SCIASCIA, Leonardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCIASCIA, Leonardo

Paolo Squillacioti

– Primo di tre fratelli, nacque l’8 gennaio 1921 a Racalmuto, da Pasquale (1887-1957) e da Genoveffa Martorelli (1898-1979), seguito da Giuseppe (1923-1948) e Anna (1926-2010).

Racalmuto era un grosso borgo (circa 13.000 abitanti nel 1921) con un’economia basata sull’estrazione dello zolfo e del sale, a metà strada tra Agrigento e Caltanissetta: città che divennero presto i poli di una precoce formazione che per il giovane Sciascia coincise con l’affrancamento da un «pirandellismo di natura» in cui si sentiva ingabbiato.

Nel 1935 Sciascia si trasferì a Caltanissetta con la famiglia, allorché suo padre, figlio di un caruso che era riuscito a diventare amministratore di una zolfara, ebbe l’incarico di dirigere una miniera. Nel capoluogo nisseno intraprese gli studi magistrali all’istituto IX Maggio, dove insegnavano Vitaliano Brancati (di cui non fu allievo) e altri professori anticonformisti, tra i quali Giuseppe Granata, che gli fece conoscere gli scrittori americani.

La guerra di Spagna (1936-39) rimosse definitivamente quel poco di nazionalismo mussoliniano che la scuola gli aveva inculcato e lo portò su posizioni convintamente antifasciste: aderì al Partito comunista italiano (PCI), allora clandestino, e si avvicinò agli ambienti cattolici avversi al regime. Cosicché, quando nel 1940 firmò per il periodico fascista nisseno di guardia! i suoi primi articoli sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, poté esprimere idee personali e non conformi alla cultura dominante. Iscrittosi nel 1941 alla facoltà di magistero di Messina, arrivò a svolgere abili discorsi antifascisti dopo i quali, scrisse poi nella Sicilia del popolo del 6 dicembre 1951, «i fessi con l’aquila d’oro venivano a congratularsi con entusiasmo».

Nel frattempo iniziò a lavorare all’Ufficio per l’ammasso del grano di Racalmuto, portando avanti gli studi universitari fino al 1946, quando li abbandonò dopo aver superato 17 esami. Nel maggio del 1949 vinse il concorso e divenne maestro nel suo paese natale.

Il 19 luglio 1944 si era unito in matrimonio con Maria Andronico, una collega insegnante di un anno più giovane, dalla quale ebbe due figlie, Laura (nata nel 1945) e Anna Maria (nata nel 1946). Racalmuto tornò a essere il centro della sua vita quotidiana, ma l’attività culturale gravitò ancora su Caltanissetta, intorno alla libreria editrice di Salvatore Sciascia, con cui nel 1949 fondò il periodico Galleria. La rivista e i suoi eleganti Quaderni gli consentirono di entrare in contatto con gli ambienti intellettuali nazionali.

Nel 1950 il poeta e critico romano Mario dell’Arco (pseudonimo di Mario Fagiolo) ebbe un ruolo decisivo per la pubblicazione presso l’editore romano Bardi del suo primo libro, Favole della dittatura. Fu ancora dell’Arco a metterlo in contatto con Pier Paolo Pasolini, autore di una recensione alle Favole che segnò l’inizio della loro amicizia; e fu sempre dell’Arco a seguire nel 1952 la lavorazione, ancora presso Bardi, della sua prima e unica raccolta di poesie, La Sicilia, il suo cuore.

A metà degli anni Cinquanta Sciascia divenne un critico letterario noto e stimato (Pirandello e il pirandellismo, Caltanissetta 1953, suo terzo libro, era apparso presso l’editore Sciascia), estendendo le sue collaborazioni a quotidiani e riviste letterarie di ogni parte d’Italia, dopo una prima fase (1944-51) limitata a periodici siciliani, sui quali continuò a scrivere con assiduità: nel febbraio del 1955 avviò una collaborazione con il quotidiano palermitano L’Ora che lo accompagnò, poi, per tutta la vita.

