LEPTONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

LEPTONE

Guido Martinelli

Generalità. - I l. (dal greco λεπτόν=leggero, minuto) sono particelle elementari di spin semi-intero soggette alle interazioni elettromagnetiche deboli, quelle cioè che intervengono nei decadimenti β, e gravitazionali, ma non alle interazioni forti, che sono le forze che legano insieme i protoni e i neutroni nel nucleo. Si conoscono sei l. differenti che sono usualmente classificati raggruppandoli in tre coppie:

νe νμ ντ [1]

e μ τ

L'elettrone, e, il muone, μ, e il tau, τ (dal greco τϱίτον=terzo) hanno la medesima carica elettrica negativa, Qe=Qμ=Qτ=−1,6021892(46) × 10−19C, che risulta essere esattamente opposta alla carica del protone; gli altri l. finora scoperti, νe, μ, τ, sono elettricamente neutri, pur essendo soggetti alle interazioni deboli, e vengono genericamente indicati col nome di neutrini. Come si vede dalla [1], in tutti i casi noti, a ciascun tipo di l. carico è associato un corrispondente neutrino. Al momento attuale abbiamo prove sperimentali dirette dell'esistenza delle due prime specie di neutrini, νe e νμ, e argomenti indiretti che suggeriscono la presenza del neutrino νt, associato al l. τ, che non è stato ancora possibile rivelare sperimentalmente. La misura della larghezza di decadimento del mesone vettoriale Z0 ha definitivamente stabilito che il numero di neutrini leggeri (cioè con massa mνMZ0) non può essere più di tre, come già suggerito in precedenza dall'abbondanza di elio nell'universo.

Tutti i l. conosciuti sono dotati di momento angolare intrinseco, detto anche spin, semintero , dove ℏ è la costante ridotta di Planck), e pertanto obbediscono alla statistica di Fermi-Dirac. I l. carichi hanno un momento magnetico MiQiℏ/(2mi) diretto nella stessa direzione dello spin.

La meccanica quantistica relativistica prevede che a ogni particella elementare debba corrispondere un'anti-particella. Pertanto l'esistenza dell'elettrone, e-, implica l'esistenza dell'antielettrone, o positrone, e+, che possiede la stessa massa, me-=me+=0,5110034(14) × 106eV/c2, e lo stesso spin ma carica elettrica positiva, Qe+=−Qe-. Analogamente possiamo associare ai mesoni μ e τ e ai neutrini νe, μ, τ le corrispondenti anti-particelle che denoteremo nel seguito μ+, τ+ e ā̀e, μ, τ rispettivamente.

Il muone è una particella instabile che decade a causa delle interazioni deboli mediante il processo:

μνμ+e-+ā̀e [2]

Il decadimento [2] è consentito dal punto di vista energetico e conserva la carica elettrica.

La carica elettrica è un numero quantico additivo espresso usualmente da numeri interi se tutte le cariche sono date in unità di quella del protone. In queste unità la carica del protone è Qp=+1, quella dell'elettrone è Qe−=−1, quella dell'atomo di idrogeno è Q=Qp+Qe−=0 ecc. La carica elettrica è un numero quantico conservato, ovverosia la carica totale di un sistema isolato non può cambiare nel tempo. Nel processo [2] la carica dello stato iniziale QI=Qμ=−1 è uguale alla carica elettrica dello stato finale, QF=Qe=−1.

Non tutti i decadimenti del μ permessi da un punto di vista energetico e dalla conservazione della carica elettrica sono stati tuttavia osservati. Per es. non vi è alcuna evidenza sperimentale del decadimento:

μe + γ [3]

La non osservazione di processi simili a quello descritto in [3] ha condotto alla formulazione del principio della conservazione del numero leptonico. In analogia con la carica elettrica, possiamo definire un numero quantico additivo, il numero leptonico, associando un'unità L=+1 per ogni l. (e-, μ,ā̀e...), e un'unità L=−1 per ogni anti-l. (e+, μ+, ā̀ε...), presenti in un dato sistema. In tutte le reazioni osservate il numero leptonico è conservato.

