LEONE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

LEONE

M.G. Chiappori

Nell'iconografia il l. rappresenta un motivo zoomorfo tanto antico quanto complesso, che occupa nell'universo simbolico medievale un posto di particolare rilievo.Emblema di s. Marco Evangelista, il l. nella visione apocalittica di Giovanni (Ap. 5, 5), che tanta parte ebbe nell'iconografia medievale, compare accanto al trono che evoca la presenza di Cristo, in basso a sinistra, il lato degli eletti nel giorno del Giudizio universale, ed è il solo, oltre l'Agnello, cui sia riconosciuto il privilegio di aprire il libro e rompere i sette sigilli. Mansueto compagno di s. Girolamo, secondo la tradizione agiografica, il l. è anche l'animale necropompo, che pietosamente provvede alla sepoltura nel deserto di s. Antonio Abate e di s. Maria Egiziaca.Al di là degli aspetti più noti, il l. assunse nell'iconografia cristiana valenze semantiche talora contraddittorie, per la continua oscillazione tra valori positivi e negativi, comunque varie e complesse, per le sfumature di volta in volta acquisite, tanto da non poter essere ridotto entro troppo rigidi schemi interpretativi. In realtà, nel simbolo del l. si sommarono e si condensarono significati diversi e si stratificarono contributi di culture tra loro differenti e lontane.Nell'antico Egitto il l. rappresentava il sovrano e il sole, dal quale emana il potere reale: la sfinge, emblema di regalità, ha corpo leonino, mentre due l. addossati, volti uno a Oriente l'altro a Occidente, indicano il cammino diurno del sole e dunque il ciclo della morte e della rinascita. Nella tradizione mesopotamica il l. rappresentava piuttosto le forze istintive e caotiche della natura piegate all'ordine dall'eroe o dal sovrano. Dal motivo iconografico del mitico Gilgamesh che afferra due l., tanto frequente nella glittica mesopotamica, derivò l'immagine dell'eroe biblico Daniele, quale ricorre nei sarcofagi paleocristiani, nei tessuti copti e nell'arte romanica. In area iranica il tema della caccia cerimoniale al l. si proponeva, come una costante iconografica, nei rilievi assiri, dove il sovrano affronta e uccide il l. riaffermando la propria legittimità e invincibilità, e negli argenti sasanidi del sec. 4°-5°, come per es. sul piatto con re Shāpūr II (San Pietroburgo, Ermitage) o sulla coppa con Bahrām V, detto Gūr (420-438; Londra, British Mus.), che del motivo offrono una interpretazione in chiave zoroastriana: il re, che incarna il principio del bene, è raffigurato a cavallo mentre colpisce il l., simbolo del male.La produzione serica bizantina accolse le scene venatorie care alla tradizione sasanide traducendole in palesi espressioni del trionfo imperiale. Esemplare, in tal senso, è lo sciamito di seta donato dall'imperatore d'Oriente Costantino V Copronimo (741-775) al re dei Franchi Pipino il Breve (751-768) e da questi usato come sudario di s. Calminio, sepolto nella chiesa abbaziale di Saint-Pierre a Mozac (dip. Puy-de-Dôme; La seta e la sua via, 1994, p. 91), che ripete, seppure con qualche imprecisione e incertezza nel costume del sovrano, il ben noto tessuto con la caccia sasanide del sec. 8° (Lione, Mus. Historique des Tissus). Durante il periodo iconoclasta (730-787; 815-843) il l. divenne segno distintivo della maestà in Cristo-Dio della quale è investito il basiléus. Tale il significato dei grandi l. che incedono sulle porpore tessute nel ṭīrāz bizantino, come la seta conservata a Colonia (Erzbischöfliches Diözesanmus.), che l'epigrafe imperiale riferisce a Costantino VIII (1025-1028) e a Basilio II Bulgaroctono (976-1025).La relazione tra l. e regalità, posta in luce dalla letteratura ebraica (1 Re, 10, 18-20), secondo la quale il trono crisoelefantino di Salomone aveva i gradini ornati da dodici l. e i braccioli custoditi, ancora, da l., ispirò l'apparato decorativo di troni e cattedre (v.) episcopali. In una miniatura dei Vangeli di Ada (Treviri, Stadtbibl., 22, c. 14v), codice databile all'800 ca., l'evangelista Marco siede su un trono la cui spalliera ha terminazioni a forma di protomi leonine. Ancora, una coppia di l. affrontati è scolpita sulla base del trono ligneo del santuario di Montevergine, presso Avellino, opera del sec. 12° prodotta da una bottega dell'Italia meridionale informata al gusto islamico, come dimostra il fitto ornato a medaglioni con motivi zoomorfi inscritti, certo derivato da tessuti orientali.Tutore dell'autorità legittima, il l. è anche depositario della giustizia: nella cattedra episcopale del duomo di Anagni (sec. 12°-13°), attribuita alla