Il biennio 1956-57 segnò, invece, una vera e propria svolta: dallo sviluppo delle Cronache scolastiche, resoconto di un anno di insegnamento uscito nel 1955 su Nuovi Argomenti, Sciascia elaborò per Laterza Le parrocchie di Regalpetra (Bari 1956), che egli stesso segnalò come l’inizio della sua attività di scrittore. Il 2 dicembre 1957 due racconti ancora inediti, La zia d’America e Il quarantotto, vinsero il premio Libera Stampa di Lugano: il riconoscimento ebbe il duplice effetto di agevolare la pubblicazione dei racconti presso Einaudi (che, con l’aggiunta del racconto La morte di Stalin e il titolo Gli zii di Sicilia, uscirono nel 1958) e di convincere Sciascia a continuare sulla strada della narrativa. Fu inoltre l’inizio di un rapporto intenso con la «libera e laica Svizzera», fatto di viaggi, collaborazioni con i giornali e letture di scrittori elvetici.

L’anno scolastico 1957-58 lo svolse a Roma, presso il ministero della Pubblica Istruzione, dove aveva chiesto di essere distaccato, e al rientro si trasferì a Caltanissetta. In quel biennio iniziò a scrivere per giornali e riviste legate alla Sinistra e ai sindacati, dando forma e sostanza a un profilo culturale e politico che ne fece un ‘compagno di strada’ dei partiti comunista e socialista, ai quali tuttavia non fu mai organico. Alla definizione di questo profilo contribuì il quasi ventennale rapporto con la Einaudi, arricchito dall’amicizia con Italo Calvino, che divenne primo destinatario dei dattiloscritti di Sciascia.

Ma soprattutto prese forma definitiva un modo di scrivere (direttamente a macchina e con un’elaborazione tutta mentale che conferiva fluidità al testo al momento della stesura) e di interpretare la realtà con l’integrità e la coerenza insite in una condizione borghese mai messa in discussione, e che gli procurò una vita privata serena e operosa, costellata di passioni culturali: per i libri, cui si rivolgeva con la bramosia del bibliofilo unita a una straordinaria capacità di immagazzinare e valorizzare le pagine compulsate, e per le arti plastiche e figurative.

Il suo primo romanzo, Il giorno della civetta (Torino 1961), apparve per i tipi di Einaudi: una storia di mafia in cui diede forma narrativa all’analisi di un fenomeno ampiamente sottovalutato ed evocato in chiave apologetica nei testi letterari. Se la Sicilia continuò a essere l’oggetto privilegiato della sua osservazione (lo si evince anche dai saggi raccolti in quello stesso anno in Pirandello e la Sicilia), le sue indagini si configurarono sempre di più come una vera e propria «controstoria d’Italia» (Onofri, 1994, 2004).

In questa traiettoria si collocano i libri degli anni Sessamta: il romanzo storico Il Consiglio d’Egitto (Torino 1963), il saggio narrativo Morte dell’inquisitore (Bari 1964), la pièce teatrale L’onorevole (Torino 1965), e il romanzo A ciascuno il suo (Torino 1966), dove rappresentò una mafia inurbata e connessa alle nuove dinamiche del potere politico. Nel 1973 riunì nella silloge Il mare colore del vino (Torino) i racconti scritti nei vent’anni precedenti.

Nel marzo del 1961 inaugurò, con il suo primo viaggio a Lubiana, un rapporto con il milieu culturale iugoslavo che si sarebbe prolungato per tutto il decennio. L’anno successivo iniziò a collaborare con le testate legate all’Ente nazionale idrocarburi (ENI) di Enrico Mattei, Il Giorno e Gatto selvatico, dove mostrò di nutrire fiducia nelle promesse di un’industrializzazione virtuosa della Sicilia che i fatti avrebbero tradito.

Nell’agosto del 1967 Sciascia lasciò Caltanissetta per Palermo, dove avrebbe risieduto per il resto della vita, mantenendo l’abitudine di scrivere i suoi libri a Racalmuto durante l’estate. Nel febbraio del 1969 Giovanni Spadolini, neodirettore del Corriere della sera, lo chiamò a collaborare al giornale: poté perciò continuare a scrivere della Sicilia e dalla Sicilia da una tribuna nazionale (vari articoli confluirono l’anno successivo nella raccolta einaudiana La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia, Torino 1970), e drammatizzò in Recitazione della liparitana dedicata ad A. D. (Torino 1969) una vicenda siciliana settecentesca, chiarendo con la dedica ad Alexander Dubček l’esigenza di una lettura attualizzante del testo, valida di fatto per tutte le sue escursioni storiche.