L'evidenza sperimentale mostra inoltre che non solo è conservato il numero totale dei l. di un dato sistema, ma anche il numero di l. di tipo elettrone (e e νe), muone (μ e νμ) e τ (τ e νt) separatamente. In base al principio della conservazione dei numeri leptonici Lμ e Le il processo descritto in [3] è dunque vietato. Viceversa il decadimento del μ in [2] è permesso in quanto:

Lμ=+1, Le=0→μ=Lμ=1, Le=Le−+Lā̀e=0

La conservazione del numero leptonico impedisce anche il decadimento del protone in un positrone e un pione neutro, π0:

pe++π0 [4]

che pure è permesso da un punto di vista energetico e dalla conservazione della carica elettrica. Infatti il numero leptonico finale, L=−1 è differente da quello iniziale (il protone e il π0 non sono l. e dunque non contribuiscono al numero leptonico totale). Il protone è un barione e in quanto tale ad esso è associata un'unità di numero barionico B=+1; il processo [4] non conserva neppure il numero barionico (Bπ0=0). Non esistono ragioni fondamentali per le quali il decadimento [4] non possa avere luogo e infatti il decadimento del protone [4] è previsto, come evento rarissimo, in alcune delle più recenti teorie delle particelle elementari che implicano la non conservazione del numero leptonico (e del numero barionico).

Proprietà fisiche dei leptoni. − Si conoscono con grande accuratezza le principali proprietà fisiche dei l. carichi quali la massa, la vita media (v. tab.), il momento magnetico e i principali canali di decadimento.

L'elettrone, essendo il più leggero dei l. dotati di carica che si conosca, è una particella stabile, mentre il μ e il τ decadono a causa delle interazioni deboli. Il muone, la cui massa è la più piccola di quella di qualunque altra particella carica conosciuta, tranne l'elettrone, non può che decadere in νμe-ā̀e, più eventualmente un certo numero di fotoni o coppie e+e. Il τ al contrario, grazie alla sua grande massa, può decadere sia in l. più leggeri che in pioni, mesoni vettoriali ϱ, kaoni, ecc. Sono stati infatti osservati sperimentalmente i seguenti decadimenti deboli in mesoni leggeri:

τπ+ντ

τK-+ντ

τϱ+ντ [5]

τπ+π0+ντ

τπ+π0+π0+ντ

e altri ancora. Tutti i decadimenti del τ sono accompagnati dall'emissione di un neutrino. Se questo neutrino fosse un neutrino νμ, si sarebbe dovuta osservare una produzione di mesoni τ molto più copiosa di quella osservata sperimentalmente, nella diffusione di fasci di νμ su bersagli fissi. Sembra anche molto improbabile che il neutrino presente nel decadimento del τ possa essere identificato con il neutrino dell'elettrone. Per queste ragioni si assume che il neutrino emesso nei decadimenti del τ sia di una specie diversa da quelle già conosciute.

Data la debole interazione con la materia dovuta all'assenza di carica elettrica, le proprietà fisiche dei neutrini sono conosciute con minore precisione rispetto alle proprietà dei l. carichi. Le masse dei neutrini non sono state mai misurate e se ne conoscono solo i limiti superiori. Rispetto al loro partner carico i neutrini hanno una massa così piccola, nel caso dell'elettrone e/me≤4 × 10−5, da comportarsi nella maggioranza dei casi come particelle a massa nulla. Non c'è nessuna contraddizione nell'ammettere che i neutrini siano delle particelle prive di massa, come il fotone, anche se non esiste nessuna ragione vincolante per imporre questa condizione. Neutrini a massa nulla sono certamente stabili e la conservazione del numero leptonico dell'elettrone, del muone e del τ separatamente è automaticamente assicurata nell'ambito delle interazioni deboli. L'assunzione che i neutrini siano privi di massa non implica alcuna conseguenza pratica rilevante per la maggior parte dei fenomeni fisici. I casi in cui una massa diversa da zero abbia importanti conseguenze fenomenologiche saranno discussi nel seguito.

