LIBERIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LIBERIO (Pietro Marcellino Felice Liberio)

Gianluca Borghese

Nacque intorno al 465.

La data di nascita è ricavabile da indizi sparsi: nella prammatica sanzione emanata da Giustiniano nell'agosto 554 L. è considerato in vita; il suo epitaffio, necessariamente posteriore al 554 e di cui ci è giunta solo una trascrizione parziale, afferma che egli morì prossimo ai 90 anni: dunque non poteva essere nato prima del 465, né molto dopo, perché intorno al 490 svolgeva incarichi pubblici e doveva quindi avere almeno 20 anni.

L'identità dei genitori e l'origine della famiglia non sono note. L. doveva essere aristocratico, data la parentela con Festo Avieno, poeta amico di Simmaco, e la precoce carriera nell'amministrazione civile.

Non apparteneva, però, alla cerchia delle famiglie senatorie romane, essendo di estrazione provinciale. Poiché i suoi figli scelsero di seppellirlo a Rimini, se ne potrebbe concludere che egli avesse qualche legame con quella città o con la sua regione. Si è allora accostato il nome di L. a una famiglia di Ravenna che aveva dato un prefetto del pretorio sotto l'imperatore Onorio (Cantarelli, p. 302), mentre altri hanno proposto per L. un'origine ligure, come quella del suo parente Festo Avieno (O'Donnell, p. 34).

L. iniziò la carriera pubblica negli ultimi anni del governo di Odoacre in Italia. Quando gli Ostrogoti e il loro re Teodorico, inviati dall'imperatore d'Oriente Zenone, sopraggiunsero per abbattere Odoacre, L. rimase fedele al suo governo fino alla fine. La sua correttezza e dignità impressionarono Teodorico, come il re ostrogoto stesso riconobbe pubblicamente molti anni dopo in una lettera al Senato di Roma scritta a suo nome da Cassiodoro (Variae, II, 16), e presumibilmente per questo il re, dopo aver trionfato su Odoacre, nominò L. prefetto del pretorio d'Italia, la massima carica amministrativa.

In questa veste L. affrontò il delicato compito dell'assegnazione di una parte delle terre coltivabili dei proprietari romani agli Ostrogoti perché vi si stanziassero. Non è escluso che la difficoltà di questo come di altri compiti incombenti in quel momento critico sul prefetto del pretorio d'Italia avesse ridotto drasticamente il numero dei candidati a tale carica, per cui la scelta di Teodorico sarebbe stata almeno in parte condizionata; L. comunque portò a termine la prova con successo.

Secondo la storiografia tradizionale, con il sistema adottato della deputatio tertiarum fu sottratto ai proprietari romani un terzo dei loro possessi, drastica misura mitigata dal fatto che, per tutelare la proprietà fondiaria senatoria nell'Italia meridionale e insulare, gli espropri gravarono prevalentemente sull'Italia centrosettentrionale, dove si trovavano alcune terre abbandonate. Secondo altri, invece, con la deputatio più modestamente si procedette alla cessione agli Ostrogoti di terre per un terzo del valore della complessiva imposta fondiaria pagata dai proprietari romani. Comunque, la lettera scritta da Cassiodoro contiene un vibrante elogio dell'operato di L., cui si faceva risalire, proprio attraverso la ridistribuzione delle terre, l'atto di nascita di una nuova società romano-gotica, sulla cui coesione si fondavano le speranze. Si potrebbe obiettare che Cassiodoro, personaggio di rango senatorio con beni fondiari in Calabria, pur parlando a nome di Teodorico esprimesse sulla questione un punto di vista decisamente parziale. Una lettera di Magno Felice Ennodio, futuro vescovo di Pavia, indirizzata proprio a L. (IX, 23, p. 245) ha tuttavia toni ugualmente entusiasti circa la deputatio tertiarum: secondo Ennodio, mentre i vincitori ottennero quanto volevano, i vinti non ne risentirono il danno, anzi, a mala pena se ne accorsero. Se è vero che la ricercatezza stilistica delle lettere di Ennodio, rifuggendo da asprezze linguistiche per amore dell'equilibrio nella forma espressiva, finisce spesso per piegare ai propri fini oltre che la lingua delle epistole anche il loro contenuto, tuttavia è difficile immaginare che Ennodio si allontanasse di molto dalla verità nell'esposizione dei fatti. La contrazione demografica, attestata in alcune regioni della penisola, è anche da tenere presente tra i fattori che potrebbero spiegare la relativa facilità dell'insediamento degli Ostrogoti.

