CORNELIE, LEGGI

Enciclopedia Italiana (1931)

CORNELIE, LEGGI

Filippo Stella Maranca

Le più antiche leggi che vanno sotto questo nome sono le leges datae da P. Cornelio Scipione Africano nel 204 a. C. in Sicilia; fra esse Cicerone (In Verr., II, 50) ricorda quella de seiratu Agrigentinorum cooptando, e ad esse può collegarsi il ricordo della lex municipalis Petelinis data (Corp. Inscr. Lat., X, 113,114; Dessau, p. 6468, ove si parla di IIII viri leg. Cor.) nell'81 a. C., della lex Puteolanis data nel 78 a. C. da Silla (Plut., Sull., 37), della lex municipalis data nel 56 a. C. dal proconsole P. Cornelio Lentulo all'isola di Cipro (Cic., Ad fam., XIII, 48; Ad Att., V, 21, 6).

Fra le leges rogatae vengono prima due leges de ambitu: la Cornelia Baebia (Liv., XL, 19) proposta dai consoli ex auctoritate senatus nel 181 a. C. e la Cornelia Fulvia (Liv., Epit., XLVII) del 159 a. C., dirette a reprimere tale reato. Seguono le leges di Cornelio Silla che sono certamente le più numerose, ma che dànno luogo a gravi dubbî, a incertezze continue, a questioni molteplici, sia per il loro contenuto, sia per il rapporto che intercedeva fra esse, sia per la determinazione cronologica che può esser compresa fra l'88 a. C., quando fu rogata la lex de comitiis centuriatis, e l'80, anno in cui la rogatio de reditu Cn. Pompei permise a Pompeo di ritornare dall'Africa per celebrare il trionfo (Gell., Noct. Att., X, 20, 10). Prima di enumerarle è bene ricordare le posteriori leges che pur si designano Corneliae e che furono promulgate nel 72, nel 67, nel 57, nel 47 e nel 44 a. C. Nel 72 la lex Cornelia de pecunia, quam Sulla bonorum emptoribus remiserat, exigenda, proposta dal console Cn. Cornelio Lentulo Clodiano (Gell., Noct. Att., XVIII, 4, 4) e quella de civitate, che autorizzò Cn. Pompeo a concedere, de consilii sententia, la cittadinanza romana a singoli individui in segno di particolare ricompensa (Cic., Pro Balb., 8, 19; 14, 32; 17, 38). Nel 67 il tribuno Cornelio, oltre alla rogatm de ambitu diretta a punire con l'esilio non solo i candidati ma anche i loro divisores (Cass. Dio, XXXVI, 38, 40), propose di restituire interamente al popolo la facoltà di sciogliere dall'osservanza della legge, ma il plebiscito modificò il progetto nel senso che il senato continuasse a esercitare tale facoltà subordinatamente alla presenza di duecento senatori e alla conseguente ratifica popolare. Altro plebiscito proposto dallo stesso tribuno, e nell'anno stesso, obbligò il praetor, che prima avrebbe potuto esservi astretto dall'intercessio del proprio collega, a seguire le norme enunciate nell'editto emesso quando assumeva la magistratura, senza alterarle in casi speciali.

A complures leges promulgate da Cornelio e non approvate per la intercessio dei colleghi accenna anche Asconio: notevole particolarmente è la rogatio, che il Lange (Röm. Alt., III, 204; cfr. II, 661) enumera fra le leges, con la quale, per evitare l'usura magna e i lucra turpia et famosa a danno dei legati stranieri, il tribuno proponeva ne quis legatis exterarum nationum pecuniam expensam ferret, ma la proposta fu respinta dal Senato (relationem repudiavit senatus).

Nel 57 su proposta dei consoli furono promulgate due leges Corneliae Caeciliae: una diretta a conferire a Pompeo per cinque anni l'acquisto e la distribuzione dei cereali (Cic., Ad Att., IV, 1, 7), l'altra, a seguito di un senatoconsulto per il quale ogni tentativo d'impedire i comizî doveva considerarsi attentato alla sicurezza dello stato (Cic., Pro Sext., 61, 129).