L'esistenza dei neutrini νe (ā̀e) e νμ (ā̀μ) è stata provata attraverso l'osservazione dell'interazione con la materia dei neutrini νe (ā̀e) prodotti nei reattori nucleari o nei decadimenti dei mesoni K (Kμνμ) e π (πμνμ). L'evidenza dell'esistenza del neutrino νt è, come già accennato, solo indiretta. L'osservazione sperimentale mostra che il decadimento del τ in μνμνt e eνt è del tutto simile, tenuto conto della differenza dei valori delle masse, al decadimento debole del μeνμ.

Per quanto ne sappiamo le tre famiglie (o generazioni) di l., e μ e τ, si comportano esattamente nello stesso modo rispetto a tutte le interazioni conosciute e le differenze discendono unicamente dal diverso valore delle masse. Quando fu scoperto il μ, che appariva come una superflua replica dell'elettrone, I. Rabi esclamò: "E questo chi lo ha ordinato?", così esprimendo le perplessità di tutti i fisici di fronte a quello che è ancora un'incomprensibile ridondanza di generazioni di l. (e di quark) con caratteristiche del tutto simili.

Interazioni dei leptoni. − Nelle reazioni sub-atomiche gli effetti dell'interazione gravitazionale possono essere completamente trascurati. Nel seguito saranno perciò discusse succintamente solo le interazioni elettromagnetiche e deboli dei leptoni.

I l. dotati di carica elettrica (e, μ e τ e le loro antiparticelle) interagiscono elettromagneticamente con tutte le altre particelle elementari cariche. Possiamo schematizzare il processo di emissione di un quanto elettromagnetico elementare (il fotone) emesso o assorbito da una particella carica, per es. un elettrone, con un diagramma di Feynman come mostrato in fig. 1. Un elettrone, con quadri-impulso iniziale p, e (p), emette un fotone d'impulso q, γ (q), e per conseguenza il suo impulso finale è p′=pq. Al vertice elementare mostrato in fig. 1 è associato il valore della carica elettrica dell'elettrone Qe−. L'interazione elettromagnetica tra un elettrone e un protone può essere rappresentata dal diagramma riportato in fig. 2: l'elettrone, e (p), emette il fotone d'impulso q, γ (q), che viene assorbito da un protone d'impulso iniziale k, p (k), sicché l'impulso finale del protone è k′=k+q. Il diagramma in fig. 2 dà luogo all'interazione elettromagnetica tra particelle ed è all'origine del potenziale coulombiano che lega gli elettroni ai nuclei atomici. L'intensità dell'interazione è direttamente proporzionale al prodotto delle cariche elettriche e dunque a Qp × Qe− nel caso del processo descritto in fig. 2.

Le interazioni deboli possono essere descritte da diagrammi di Feynman del tutto simili a quelli utilizzati in elettrodinamica. Tuttavia nel caso delle interazioni deboli il quanto emesso (assorbito) non ha necessariamente carica elettrica nulla (come il fotone) e dunque il l. finale può avere carica diversa da quello iniziale (processi indotti da una corrente carica). Considerando per il momento solo la coppia e-νe, esistono tre tipi distinti di vertici che sono riportati in fig. 3. Nel caso del diagramma in fig. 3A un elettrone e− (p) si trasforma in un neutrino d'impulso p′=pq, νe(p′), emettendo un quanto d'impulso q e carica elettrica QW=−1. In questo modo la carica elettrica totale è conservata. Il quanto emesso, analogo del fotone nel caso precedente, è il mesone vettoriale W-. Un simile vertice in cui l'elettrone si trasformi in un neutrino di tipo μ o τ non può esistere perché violerebbe la conservazione dei numeri leptonici Le e Lμ, t. Il diagramma in fig. 3B descrive invece il processo in cui il neutrino νe (p) si trasforma in un elettrone e- (p′) emettendo un quanto di carica QW=+1, il mesone vettoriale W+. Infine il diagramma in fig. 3C descrive i processi di emissione di un bosone vettoriale neutro, Z0, emesso da un elettrone o da un neutrino (processi indotti dalle correnti neutre). Nel caso dell'elettrone il processo è del tutto simile a quello elettromagnetico in fig. 1. La differenza principale è che il fotone è una particella a massa nulla, corrispondendo al quanto elementare di luce, e per conseguenza l'interazione elettromagnetica ha un raggio d'azione infinito, mentre la massa dello Z0 (e anche dei mesoni W- e W+) è molto elevata, circa 9 × 1010eV/c2≃180.000 × me, e per conseguenza il raggio d'azione delle interazioni deboli è dell'ordine di ≃10−16cm. Questo significa che due l. separati a una distanza più grande di 10−16cm non possono interagire debolmente.