Come prefetto del pretorio L. rimase in carica fino al 500, quando Teodorico giunse a Roma per festeggiare il suo trentesimo anno di regno, e dopo aver onorato L. del titolo di patrizio lo sostituì nella carica. Per il successivo decennio non sembra che L. ricoprisse cariche importanti. Le lettere a lui indirizzate da Ennodio in quel periodo attestano la presenza di L. a Ravenna, la capitale, dovuta forse a impegni pubblici, forse a personali interessi, se la sua famiglia era effettivamente originaria della città o della regione. Il decennio in cui L. rimase in ombra coincise con il periodo in cui Teodorico condusse una politica estera ambiziosa che si accompagnava a una complessa situazione interna al Regno ostrogoto, soprattutto a Roma, dove il re dovette spesso intervenire nel tentativo di chiudere il cosiddetto scisma laurenziano - che vide contrapposti due papi: Simmaco e Lorenzo - e riportarvi la pace. L. fu un sostenitore di papa Simmaco: lo si ricava soprattutto dalla parte da lui avuta nell'elezione del vescovo di Aquileia, quando si espresse in favore di un candidato vicino alle posizioni di Simmaco. In tale occasione L. avrebbe mostrato comunque grande moderazione, lasciando l'elettorato libero di scegliere, secondo quanto riferisce una lettera di Ennodio allo stesso L. (V, 1, pp. 123 s.; Patr. Lat., LXII, col. 49).

Anche in questo caso lo stile epistolare dell'autore ha forse condizionato l'esposizione dei fatti, per cui non è certo che nello scontro politico-religioso L. fosse quel modello di moderazione descritto da Ennodio. È possibile invece avanzare l'ipotesi che la situazione generale, caratterizzata da un conflitto interno ed esterno al Regno ostrogoto, fosse tra le cause di un temporaneo ritiro dalla scena politica di L., fedele all'ortodossia romana, ma probabilmente estraneo, anche per via della sua origine provinciale, alle lotte tra fazioni a Roma e forse poco convinto dell'opportunità di uno scontro con Costantinopoli. È databile al 507, cioè dopo la fine dello scisma laurenziano, l'assunzione del consolato da parte di Venanzio, unico tra i figli di L. di cui si sappia qualcosa, ma che abbandonò presto la scena politica, mentre il ritorno alla vita pubblica di L., per quanto sappiamo, avvenne nel 510-511, in coincidenza con la fine delle ostilità con i Franchi e l'Impero d'Oriente.

Intorno al 511 L. fu inviato nella Gallia meridionale sotto il dominio ostrogoto in quanto prefetto del pretorio. Non fu il primo a essere nominato da Teodorico governatore di quella nuova estensione del Regno, affidata dal 508 al 510 a Gemello, ma una volta investito della carica, L. la tenne per un periodo eccezionalmente lungo, fino al 534.

Certamente contribuirono alla scelta e al mantenimento di L. in quella carica i suoi buoni rapporti con il clero locale, anch'esso a suo tempo deciso sostenitore di papa Simmaco nei momenti più critici del suo pontificato. In particolare L., che risiedeva ufficialmente ad Arles, fu molto vicino al vescovo di quella città, Cesario. Di questa familiarità fa fede la Vita Caesarii, in cui si trova un passo dove L., gravemente ferito in uno scontro di frontiera con i Visigoti e temendo di essere vicino alla morte, manda a chiamare il vescovo per riceverne il conforto e viene da lui invece miracolosamente guarito (II, 10-12); da un brano successivo si apprende che la moglie di L., Agretia, malata, fu anch'ella miracolosamente guarita da Cesario (II, 13-15). Questi episodi della Vita riflettono il legame strettissimo tra Cesario di Arles, L. e, attraverso questo, la Chiesa di Roma, un rapporto privilegiato grazie al quale Arles, soprattutto dopo aver sostenuto papa Simmaco, intendeva rafforzare la posizione di prima diocesi della Gallia meridionale.

