di un adolescente, deposti su un letto d'ocra, avevano un ricco corredo consistente in pendagli d'osso e avorio, conchiglie marine forate, vertebre di pesce e denti di cervo.

Alle Arene Candide, nei livelli riferibili all'Epigravettiano Antico, sono stati messi in luce sette livelli di focolari sovrapposti, con datazioni assolute a partire da 20.000 anni fa. Sotto il focolare V si rinvenne una sepoltura particolare, di un adolescente (circa 15 anni), giacente su un letto di ocra rossa, con una ''cuffia'' di conchiglie di nassa; ornamenti in osso e conchiglia, corna di alce forate, una grande lama di selce impugnata nella mano destra, fanno di quest'individuo un personaggio di rilievo. Una recente datazione al C14, dal più recente dei focolari, è stata di 18.560±210. Livelli riferibili all'Epigravettiano Antico sono stati rinvenuti, inoltre, a Grotta dei Fanciulli (focolare F), e a riparo Mochi (strato C). Dalla Barma Grande provengono forse 15 statuette femminili in steatite, le cosiddette ''Veneri'', di piccole dimensioni (7 cm. la più grande), caratterizzate dallo sviluppo delle masse adipose; la loro incerta provenienza le fa solo genericamente attribuire al Gravettiano/Epigravettiano Antico; sempre a questo periodo sono attribuibili le 11 sepolture in grotta (nove singole, una duplice e una triplice) di 8 uomini adulti, una donna adulta, 5 adolescenti.

L'Epigravettiano, considerato in molti casi una fase di transizione, è caratterizzato in L. dallo sviluppo delle troncature e delle punte a dorso, dalla presenza di geometrici, dal prevalere dei grattatoi lunghi. In L. è presente nella Grotta dei Fanciulli e nello strato ix dell'Arma dello Stefanin.

L'Epigravettiano Finale si presenta con un aumento notevole degli insediamenti mentre nell'industria vi è una tendenza al microlitismo. Nel Riparo Mochi lo strato A presenta un'abbondante industria con grattatoi, bulini e microbulini, punte e lamelle a dorso, geometrici. Alle Arene Candide, nel livelli epigravettiani finali fu rinvenuta una vera e propria necropoli, con 15 tombe, due delle quali duplici. I defunti (11 adulti, 1 adolescente, 4 bambini e 2 feti) erano deposti su un letto di ocra, con la testa e i piedi coperti da grosse lastre di pietra; oltre a strumenti litici e di osso, conchiglie, interessante la presenza di vertebre caudali e di zampe di scoiattolo. Una prima datazione a 10.330±95 è stata recentemente integrata da altre, che hanno dato 11.750±95 (per i tagli 3-4) e 10.910±90 (per i tagli superiori, 1-2).

Livelli epigravettiani finali sono stati rinvenuti all'Arma dello Stefanin (liv. v-iv) e Arma di Nasino (liv. xiii-xi), due grotte, non distanti tra loro, a 500 m. di altezza; nella prima grotta il livello più antico è stato datato a 8800±300 anni fa; la seconda grotta ha un'industria, confrontabile con il romanelliano finale del Salento, che sembra concludere l'Epigravettiano Finale.

Mesolitico. - Nelle grotte liguri, così ricche di testimonianze dell'Epigravettiano, mancano indicazioni riferibili al Mesolitico: il periodo cronologico compreso tra l'inizio del pre-boreale e l'Atlantico non appare stratigraficamente documentato; molto spesso nelle grotte formazioni stalagmitiche suggellano i livelli del Paleolitico Superiore, indicando condizioni climatiche sfavorevoli. In altre aree, come sulle alture dell'Appennino di Levante, recenti ricerche hanno individuato una serie di siti mesolitici castelnoviani, che sembrano rappresentare stazionamenti stagionali.

Neolitico. - Indizio di un'interruzione nella frequentazione è la presenza, in molte stratigrafie, di un livello sterile sottostante gli strati di occupazione neolitica; anche se l'innalzamento del livello del mare e fenomeni di deposizione alluvionale hanno contribuito in maniera determinante alla perdita di molti probabili siti costieri, la dislocazione di quelli conosciuti non sembra assolutamente rispecchiare modelli noti altrove.

I dati, per questo periodo, provengono da grotte, situate spesso in valli profonde, distanti fino a 20 km dal mare, poste a una certa quota (Grotta Pollera, Grotta Edera, Arma del Sanguineto, Grotta di Santa Lucia, Arma di Nasino, Arma del Pertusello) o affacciate direttamente sul mare (Arene Candide): le testimonianze relative all'agricoltura sono scarse, come scarsi sono i terreni fertili e pianeggianti, posti nelle immediate vicinanze; la presenza di animali domestici, accanto a testimonianze di caccia/pesca, indica soluzioni economiche alternative. I livelli più antichi, caratterizzati da ceramica impressa, sono datati al C14 a 5000±100 a Grotta Pollera, mentre un momento più avanzato della stessa facies è datato, alla stessa Pollera e alle Arene Candide, 4050±100.

Nella L. orientale, a Pianaccia di Suvero, aspetti economicamente ancora legati a tradizioni mesolitiche sono presenti in contesti nei quali la ceramica impressa è associata a industria litica dai caratteri epipaleolitici, con un accentuato microlitismo. Stratigraficamente sovrapposti ai livelli a ceramica impressa, alle Arene Candide e alla Pollera sono stati individuati livelli con ceramica decorata a graffito, che sembra evidenziare, nella forma e nella decorazione dei vasi, contatti ad ampio raggio con culture coeve.