Diagrammi simili a quelli mostrati in fig. 3 descrivono le interazioni deboli per le coppie μνμ e τνt, e similmente quelle delle corrispondenti anti-particelle. L'uguaglianza delle cariche deboli dell'elettrone, muone e τ associate all'emissione di W± e Z0 è stata verificata sperimentalmente (principio di universalità e-μτ delle interazioni deboli). È precisamente l'uguaglianza delle cariche elettriche e deboli che rende le proprietà delle diverse famiglie di l. così simili.

Sulla base dei vertici introdotti nelle fig. 3, il decadimento del μ può dunque essere descritto dal diagramma in fig. 4: il μ decade nel neutrino νμ e in un mesone vettoriale W- che si materializza in una coppia eā̀e. Le leggi di conservazione della carica elettrica e del numero leptonico sono rispettate in ogni vertice e l'intensità dell'interazione debole responsabile del decadimento dipende dalla carica debole associata al vertice di emissione (μνμW) e (e-νeW).

Il momento angolare intrinseco dei neutrini (anti-neutrini) emessi in un decadimento debole è sempre nella direzione opposta (nella stessa direzione) rispetto al loro impulso (fig. 5A). Si suol dire che i neutrini hanno elicità negativa, o che sono sinistrorsi, e che gli anti-neutrini hanno elicità positiva, o che sono destrorsi, in analogia con il verso di rotazione delle viti. Nessuno ha mai osservato neutrini con elicità positiva o anti-neutrini con elicità negativa e, se pur esistono, la loro interazione con le altre particelle a noi note dev'essere enormemente più piccola delle già poco intense interazioni deboli. Nei processi deboli indotti dalle correnti cariche (figg. 3A e 3B) anche l'elettrone, il muone e il τ sono emessi con elicità negativa quando la loro velocità è prossima a quella della luce (limite relativistico), esattamente come nel caso dei neutrini. Per quanto detto, i decadimenti deboli non sono simmetrici rispetto a una trasformazione di parità, cioè allo scambio destra-sinistra che si può ottenere guardando un processo fisico in uno specchio. Questa mancanza di simmetria è chiamata violazione di parità.

La violazione della parità nelle interazioni deboli ha importanti conseguenze fenomenologiche. Consideriamo per es. il decadimento del muone in fig. 4 nel limite in cui l'elettrone porti via un'energia vicina al valore massimo possibile. In questo caso, poiché la massa del muone è circa 200 volte più grande della massa dell'elettrone, questo può essere considerato relativistico. La configurazione del decadimento è quella mostrata in fig. 5B. Per la conservazione del momento angolare lo spin dell'elettrone deve necessariamente essere nella stessa direzione dello spin del μ e, per il fatto che possono essere emessi solo elettroni sinistrorsi, l'impulso dell'elettrone è necessariamente nella direzione opposta a quella dello spin del muone. La configurazione in cui l'elettrone è emesso a grande energia nella stessa direzione dello spin del muone ha una probabilità bassissima perché questo implicherebbe una polarizzazione destrorsa dell'elettrone. L'asimmetria nel decadimento del μ e la polarizzazione dell'elettrone di decadimento sono state osservate sperimentalmente nel 1963.