Il 3 luglio 529 i vescovi della regione si radunarono a Orange in un concilio preceduto dalla solenne inaugurazione di una basilica che L. aveva fatto erigere. Gli atti del concilio furono ufficialmente sottoscritti da diversi vescovi e laici, tra cui L., con i suoi titoli: "Petrus Marcellinus Felix Liberius vir clarissimus et inlustris praefectus praetorii Galliarum atque patricius consentiens subscripsi".

Nel 526 Teodorico morì e il trono passò, sotto la reggenza di sua figlia Amalasunta, al nipote Atalarico. Al prefetto e ai sudditi della Gallia ostrogota furono allora inviate lettere che annunciavano l'avvicendamento al trono e richiedevano il giuramento di fedeltà al nuovo sovrano. Entro il 533 L. fu nominato da Atalarico patricius praesentalis, carica prestigiosa con funzioni militari.

Ciò sembrerebbe rappresentare una netta svolta nella carriera di L., fin dall'inizio un funzionario civile, e più in generale una eccezione al principio seguito dagli Ostrogoti di affidare ai Romani l'amministrazione civile e riservare a loro stessi quella militare. In effetti L. in Gallia doveva aver già svolto mansioni anche militari, come suggerisce il fatto che era stato ferito dai Visigoti in uno scontro. Secondo alcuni L. avrebbe assunto la nuova carica nell'ultimo periodo del suo governo in Gallia, esercitandovi dunque anche il comando militare, secondo altri sarebbe stato nominato patricius praesentalis al suo definitivo rientro in Italia intorno al 533, come riconoscimento del lungo servizio prestato nella Gallia ostrogota, di cui mantenne però il titolo onorifico di prefetto del pretorio. In ogni caso, oltre all'affidamento a un cittadino romano di mansioni militari, si configurava anche la detenzione da parte di una stessa persona di cariche civili e militari, fenomeno sintomatico dei tempi.

Ben altri cambiamenti si verificarono di lì a poco per il governo ostrogoto in Italia. Amalasunta, morto nel 534 il figlio Atalarico, sposò nel 535 il cugino Teodato nel tentativo di mantenere il potere. Ma Teodato ben presto la esiliò e poi la fece uccidere. Si temette allora la reazione di Giustiniano, imperatore d'Oriente dal 527, che era in stretti rapporti con Amalasunta e aveva inviato un'ambasceria per informarsi sulla sua sorte. Teodato spedì allora in missione a Costantinopoli alcuni suoi rappresentanti, tra cui Opilione e L., con il delicatissimo compito di guadagnare alla sua causa l'imperatore, giustificando il suo operato e tacendo la parte più grave dell'accaduto. I due incrociarono nel loro viaggio l'inviato di Giustiniano a Teodato, al quale anticiparono come veramente si erano svolti i fatti, poi, una volta al cospetto dell'imperatore, L. in particolare volle dire tutta la verità, mentre sembra che Opilio tentasse di salvaguardare l'immagine del suo sovrano. Da allora L. rimase alla corte di Costantinopoli.

Nel riportare l'episodio Procopio di Cesarea mette in risalto il fatto che L., uomo onesto e sincero, non volle mentire a Giustiniano, ma da ciò non si può dedurre che la sua scelta di non tornare fosse un'imprevista conseguenza del suo franco parlare. È più che plausibile invece che L. fosse partito dall'Italia già con l'intenzione di non tornarvi; in questa prospettiva l'incontro a metà strada con l'ambasciatore di Giustiniano non fu fortuito, come hanno scritto Cantarelli (p. 292) e O'Donnell (p. 63), ma servì a preparare il terreno per il grande passo. Alla decisione L. era forse giunto in parte perché aveva constatato il progressivo deterioramento, già dagli ultimi anni del regno di Teodorico, dei rapporti fra Ostrogoti e Romani, soprattutto quando questi ultimi avevano responsabilità di governo, in parte perché l'aristocrazia senatoria, alla quale L. ormai apparteneva per ufficio, aveva legami tradizionali con l'Impero d'Oriente ed era sensibile alla propaganda imperiale. La parabola della carriera di L., come quella di Cassiodoro, rappresenterebbe allora anche il fallimento del tentativo di costruire una società in cui Ostrogoti e Romani fossero riuniti in un solo popolo. Gli anni trascorsi in Gallia- in cui sotto l'influenza in particolare di Cesario di Arles L. avrebbe mostrato nel suo governo di essere un uomo dallo spirito nuovo e concreto, ben lontano da nostalgici rimpianti del passato imperiale di Roma (O'Donnell, pp. 34, 52-57) - ebbero il loro epilogo a Costantinopoli.

