FOSCOLO, Leonardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FOSCOLO, Leonardo

Renata Targhetta

Nacque a Venezia il 25 ag. 1588, secondo dei numerosi figli maschi di Alvise del ramo a S. Vio e di Adriana Emo. Nel dicembre 1609 estrasse la Balla d'oro, che consentiva l'accesso nel Maggior Consiglio, ma non ne derivarono conseguenze di rilievo per la sua carriera politica: a causa delle modeste condizioni economiche della famiglia, decise di abbracciare la vita militare e lo fece nell'unico modo che gli era consentito, vale a dire nell'armata marittima. Divenne in tal modo patrono all'Arsenal il 13 febbr. 1617, peraltro senza portare a termine il mandato, ché il 12 ag. 1618 assumeva l'incarico di capitano delle guardie delle isole del Quarnaro e riviere dell'Istria. C'era il problema degli Uscocchi: il F. vi dedicò l'autunno e già nel dicembre 1618 cedeva il comando a Giovanni Mocenigo per tornarsene a svernare a Venezia. Di lì a poco era costretto però a sobbarcarsi l'ingrato compito di governatore delle galere dei condannati, che sostenne dal 1° giugno 1619 al 3 luglio 1620.

Si ampliava il raggio di azione del F., che ora toccava l'Egeo, ma non mutavano i problemi: ben lievi quelli di natura militare, consistenti in una discreta vigilanza della flotta napoletana tuttora agli ordini del duca di Osuna; gravissimi invece e insuperabili, quelli relativi alle inveterate condizioni di inedia e desolazione in cui versavano gli equipaggi. Del tutto pletoriche le rituali denunce del F., incapaci di scuotere il Senato sia che toccassero le corde dell'umanità che quelle dell'interesse. Lo tormentavano anche angustie domestiche, che lo avrebbero inseguito negli anni: in un dispaccio del 24 ott. 1619, da Hēgoumenítsa, mentre stava dirigendosi verso Candia, accennava a "false calunnie ordite contro mia Casa, et il colpo che ne ha essa, senza dar modo d'espurgarmene".

A rincuorarlo un poco sopraggiunse la promozione a capitano del Golfo, incarico che tenne per quattro anni, a partire dall'estate del 1620, nel corso del quale gli sarebbe stato accanto come segretario (1623) l'allora ventenne Giovanni Battista Ballarino.

Il compito non oltrepassò i limiti della routine; tutt'al più, di tanto in tanto il F. si spingeva con le sue navi sulle coste pugliesi, si trattasse di osservare le devastazioni operate nei pressi di Manfredonia dai Turchi che vi erano sbarcati nell'agosto 1620, oppure di spiare le mosse della squadra spagnola (settembre 1622).

Al termine del lungo imbarco, nel febbraio 1625 il F. sposò Elena Molin di Marcantonio, vedova di Marino Pesaro, da cui però non ebbe figli; fu probabilmente in tale occasione che si trasferì nel sestiere di Castello, dove successivi documenti ne indicano la residenza. Non si fermò a lungo a Venezia, dal momento che sin dal marzo del 1624 era stato eletto duca a Candia.

Giunse nell'isola all'inizio del 1626 e per due anni rivestì i panni del giudice e dell'amministratore, istruendo processi, occupandosi delle molteplici e immancabilmente spinose questioni relative ai naufragi, alle controversie col clero ortodosso, alle turbolenze prevaricatrici dei "feudati". Lasciò la carica il 12 marzo 1628, secondo quanto scriveva al Senato il provveditore generale del Regno, Francesco Morosini.

