BARBONI, Leonida

Enciclopedia del Cinema (2003)

Barboni, Leonida (detto Leo)

Stefano Masi

Direttore della fotografia, nato a Fiuminata (Macerata) il 23 novembre 1909 e morto a Roma il 6 novembre 1970. Fratello maggiore di E.B. Clucher, cioè Enzo Barboni (anch'egli operatore, prima che regista), è stato nel dopoguerra uno dei più interessanti interpreti italiani dell'immagine in bianco e nero, formando con lo scenografo Carlo Egidi e il regista Pietro Germi un'affiatatissima squadra che realizzò per tutti gli anni Cinquanta film ricchi di precise notazioni visive, da La città si difende (1951) a Il brigante di Tacca del Lupo (1952), da Gelosia (1953) a Il ferroviere (1956), da L'uomo di paglia (1958) a Un maledetto imbroglio (1959), fino a Divorzio all'italiana (1961).B. dedicò i primi anni della sua carriera alle cineattualità, lavorando come operatore per i cinegiornali Paramount e Fox Movietone, prima di entrare all'Istituto Luce. Passò quindi ai documentari, mettendo in mostra un notevole talento figurativo e compositivo. Nei primi anni Quaranta cominciò a lavorare nei teatri di posa, illuminando film a soggetto: il primo fu La fanciulla dell'altra riva (1942), diretto da Piero Ballerini. Dopo la guerra il giovane Germi gli affidò la cura della fotografia di In nome della legge (1949), proprio per la sua esperienza di operatore capace di catturare il profumo della realtà. Quel film e il successivo Il cammino della speranza (1950), entrambi girati per gran parte in esterni dal vero e per questo inclusi negli annali del Neorealismo, diedero la possibilità a B. di dimostrare la sua abilità nel mescolare le immagini di taglio documentaristico con la fotografia da studio. Idealmente vicino agli operatori di scuola francese degli anni Quaranta (Robert Juillard, Armand Thirard) per il proliferare delle piccole fonti di luce, egli riservava una grande cura ai particolari e all'illuminazione dei fondi. Questo gusto, abbinato all'uso del panfocus, fu alla base della sua fama di perfezionista, confermata dalle frequenti collaborazioni con lo scenografo Carlo Egidi, anch'egli convinto del valore descrittivo dei dettagli della messa in scena. Un altro film dal quale emerge l'acutezza di uno spirito di osservazione di provenienza documentaristica è Una domenica d'agosto (1950) di Luciano Emmer, che narra con dovizia di piccole pennellate il mondo dei gitanti domenicali del lido di Ostia e che si può considerare una riu-scita inchiesta fotografica, ricca di volti di gente comune. Sebbene lontano dal mondo espressivo di Roberto Rossellini, Luchino Visconti e Vittorio De Sica, B. fu uno degli interpreti più raffinati dell'universo figurativo del cinema neorealista e postneorealista, imponendo uno stile fotografico di tipo documentaristico anche a film che già si allontanavano dal Neorealismo, come I sogni nel cassetto (1957) e il carcerario Nella città l'inferno (1959), entrambi diretti da Renato Castellani. Questo stesso stile si ritrova perfino in alcune acide commedie, da Padri e figli (1957) di Mario Monicelli a Una vita difficile (1961) di Dino Risi. Anche La grande guerra (1959) di Monicelli risulta ben caratterizzato dallo stile di B., ricco di citazioni delle immagini dei cineoperatori di guerra, per le quali egli poté attingere ai ricordi dei primi anni della sua carriera. Nel 1961 l'ultradecennale sodalizio artistico con Germi s'interruppe sul set del film Divorzio all'italiana, che fu terminato da Carlo Di Palma. Sarà poi Ajace Parolin ‒ operatore di macchina per B. ‒ a 'ereditare' i film di Germi. Negli anni Sessanta, mentre il cinema italiano stava profondamente cambiando, B. non seppe aggiornare il suo modello lavorativo: realizzò ancora un film memorabile per raffinatezza e contrasti, La viaccia (1961) di Mauro Bolognini, prima di essere coinvolto in una serie di film a episodi, da Controsesso (1964) di Franco Rossi, Marco Ferreri e Castellani a Le bambole (1965) di Risi, Rossi, Luigi Comencini e Bolognini, da Le fate (1966) di Luciano Salce, Monicelli, Bolognini e Antonio Pietrangeli a Le piacevoli notti (1966) di Armando Crispino e Luciano Lucignani, e in stanche coproduzioni internazionali che ben poco aggiunsero alla sua fama di grande interprete del bianco e nero. Prestò anche la sua opera a registi come Franco Brusati, Mario Camerini, Alessandro Blasetti, De Sica e Luigi Zampa. Negli ultimi anni della carriera si avvicinò al colore, senza ottenere tuttavia risultati di rilievo.

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