Al servizio di Giustiniano L. si recò in Egitto nel 538-539 come prefetto, con il compito di condurre un'inchiesta sulle accuse di omicidio mosse contro il suo predecessore Rodone, il patriarca Paolo e un notabile di nome Arsenio. L'inchiesta si concluse con il rinvio a giudizio del primo a Costantinopoli e condanne subito eseguite per gli altri due.

Nella rimozione di personaggi così importanti sembra che l'accusa di omicidio si combinasse con l'intenzione di Giustiniano di procedere comunque contro i più alti rappresentanti del governo locale, colpevoli di non aver arginato i progressi del monofisismo. La provata fede ortodossa di L., ma anche la sua estraneità alla provincia egiziana, in questa prospettiva spiegherebbero il suo invio ad Alessandria. Anche per L., tuttavia, il governo dell'Egitto non fu facile. L'imperatore, infatti, avendo ricevuto lamentele contro di lui, inviò un altro funzionario, Giovanni Lassarione, per sostituirlo, senza comunicare a L. la sua decisione. Ne scaturì uno scontro armato tra Giovanni e il prefetto ancora in carica risoltosi a favore di quest'ultimo. Quando poi effettivamente L. rientrò a Costantinopoli, nel 542, dovette sottoporsi a un'inchiesta da parte del Senato, che si concluse con la piena assoluzione. Stando alla Historia arcana di Procopio, l'imperatore trovò comunque il modo di fargli pagare segretamente un'ammenda.

Nel 550, nell'ultima fase della guerra condotta da Giustiniano per sottrarre l'Italia al dominio degli Ostrogoti, L., ormai ottuagenario, fu inviato con un'armata in Sicilia, dove però non riuscì a rompere l'assedio degli Ostrogoti a Siracusa, né ad arrestare le loro scorrerie nell'isola, e fu sostituito nel 551. Secondo la testimonianza di Giordane, L. guidò anche la campagna indetta da Giustiniano nella Spagna visigota per intromettersi nei conflitti interni di quel Regno, ma nel 553 L. era senz'altro rientrato a Costantinopoli, perché a maggio nella capitale si svolse un concilio voluto da Giustiniano per ottenere l'approvazione della sua politica ecclesiastica di conciliazione tra ortodossi e monofisiti, in particolare con la definitiva condanna di alcuni testi noti come i Tre capitoli, invisi ai monofisiti. Perché il concilio avesse pieno successo era necessario che papa Vigilio, allora a Costantinopoli, dichiarasse pubblicamente di unirsi alla condanna dei testi in questione, cosa che il papa esitava a fare, sapendo che ciò rappresentava più una concessione ai monofisiti che non un obiettivo giudizio sugli scritti. Fu allora affidata proprio a L. la guida di una delegazione inviata al papa per convincerlo a prendere parte ai lavori del concilio e ad aderire alla politica ecclesiastica giustinianea. In un paio di incontri le resistenze di Vigilio furono vinte.

Se si confronta la condotta di L. in quest'occasione col suo atteggiamento al tempo dello scisma laurenziano, appare piuttosto evidente la sua completa adesione alla causa imperiale, mentre il suo sforzo per procurare il vantaggio di una stabile intesa col Papato non esitava ad assumere la piega di un'imposizione verso la persona del vescovo di Roma.

Tanta fedeltà fu ricompensata da Giustiniano, tra l'altro, con l'inserimento nella prammatica sanzione del 554 della dichiarazione di donazione a favore di L. di una proprietà. Con la menzione, in quel documento solenne, dell'antico prefetto del pretorio d'Italia, Giustiniano coglieva però anche l'occasione di presentare la propria campagna di conquista della penisola non come un'invasione, ma come il ritorno di buoni e saggi governanti.

Qualche anno dopo L. concluse la sua vita eccezionalmente lunga e movimentata, iniziata quando ancora esisteva, almeno ufficialmente, l'Impero romano d'Occidente e terminata dopo la conquista bizantina dell'Italia.