La cultura dei vasi a bocca quadrata caratterizza il Neolitico Medio alla Pollera (tagli ix-xv), alle Arene Candide (liv. v), ad Arma di Nasino (tagli ix-viii), all'Arma dell'Aquila, a Grotta dei Pipistrelli, al Riparo dell'Alpicella, a Grotta delle Fate; nella ceramica, le forme più comuni sono orci, tazze, fiaschi; nell'industria litica, grattatoi su lama, punte peduncolate e numerose accette in pietra verde, alcune delle quali miniaturizzate; importante l'industria su osso. Frequenti le statuette femminili, spesso rappresentanti solo la parte superiore della figura e le pintaderas, sorta di stampi in argilla a motivi vari. Mentre le sepolture più antiche erano in semplice fossa, alle Arene Candide e in altre grotte liguri in questa fase compaiono le sepolture in cista litica, con l'inumato deposto in posizione fortemente ranicchiata. Le datazioni al C14 effettuate alle Arene Candide indicano, per i momenti più recenti di questa fase, 3520±100.

Nel Neolitico Superiore la L. è partecipe di una più ampia koiné culturale, rappresentata dalla facies della Lagozza, che ha in quest'area una lunga durata. Alle Arene Candide, alla Pollera, ad Arma di Nasino, si presenta con i tipici scodelloni, piatti a tesa, ciotole, orci, cucchiai e le caratteristiche prese multiple, sottocutanee, definite ''a flauto di Pan''.

A partire dall'Eneolitico e per tutta l'età del Bronzo nelle valli del Monte Bego, nelle Alpi Marittime, si ha un'intensa frequentazione, forse legata a movimenti di transumanza stagionale: i massi levigati dai ghiacciai sono stati decorati, nel tempo, con migliaia di incisioni, rappresentanti figure antropomorfe, zoomorfe (soprattutto bovidi) e oggetti vari, tra i quali pugnali, alabarde, ruote, strumenti agricoli, ecc. All'inizio dell'età dei metalli risalgono le più antiche statue-stele, rinvenute al limite occidentale della L., ai confini con la Toscana; sagomate in pietra, rappresentano figure umane maschili (con rappresentazione di armi) e femminili (con indicazione dei seni e oggetti di ornamento). A Pontevecchio, in provincia di La Spezia, si rinvennero 9 stele ancora infisse nel terreno.

Durante l'Eneolitico la L. sembra partecipare in vario modo di esperienze transalpine e padane. È frequente l'uso delle grotte per uso funerario, con deposizioni collettive che riflettono un protrarsi di tale costume nel tempo: alla Tana di Bertrand, ossa umane sono associate a punte di freccia e perles à ailettes che ricordano esemplari simili del calcolitico francese; stessi materiali nel riparo sotto roccia di Arma della Vigna e nella cavernetta di Tana dell'Armusso; all'Arma della Grà di Marmo il deposito sepolcrale era all'interno di una fossa, delimitata da lastre di calcare. Alla Tana della Volpe gli strati ii e iii hanno rivelato un vero e proprio ossario, dello spessore di 1 m: la ceramica indica un orizzonte di passaggio tra Neolitico Tardo ed Eneolitico.

A un orizzonte cronologicamente più tardo, nell'ambito dell'Eneolitico, devono essere riferite le testimonianze di vaso campaniforme rinvenute a Riparo della Cava di Loreto, ad Arma di Nasino, ad Arma delle Anime e alla Pianaccia di Suvero, oggetti che testimoniano ancora una volta l'ampiezza e l'intensità dei rapporti della L. in ambito europeo. In questa prospettiva va visto anche lo sfruttamento dei giacimenti di rame della L. orientale, quali quello di Libiola (Genova), datato al C14 alla metà del iii millennio a.C.

Età del Bronzo. - Una revisione dei vecchi materiali e una serie di nuovi rinvenimenti, hanno ridimensionato l'ipotesi di un isolamento culturale della L. durante l'età del Bronzo. La documentazione più completa relativa all'antica e media età del Bronzo si ha nella Grotta Pollera, dove la sequenza stratigrafica è stata suddivisa in 11 tagli. La fase più antica (tagli 4-11), riconducibile a un ambito tardo poladiano, presenta anse a gomito, anse con sopraelevazione ad ascia, un pugnaletto di bronzo. A una fase iniziale della media età del Bronzo sono riconducibili i tagli superiori (1-3), con vasi biconici e decorazione a solcature e cuppelle, che trovano confronti in ambiente terramaricolo. Per il Bronzo Antico, la grotta-sepolcreto Da Prima Ciappa Superiore, presso Genova, ha restituito una cospicua quantità di ossa, attribuibili ad almeno 10 individui, e materiale consistente in punte di freccia, oggetti di ornamento, un pugnaletto in selce, una lamina in bronzo. Più recenti i ritrovamenti di Grotta del Pertuso (Imola), altra grotta sepolcreto i cui materiali, come quelli provenienti dalle Arene Candide e da Arma del Morto, hanno confronti con Polada.

Si è visto come una fase di transizione al Bronzo Medio sia rappresentata a Grotta Pollera, mentre un Bronzo Medio vero e proprio è poco documentato in L., tranne che in ritrovamenti sporadici. A Bric Tana (Savona), in prossimità di una dolina, il Bronzo Medio è presente in uno strato contenuto in una struttura a fossa con allineamento di pietre.