Rimpatriato, per molti anni il F. non lasciò più la sua città, pur continuando a esercitare un'intensa attività politica e assumendo cariche di sempre maggior prestigio, che si riportano qui di seguito con la sola data d'ingresso: fu così incaricato di sovrintendere alla costruzione dei galeoni (28 luglio 1628), quindi divenne provveditore all'Armar (10 ott. 1628), sopraprovveditore alla Giustizia nuova (16 ott. 1629), membro del Consiglio dei dieci (1° apr. 1630), ma di lì a poco si dimise per assumere la carica biennale di depositario al Sale (10 ott. 1630); nuovamente provveditore all'Armar (19 ott. 1632), governatore del Banco della Piazza (12 genn. 1633), provveditore sopra Ori e monete (14 maggio 1633), governatore delle Entrate (27 sett. 1633), ancora provveditore all'Armar (10 ott. 1635), savio alla Mercanzia (19 apr. 1636), membro del Consiglio dei dieci (1° ott. 1636), transador (12 sett. 1637), sopraprovveditore di rispetto ai due sopraprovveditori alle Pompe (10 ott. 1637). Eletto del Consiglio dei dieci per la terza volta nell'ottobre 1638, vi rinunciò per entrare consigliere ducale del sestiere di Castello; venne poi nominato depositario in Zecca (26 giugno 1640), governatore delle Entrate (20 dic. 1640), provveditore alla Cassa di ori e argenti (26 sett. 1642), provveditore in Zecca al pagamento dei prò (21 genn. 1643), provveditore all'Arsenale (22 ag. 1643), membro del Consiglio dei dieci (1° ott. 1644) e da questo organismo eletto inquisitore di Stato due giorni dopo, carica alla quale rinunciò il 17 apr. 1645 per passare a quella - da lui preferita - di consigliere ducale. Appena qualche mese dopo, tuttavia, il 28 luglio, era eletto provveditore in Dalmazia, insieme col collega Nicolò Dolfin, e alcune settimane più tardi (31 agosto) veniva pure nominato provveditore generale in Dalmazia e Albania, in sostituzione del debole e irresoluto Andrea Vendramin.

Rimasto - dopo il richiamo del Dolfin - unico responsabile della guerra contro il pascià della Bosnia, Alì Bey, il F. seppe imprimere allo scontro una forte accelerazione, assumendo una serie di iniziative che avrebbero finito per divenire una costante di tutto il lunghissimo conflitto, il quale - come è noto - avrebbe visto la Repubblica subire l'aggressione turca a Candia, ma imporla agli Ottomani nella Dalmazia. Così nella campagna del 1646, coadiuvato dal francese Gil D'As e dal vicentino Enrico Capra, riuscì a riconquistare Zemonico, in quella successiva Knin e nel 1648 Clissa, ultima fortezza che rimaneva in mano turca al di qua delle Alpi Dinariche.

Per l'occasione il Senato conferì al F. il titolo di "benefattore della patria", passando sopra alle voci che lo accusavano di estremo rigore, spinto sino a implacabile durezza non solo nei confronti del nemico, ma anche dei propri uomini, ai quali sembra lesinasse il soldo e sottraesse parte dei viveri. In guerra, però, contano i risultati e questi erano positivi, grazie al prestigio di cui il F., nonostante tutto, godeva presso le truppe alle quali aveva fatto assaporare il gusto della vittoria, e poi all'intelligente utilizzo della flotta in appoggio alle operazioni terrestri e al pronto ricorso ai mezzi più drastici, si trattasse di avvelenare i pozzi dei nemici (il 20 giugno 1646 gli inquisitori gli spedivano 1.000 libre d'arsenico "d'ottima qualità") o di diffondere una "quinta essenza della peste" ritrovata dal "virtuoso" medico M. Salomone, e in grado di "privar di vita nel spatio di poco tempo qualsivoglia numero di persone" (5 febbr. 1650).

I successi del F. si fermarono qui, ché nel 1649 la progettata invasione dell'Albania non andò oltre alla conquista del castello di Risano, a sud di Cattaro: pure il suo nome era circondato ormai dalla fama dell'invincibilità o, quantomeno, gli si voleva accreditare la reputazione di condottiero vittorioso. Per questa ragione il 4 nov. 1647 era stato eletto procuratore di S. Marco de Citra per merito e il 6 giugno 1650 gli era toccata l'altissima carica di capitano generale da Mar. Diveniva così il responsabile della guerra marittima contro l'Impero ottomano, nel corso della quale non gli sarebbe tuttavia riuscito di ripetere i successi conseguiti sul fronte terrestre nella Dalmazia.

