LESOTHO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

LESOTHO

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Giampaolo Calchi Novati

(App. IV, II, p. 326)

L'ex protettorato britannico del Basutoland ha una popolazione di 1.577.536 ab., secondo il censimento del 1986 (saliti a 1.806.000 ab. secondo una stima del 1991). La quasi totalità della popolazione appartiene al gruppo etnico bantu. I pochi europei residenti sono funzionari governativi (dopo l'indipendenza il L. ha mantenuto la sua adesione al Commonwealth), commercianti e missionari. In rapporto alla povertà del territorio risulta elevata la densità della popolazione, che vive in gran parte accentrata nei villaggi rurali della zona occidentale. La capitale, Maseru, unico centro del paese collegato per ferrovia alla linea sudafricana Bloemfontein-Durban, contava 109.382 ab. nel 1986. Amministrativamente il L. è diviso in dieci distretti.

L'economia del paese è condizionata dal settore primario: nel 1990 contribuiva con il 20% alla formazione del prodotto nazionale lordo ma ospitava l'80% della forza lavoro. Il reddito pro capite era (1990) inferiore ai 500 dollari. L'agricoltura produce modeste quantità di mais, sorgo, grano, legumi, destinati essenzialmente all'autoconsumo, e alcuni prodotti dell'allevamento, che fornisce gli unici beni destinati all'esportazione (mohair, lana, bestiame vivo). Data la ristrettezza del mercato interno, non esistono attività industriali, salvo qualche miniera di diamanti, sfruttata da società sudafricane, peraltro con rese modeste. Una buona parte del prodotto nazionale lordo, infine, è rappresentata dalle rimesse degli emigrati in Sudafrica; tuttavia ogni anno il paese registra un pesante deficit commerciale.

Storia. - Totalmente circondato dal territorio del Sudafrica, il L. si è trovato a fronteggiare i tentativi del governo di Pretoria di condizionare la sua politica per impedirgli di partecipare direttamente o indirettamente alla lotta antirazzista. Il L., d'altra parte, dipende dal Sudafrica per le comunicazioni, per molti servizi e per le rimesse dei suoi lavoratori emigrati. Negli anni successivi all'indipendenza (1966) la vita politica interna si è retta perciò su un precario equilibrio. Soltanto circa un decennio dopo il colpo di stato del 1970, attuato dal premier L. Jonathan, fu avviato un parziale ritorno alla normalità con il varo di una legge (1983) che ripristinava la vecchia costituzione e disponeva per la formazione di un'assemblea di 60 membri eletti e di non oltre 20 membri nominati. Le elezioni erano in programma per il settembre 1985, senonché, essendosi tutti gli altri partiti rifiutati di riconoscere la legittimità e regolarità della procedura, in agosto il governo le cancellò proclamando eletti i candidati del Basotho National Party (BNP) per mancanza di competitori.

La principale forza d'opposizione, il Basotho Congress Party (BCP), che aveva un'origine radicale e panafricana e per frenare la cui ascesa Jonathan aveva fatto ricorso nel 1970 all'atto di forza sopra ricordato, col tempo finì per trovarsi al fianco del governo sudafricano. Ci fu quindi a partire dal 1980 una specie di rovesciamento delle alleanze: Jonathan, già più volte accusato di compromissioni con il Sudafrica, si spostò su posizioni neutraliste, accostandosi alla politica dei cosiddetti ''Stati del fronte'' (il blocco informale di nazioni schierate contro il colonialismo e il razzismo) e aprendo ai governi dell'Est. Il Sudafrica usò allora ogni tipo di pressione per costringere il governo del piccolo e vulnerabilissimo stato confinante all'obbligo di non solidarizzare con il movimento anti-apartheid.

Nel 1984 il L. rifiutò di sottoscrivere un accordo di non aggressione con Pretoria e la tensione aumentò. Ripetutamente il Sudafrica imputò al L. di essere la retrovia di incursioni belliche in territorio sudafricano e per ritorsione effettuò raids in L. utilizzando anche il braccio armato del BCP. Il 1° gennaio 1986 il Sudafrica istituì un vero e proprio ''cordone sanitario'' tutt'attorno al L. chiedendo che espellesse i ''terroristi''. La situazione economica divenne insostenibile. Il 20 gennaio alcuni reparti agli ordini del generale J. Lekhanya, che era appena stato in Sudafrica per ''consultazioni di sicurezza'', destituirono il governo. L'Assemblea venne sciolta, i partiti interdetti e tutto il potere esecutivo e legislativo concentrato nella persona del re, coadiuvato da un Consiglio militare con a capo lo stesso Lekhanya.

I rapporti con il Sudafrica furono stabilizzati nel marzo 1988 sulla base di un principio formalmente di mutuo rispetto e di non interferenza. Un atto di terrorismo, verificatosi durante la visita del papa (settembre 1988), spinse il L. a far ricorso alle forze di sicurezza sudafricane. Nel febbraio 1990 il re Moshoeshoe II fu deposto ''temporaneamente'' dalla giunta militare e nel novembre dello stesso anno fu sostituito dal figlio Moato Secisa che prese il nome di Letsie iii. Un cambio al vertice della giunta militare, dopo un colpo di stato incruento (30 aprile 1991), portò alla testa del Consiglio militare il col. E. Ramaema, che avviò un processo di normalizzazione costituzionale. Le elezioni legislative del marzo 1993 hanno visto il successo di N. Mokhele leader del BCP e il passaggio del BNP all'opposizione.

Bibl.: B. M. Khakhetla, Lesotho 1970. An African coup under the microscope, Londra 1974; P. Sanders, Moshoeshoe, chief of the Sotho, ivi 1976; G. Winai Strom, Migration and development. Dependence on South Africa: the case of Lesotho, Uppsala 1986; Ferguson, The anti-politics machine: development, depolitization, and bureaucratic power in Lesotho, Cambridge 1990; L. Petersson, Lesotho's economic policy and performance under the structural adjustment program: the external dependence, Stoccolma 1990.

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