Nel caso delle correnti neutre, i l. carichi possono essere emessi con entrambe le elicità nel limite relativistico. La carica debole corrispondente all'emissione del l. con elicità negativa è però diversa dalla carica corrispondente all'emissione con elicità positiva e pertanto anche le correnti neutre violano la parità. Al contrario, nel caso della corrente elettromagnetica, la carica elettrica degli elettroni con elicità negativa e positiva è assolutamente la stessa e di conseguenza i processi elettromagnetici conservano la parità.

Oltre ai l., anche gli adroni, come il protone, il neutrone, i pioni, ecc., sono soggetti alle interazioni deboli. La prima reazione a essere studiata sperimentalmente è stata il decadimento del neutrone:

n→p+e- +ā̀e [6]

che con il processo associato:

p→n+e+ +νe [7]

costituiscono le reazioni fondamentali dei decadimenti β nucleari. In conseguenza della [6], un neutrone libero è una particella instabile con una vita media di circa 15 minuti. Per la conservazione dell'energia la reazione [7] non può avvenire nel caso di un protone libero poiché mpmn. Tuttavia entrambi i processi possono essere presenti quando l'energia di legame nucleare dei protoni/neutroni che appartengono a un nucleo instabile lo consenta.

I leptoni e la materia. − L'elettrone è stato scoperto nel 1895 da J.J. Thomson sotto la forma di raggi catodici, e successivamente prodotto nell'emissione delle valvole termoioniche, per effetto fotoelettrico, e nei decadimenti β dei materiali radioattivi. Gli elettroni sono i costituenti fondamentali della materia, insieme ai protoni e ai neutroni, determinano le proprietà chimiche degli atomi e la conducibilità termica ed elettrica dei metalli. Nei moderni laboratori di fisica è possibile produrre fasci molto intensi di elettroni (e di positroni). Questi fasci vengono utilizzati per studiare la struttura interna degli adroni e le forze fondamentali della natura, principalmente attraverso le reazioni:

e+p→e-+X [8]

e+e+X [9]

dove X rappresenta un qualunque stato finale. Ricordiamo infine che attraverso il decadimento in una coppia elettrone-positrone:

Z0e++e- [10]

è stato scoperto nel 1983 dal gruppo di C. Rubbia il mesone vettoriale neutro, previsto nel modello standard delle interazioni deboli, e che attraverso la reazione inversa

e++e-Z0 [11]

realizzata con i più moderni acceleratori di coppie e+e- sarà possibile produrre circa un milione di Z0 all'anno e misurarne la massa (e altre proprietà) con una precisione relativa dell'ordine di 5 × 10−4.

Il muone fu scoperto come una delle componenti fondamentali dei raggi cosmici nel 1937 da H. Neddermeyer e altri. Successivamente l'esperimento di M. Conversi, E. Pancini e O. Piccioni dimostrò in maniera inconfutabile che questa nuova particella non poteva essere identificata con il mesone previsto nel modello di Yukawa delle interazioni forti (il pione) e fu fatta l'ipotesi che si trattasse di un prodotto di decadimento del pione, che all'epoca non era stato ancora osservato.

I pioni carichi in effetti decadono debolmente in muoni:

πμ+ā̀μ [12]

π+μ++νμ

con una frequenza diecimila volte più grande che in e-νe.

La misura del momento magnetico dell'elettrone e del μ riveste un'importanza fondamentale nella elettrodinamica quantistica relativistica. Anzitutto essa permette di stabilire con grande precisione l'equivalenza delle proprietà elettromagnetiche di queste due particelle, la cui unica differenza sembra venire dalla massa. In secondo luogo il momento magnetico del muone, che è stato misurato con una precisione di 7 parti su un milione, è una delle quantità più sensibili a eventuali effetti di violazione dell'elettrodinamica quantistica, che è a tutt'oggi in perfetto accordo con le previsioni teoriche.

