Levi

Enciclopedia Dantesca (1970)

Levi (Levì)

Angelo Penna

Figlio del patriarca Giacobbe (Gen. 29, 34); alla tribù, che prese il suo nome perché composta dai suoi discendenti, fu riservato l'esercizio del sacerdozio fra gli Ebrei.

Almeno in teoria il primogenito dei discendenti nella linea del primogenito di L. (Num. 18, 1 ss.; I Paral. 24, 1 ss.; ma poi si passò a discendenti del secondogenito, cfr. III Reg. 2, 26-35) era sommo sacerdote; gli altri servivano da semplici sacerdoti oppure in uffici più umili (cantori, aiutanti, ecc.). Secondo la legge mosaica (Num. 18, 20; Deut. 10, 9; cfr. Ios. 13, 14 e 33; 18, 7) la tribù di L. non doveva possedere una sua zona nella divisione della Palestina; i Leviti dovevano risiedere in determinate località (città levitiche; Ios. 21, 1 ss.; I Paral. 6, 39-65) sparse fra i possedimenti delle altre tribù, e vivere con le decime percepite dai correligionari (Deut. 14, 27 e 29; 26, 11 e 13).

D. parla di L. nella Monarchia (III V 1-3) quando confuta l'argomento dei sostenitori della superiorità del papa (rappresentato da L.) rispetto all'imperatore (rappresentato da Giuda, fratello minore di L.). Nella Commedia, per condannare la corruzione della Chiesa, ritenuta conseguenza del suo potere temporale, accenna alla legge mosaica sulla distribuzione della Palestina: e or discerno perché dal retaggio / li figli di Levì furono essenti (Pg XVI 131).

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