Un discorso a parte meritano i siti di altura, frequentati stagionalmente a partire dall'Eneolitico e dal Bronzo Antico (Tana del Barletta, Castellaro di Uscio, Prato Mollo), ma strutturati in modo più complesso, con muretti a secco, terrazzamenti, capanne, a partire dal Bronzo Medio, come i siti di Zignago e di Camogli.

Nel Bronzo Recente continuano a essere frequentati i ''castellari'' costieri (Camogli) o di montagna (Zignago, Rocche di Drusco) dove ceramica tipica del xiii secolo collega questi insediamenti alle culture coeve di Canegrate, con confronti anche con l'area appenninica. Dalla L. occidentale proviene il ripostiglio di bronzi di Sassello, databile, sulla base della tipologia delle spade, al xiii-xii secolo.

Nel Bronzo Finale continua l'utilizzazione dei castellari; a Uscio è stato individuato uno strato di questa fase, con biconici decorati a turbante sulla spalla, confrontabili con esemplari protovillanoviani. È di questo periodo il ripostiglio presso Loto, il cui materiale è disperso. Vedi tav. f.t.

Bibl.: L. Bernabò Brea, Gli scavi nella caverna delle Arene Candide, vol. i, Bordighera 1946; L. Cardini, Gli strati mesolitici e paleolitici della caverna delle Arene Candide, in Riv. Studi Liguri, 12 (1946); L. Bernabò Brea, Gli scavi nella caverna delle Arene Candide, vol. ii, Bordighera 1956; L.H. Barfield, North Italy before Rome, Londra 1970; Atti 16ª Riun. Ist. Ital. Preist. Prot., Firenze 1974; S. Tiné, Il neolitico e l'età del Bronzo in Liguria alla luce delle recenti scoperte, in Atti 16ª Riun. Ist. Ital. Preist. Prot., Firenze 1974; AA.VV., Archeologia in Liguria. Scavi e scoperte 1967-75, Genova 1976; E. Bernardini, La preistoria in Liguria, ivi 1977; E. Anati, Valcamonica. 10.000 anni di storia, Capo di Ponte (BS) 1980; B. Bagolini, Introduzione al Neolitico dell'Italia settentrionale, Pordenone 1980; A. Del Lucchese, R. Maggi, Considerazioni sulla cronologia dell'età del Bronzo in Liguria, in Riv. Studi Liguri, 48 (1982); P. Biagi, R. Maggi, Aspects of the Mesolithic Age in Liguria, in Preistoria Alpina, 19 (1983); I primi agricoltori. L'uomo e la civiltà in Liguria, a cura di S. Tiné, Genova 1983; I cacciatori paleolitici. L'uomo e la civiltà in Liguria, a cura di S. Tiné, ivi 1983; AA.VV., Archeologia in Liguria, ii. Scavi e scoperte 1976-81, ivi 1984; P. Biagi, Il neolitico della Liguria e del Piemonte, in Atti 26ª Riun. Ist. Ital. Preist. Prot., Firenze 1987; A. Aspes et al., L'età del Rame nell'Italia settentrionale, in L'Età del Rame in Europa, in Rassegna di Archeologia 7 (1987), Firenze 1988; P. Biagi, R. Maggi, R. Nisbet, Liguria. 11.000-7000 BP, in The mesolithic in Europe, Edimburgo 1989; G. Barker, C. Baroni, P. Biagi, G. Clark, R. Maggi, R. Nisbet, From hunting to herding in the Val Pennavaira, in The neolithisation of Alpine Region, Brescia 1990; A. Del Lucchese, Liguria, in L'Italia settentrionale. L'Europa nell'età del Bronzo, Rassegna di Archeologia 10, Firenze 1990-91; R. Maggi, R. Nisbet, Prehistoric pastoralism in Liguria, in Riv. Studi Liguri, 56 (1990).

Arte. - Il patrimonio storico e artistico della L. negli ultimi venti anni è stato oggetto di costante attenzione per quanto riguarda la catalogazione, la tutela e la conservazione, accompagnate da ricerche di archivio, interventi restaurativi e indagini sul territorio che hanno apportato contributi di conoscenza proficui e significativi. L'arte ligure ha così conquistato un suo spazio nel panorama europeo, recuperando individualità e un ruolo ritenuto per troppo tempo marginale.

I risultati positivi sono anche frutto dell'esemplare collaborazione scientifica e operativa instauratasi tra gli uffici statali di tutela e l'Istituto di storia dell'arte dell'università di Genova. Le conoscenze, acquisite da un lato attraverso la catalogazione dei beni culturali e gli interventi di restauro, programmati anche in base a quanto emergeva dalle schede di catalogo sullo stato conservativo delle opere, e dall'altro attraverso la consultazione degli archivi e la rilettura delle fonti, hanno permesso di ricostruire varie personalità artistiche, di acquisire certezze su cronologie ancora dubbie e di scoprire un mondo di strette connessioni tra artisti e committenti, in un contesto storico che potenzia il significato delle opere al di là del loro valore intrinseco.

La catalogazione e la precatalogazione dei beni è stata compiuta in modo sistematico su circa il settanta per cento del territorio, giovandosi della collaborazione delle autorità ecclesiastiche e degli enti locali. La Regione alla fine degli anni Settanta ha promosso la formazione professionale di giovani laureati, impegnati in campagne di schedatura sul territorio, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza e dell'università e con la consulenza dell'Istituto centrale del catalogo e della documentazione, anche al fine di dar vita a un Centro regionale per la documentazione che occuperà un'ala del Palazzo Ducale di Genova, recentemente restaurato e destinato a ospitare mostre, seminari, attività commerciali di supporto, ecc.

