LEONE I Magno, papa

Enciclopedia Italiana (1933)

LEONE I Magno, papa

Mario Niccoli

Santo e dottore della Chiesa. "Natione Tuscus ex patre Quintiliano" secondo la testimonianza del Liber Pontificalis, L. entrò nella carriera ecclesiastica a Roma al tempo di papa Celestino (422-432). Dalle scarse, non sempre certissime notizie che abbiamo sull'attività di L. in epoca anteriore alla sua elevazione all'episcopato, appare chiaro che L. aveva presto raggiunto un posto eminente in seno al clero romano: certo è che alla morte (19 agosto 440) del successore di Celestino, Sisto III, L. - allora in Gallia per dirimere un conflitto fra il patrizio Ezio e il prefetto del pretorio Albino - fu eletto a succedergli. Il 29 settembre 440 fu solennemente consacrato. Aveva dato fino allora la misura delle sue notevoli capacità di uomo di governo e aveva - a quanto sembra - dato il tono all'atteggiamento della Sede apostolica a proposito delle controversie pro e contro Agostino che allora agitavano l'Occidente cristiano. L'azione che L. svolgerà durante i ventun anni del suo episcopato è destinata a segnare una tappa decisiva nella storia della Chiesa antica.

L'episcopato di L. si svolse mentre maturavano gli eventi decisivi per l'impero di Roma in Occidente. In Italia, l'ultimo rappresentante della famiglia di Teodosio - il giovane e imbelle Valentiniano III - strumento nelle mani del patrizio Ezio, assiste impotente alla pressione che i barbari esercitano dal sud e dal nord. Quando Attila, nel 452, alla testa dei suoi Unni minaccia dall'alta Italia la stessa Roma, Valentiniano non sa far di meglio che ricorrere ai buoni uffici di L. Anche se le concise notizie di Prospero ignorano i tratti con i quali la leggenda (la più antica traccia della quale ci appare solo agl'inizî del sec. IX in Paolo Diacono) ha rivestito l'incontro di L. e di Attila alla confluenza del Po e del Mincio (autunno 452), certo è che all'intervento di L. si deve se Attila, a ciò indotto anche da altri motivi, rinunciò alla guerra, promise pace e si ritirò. Nel 455 i Vandali di Genserico che, conquistata l'Africa, avevano raggiunto dal sud l'Italia, si presentarono alle porte di Roma: ma il nuovo intervento di L. non valse questa volta a salvare Roma dalla conquista e dal saccheggio. Frattanto erano stati uccisi Ezio (454), Valentiniano e il suo successore Petronio Massimo (455); l'Italia, sgombrata dai Vandali, era ora praticamente dominata dalla volontà dell'ariano Ricimero.

Mentre dunque nell'Occidente poteva sembrare che si fosse smarrito per sempre quel saldo principio di autorità già rappresentato dal governo della Roma imperiale, L. quel potere e quella dignità riassunse nella sua figura di vescovo di Roma cristiana: l'episcopato di L. rappresenta infatti veramente la prima grande affermazione della dignità e del potere papali, in teoria e in fatto. In teoria L. non considera già la Chiesa come una federazione di vescovi ciascuno con pienezza di potere nell'ambito della sua diocesi, ma afferma che i vescovati raggruppati in tante pmvincie facenti capo ad altrettanti vescovi metropolitani e questi riuniti in gruppi guidati dai vescovi delle sedi maggiori, sono tutti egualmente dipendenti, attraverso questa gerarchia, dal vescovo di Roma che ha - unico - la pienezza del potere di governo su tutta la Chiesa. Il vescovo di Roma è omnium episcoporum primas, totius Ecclesiae princeps, perché la dignità, il potere, l'autorità concessa da Cristo a Pietro su tutta la Chiesa si sono trasferiti sui successori di Pietro nella sede di Roma. L., certo, non ha elaborato per primo né l'idea del papato, né il suo fondamento scritturale, ma bisogna riconoscere che al sistema già formatosi a Roma dalla fine del sec. IV diede espressione e sviluppo mai prima raggiunti.