cerchia di Pietro Vassalletto, due l., dei quali compaiono solo la testa e il treno anteriore, inquadrano la base del seggio, obbedendo alla tradizione secondo la quale il priore amministrava la giustizia inter leones. Inoltre, nei bestiari medievali il l. viene definito giusto perché non infierisce sul nemico atterrato e punisce con severità la femmina adultera.A un tempo pietoso e implacabile, in ossequio alla concezione patristica, il l. divenne nell'iconografia romanica allegoria di Cristo giudice, amorevole con i buoni, inflessibile con i malvagi. Il l. che tiene tra le zampe, in segno di supremazia e, insieme, di protezione, un agnello, un cervo o una figura umana, frequente tanto nei protiri romanici, soprattutto in Italia e in Provenza, come nei pulpiti dei secc. 13° e 14° (nel battistero di Pisa e nel duomo di Siena, di Nicola Pisano, nel S. Andrea a Pistoia e nella cattedrale di Pisa, di Giovanni Pisano), è metafora di Cristo che difende il fedele.Talora il l. di protezione compare associato al l. antropofago, che punisce il peccatore con la morte, come nella cattedra episcopale di S. Nicola a Bari, della fine del sec. 11°, la quale è posata su l. che azzannano teste umane. L. divoratori ricorrono anche sul portale occidentale della cattedrale di Saint-Pierre ad Angoulême (dip. Charente) e sul timpano della cattedrale di Livinhac (dip. Aveyron), nonché alla base del pontile del duomo di Modena, del 1160-1175, opera di maestranze campionesi. Il l. antropofago è dunque simbolo della morte che tutto distrugge e fagocita, ma che, anche, restituisce alla vita, poiché l'anima rinasce attraverso la catarsi della morte fisica. Spesso una non casuale ambiguità iconografica non permette di comprendere se l'uomo venga divorato, ingoiato dalla fiera o se piuttosto non ne sia rigettato, non fuoriesca dalle sue fauci. Stringente è l'analogia tra il l. antropofago della tradizione cristiana e il t'ao-t'ieh cinese, la maschera mostruosa priva della mascella inferiore, simbolo dell'indistinto demoniaco, ricorrente sui bronzi Shang (sec. 16°-1027 a.C.). Nel vaso yü conservato a Parigi (Mus. Cernuschi; Bussagli, 1966, fig. 24) al t'ao-t'ieh si aggrappa una piccola figura umana, l'androgino, che emerge dalle caotiche e terribili forze cosmiche. Il l. antropofago medievale è dunque promessa di risurrezione, della rinascita in Cristo, ed evolve dal l. ruggente dei sarcofagi romani pagani e paleocristiani e con tale valore compare in monumenti funebri medievali (per es., nel duomo di Firenze, nel sepolcro del vescovo Antonio D'Orso, opera di Tino di Camaino, del 1320-1321), oltre che su fonti battesimali e acquamanili, in diretta connessione con l'acqua lustrale, che assicura la rinascita dell'anima.Per la valenza solare e la forza rigeneratrice il l. si identificava con Cristo sol invictus e, non a caso, talvolta è dotato di una coda terminante a foglia, emblema di risurrezione, o accompagnato da una rosetta, simbolo solare (per es. sull'arcata superiore della facciata della cattedrale di Saint-Pierre a Poitiers, dip. Vienne). Talvolta due l. affrontati o addorsati si dispongono, quasi numi tutelari, ai lati dell'albero della vita, l'antico hôm iranico, divenuto nell'iconografia cristiana la croce cosmica, Cristo axis mundi. Talora, il valore salvifico del l. è rafforzato dalla presenza di piccoli cani, simbolo della fede, come nello sciamito di seta attualmente conservato a Bruxelles (Mus. Royaux d'Art et d'Histoire; La seta e la sua via, 1994, nr. 82).Cristo, l. della stirpe di Giuda, sconfigge le forze del male sul timpano occidentale della cattedrale di Jaca (prov. Huesca), del sec. 11°: due l. affrontati calpestano rispettivamente un serpente, simbolo della morte fisica, e un basilisco, simbolo della morte spirituale. Affatto diverso il significato delle figure che compaiono sullo splendido manto del re di Sicilia Ruggero II (m. nel 1154; Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), tessuto e ricamato nella manifattura reale di Palermo nel 1133-1134: ai lati di una grande palma, assimilata all'albero della vita, si ripete specularmente una scena di lotta tra animali, con un l. che assale un camelide. Si è dinanzi alla rielaborazione occidentale di un antico motivo diffuso presso le culture nomadiche d'Asia centrale, nelle c.d. placche di combattimento. In alcune sete prodotte in Spagna durante il sec. 11° (casula di s. Bernardo Calvò, Barcellona, Mus. Tèxtil i d'Indumentària; La seta e la sua via, 1994, nr. 89), invece, due l. addorsati vengono artigliati da un'aquila bicipite. Il tema