La cultura del restauro ha trovato fondamento nelle esperienze postbelliche. Il laboratorio di Palazzo Reale a Genova (già operoso in via embrionale, per le emergenze, quando i bombardamenti erano ancora in atto; istituito ufficialmente nel 1954, con strutture considerate allora d'avanguardia; ristrutturato e potenziato nel 1988-89) è punto di riferimento non solo per interventi ordinari su dipinti, sculture lignee, materiale lapideo e tessuti, ma anche per la sperimentazione e la didattica, conferendo al lavoro di restauro, effettuato in passato da pittori restauratori, una sua autonoma qualificazione scientifica.

La Soprintendenza è attivamente impegnata anche nel Laboratorio sperimentale di rilevamento grafico e fotografico ed informazione visiva per i beni culturali, e nei Corsi di conservazione e restauro di dipinti su tela, di dipinti murali e di ceramica, promossi negli anni Ottanta dalla Regione, in collaborazione con l'Istituto centrale del restauro, con l'Accademia ligustica di belle arti e, per quanto riguarda la ceramica, con il comune di Albissola. Altrettanto utile è stato il lavoro svolto dal laboratorio di restauro della Soprintendenza archeologica per il recupero di oggetti della cultura materiale, dal medioevo al secolo scorso, ritrovati nel corso delle indagini nel sottosuolo effettuate nei siti in cui la persistenza di vita si è prolungata per secoli. Il centro storico di Genova si è rivelato in questo senso uno straordinario campo di ricerca, così come la Fortezza del Priamar a Savona, la Chiesa di Brugnato, la zona di Varigotti capo, S. Paragorio a Noli, ecc. I reperti recuperati attraverso gli scavi stratigrafici, oltre a confermare l'esistenza in L. nell'alto Medioevo di varie realtà culturali (bizantina, longobarda, carolingia), chiariscono il contesto entro cui sorsero importanti monumenti tuttora conservati nella regione, come il celebre battistero di Albenga (5° secolo) o, a Genova, la cripta di S. Nazario (6°-7° secolo) sottostante alla chiesa di S. Maria delle Grazie al Molo.

Nell'ambito degli interventi restaurativi sui dipinti murali − sui quali forse si è operato in misura minore per gli alti costi e l'inadeguatezza dei fondi − sono stati scoperti e recuperati alcuni cicli quattrocenteschi ad affresco che hanno consentito un sensibile miglioramento delle conoscenze sulla pittura in L. nel 15° e 16° secolo, molto depauperata soprattutto a causa delle ristrutturazioni subite nel corso del tempo dai complessi monumentali di cui facevano parte.

Tra le scoperte più significative ricordiamo gli affreschi nella chiesa di S. Caterina a Finalborgo, che hanno contribuito a ricostruire l'attività ligure di Taddeo di Bartolo e di Giovanni da Pisa; a Savona, gli affreschi già nella Chiesa di S. Domenico presso il Priamar, quelli di Giovanni Masone nella Cappella funebre dei genitori di Papa Sisto iv della Rovere (detta Cappella Sistina), e gli affreschi del Monte di Pietà, parzialmente attribuiti a Lorenzo Fasolo; ad Albenga, la decorazione pittorica dell'antica Cappella del Palazzo Vescovile, ora sede del Museo Diocesano, assegnata al ''Maestro di Lucéram''; a Moneglia, il ciclo con Storie della Vergine e di Cristo nell'Oratorio dei Disciplinanti, di un ignoto pittore lombardo operoso tra il 1500 e il 1510; a Genova, le raffigurazioni ancora inedite recuperate sulle pareti di una sala antistante l'attuale sacrestia di S. Bartolomeo degli Armeni, anch'esse assegnabili a un maestro lombardo del primissimo Cinquecento. Si è anche provveduto a intervenire su affreschi in stato di forte degrado, come quelli dei due refettori degli ex Conventi Olivetani di S. Maria delle Grazie a Portovenere e di S. Girolamo a Genova-Quarto, entrambi eseguiti da Nicolò Corso alla fine del Quattrocento, e inoltre, per quanto riguarda la grande decorazione barocca a Genova, sui cicli pittorici di Andrea e Ottavio Semino a Palazzo Cambiaso; di Lazzaro Tavarone a Palazzo Spinola di Pellicceria; di Domenico Fiasella a Palazzo Alberti-De Franchi e a Palazzo Ducale; di Valerio Castello e del Mitelli-Colonna a Palazzo Balbi Durazzo, ora Reale; ancora di Valerio Castello e di Gregorio De Ferrari a Palazzo Balbi; dei Carlone a S. Siro, nella chiesa della SS. Annunziata del Vastato, nella cappella di Palazzo Ducale e in S. Giovanni Battista di Chiavari. A un'interessante analisi non distruttiva, finalizzata a definirne la tecnica d'esecuzione, è stata inoltre sottoposta la quattrocentesca Annunciazione di Giusto di Ravensburg nel Convento domenicano di S. Maria di Castello a Genova, rarissimo esempio di dipinto murale eseguito da un artista nordico che, come le analisi hanno rilevato con risultati significativi per i collegamenti ai quali rimandano, usò una tecnica mista, affresco-tempera grassa, già descritta dal Cennini e utilizzata negli stessi anni anche da Piero della Francesca in S. Francesco ad Arezzo.

