CASTELVETRO, Lelio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CASTELVETRO, Lelio

Albano Biondi

Figlio, assieme a Giovanni, Giacomo, Ireneo e Giulio, di Niccolò banchiere (m. 1576) e Liberata Tassoni, nacque in Modena forse nel 1553, se adottiamo il dato della sentenza mantovana dell'11 ott. 1609, dove è indicato come "d'anni 56 in circa". Passò ancora fanciullo, con lo zio Ludovico, in Svizzera e in Francia. Non è sicuro che si riferisca a lui l'allusione di una lettera in data 21luglio 1568, nella quale si parla di "un putto d'anni 13 circa, nipote di Ludovico Castelvetro che è stato similmente a Ginevra",mentre è indubitabile il periodo di formazione passato accanto allo zio esule e agli eretici che avevano contatti con lui, Gerolamo Arnolfini, Niccolò Balbani e altri della diaspora ereticale.

Nel primo processo del marzo 1604 il C. addusse il precoce contatto con l'eresia per alleviare le proprie responsabilità ("quando ti funo insegnate le infrascritte heresie da te tenute et credute sin al... 1604 ti ritrovavi in Francia et eri giovanetto"). Sembra che abbia passato cinque anni con lo zio; comunque nel 1571 era soldato in Candia e partecipava alla battaglia di Lepanto. Forse alla morte del padre tornò a Modena dove "andava a spasso attendendo alle sue possessioni" non senza allontanarsi talvolta dal ducato, viaggiando "per il mondo in diverse parti servendo hor questo hor quell'altro Signore".

I documenti che lo riguardano all'Archivio di Stato di Modena lo mostrano più che altro intrigato in questioni finanziarie: difficili riscossioni di crediti, come nella causa che lo oppose nel 1587 al conte Fulvio Rangoni, governatore di Reggio, che lo ha costretto ad "impegnare agli Hebrei" e gli ha fruttato anche una carcerazione; o liti per la spartizione dei beni paterni contro il fratello Giovanni, ma, soprattutto, contro l'altro fratello Ireneo, che, cominciata alla morte del padre, dopo una prima conciliazione e una "divisione amicabilissima nel 1580" alla quale "seguitò per anni cinque fra noi fratellanza cordialissima",si riaccese violenta, e, tra suppliche, citazioni, memoriali, perizie, lo pose in difficoltà tali che, per riprendere le parole della supplica al duca del 3 genn. 1599, "il povero supplicante, travagliato dal fratello Ireneo per la sigurtà, e dalla tema di essere carcerato, si assentò dalla patria, dalla moglie e figli con grandissimo danno e dolore suo et lì è convenuto andare, come ancor fa, ramengo et quasi disperso". Non sappiamo quanti anni il C. sia stato tenuto lontano da Modena per questa causa, né se il duca sia venuto incontro al suo desiderio di "repatriare". La situazione della famiglia doveva essere diventata precaria (alla stessa data la moglie, Isabella Seghizzi, rimasta "priva del suo con 4 figli" supplicava il duca di poter entrare in possesso di una parte dell'eredità paterna contestatagli dai fratelli, invocando le condizioni disperate).

Fu comunque in Mantova che il C., tenuto d'occhio da sempre per la sua adolescenza in terra d'eretici (e per la comune "infamia" dei Castelvetro: "cotesti Castelvetri hanno la presuntion contra di poco buoni Christiani, però se non alzano ben i piedi potrebbe loro intervenir quel che men vorrebbono",si legge in una lettera di mons. Pellegrino Bertacchi, 8 dic. 1607). incappò nei rigori del S. Ufficio. Imprigionato nel marzo 1604, a conclusione di un processo seguito con molta attenzione dalla S. Congregazione di Roma, abiurò pubblicamente le seguenti eresie: 1)"Che il Papa non haveva autorità"; 2)"Che l'intercessione dei santi non fosse necessaria per la salute dei fedeli et che le Indulgenze fossero invalide"; 3) che non vi fosse Purgatorio; 4) "Che il corpo di nostro Signore Gesù Christo non fosse nell'hostia consecrata"; 5) che i santi non potessero far miracoli; 6) "et ultimo che si potesse mangiar cibi indifferentemente ad ogni tempo". L'abiura fu pubblicata anche in Modena il 28 marzo 1604, in duomo, "praesente magno concursu populorum". "Immurato perpetuamente in loco da eleggersi" per ordine espresso del supremo Tribunale di Roma, e dopo "remisso in carcere formale",vi restò, nonostante l'impegno a suo favore della corte estense, sino al 22 febbr. 1609, quando, anche dietro segnalazione favorevole dell'inquisitore mantovano che aveva testimoniato come il C. avesse sopportato "con humiltà la pena già molti anni",fu liberato, "sotto sigurtà di 200 ducati" versati dalla moglie e gli fu assegnata "tutta la presente città di Mantova per carcere". La libertà non durò più di un mese. Il 23marzo lo denunciavano di nuovo al S. Ufficio.