iconografico, di sicura ascendenza sasanide, si rinnova alla luce del simbolismo cristiano: l'aquila, regina dell'aria, ghermisce il l., animale legato alla terra, a significare la vittoria dello spirito sulla materia; se il l. è emblema di risurrezione, l'aquila rappresenta l'ascensione.In contrasto con la costante identificazione con Cristo, la figura del l. poteva assumere valori fortemente negativi. Su un capitello del chiostro del monastero di Santa Maria a Ripoll (prov. Gerona), come sulle porte della cattedrale di Santa Sofia a Novgorod, in Russia, le fauci spalancate del l. rappresentano l'ingresso dell'inferno.Nel registro inferiore del timpano di Saint-Pierre a Beaulieu-sur-Dordogne (dip. Corrèze), del sec. 11°, alcuni l., usciti dalla bocca infernale, si aggirano minacciosi, presenze demoniache inquietanti, a caccia di anime. Corre subito alla mente il passo di 1 Pt. 5,8: "Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare".Il l. cavalcato dall'uomo nudo assume un trasparente simbolismo erotico e rappresenta la lussuria - poiché questo è il vizio che divora furiosamente -, il trionfo degli istinti carnali sulla spiritualità e sul raziocinio. Non a caso nel San Isidro a León come nella cattedrale di Jaca, nell'ambito di un programma iconografico di sicuro valore iniziatico e di significato esoterico, il motivo non va disgiunto dall'immagine dell'uomo che cavalca il l. e ne stringe le fauci in segno di vittoria, rinnovando l'impresa di Ercole e di Sansone.Cavaliere e l. divengono, come nel Cappellone di S. Nicola a Tolentino (prov. Macerata), del sec. 13°, emblema della fortezza, della saldezza nella fede. Sansone, il cui nome significa in ebraico 'piccolo sole', squarta un l. investito dello spirito del Signore (Gdc. 14, 5-6) e dunque trionfa sulle potenze del maligno. L'uomo che uccide il l. si appropria della sua energia, della sua forza vitale. Accade, nei tessuti copti e, più tardi, nella scultura romanica, che Sansone sia rappresentato mentre attacca il l. da tergo, approfittando della duplice natura della fiera, terribile e possente nel petto, debole nella parte posteriore del corpo. Anche in Cristo, cui spesso il l. è assimilato, coesistono forza e fragilità o, per meglio dire, la natura divina e quella umana.Ma la funzione più comunemente assolta dal l. è quella di custode del luogo sacro. Il l. demarca il passaggio dal mondo profano all'area consacrata, oltre la soglia proibita, affinché il fedele non si introduca inconsapevolmente, spiritualmente impreparato, nel luogo sacro. Talora il l. custode, con evidente funzione apotropaica, assume un aspetto terribile, per dissuadere le potenze del male e, soprattutto, per esprimere il tremendum che è nel sacro. Immagini di l. vegliano le soglie di palazzi e chiese: la maniglia bronzea della Cappella Palatina ad Aquisgrana, del sec. 9°, è una protome leonina, analoga alla maschera che compare sulla porta del mausoleo di Boemondo a Canosa di Puglia, del sec. 12°, e alla maniglia della cattedrale della Natività a Suzdal', in Russia (sec. 12°).L. compaiono, inoltre, sui fonti battesimali e anche sulle fonti 'profane', per es. nella celebre vasca dodecagonale in alabastro, sorretta da dodici l. di chiara ascendenza islamica, che orna il Patio de los Leones nell'Alhambra, della seconda metà del sec. 11°, a Granada. Fontane simili a questa allietavano giardini di ville e residenze reali, a Palermo, nel parco reale noto come genoardo, 'il paradiso della terra', e altrove, nel regno normanno. ῾Abd al-Raḥmān descrive una festa in uno dei padiglioni reali, riferendosi probabilmente alla villa di Mannani: "i superbi verzieri, per cui il mondo è tornato a fiorire, i leoni della sua fontana, che versano acque di paradiso" (Gabrieli, Scerrato, 1979, p. 738). È il tema dell'hortus conclusus, lo spazio chiuso e inaccessibile nel quale la natura recupera la perduta perfezione, la purezza originaria della creazione. Al centro del giardino è la fontana, che da simbolo religioso, da fons salutis dell'anima, si traduce, in ambito cortese, nella sorgente dell'eterna giovinezza. Nei lampassi lucchesi dei secc. 14° e 15° (La seta e la sua via, 1994, nr. 87) come nelle miniature coeve il l. si abbevera alla sorgente o insidia un animale protetto da un recinto.Svanita ormai la complessità del simbolismo medievale, il tema del l. si ridusse a motivo di genere o si cristallizzò in stilizzata insegna araldica, isolando dal loro contesto semantico le tradizionali immagini del l. passante e del l. rampante.

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