Particolarmente impegnativi per i problemi connessi al tema della reintegrazione si sono infine rivelati gli interventi effettuati sulle facciate dipinte, che costituirono, a cominciare dalla fine del Quattrocento, una caratteristica peculiare dell'architettura genovese, essendo state realizzate per ottenere nelle anguste strade del centro antico, attraverso le finte prospettive, un'illusoria dilatazione dello spazio, e per convogliare, attraverso le raffigurazioni allegoriche, messaggi autocommemorativi da parte della nobiltà cittadina. A iniziali interventi conservativi (facciate di Palazzo Doria Spinola in Largo Lanfranco e di Palazzo Spinola in Via Garibaldi) sono seguiti restauri più incisivi a Palazzo Serra di piazza Banchi e a Palazzo Spinola di Pellicceria, nelle cui facciate è stato compiuto un consistente lavoro di reintegrazione pittorica, incoraggiato anche dal consenso degli specialisti che parteciparono nel 1982, a Genova, al primo convegno di studi organizzato in Italia sui problemi di conservazione e restauro dei prospetti esterni. Deve invece considerarsi irripetibile la scelta d'intervento fatta per le facciate di Palazzo San Giorgio, che sono state totalmente ridipinte, in occasione dell'anno colombiano, utilizzando i cartoni e i bozzetti degli apparati ornamentali realizzati all'inizio del nostro secolo da L. Pogliaghi, sulla falsariga delle decorazioni seicentesche.

Il restauro di dipinti su tela e su tavola è stato programmato ad ampio raggio, in favore di un patrimonio logisticamente diversificato per influenze culturali e per la quantità delle opere di artisti ''forestieri'', giunte in L. grazie a una colta committenza e a un gusto per il collezionismo, mantenutosi vivo fino ai nostri giorni.

Nel ponente della L. sono stati oggetti d'intervento dipinti di artisti di area piemontese-ligure-provenzale operosi tra Quattro e Cinquecento (Giovanni Canavesio, Agostino Casanova, Tommaso e Matteo Biazaci da Busca, ecc.), con interessanti recuperi e scoperte (la tavola con i Santi Eleuterio e Placido in trono, attribuita al Maestro di Cesio; il Polittico di S. Biagio del Maestro di Pornassio; il Polittico di S. Pietro a Ceriana). In alcuni complessi monumentali di particolare importanza (per es., la Chiesa e il Convento dei Domenicani di Taggia, S. Biagio a Finalborgo, il Santuario di N.S. della Misericordia a Savona) è stato restaurato tutto il patrimonio artistico ivi conservato, dai quadri agli arredi liturgici. Nel levante, oltre a interventi di grande prestigio (per es., quelli che hanno riguardato l'ingente patrimonio anche marmoreo della Cattedrale di Sarzana, compreso il Crocifisso di Guglielmo, attualmente in restauro a Firenze presso l'Opificio delle pietre dure), l'interesse è stato concentrato sulle zone meno indagate, come la Lunigiana, con le sue Maestà marmoree, e la Val di Vara, nella quale hanno avuto luogo recuperi sorprendenti come per es. alcuni dipinti poco noti di Gregorio de Ferrari. Altrettanto si è verificato nel territorio della diocesi di Chiavari: basti citare il quattrocentesco polittico della parrocchiale di S. Lorenzo di Cogorno, il cui restauro ha contribuito a ricostruire la personalità dell'autore, chiamato convenzionalmente proprio ''Maestro di S. Lorenzo'', e la Deposizione conservata nell'Istituto di Studio e Lavoro di Chiavari, che ha rivelato la firma di Cesare Corte, diventando punto di riferimento per l'attribuzione d'altre opere a quel pittore noto fino ad allora solo attraverso le fonti.

Anche a Genova e nell'area limitrofa l'impegno restaurativo è stato ingente. Gli interventi più gratificanti hanno riguardato alcuni capolavori basilari per la formazione degli artisti e delle scuole locali che, a causa delle vicissitudini storiche, subirono manomissioni o, nel migliore dei casi, decaddero fino a perdere gran parte della loro leggibilità.

Appartengono a questo gruppo di interventi ''eccellenti'' i resti marmorei della tomba di Margherita di Brabante di Giovanni Pisano già in S. Francesco di Castelletto, con la corretta ricomposizione del gruppo raffigurante la elevatio animae della Regina; i frammenti della trecentesca tomba di Luca Fieschi già nella cattedrale di S. Lorenzo; il quattrocentesco polittico del Maestro dell'Annunciazione del Monte nel Santuario di N.S. del Monte; il trittico di S. Pancrazio, attribuito ad Adriaen Isenbrandt e il trittico dei Re Magi di Joos Van Cleve, entrambi ricomposti per essere destinati al Museo Diocesano di Genova; il retablo ligneo attribuito a Jan Borman il Vecchio nella parrocchiale di Testana d'Avegno; la tavola con la Madonna in trono di Perin del Vaga, ora nel Museo dell'Accademia ligustica di belle arti; le ancone del Rubens, di Guido Reni e di Simon Vouet nella chiesa del Gesù; l'Ultima Cena di Giulio Cesare Procaccini nella chiesa della SS. Annunziata del Vastato; l'Annunciazione di Orazio Gentileschi in S. Siro. Altri restauri hanno riguardato il patrimonio artistico conservato in alcuni complessi monumenetali di grande interesse, come S. Maria di Castello, S. Siro, S. Giacomo della Marina, il Gesù. Con particolare cura, nei programmi d'intervento, si è tenuto conto dello stato conservativo delle opere degli artisti genovesi, da Luca Cambiaso ai pittori del Seicento e del primo Settecento.