Con la Recitazione, e ancor più con il suo quarto romanzo, Il contesto. Una parodia (Torino 1971), arrivò a maturazione una crisi personale e politica, nata all’epoca del centrosinistra, ma a ben vedere innescata già dalla presidenza di Silvio Milazzo della giunta regionale siciliana (1958-60), che Sciascia rubricò sotto il segno del trasformismo. Bersaglio del Contesto furono le forze del cambiamento (il movimento studentesco, le organizzazioni extraparlamentari, lo stesso PCI), rappresentate come colluse con le élites politiche ed economiche che gestivano il potere.

La vita palermitana lo mise in contatto con gli ambienti intellettuali di una città in cui il fermento culturale strideva con il clima di violenza determinato da una mafia dedita al lucroso traffico della droga. Nella primavera del 1971 Sciascia contribuì alla nascita della piccola casa editrice Esse offrendo al fotografo Enzo Sellerio e a sua moglie Elvira Giorgianni il racconto delle ultime ore di vita dello scrittore francese Roussel, appena apparso nel Mondo: così Atti relativi alla morte di Raymond Roussel fu uno dei primi titoli della Sellerio, dove Sciascia avrebbe fatto l’esperienza di un’intensa attività editoriale che tuttavia non si strutturò mai in un mestiere. Allo stesso modo, nel febbraio del 1972, dopo il pensionamento dalla scuola, fu assunto come giornalista praticante al Giornale di Sicilia, per cui firmò vari articoli senza poi sostenere l’esame per esercitare la professione, perché la sua assidua pubblicistica aveva bisogno di libertà per esprimersi al meglio; e in questo senso concepì la collaborazione con il quotidiano torinese La Stampa, dove aveva seguito Spadolini al termine del mandato direttivo al Corriere della sera.

Anche sul piano politico Sciascia evidenziò una spiccata propensione all’indipendenza dalle strutture ideologiche e dalle direttive di partito: nel 1974 partecipò attivamente alla campagna per il «no» al referendum sul divorzio, fianco a fianco con quei dirigenti comunisti che si erano sentiti attaccati dal Contesto, e realizzò con il romanzo Todo modo (Torino 1974) un affresco impietoso del potere democristiano. L’anno successivo venne eletto al Consiglio comunale di Palermo come indipendente nella lista del PCI, riuscendo a conciliare l’adesione alla politica dei comunisti siciliani con una strenua e dichiarata avversione per la strategia del compromesso storico.

Negli anni Settanta i suoi libri incisero profondamente nelle coscienze di lettori sempre più numerosi, ai quali propose una «microfisica del Potere» (Onofri, 1994, 2004), tanto penetrante ed efficace da suscitare, insieme con le adesioni, accese discussioni alle quali Sciascia non si sottrasse. Fu così per Il contesto e Todo modo, poi anche per La scomparsa di Majorana (Torino 1975) e I pugnalatori (Torino 1976), dove esaminò, con evidenti richiami alla ‘strategia della tensione’, una sequela di omicidi di matrice terroristica nella Palermo postunitaria.

Le discussioni divennero vere e proprie polemiche pubbliche nel 1977, quando si dimise da consigliere comunale, suscitando la reazione dei gruppi dirigenti del PCI, soprattutto dopo che un suo articolo, apparso a maggio sulla Stampa, innescò un ampio dibattito sull’atteggiamento degli intellettuali italiani nei confronti del terrorismo, e gli venne arbitrariamente attribuita la frase «né con lo Stato, né con le Brigate rosse». E quando un gruppo di intellettuali francesi guidati da Jean-Paul Sartre firmò un Manifesto contro la repressione in Italia, scrisse un articolo di sostanziale adesione, distinguendosi dalle prevalenti rimostranze nazionali.

Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia (Torino 1977), il romanzo che uscì alla fine dell’anno, costituì una vera e propria reazione liberatoria a tutto questo. Ma l’effetto si spense il 16 marzo 1978 con il rapimento di Aldo Moro, cui Sciascia dedicò L’affaire Moro (Palermo 1978), un audace pamphlet steso durante l’estate per l’editore parigino Grasset e pubblicato anche in italiano presso Sellerio. La vicenda lo segnò profondamente e lo indusse a candidarsi alle elezioni del maggio 1979 con il Partito radicale (PR): entrato in Parlamento divenne membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ‘caso Moro’.