Si denomina ancora lex Cornelia la proposta che nel 47 il tribuno Dolabella fece (Cic., Ad Att., XI, 23, 3; Liv., Epit., CXIII; Plut., Ant., 9, 1), riprendendo e ampliando la rogatio presentata dal pretore Celio Rufo e diretta alla riduzione dei debiti per mutui o per locazioni; questa non fu votata in forza del senatusconsultum ultimum provocato dal console Servilio Isaurico (Caes., De bell. civ., III, 21; Cass. Dio, XLII, 22, 1); quella, per la violenta opposizione di Antonio, alla quale seguì la decisione del senato onde ogni provvedimento doveva rimanere sospeso sino al ritorno di Cesare. Proposte dallo stesso Dolabella, divenuto consul suffectus nel 44, la rogatio Cornelia tendeva a far dichiarare giorno di pubblica festa l'anniversario della morte di Cesare (App., Bell. civ., II, 122; III, 35) e la lex Cornelia assegnò ad Antonio la provincia di Siria e il comando della guerra contro i Parti in luogo di Cassio Longino, che vi era stato già designato (App., Bell. civ., III, 7; Cass. Dio, XLVII, 29, 1; Cic., Ad Att., XV, 11, 4). Tornando alle leges di Silla e seguendo l'ordine cronologico segnato dal Rotondi (Leges publicae populi Romani, p. 343 e seguenti), fra le leges rogatae nell'88 a. C. poniamo: 1. la lex Cornelia Pompeia de comitiis centuriatis, che il Rotondi pone insieme con quella de tribunicia potestate (App., Bell. civ., I, 59; Cic., De leg., III, 9, 22) mentre è incerto se si tratti di un'unica legge, o, come pare più probabile, di due leggi intimamente connesse; la prima, diretta a ristabilire l'ordinamento serviano dei comizî centuriati; la seconda che si deve distinguere dalla lex de tribunicia potestate dell'82; 2. la lex Cornelia Pompeia unciaria, la cui notizia è data da un testo lacunoso di Festo; onde si rileva indubbiamente che essa era una lex fenebris, ma non risulta chiaro se ai debitori fosse rimesso un decimo del debito (ut debitores decimam partem...) ovvero se il tasso degl'interessi fosse stabilito al dieci per cento; 3. la lex Cornelia de exsilio Marianorum (Vell. Pat., II, 19) che colpì con l'interdictio aqua et igni Mario, il figlio adottivo e dieci seguaci, già dichiarati da un senatoconsulto hostes populi Romani; donde Plutarco (Sull., 10) erroneamente desumeva che fossero stati perciò dal Senato condannati a morte.

La prova è data dalla lex Cornelia de exsulibus revocandis, proposta l'anno seguente dal console Cornelio Cinna.

Nell'82 troviamo distinte le seguenti leggi Corneliae: 1. de proscriptione, la quale, secondo il Mommsen (Droit pubbl., IV, p. 451, n. 1), sarebbe stata una lex data, dacché la lex Valeria l'avrebbe confermata (Cic., Pro Rosc., 43-44; De leg. agr., III, 2, 6; In Verr., I, 47, 123). Essa ordinava la vendita dei beni di quelli che erano proscritti nelle tavole rimaste aperte sino alle calende di giugno, toglieva loro la testameitti factio passiva e qualsiasi forma di assistenza, e privava i loro figli e nipoti del ius honorum (Vell. Pat., II, 28); 2. de tribunicia potestate, che ridusse la potestà tribunizia a una imago sine re, come dice Velleio Patercolo (II, 30); 3. de magitratibus, che forse costituiva una legge unica con la precedente e che, mentre precisava il certus ordo magistratuum, ossia il cursus honorum (questura, pretura, consolato), ristabiliva la necessità di un intervallo decennale per la rielezione alla stessa magistratura (se esatta è la notizia di Appiano, Bell. civ., I, 100) e determinava l'età minima per ciascuna di esse; 4. iudiciaria con la quale si restituiva ai senatori il munus iudicandi, rimasto sino allora ai cavalieri (Cic., In Verr., I, 13; Vell. Pat., II, 32), si limitava il diritto di ricusazione a non più di tre giudici (Cic., In Verr., II, 31; ne reiiciundi quidem amplius quam trium iudicum... potestas) e si prescriveva al presidente delle quaestiones perpetuae di domandare all'accusato se volesse il voto palese o segreto (Cic., Pro Cluent., 20, 55).