Il lavoro di restauro è stato quasi sempre collegato all'attività espositiva, promossa grazie anche a finanziamenti privati che hanno reso possibile in alcuni casi preziose analisi diagnostiche, per es. quelle eseguite in occasione del restauro dei dipinti esposti poi nelle mostre Un pittore genovese del Seicento: Andrea Ansaldo (1985); Il genio di Giovanni Benedetto Castiglione il Grechetto (1990).

Una parte dell'attività espositiva promossa dalla Soprintendenza è stata peraltro incentrata proprio sul tema del restauro, a partire da Restauri in Liguria (1978) e Genua picta. Proposte per la scoperta e il recupero delle facciate dipinte (1982), fino alle esposizioni realizzate a Sarzana nel 1982, a Savona nel 1984, a Imperia nel 1986, a Chiavari nel 1988, a Varese Ligure nel 1989 e infine a Genova tra il 1979 e il 1986, con scadenza quasi annuale, utilizzando come sede le sale didattiche della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. Questo museo, nato nel 1958 a seguito della donazione allo Stato da parte dei marchesi P. e F. Spinola della loro dimora patrizia con tutta la quadreria e il ricco arredamento, è stato per scelta programmatica collegato al territorio proprio attraverso una vivace attività espositiva, finalizzata alla valorizzazione del patrimonio artistico regionale e alla conoscenza della cultura figurativa ligure. Oltre a quelle già indicate, il palazzo ha ospitato le mostre: Disegni genovesi dal XVI al XVIII secolo dalle Collezioni del Gabinetto Nazionale delle Stampe (1980); Santa Maria in Passione: per la storia di un edificio dimenticato (1982); Luca Cambiaso e la sua cerchia (1985); Porcellane orientali nella collezione Spinola (1985); Argenti genovesi (1992); infine, la mostra Genova nell'Età Barocca (1992) che ha avuto come sede espositiva anche Palazzo Reale.

Anche altri musei genovesi si sono dimostrati attivi nell'organizzazione di mostre in linea con le tipologie delle loro raccolte permanenti: il Museo dell'Accademia ligustica di belle arti ha contribuito alla rivalutazione di artisti liguri dell'Ottocento e del primo Novecento (Santo Varni, Rubaldo Merello, Plinio Nomellini, ecc.); il Centro civico di arti visive di Villa Croce ha dato ampio spazio agli artisti liguri contemporanei (E. Scanavino, E. Luzzati, G. Fieschi, ecc.); le Gallerie di Palazzo Bianco e di Palazzo Rosso e gli altri musei civici genovesi stanno finalizzando gran parte dell'attività espositiva alla rivisitazione critica dell'ingente patrimonio artistico di proprietà comunale, con particolare attenzione verso le cosiddette arti minori.

Anche la Regione L. ha contribuito alla realizzazione di mostre, promuovendone alcune autonomamente (Il tempo di Rubens, 1987; Blu-Blue Jeans. Il blu popolare, 1989; Sete a Genova 1491-1991, 1991) e collaborando con apporto finanziario alla realizzazione di una parte delle iniziative già menzionate, alle quali va aggiunta la mostra Niveo de Marmore. L'uso artistico del marmo di Carrara dall'XI al XV secolo, tenutasi a Sarzana nel 1992.

La Regione ha inoltre compiuto una ricognizione di tutti i musei di interesse locale. Genova fu protagonista negli anni Cinquanta-Sessanta di allestimenti considerati pietre miliari della scienza museologica (Gallerie di Palazzo Bianco e di Palazzo Rosso, Museo del Tesoro di S. Lorenzo, Museo di Arte Orientale Edoardo Chiossone).

L'esempio è proseguito, come dimostrano le numerose raccolte museali create successivamente in tutto il territorio al fine di tutelare e valorizzare beni di proprietà civica (Museo civico di Vado Ligure a Villa Groppallo, 1982; Museo dell'architettura e scultura ligure di S. Agostino, 1984; Museo del pizzo a tombolo di Rapallo, 1990; Galleria di Villa Grimaldi a Genova-Nervi, 1993) ed ecclesiastica (Museo del tesoro del santuario di N. S. della Misericordia di Savona, istituito nel 1959 e ristrutturato nel 1988 con la realizzazione di un deposito-laboratorio di restauro per i tessuti e gli argenti; Museo di S. Maria di Castello a Genova, 1959; Museo diocesano di Albenga, 1981; Museo del tesoro della cattedrale di Savona, 1982; Museo diocesano di Chiavari, 1984). Infine sono in via di realizzazione i Musei diocesani di Sarzana e di Genova, ubicati in due prestigiose sedi storiche (l'Oratorio di N. S. della Misericordia e il Chiostro dei Canonici di S. Lorenzo, entrambi appositamente restaurati) e la Galleria nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, nella quale saranno tra l'altro visibili alcuni capolavori appositamente acquistati, come la statua della Giustizia di Giovanni Pisano, o destinati a esso per arricchirne le collezioni, come il Ritratto equestre di Gio. Carlo Doria del Rubens.