Sebbene il μ sia una particella instabile, è possibile generare fasci di muoni di alta energia sfruttando la contrazione relativistica del tempo. È altresì possibile produrre intensi fasci di νμ e ·νμ provenienti dai decadimenti dei mesoni kappa e dei pioni. I muoni e i neutrini sono utilizzati per studiare la struttura interna del protone e del neutrone e le proprietà deboli dei quark che li compongono attraverso reazioni simili al processo e-p dato in [8]:

μ+pμ+X [13]

νμ+pμ+X

νμ+pνμ+X

ā̀μ+pμ++X

ā̀μ+p→ā̀μ+X

Un'interessante applicazione pratica potrebbe venire nel futuro dalla fusione nucleare controllata indotta dalla catalizzazione dei muoni. I muoni possono formare degli stati legati con i nuclei rimpiazzando gli elettroni di cui normalmente sono costituiti gli atomi (atomi μ−mesici). Gli atomi così formati sono instabili, perché il muone decade debolmente. Occasionalmente, prima che i muoni decadano, gli atomi μ−mesici possono formare delle molecole, per es. deuterio-deuterio e deuterio-trizio, che hanno una composizione chimica simile alla molecola di H2. Se questo avviene si può innescare un fenomeno di fusione nucleare dovuto al fatto che la distanza tra i nuclei nella molecola è molto minore che nel caso degli atomi usuali semplicemente perché la massa dei muoni è 200 volte più grande della massa degli elettroni.

L'esistenza del neutrino fu ipotizzata da W. Pauli nel 1930 per spiegare l'apparente non-conservazione dell'energia osservata nei decadimenti β dei nuclei; tre anni dopo l'interazione dei neutrini con la materia fu inserita in maniera coerente nella teoria di E. Fermi dei decadimenti deboli. I neutrini, come del resto tutti gli altri l., svolgono un ruolo fondamentale in moltissime reazioni indotte dalle interazioni deboli. Essi sono di primaria importanza nella spiegazione dei decadimenti nucleari, nell'esplorazione della struttura delle particelle elementari, nella teoria della nascita, del sostentamento e della durata delle stelle e infine nella formazione delle galassie; il numero di specie, la massa e la vita media dei neutrini hanno importanti conseguenze sulla struttura dell'universo, e dalla misura dell'abbondanza dell'elio primordiale 4He è in principio possibile dedurre il numero massimo di neutrini, leggeri e stabili, compatibile con le osservazioni astrofisiche. Si è perfino pensato di sfruttare la capacità di penetrazione nella materia dei neutrini per studiare la struttura interna della Terra.

Una massa dei neutrini differente da zero può portare a interessanti conseguenze fenomenologiche che sono state studiate estensivamente dal punto di vista sia teorico che sperimentale (v. neutrino, in questa Appendice). Anzitutto è possibile che avvengano transizioni tra un tipo di neutrino e un altro, con la conseguente violazione del numero leptonico Le,μ (pur conservandosi eventualmente il numero leptonico totale). Per es., un neutrino νμ prodotto nel decadimento del muone potrebbe trasformarsi in un neutrino νe e produrre elettroni interagendo con la materia. Un'altra possibilità molto interessante è la trasformazione di un neutrino in un anti-neutrino, νeā̀e, con la conseguente violazione del numero leptonico totale. Le oscillazioni νeā̀e possono indurre nei nuclei il cosiddetto decadimento β doppio senza emissione di neutrini:

(A, Z)→(A, Z+2)+e+e- [14]

che infatti è possibile solo se L non è conservato. Gli eventi fisici che possono segnalare una massa dei neutrini diversa da zero sono così rari da rendere estremamente difficoltosa la loro osservazione, e fino ad ora non ne è stata trovata alcuna evidenza sperimentale. Può darsi che esista qualche profonda ragione teorica, a noi oggi sconosciuta, per la quale la loro massa debba essere identicamente nulla.

Bibl.: L.B. Okun, Leptoni e Quark, Roma 1986; Proceedings of the Joint International Lepton-Photon Symposium and Europhysics Conference on High Energy Physics (Ginevra 1991), a cura di S. Hegarty, K. Potter, E. Quercigh, Singapore 1992.

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