In concreto valgono a dimostrare la tendenza accentratrice del governo di L., più che la sua azione pastorale in seno alla comunità romana e il suo energico comportamento per smascherare i manichei surrettiziamente insinuatisi nelle file stesse del popolo romano (v. soprattutto i sermoni IX e XVI, la lettera di L. ai vescovi d'Italia del 30 gennaio 444 e la costituzione di Valentiniano III del 19 giugno 445 che ci rivela l'intesa perfetta fra papa e imperatore nel combattere il manicheismo), i suoi rapporti con l'episcopato.

All'Occidente, sia che si rivolga ai vescovi delle diocesi suburbicarie dipendenti direttamente da Roma; sia che si rivolga ai vescovi delle diocesi non suburbicarie raggruppate di diritto in sinodi provinciali; sia che si rivolga all'episcopato della Gallia, della Spagna e dell'Africa: dovunque ci sia un torto da riparare, un giudizio da emettere, una regola canonica da richiamare all'osservanza, un parere da dare, un principio nuovo da stabilire, L. è sempre presente con le sue lettere tutte improntate a un sentimento elevatissimo della dignità e autorità della Sede apostolica. Egli si mostra soprattutto preoccupato d'impedire che i vescovi sorpassino i limiti dell'autorità a ciascuno di essi assegnata dalle regole canoniche.

Quando Ilario (v.) di Arles - che pure era noto in tutto l'Occidente per la sua santità e zelo apostolico - mostrò, con l'intervenire nell'affare del vescovo Celidonio di Besançon, di voler esercitare di fatto una giurisdizione primaziale su tutte le chiese della Gallia, egli non esitò a condannare le pretese di Ilario (vedi lettera Divinae cultum ai vescovi della Viennese) e a ottenere da Valentiniano III una costituzione imperiale (8 luglio 445) a Ezio nella quale era data esecuzione al provvedimemo di L. contro l'abuso di potere di Ilario "offensivo per l'impero e per il rispetto dovuto alla Sede apostolica" ed era espressa solenne diffida a tutti i vescovi - sia della Gallia, sia di altre provincie - di portare innovazione contro la legge sancita dalla Sede apostolica. Ilario morì senza essersi riconciliato (5 maggio 449); il suo successore Ravennio riannodò i rapporti con L. che però rimase fermo nel negare alla sede di Arles il diritto primaziale richiesto dai vescovi della viennese, Narbonese e Provenza.

Per ciò che riguarda i rapporti di L. con l'Oriente, altrove (vedi calcedonia; eutiche; flaviano di Costantinopoli) si è ampiamente illustrato il decisivo intervento di L. nelle questioni cristologiche orientali: il suo atteggiamento di fronte alla condanna di Eutiche da parte di Flaviano di Costantinopoli; l'importanza del suo Tomo a Flaviano per la formulazione della dottrina della duplice natura in Cristo; il suo rifiuto di sanzionare le condanne del sinodo (449) di Efeso (v. efeso: Il brigantaggio d'Efeso); la sua opera indefessa per indurre alle sue vedute l'imperatore Teodosio II - primo responsabile del misfatto - e Anatolio, succeduto a Flaviano nel patriarcato di Costantinopoli; il trionfo del suo punto di vista nelle solenni definizioni del concilio tenutosi a Calcedonia auspici Pulcheria - succeduta a Teodosio II - e il suo consorte Marciano. Qui importa osservare come in tutta questa vicenda L. mostrò chiaramente di voler affermare anche sulle chiese orientali - tradizionalmente inclini ad accettare più facilmente la tutela imperiale che non quella del vescovo di Roma - l'autorità della Sede apostolica in tutta la sua ampiezza. E lo mostrò soprattutto con la condanna solenne del famoso canone 28 che, assegnando al vescovo di Costantinopoli la primazia d'onore dopo il vescovo di Roma e il diritto a ordinare i vescovi metropolitani delle diocesi del Ponto, di Asia e di Tracia, avrebbe costituito - e difatti costituì, giacché il canone rimase in vigore e fu eseguito nonostante la condanna di L. - un pericolosissimo precedente al quale la Chiesa greca si richiamerà sempre per legittimare il suo atteggiamento d'indipendenza di fronte a Roma. La condanna del canone fu dapprima accettata dai vescovi di Costantinopoli (451-452); poi Giustiniano sanzionò il contrario, cioè l'inserì nel Corpus iuris e la rimise in vigore.