Tra le nuove acquisizioni va menzionato il legato di M. Rizzi di Sestri Levante, grazie al quale nel 1961 è nata l'omonima Galleria ove sono conservati i beni artistici e storici da lui raccolti. Come già accennato, il gusto per il collezionismo d'arte − attuato dall'aristocrazia genovese ai tempi della Repubblica per ragioni di immagine in una civiltà abitativa che considerava la dimora come specchio di un costume e di un livello di vita (Palazzo Spinola di Pellicceria riflette come meglio non si potrebbe questa realtà storica) − è rimasto vivo fino ai nostri giorni riproponendosi attraverso un collezionismo di qualità, praticato da privati e da alcuni istituti bancari come la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia che, con un'oculata politica di acquisto, ha messo insieme una raccolta d'arte genovese così importante, per qualità e ricchezza, da competere sul piano del prestigio con un pubblico museo.

Bibl.: E. Pologgi, Santa Maria di Castello e il Romanico a Genova, Genova 1973; E. Gavazza, La grande decorazione a Genova, ivi 1974; G. Bruno, La pittura in Liguria dal 1850 al divisionismo, ivi 1981; AA.VV., Facciate dipinte, conservazione e restauro, Atti del Convegno di studi, ivi 1984; F. R. Pesenti, La pittura in Liguria. Artisti del primo Seicento, ivi 1986; AA.VV., La pittura a Genova e in Liguria, i e ii, ivi 1987; AA.VV., Palazzo Spinola a Pellicceria. Due musei in una dimora storica, Quaderni della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, 10, ivi 1987; AA.VV., La scultura a Genova e in Liguria dalle origini al Cinquecento, ivi 1987; M. Seidel, Giovanni Pisano a Genova, catalogo della mostra, ivi 1987; AA.VV., La scultura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, ivi 1988; AA.VV., Il Laboratorio di restauro nel Palazzo Reale di Genova, ivi 1989; AA.VV., La scultura a Genova e in Liguria. Il Novecento, ivi 1989; P. Boccardo, Andrea Doria e le arti. Committenza e Mecenatismo a Genova nel Rinascimento, Roma 1989; E. Gavazza, Lo spazio dipinto. Il grande affresco genovese nel '600, Genova 1989; Musei in Liguria, a cura di F. Simonetti, ivi 1989; E. Gavazza, F. Lamera, L. Magnani, La pittura in Liguria. Il secondo Seicento, ivi 1990; G. Algeri, A. De Floriani, La pittura in Liguria. Il Quattrocento, ivi 1991; F. Boggero, F. Simonetti, Argenti genovesi da parata tra Cinque e Seicento, Torino 1991; Genova nell'Età barocca, catalogo della mostra, Bologna 1992.

Tutela dei beni architettonici. - Viene esercitata essenzialmente dalla Soprintendenza ai beni architettonici e ambientali della L. che, in ottemperanza alle leggi nazionali, opera con compiti di salvaguardia delle opere architettoniche monumentali, di istruzione dei provvedimenti di tutela nei confronti degli immobili che ne abbiano necessità e con lavori di restauro, spesso da essa stessa progettati, diretti e appaltati. Inoltre svolge attività di catalogazione e schedatura dei beni architettonici distribuiti sul territorio regionale, valutando e vigilando sulle azioni di restauro che sopra di essi vengono effettuate sia da operatori pubblici sia da privati. Azioni che negli ultimi anni si sono intensificate anche a opera di piccoli proprietari, a dimostrazione di un crescente interesse nei confronti del patrimonio architettonico storico, non solo aulico, che tanto caratterizza la regione. Le manifestazioni per il cinquecentenario della scoperta dell'America hanno inoltre contribuito ad accrescere l'interesse per le operazioni di restauro all'interno delle città liguri, così che numerosi risultano essere i cantieri avviati tanto nel capoluogo quanto nella restante parte del territorio regionale. Tra i principali, aperti nel periodo tra il 1975 e il 1990, vanno ricordati: Palazzo Reale, Palazzo Ducale, Palazzo S. Giorgio, Porta di S. Andrea (Soprana), Casa di Colombo e chiostro di S. Andrea, Chiesa di S. Donato, Commenda di S. Giovanni di Pre, Cattedrale e Chiostro di S. Lorenzo, Abbazia di S. Giuliano, a Genova; Giardini e Villa Hanbury, a Ventimiglia (Imperia); chiesa di S. Maria della Ripa, a Pieve di Teco (Imperia); Forte S. Giovanni, a Finale Ligure (Savona); Fortezza di Firmafede e Forte ''Il Castruccio'', a Sarzana (La Spezia); Santuario di Soviore a Monterosso, a La Spezia; Convento di S. Maria delle Grazie, a Portovenere (La Spezia).

Tutela dei beni ambientali. − Nell'ambito della legislazione nazionale di tutela dell'ambiente la Regione L. ha operato con la redazione di due importanti strumenti urbanistici: il Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico (PTCP), adottato il 30 dicembre 1986 e approvato il 26 febbraio 1990, e il Piano Territoriale di Coordinamento per gli Insediamenti Produttivi dell'Area Centrale Ligure (PTCIP-ACL), adottato il 28 dicembre 1989 e approvato il 31 luglio 1992. Questi piani hanno per precedenti legislativi la l. 29 agosto 1939 n. 1497, con relativo regolamento di attuazione approvato con R.D. 30 giugno 1940 n. 1357, la legge urbanistica del 17 agosto 1942 n. 1150 (che per la prima volta ha previsto piani di coordinamento territoriale), il d.P.R. 24 giugno 1977 n. 616 e la l. 8 agosto 1985 n. 431 sulla protezione ambientale.