In connessione con la lex iudiciaria è da porsi quella relativa all'aumento dei pretori, che inizierebbe la serie delle leges emanate nell'8 e che si suol designare de praetoribus octo creandis, dopo che si osservò che Velleio Patercolo (II, 89) e Dione Cassio (XLII, 52) sono concordi nel dichiarare come Augusto soltanto abbia elevato a dieci il numero dei pretori. A questa argomentazione, diretta a toglier fede alla notizia di Pomponio (Dig., I, 2, de or. iuris, 2, 32: deinde Cornelius Sulla... praetores quattuor adiecit), può opporsi la coesistenza di dieci pretori, storicamente accertata, anteriore ad Augusto. Dello stesso anno 82 si credono le leggi: 1. de pontificum augurumque collegiis (Cic., De leg. agr., II, 7, 18; Liv., Epit., LXXXIX), con la quale si abrogò la lex Domitia, si ristabilì la cooptatio per i collegia sacerdotali e fu elevato a quindici il numero dei pontefici e degli auguri; 2. de ludis Victoriae instituendis (Vell. Pat., II, 27, 6; Cic., In Verr., I, 10, 31), con la quale, per festeggiare la vittoria di Porta Collina, si stabilirono ludi da celebrarsi dal 26 ottobre al 1° novembre; 3. de civitate adimenda ad alcune città rimaste fedeli a Mario, e precisamente a Volterra e ad Arezzo (Cic., Pro Caec., 7, 33; 35; Ad Att., I, 19; 4), che furono ridotte nella condizione di Ariminum e delle altre undici colonie, cui furon lasciati nexa et hereditates, come dice Cicerone, ossia il ius commercii e la testamenti factio passiva; 4. de provincis ordinandis (Cic., Phil., X, 11, 26; Adfam., I, 9, 13; III, 6, 1; III, 10, 3), per la quale la gestione della magistratura provinciale si considerava prorogatio di quella urbana; 5. de XX quaestoribus creandis, con la quale il numero dei quaestores fu portato a venti e, con l'ammissione degli ex-questori in Senato, si rese inutile la lectio censoria (Tac., Ann., XI, 22). Un frammento, scoperto a Roma nel sec. XVI tra le rovine del tempio di Saturno e conservato a Napoli nel Museo Nazionale, incomincia: VIII de XX q.; ed è pertanto la tavola ottava della legge, concernente l'ufficio degli scribae quaestorii e le norme per la loro nomina, la loro conferma e il compenso ad essi dovuto e la loro sostituzione da proprî vicarii. Le decurie di apparitores, praecones et viatores venivano elevate da nove a tredici e dovevano essere elette per terzi dai quaestores dei tre anni pretedenti; 6. agraria, con la quale i veterani di quarantasette legioni (Liv., Epit., LXXXIX) o di ventitré (App., Bell. civ., I, 100) si divisero in sortes, dichiarate inalienabili, le terre confiscate in seguito alle prescrizioni (Cic., De leg. agr., II, 28, 78; III, 2, 6; III, 3, 12); 7. frumentaria, con la quale furono abolite le frumentationes (Sall., Hist. fr., I, 55, 11); 8. sumptuaria, mercé la quale si stabilì, a trecento sesterzî nei giorni solenni e a trenta negli altri, il massimo di spesa per i banchetti (Gell., Noct. Att., II, 24, 11) e si determinò il minor prezzo dei cibi (Macrob., Saturn., III, 17, 11: minora pretia rebus imposita), comminando a favore dell'erario un'ammenda pari all'eccedenza della spesa (Cic., Ad Att., XII, 35, 36); 9. de maiestate, che non solo regolò il procedimento per il crimen maiestatis istituendo una quaestio perpetua, ma, pur mantenendo la pena dell'aqua et igni interdictio, estese i termini di tal crimine, parificando alle offese contro la dignitas, l'amplitudo e la potestas del popolo romano, quelle dirette contro i magistrati quali rappresentanti e delegatarî del popolo stesso (Cic., De inv., II, 17, 53; In Pis., 21, 50; Pro Cluent., 35, 97); 10. de ambitu, che alcuni scrittori vorrebbero identificare con la lex Cornelia Baebia, ma che il Mommsen (Strafrecht, p. 867, n. 2, in base allo Schol. Bob., p. 78, ed. Stangl) giustamente attribuisce a Silla; 11. de repetundis, che, oltre a riaffermare i principî informatori delle precedenti