Per il momento L. seppe resistere anche in Oriente ai pericolosi ritorni del partito eutichiano valendosi anche dell'opera della sua longa manus in Oriente, il vescovo Giuliano di Cos: ma non fu una resistenza sempre vittoriosa. Quando venne a mancare all'opera di L. la protezione di Pulcheria e di Marciano (morti rispettivamente nel 453 e 457) e il patriarca Anatolio ebbe coronato imperatore Leone il Trace, l'opposizione monofisita scoppiò in Egitto in aperta e vittoriosa rivolta (marzo 457): nonostante le ripetute richieste di L., l'imperatore si decise a intervenire ad Alessandria solo quando una specie di referendum fra i vescovi orientali si fu pronunciato affermativamente per il mantenimento della formula calcedonese e contro il riconoscimento del monofisita Timoteo Eluro insediatosi nella sede vescovile di Alessandria al posto dell'ucciso Proterio (estate del 460).

L. morì nel novembre (probabilmente il giorno 10) del 461; la celebrazione della sua festa ricorre l'11 aprile; ricevette il titolo di dottore della Chiesa da Benedetto XIV, nel 1754.

L. è il primo papa del quale si conservi una raccolta organica di sermoni (96 autentici), documento notevolissimo per lo studio della vita ecclesiastica nella Roma del sec. V. I sermoni e l'epistolario di L. sono del resto la fonte migliore per la ricostruzione dell'attività del papa.

La Patrol. Lat., LIV-LVI, riproduce i tre volumi dell'edizione dei fratelli Ballerini (Venezia 1755-1757) i quali alla loro volta correggevano e aggiornavano la celebre edizione delle opere di L. fatta da P. Quesnel. Recentissima l'edizione di E. Schwartz, in Acta Conc. Oecum., II, 4, Berlino 1932. I regesti delle lettere di L. Ph. Jaffé (Regesta, I, Lipsia 1881-85, pp. 58-75). Oltre l'edizione contenuta nel vol. LIV del Migne (sino a oggi la più completa) edizioni parziali delle lettere di L. sono in B. Krusch, Studien zur christl. mittelalterl. Chronologie, Lipsia 1880 (lettere LXXXVIII, CXXII, CXXVII, CXXXI, CXXXVII, CXLII); nell'ed. della Collectio Avellana di O. Guenther, I, Vienna 1895, pp. 117-124 (lettere CLXIX-CLXXIII, LI-LV della Collectio); in Mon. Germ. Hist., Epist. III, Berlino 1892, pp. 15, 16, 20, 21, 22 (a cura di W. Gundlach, epistole XL-XLII, LXV-LXVII del Migne); C. H. Turner, The collection of the dogmatic letters of St Leo, in Miscellanea Ceriani, Milano 1910; E. H. Blakeney, The tome of Pape Leo the Great, testo tatino, trad. inglese e note, Londra 1913; K. Silva Tarouca, Epp. XXVIII e CLXXV, in Textus et Documenta series theologica, 9, Roma 1932. Traduzione tedesca dei Sermoni a cura di Th. Steeger, voll. 2, Monaco 1927.

Bibl.: La monografia più recente e più ampia su L. è quella di P. Batiffol, in Dictionnaire de theologie catholique, IX, Parigi 1926, coll. 218-301, alla quale si rinvia per la bibl. precedente; H. Grisar, Roma alla fine del mondo antico, I, Roma 1930, p. 80 segg., 350 segg. Vedi inoltre K. Silva-Tarouca, Die Quellen der Briefsammlungen Papst Leos des Grossen, in Festgabe P. Kehr, Monaco 1926, pp. 23-47; id., Nuovi studi sulle antiche lettere dei Papi, I, Roma 1932; W. Völker, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, XLVI (1927), p. 355 segg.; K. Voigt, ibid., XLVII (1928), p. 11 segg.