Il PTCP costituisce il primo provvedimento − con valore di piano territoriale urbanistico esteso all'intera superficie regionale − d'indirizzo e direttive per la pianificazione comunale. In precedenza operavano due piani paesistici: quello di Genova-Nervi-S. Ilario, approvato con D.M. 4 luglio 1953, e quello del Monte di Portofino, approvato con D.M. 3 giugno 1958, entrambi abrogati (art. 92) dal piano del 1986, elaborato a seguito ed entro i limiti della l. 8 agosto 1985 n. 431 e ai sensi della L.R. 22 agosto 1984 n. 39 sulla disciplina dei piani territoriali di coordinamento (attualmente superata dalla l. 8 giugno 1990 n. 142 che delega la pianificazione territoriale alle Province).

Il PTCP della L. regola e definisce in ambito territoriale i mutamenti dallo stato attuale e le trasformazioni del suolo in rapporto alla loro quantità, qualità e struttura. Esso presenta, esaminandoli singolarmente, tre livelli di operatività: territoriale, locale, puntuale.

A livello territoriale è suddiviso in cento ambiti e per ciascuno è redatta una scheda che ne descrive i caratteri paesistici sotto gli assetti insediativo, geomorfologico e vegetazionale fornendo indirizzi generali e particolari per le successive pianificazioni, indicazioni propositive atte al miglioramento della fruibilità del paesaggio, direttive per il recepimento di progetti di grandi infrastrutture. A livello locale, interessa aree di più limitata superficie offrendo, sempre in relazione ai tre assetti e per ogni ambito, precise indicazioni sulle possibilità di trasformazione del territorio. A livello puntuale, propone infine norme e indirizzi operativi a ulteriore specificazione di quanto indicato al livello precedente (per es. nei rapporti tra gli eventuali manufatti e la superficie interessata). Un esempio di pianificazione paesistica a livello puntuale è rappresentato dal Piano dell'Area Parco del Monte di Portofino approvato dalla Giunta Regionale con d.d.l. 151 del 21 maggio 1993.

Il PTCIP-ACL nasce come piano a contenuto specifico in grado di fornire indirizzi di pianificazione territoriale per insediamenti produttivi e infrastrutturali ai quali tutti i Comuni dovranno uniformarsi all'interno della propria pianificazione; esso interessa l'area insediativa regionale compresa tra Savona e Sestri Levante, articolando il proprio operato su 4 livelli: area geografica, ambito territoriale, distretto, area d'intervento.

Interventi urbanistici. - Nell'ambito delle manifestazioni per il cinquecentenario della scoperta dell'America si è svolta a Genova dal 15 maggio al 15 agosto 1992 l'Esposizione Internazionale Specializzata Cristoforo Colombo la nave e il mare patrocinata dal Bureau International des Expositions di Parigi. Per l'occasione la città di Genova e l'Ente Colombo '92 hanno commissionato al Renzo Piano Building Workshop-Genova la progettazione dell'Esposizione che ha avuto sede nel porto antico. I lavori hanno previsto, tra l'altro, il ripristino di parte degli antichi moli e la ristrutturazione di alcuni edifici (i magazzini del Cotone, al cui interno è stato previsto anche un centro congressi, alcune case secentesche dei quartieri antichi; il quartiere Millo) con l'intento di restituirli alla città a esposizione terminata. Nel contempo sono state realizzate nuove infrastrutture: il ''Bigo'', la Piazza delle Feste, le sedi del padiglione italiano per l'Esposizione (l'acquario e la Nave Italia).

Il grande ''Bigo'', localizzato nella calata Cattaneo in vicinanza di Ponte Embriaco, è un sistema strutturale formato da otto pennoni (sette radiali inclinati e uno centrale verticale) e cavi metallici, che sorregge l'ascensore panoramico e la tensostruttura di copertura del preesistente Ponte Embriaco attrezzato a spazio polifunzionale e denominato ''Piazza delle Feste''. Il Bigo rievoca, in grande, il "bigo di forza" che nelle navi era l'albero di carico e scarico delle merci. L'acquario, che potrebbe divenire il più grande d'Europa, è stato realizzato con struttura interamente in acciaio e organizzato su 5 piani (due localizzati nel sottosuolo e destinati agli impianti, uno a livello della banchina con funzione di portico e altri due sopraelevati ospitanti le vasche, gli spazi espositivi, i laboratori e gli uffici); qui si è svolta una parte dell'Esposizione mentre l'altra parte ha avuto luogo nella stiva della Nave Italia, una vera e propria imbarcazione collegata all'acquario, lunga 150 metri e larga 30, la cui coperta, è stata utilizzata come terrazza sul mare. Vedi tav. f.t.

Bibl.: Ministero dei Beni culturali ed ambientali, Restauri in Liguria, catalogo della mostra, Genova 1978; Il restauro nella attività della Soprintendenza, quaderno n. 1 Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici della Liguria, ivi 1978; Il piano paesistico della Regione Liguria, in Parametro, 163-64 (gennaio-febbraio 1988), pp. 16-17; L. Seassaro, Quale futuro per Genova. Attori istituzionali e processi reali di governo urbano, in Recuperare, 49 (settembre-ottobre 1990), pp. 448-55; F. Lorenzani, Area Centrale Ligure e polo genovese. Fattori di rigidità e spinte evolutive nel sistema metropolitano costiero come inputs del PTC, Milano 1991; S. Massone, Il piano del Parco di Portofino, in Parchi, 5 (1992), pp. 62-64.

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