Il F. lasciò Venezia il 3 ag. 1651 e si recò a Candia; la strategia veneziana non prevedeva operazioni decisive per quell'anno, pure la campagna del 1652 si rivelò inconcludente: il F., angustiato da continue febbri ed emicranie, si limitò a controllare da lontano le mosse dell'avversario, preoccupandosi soprattutto di evitare il rischio di un confronto diretto. Impossibile cacciare dall'isola i 15.000 Turchi e i 5.000 rinnegati loro alleati e altrettanto arduo forzare i Dardanelli: bisognava anzitutto vincere le opposizioni dei capitani delle galere, quindi cimentarsi con la "perversità dei tempi", poi con le usuali "ristrettezze calamitose dell'armata", infine con i "travagli" fisici che l'opprimevano, specialmente asma e blefarite. Nell'estate del 1653 il F. si spinse a Rodi, dove sostava una flotta ottomana forte di 61 vele; lo scontro fu evitato grazie alla buona volontà di entrambi i contendenti, per cui mentre i Turchi facevano vela verso Candia, i Veneziani preferirono scaricare i loro fulmini sulle coste della Caramania. Il F. trascorse ingloriosamente anche l'ultimo anno di comando, limitandosi a rafforzare le difese di Candia, quindi si recò a Cerigo, dove il 19 giugno 1654 passò le consegne al successore Alvise Mocenigo.

Quando il F. rimpatriò, Venezia aveva bisogno di eroi ed egli rappresentava pur sempre il liberatore della Dalmazia. Perciò, nei quattro conclavi ducali che da allora si succedettero sinché visse (marzo 1655, maggio e poi ancora giugno 1656, aprile 1658), egli sarebbe puntualmente risultato il più prestigioso candidato, sorretto dal consenso popolare e soprattutto dalle truppe, le cui dimostrazioni in occasione delle votazioni che il 27 marzo 1655 si rivolsero a favore di Carlo Contarini, trascesero al punto che gli inquisitori di Stato ordinarono al F. di ritirarsi per qualche tempo nelle sue terre di Villa Casale. Eppure, nonostante questi forti appoggi, fallì ogni volta il ballottaggio, proprio a motivo della condotta un tempo tenuta verso quei soldati che con tanta determinazione lo sostenevano.

Le accuse di abuso nella gestione degli ingenti fondi affidati al F. ne accompagnarono, si può dire, la carriera politica e in occasione delle candidature al dogato si moltiplicarono satire dal significato inequivocabile; la riprova è data dalle accuse mosse alla fine del 1650 da Girolamo Foscarini, suo successore alla carica di provveditore generale in Dalmazia, al "maneggio" condotto dal F. dei 452.000 ducati ricevuti dal patrio Erario per soddisfare alle esigenze delle milizie: un "labirinto" di giri di partite quantomeno poco chiaro. Queste accuse non ebbero seguito, ma i sospetti - probabilmente fondati - costarono al F. il corno ducale.

Pertanto, dopo il ritorno tra le lagune, il F. dovette accontentarsi di altre pur prestigiose nomine: inquisitore e revisore delle Scuole Grandi (20 apr. 1655), sopraprovveditore alla Sanità (4 maggio 1655), esecutore contro la Bestemmia (6 nov. 1655), regolatore alla Scrittura (20 dic. 1656), provveditore sopra Monasteri (14 luglio 1657), savio all'Eresia (11 ott. 1658), provveditore all'Arsenale (30 luglio 1659).