Il delatore riferì che al suono dell'Ave Maria di mezzogiorno il C. non si era tolto il cappello né aveva detto preghiera, continuando a scrivere con indifferenza. Ne era nato un discorso nel corso del quale, tra le molte altre cose, il C. si era lasciato sfuggire l'elogio dei grandi riformatori religiosi della sua adolescenza svizzera e francese: "Theodoro Bezza... un selto et grand'homo Dottore et Gentilhuomo Predicatore famosissimo",Calvino, "un altro S. Paolo".

Incarcerato e interrogato, il C. non riuscì a convincere della sua innocenza fra' Gerolamo da Camerino inquisitore. Fu fatta valere contro di lui anche la risposta a una lettera da lui inviata dopo la scarcerazione al fratello Giacomo a Venezia, "nella quale pare che siino parole oscure et meno decenti alla Catholica Religione". Ben presto si delineò la posizione di eretico recidivo, "relasso". E la Congregazione della S. Inquisizione il 17 sett. 1609 mandò l'istruzione del papa stesso, di procedere col massimo rigore.

Su decreto inquisitoriale dell'11 ottobre il C. fu consegnato al braccio secolare. E il cronista modenese Spaccini annotando sotto il 7 dic. 1609 la lettura in duomo della sentenza lo dà per bruciato ("Eri dopo la predica lessero il processo del Castelvetro bruggiato in Mantova, che negava il purgatorio, l'adoratione delle imagine, la SS. eucaristia...") e accusa la famiglia di colpevole negligenza: "li suoi parenti lo potevano aiutare con una sigurtà di D.200 e tirarlo costì, poi col mezzo di S. A. cacciarlo in Rubiera dove fosse crepato, m'hanno voluto la vergogna, hora dicano non essere de' suoi ma sempre si dirà di sua casa".

Secondo le Prove della genealogia della famiglia Castelvetri il C.avrebbe avuto due figli legittimi (Nicolò che fu notaio e Ippolita maritata a Galeazzo Bocchi) e un illegittimo, "avuto dalla Laura sua serva",a cui sotto il 3 giugno 1575 fu imposto il nome di Gerolamo, come risulta effettivamente dai registri della Comunità (Modena, Arch. comunale, 1575, p. 244, n. 213). Ma, come si è visto, la supplica del 3 genn. 1599, parla di 4 figli; e non c'è ragione di dubitare della accuratezza dell'indicazione fornita dal cardinale Arrigoni all'inquisitore di Modena in data 17 giugno 1609"Per ordine di questi miei Illustrissimi Signori fo sapere a V. R. che facci osservare Giacomo Castelvetro figliuolo di Lelio carcerato nel S. Off. di Mantova come si porti nelle cose della S. Fede cattolica, se riceva i sacramenti a i debiti tempi et faccia altre buone attioni che convengono a fedeli Christiani; et potendo gli faccia anco la perquisitione de libri et scritture se tra esse tenga cose proibite concernenti il S. Off. e il tutto eseguisca con la debita circospettione et prudenza ecc.".

Fonti e Bibl.: Fondamentale T. Sandonnini, Lodovico Castelvetro e la sua famiglia, Bologna 1882, pp. 259-268 (in app. docum. sull'eresia in Modena). A Modena, Bibl. Estense, Fondo Campori, ms. γ V, 4, 7, 17: Prove d. geneal. d. fam. Castelvetri, cc. n. n.; copia della sentenza mantovana mandata dal card. Millino all'inquisitore di Modena il 27 nov. 1609 si trova in Arch. di Stato di Modena, Cancell. ducale, Letterati, Carteggio, busta 14 (ivi anche la lettera del cardinale Arrigoni); Ibid., Cancell. ducale, Agenti. Corrispondenti Est., Italia, Roma, busta 151,contiene lettere di Pellegrino Bertacchi al cardinale Estense sullo sviluppo del processo; cfr. inoltre, Ibid., Inquisizione, busta 123 (lettera del card. Millino). Per le questioni d'eredità coi fratelli Giovanni e, in particolare, Ireneo, Ibid., Cancelleria ducale, Lettere e docum. di particolari, cartella C., n. 308; ivi anche una supplica di Isabella Seghizzi al duca Cesare I d'Este; altra supplica, per poter concedere "sicurtà" sulla propria dote, è rivolta dalla stessa ai conservatori del Comune di Modena, Modena, Archivio comunale, Ex Actis 28 sett. 1607. Ibid., Camera Segreta, si può vedere il volume V (1607-1615), ancora manoscritto, della Cronaca di G. B. Spaccini.

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