Da quel momento, e per i quattro anni della legislatura, Moro e la sua vicenda divennero un tema ricorrente, affiorando anche nei libri composti durante il mandato parlamentare: Dalle parti degli infedeli (Palermo 1979), Il teatro della memoria (Torino 1981), La sentenza memorabile (Palermo 1982), Kermesse (Palermo 1982). E furono dedicate all’Affaire Moro le ultime note del suo ‘diario in pubblico’ Nero su nero (Torino 1979).

Conclusi nel 1982 i lavori della Commissione, presentò una Relazione di minoranza che da allora avrebbe accompagnato le ristampe dell’Affaire Moro: un testo che, insieme con gli interventi giornalistici in Italia e all’estero, le interviste e i dibattiti pubblici, la presenza sui media (Radio Radicale, in particolare), contribuì a consolidare il ruolo centrale di Sciascia nel panorama intellettuale e politico europeo.

Nel corso degli anni Ottanta l’attività politica lo portò a frequentare assiduamente Roma, mentre la Torino einaudiana uscì dal suo orizzonte dopo la stampa di Cruciverba e di Occhio di capra (Torino, rispettivamente 1983 e 1984), che chiuse un lungo rapporto, a tratti simbiotico. I poli editoriali a quel punto divennero Milano, sede delle grandi case editrici e dell’Agenzia letteraria internazionale fondata da Erich Linder (che dal 1963 gestiva i diritti delle sue opere), e la Palermo di Sellerio.

Negli anni fra il 1985 e il 1987 prese decisioni cruciali per la diffusione dei suoi scritti. Allentato il legame con Sellerio (che nel 1985 aveva stampato Cronachette e Per un ritratto dello scrittore da giovane), si strutturò il rapporto con Bompiani: dapprima con la curatela di libri e consulenze editoriali, poi con un volume d’ispirazione manzoniana, La strega e il capitano (Milano 1986), quindi con un progetto di raccolta delle proprie Opere nella collana dei Classici, per le quali suggerì come curatore Claude Ambroise (che in Nero su nero aveva definito «il “mio” critico»), accompagnandolo nelle scelte di fondo. Ciò nonostante in quello stesso 1986 lasciò Bompiani per intraprendere un rapporto editoriale esclusivo con Adelphi: vi pubblicò il racconto-inchiesta 1912+1, poi Porte aperte (Milano 1987), che segnò il ritorno al romanzo, e quasi tutti i libri successivi.

Anni di letteratura, insomma, e di una ‘letteratura come vacanza’ che compensava l’intensa e faticosa attività pubblicistica sui fatti di cronaca e l’attualità politico-giudiziaria che animarono gli anni Ottanta. Le occasioni di intervento furono innumerevoli (la parte più significativa confluì in A futura memoria (se la memoria ha un futuro), raccolta di articoli disegnata da Sciascia, ma apparsa postuma nel dicembre del 1989), e interessarono tutti i momenti critici di quel periodo, sui quali lo scrittore espresse lucidamente le proprie idee e analisi, dividendo ancora una volta l’opinione pubblica.

La discussione più nota e accesa fu innescata dalla pubblicazione nel Corriere della sera del 10 gennaio 1987 dell’articolo I professionisti dell’antimafia: un titolo redazionale che condizionò la fruizione e l’esatta valutazione degli argomenti. Quella polemica indusse Sciascia a cercare in Europa uno spazio d’intervento sull’attualità, che dal mese di marzo trovò nel quotidiano madrileno El País. In Italia si espresse soprattutto su temi culturali e con due romanzi percorsi da allusioni autobiografiche: le intense pagine sulla morte e la malattia del Cavaliere e la morte (Milano 1988) e il personaggio di Carmelo Franzò di Una storia semplice (Milano 1989), ammalato consapevole di un morbo incurabile, testimoniarono di uno stato di salute che andava peggiorando. Nel 1988 il malessere non aveva una diagnosi e non poteva avere una cura; nei primi mesi del 1989 ebbe un nome (mieloma micromolecolare) e Sciascia poté essere sottoposto a estenuanti sedute di chemioterapia e dialisi in una clinica milanese. Ne ebbe un giovamento nel corso dell’estate, sufficiente a fargli riprendere l’attività e progettare lavori futuri. Rientrato in Sicilia a settembre, riuscì a vedere stampati il secondo volume delle Opere per Bompiani e gli scritti cui aveva atteso nei mesi precedenti: Alfabeto pirandelliano per Adelphi (Milano), il libro definitivo sul suo ‘padre’ letterario, la raccolta di saggi Fatti diversi di storia letteraria e civile per Sellerio (Palermo), e il romanzo breve Una storia semplice, ancora per Adelphi, giunto in libreria lo stesso giorno in cui si spense.