Morì a Venezia il 2 febbr. 1660.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. Codici, I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, p. 577; Ibid., Avogaria di Comun. Libri d'oro. Matrimoni, sub voce; l'estrazione della Balla d'oro, in Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Malvezzi 6: Consegi 1606-1610, p. 899; per la carriera politica, Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elez. Maggior Consiglio, regg. 11, c. 18; 12, cc. 13, 143, 185; 14, c. 153; 15, c. 15; 16, c. 14; 17, cc. 3, 201; 19, cc. 114, 161; Ibid., Segretario alle Voci. Elez. Pregadi, regg. 12, cc. 28, 30, 40, 77; 13, cc. 30, 32, 62, 77, 82, 99, 152, 169; 14, cc. 32, 62, 87 ss., 169; 15, cc. 4, 34, 37, 95, 126; 16, c. 119; 17, cc. 1, 47, 100, 104; 18, cc. 24, 71, 104; Ibid., Consiglio dei dieci. Miscellanea codici, regg. 62, passim; 63, c. 14r; in partic. sul capitanato delle galere dei condannati, Ibid., Senato. Dispacci dei provveditori da Terra e da Mar, f. 1366, dispaccio del 9 sett. 1619; la f. 1390 è dedicata tutta al F.; sul capitanato del Golfo, ibid., ff. 1269, 1271; per il reggimento a Candia, Ibid., Duca di Candia, b. 9/2, cc. 129r-143v; Ibid., Senato. Dispacci dei provveditori da Terra e da Mar, b. 786: Candia, dispacci nn. 209, 274; sul provveditorato in Dalmazia, Ibid., ff. 373, 461-470; Ibid., Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 302: Provveditor generale in Dalmazia e Albania, ad annos; sul generalato del Mare, Ibid., Senato. Dispacci dei provveditori da Terra e da Mar, ff. 1067, 1093 ss., 1223 (disp. del 12 apr. 1654), 1395 (disp. del 6 maggio 1653, 6 ag. 1654 e 12 febbr. 1654); sulle accuse rivoltegli da Girolamo Foscarini, Ibid., Inquisitori di Stato, b. 1054/6; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3282/CX; poesie in sua lode per la presa di Clissa, 2680/86; il contratto di un immobile dato a livello nel 1628, Ibid., Mss. P.D. C 1329/19.

Si veda inoltre: Calendar of State papers… relating to English Affairs, existing in the Archives… of Venice…, a cura di A.B. Hinds, XVI, London 1910, p. 26; XXIV, ibid. 1923, pp. 30, 58; XXVIII, ibid. 1927, pp. 258 s.; XXXVII, ibid. 1939, p. 83; C.A. Cyprii Panegyricus ad magnum L. Fusculum Divi Marci procuratorem, Venetiis 1648; M. Crasso, Canzone a L. F. procuratore… per le sue gloriosissime imprese contro Turchi, Venezia 1648; A. Vernino, Della historia delle guerre di Dalmatia sotto il generalato di L. F.…, Venetia 1648; F. Sansovino - G. Martinioni, Venetia città nobilissima et singolare…, Venetia 1663, pp. 707-714, 718 bis, 721, 723; G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra Veneziani e Turchi… dall'anno 1644 fino al 1671…, Venezia 1673, pp. 97-154, 163-189, 209, 224, 226-230, 238, 241, 245, 247 ss., 254, 263; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 167; VI, ibid. 1853, p. 823; V. Lamansky, Secrets d'État de Venise…, Saint-Pétersbourg 1884, pp. 127-139, 823 e App. 090; A. Medin, La storia della Repubblica di Venezia nella poesia, Milano 1904, pp. 387, 548, 550; P. Piccolomini, Corrispondenza tra la corte di Roma e l'inquisitore di Malta, in Arch. stor. ital., s. 5, XLV (1910), pp. 304 s., 344; G. Ferrari, Le battaglie dei Dardanelli (1656-1657), in Mem. stor. militari, XIX (1913), 3, p. 142; D. Levi-Weiss, Le relazioni fra Venezia e la Turchia dal 1670 al 1684 e la formazione della Sacra Lega, in Arch. veneto-tridentino, VII (1925), p. 8; F. Sassi, Le campagne di Dalmazia durante la guerra di Candia, in Arch. veneto, s. 5, XX (1937), pp. 225 s., 232, 236-240, 244-247, 249; XXI (1937), pp. 60, 62-66, 68-75, 77 s., 81-98, 100; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 383 s., 389, 392 s., 397; A. Jutronić, Split u pismina generala i generalnog providura Lunarda Foscola (Spalato nelle lettere del generale e provveditore L. F.), in Izdanje Historijskog Arhiva Split, V (1965), pp. 195-201; P. Preto, La guerra segreta: spionaggio, sabotaggi, attentati, in Venezia e la difesa del Levante. Da Lepanto a Candia, Venezia 1986, pp. 83 s., 94 s.

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