Fonti e Bibl.: Iordanes, Romana et Getica, a cura di Th. Mommsen, in Mon. Germ. Hist., Auctores antiquissimi, V, 1, Berolini 1882, p. 51; Cassiodorus, Variae, a cura di Th. Mommsen, ibid., XII, ibid. 1894, pp. 54 s., 236, 329 s.; Gregorius I papa, Registrum epistolarum, a cura di P. Ewald - L.M. Hartmann, ibid., Epistolae, II, ibid. 1899, pp. 162 s.; Corpus inscriptionum Latinarum, XI, n. 382; Simmacus I papa, Epistolae et decreta, in J.-P. Migne, Patr. Lat., LII, col. 49; Costantinus Porfirogenitus, De cerimoniis aulaeByzantinae, I, in J.-P. Migne, Patr. Graeca, CXII, col. 717; Magnus Felix Ennodius, Epistularum libri VIIII, in Id., Opera omnia, a cura di W. Hartel, in Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum, VI, Vindobonae 1882, pp. 68, 123 s., 156, 233, 244-246, 250 s.; Procopius Caesariensis, Bellum Gothicum, in Id., Opera omnia, II, a cura di J. Haury, Lipsiae 1905, pp. 22-24, 459, 466 s., 471 s., 478, 616; Id., Historia quae dicitur arcana, ibid., III, ibid. 1906, pp. 168 s., 175 s.; Vita s. Caesarii ab eius familiaribus conscripta, in S. Caesarii Arelatensis opera varia, a cura di G. Morin, Maretioli 1942, II, pp. 10-15; Concilia Galliae a. 511 - a. 695, a cura di Ch. de Clercq, in Corpus Christianorum. Series Latina, CXLVIII A, Turnholti 1963, pp. 53-55, 64 s., 81; Corpus iuris civilis, III, Novellae, a cura di R. Schoell - W. Kroll, Berolini 1963, app. VII, 1; Excerpta Valesiana, a cura di J. Moreau, Lipsiae 1968, parr. 67-68; Acta conciliorum oecumenicorum. Series secunda, IV, 1, pp. 27 s.; 2, pp. 206-210; Gregorius I, Dialogues, II, a cura di A. de Vogüé, Paris 1979, pp. 236 s.; Iordanes, De origine actibusque Getarum, a cura di F. Giunta - A. Grillone, Roma 1991, p. 125; L. Cantarelli, Il patrizio L. e l'imperatore Giustiniano, in Id., Studi romani e bizantini, Roma 1915, pp. 289-303; J. Sundwall, Abhandlungen zur Geschichte des ausgehenden Römertums, Helsingfors 1919, pp. 133-136, 262; O. Bertolini, L'aristocrazia senatoriale e il Senato di Roma come forza politica sotto i regni di Odoacre e di Teoderico, in Atti del I Congresso nazionale di studi romani… 1928, Roma 1929, pp. 462-475; E. Stein, Histoire du Bas-Empire, II, Paris 1949, pp. 43, 263; A.H.M. Jones, The later Roman Empire, 284-602…, Oxford 1964, pp. 250 s.; W. Goffart, Barbarians and Romans, A.D. 418-584: the techniques of accomodation, Princeton 1980, pp. 70-72; J.R. Martindale, The prosopography of the later Roman Empire, II, Cambridge 1980, pp. 677-681; J.J. O'Donnell, Liberius the patrician, in Traditio, XXXVII (1981), pp. 31-72; Ch. Wickham, L'Italia nel primo Medioevo. Potere centrale e società locale (400-1000), Milano 1983, pp. 26-42; A. Cameron, Procopius and the sixth century, London-New York 1985, pp. 188-206, 230 s.; T. Sardella, Società, Chiesa e Stato nell'età di Teoderico: papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Messina 1996, pp. 19-58; Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, a cura di Ch. Pietri, II, Italie (313-604), Roma 2000, pp. 1298-1301; S. Cosentino, Prosopografia dell'Italia bizantina (493-804), II, Bologna 2000, pp. 291-294.

CATEGORIE
TAG

Pietro marcellino felice liberio

Impero romano d'occidente

Magno felice ennodio

Corpus iuris civilis

Corpus christianorum