Morì a Palermo il 20 novembre 1989.

Opere. Un’edizione controllata filologicamente degli scritti di Sciascia è in corso di allestimento a cura di P. Squillacioti nella collana La Nave Argo di Adelphi (I, Narrativa teatro poesia, Milano 2012; II, Inquisizioni memorie saggi, t. 1, Inquisizioni e memorie, Milano 2014; t. 2, Saggi letterari, storici e civili, in corso di stampa). Per i testi non ancora pubblicati si può ricorrere alle Opere edite da Bompiani (Milano 1987, 1989, 1992) e ai volumi del catalogo Adelphi. Numerosi i testi dispersi, per i quali è stato avviato da tempo un piano di recupero sempre presso Adelphi: Per un ritratto dello scrittore da giovane, Milano 2000; L’adorabile Stendhal, a cura di M. Andronico Sciascia, Milano 2003; nonché, per cura di P. Squillacioti: Il fuoco nel mare. Racconti dispersi (1947-1975), Milano 2010; Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989), Milano 2016; Il metodo di Maigret e altri scritti sul giallo (1953-1989), Milano 2018.

Fonti e Bibl.: Per la vita e l’itinerario intellettuale di Sciascia si vedano la biografia di M. Collura, Il maestro di Regalpetra. Vita di L. S., Milano 1996, e varie monografie, tra cui: C. Ambroise, Invito alla lettura di L. S., Milano 1974 (aggiornato al 1989); A. Di Grado, L. S., Marina di Patti 1986; M. Onofri, Storia di S., Roma-Bari 1994 e 2004; G. Traina, L. S., Milano 1999; G. Lombardo, Il critico collaterale. L. S. e i suoi editori, Milano 2008; E. Macaluso, L. S. e i comunisti, Milano 2010; P. Milone, S.: memoria e destino. La musica dell’uomo solo tra Debenedetti, Calvino e Pasolini, Caltanissetta-Roma 2011; I. Pupo, In un mare di ritagli. Su S. raro e disperso, Acireale-Roma 2011. Dal 2011 l’Associazione Amici di L. Sciascia promuove la rivista di studi sciasciani Todomodo e la collana Sciascia scrittore europeo.

Dati e notizie si ricavano anche dai libri-intervista La Sicilia come metafora, a cura di M. Padovani, Milano 1979; L. S. Qui êtes-vous?, a cura di J. Dauphiné, Paris 1990 (trad. it. parziale, in Linea d’ombra, IX (1991), pp. 37-47); Fuoco all’anima. Conversazioni con Domenico Porzio, a cura di M. Porzio, Milano 1992.

Ricche di informazioni le lettere scambiate con Vittorio Bodini (Sud come Europa. Carteggio 1954-1960, a cura di F. Moliterni, Nardò 2011), Mario La Cava (Lettere dal centro del mondo: 1951-1988, a cura di M. Curcio - L. Tassoni, Soveria Mannelli 2012), Mario dell’Arco (Carteggio 1949-1974, a cura di F. Onorati, prefazione di M. Teodonio, Roma 2015), Roberto Roversi (Dalla Noce alla Palmaverde: lettere di utopisti 1953-1972, a cura di A. Motta, Bologna 2015) e Vito Laterza (L’invenzione di Regalpetra: carteggio 1955-1988, introduzione di T. De Mauro, Bari-Roma 2016). Gran parte dell’epistolario è però inedita: le lettere inviate a Sciascia sono custodite presso la Fondazione L. Sciascia di Racalmuto, voluta dall’Autore e sostenuta dagli eredi.

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