leggi in materia e ad imprimere un più spiccato carattere penale alla persecuzione del crimen già deferito stabilmente dalla lex Calpurnia ad apposita quaestio (Cic., Pro Rab. Post., 4, 9; Pro Cluent., 37, 104), sanzionò che le somme destinate ad onoranze dei magistrati dovessero considerarsi come illecite capiones se le onoranze non avessero luogo entro il quinquennio (Cic., In Verr., II, 2, 58, 142); 12. de peculatu, che alla quaestio relativa, già istituita prima del 90 a. C., nel quale anno essa fu presieduta dal pretore Murena, affidò la persecuzione del reato non solo se le appropriazioni di pubblici beni fossero commesse da magistrati, ma anche se fossero imputabili a cittadini non investiti di pubbliche funzioni (Cic., Pro Cluent., 53, 147; De nat. deor., III, 74); 13. de alea, che, riaffermando il criterio onde il giuoco d'azzardo si riteneva lesivo della pubblica moralità (Cic., Phil., II, 23, 56), in conformità di altre leggi riconosceva la validità delle scommesse; 14. de adpromissoribus o de sponsu, la quale vietava che una stessa persona garantisse entro un medesimo anno a favore di un medesimo debitore e verso un medesimo creditore per una somma superiore a ventimila sesterzî, riducendo a tal somma l'ammontare di qualsiasi garanzia prestata, tranne che non fosse relativa a stipulazioni giudiziali, a cauzioni dotali, a debiti ex testamento ovvero ad eas satisdationes quae ex lege vicesima hereditatium proponuntur. Il Perozzi (Istituzioni, II, 1928, p. 229 nota) e il Girard (Manuel de droit romain, 1929, p. 800, n. 1), partendo dalle osservazioni del Levy (Sponsio, fidepromissio, fideiussio, 1907, pp. 117-124), ritengono che questa legge "non sia con certezza attribuibile a Silla". Certo è che la fideiussio fu introdotta prima della lex Cornelia e che questa fu anteriore alla lex vicesima hereditatium (sulla quale cfr. F. Stella Maranca, in Rendiconti dell'Accad. dei Lincei, 1924, fasc. 7-12, pp. 7-8); 15. de adulteriis et de pudicitia (Plut., Comp. Lys. et Sull., 3, 3), che invece altri, in base ad un testo di Papiniano (Dig., XLVIII, 5, ad l. iul. de adult., 23), confonde con la lex iulia de adulteriis; 16. de iniuriis, che il giureconsulto rammemorava precisamente nel suo libro primo de adulteriis per dichiarare che in essa domus et pro domicilio accipienda est. Essa indicava tre casi tassativamente determinati di iniuriae (pulsatio, verberatio, vi domum introire) nei quali, anziché richiedere un congruo risarcimento con la privata actio iniuriarum, la vittima poteva provocare contro l'autore l'applicazione della sanzione criminale; 17. de sicaris et veneficiis, intesa precipuamente a reprimere, come la sua denominazione dimostra, gli attentati alla vita altrui commessi a scopo di rapina o di vendetta per opera di banditi e di predoni sulle grandi vie di comunicazione, e gli attentati col mezzo di sostanze venefiche propinate a fine di uccidere (Cic., Pro Cluent., 23, 62; Pro Rosc. Am., 5, 11; Pro Mil., 7, 17; De ntit. deor., III, 30, 74; De inv., II, 20).

L'elenco degli atti criminosi che si desume dalle fonti postclassiche e giustinianee (Coll.,1, 1, 2, 3; Paul., Sent., 5, 23; Dig., XLVIII, 8, ad l. corn.; Cod. Th., IX, 14; Cod., IX, 16; Inst., IV, 18, de publ. iudiciis, 15) rappresenta certamente le successive applicazioni che di questa legge fecero senatoconsulti, costituzioni imperiali e giureconsulti; indica anche le specificazioni introdotte dai compilatori pregiustinianei e giustinianei; 18. de falsis, dal titolo del Digesto (XLVIII, io), ov'è unito il ricordo del senatoconsulto Liboniano e del Codice Giustinianeo (IX, 22) ovvero de falso, dal titoli del Codice Teodosiano (IX, 19), mentre nelle Sententiae di Paolo (V, 25) è mantenuta la denominazione di testamentaria (Inst., IV, 18, de publ. iudiciis, 7: item lex Cornelia de falsis, quae etiam testamentaria vocatur), che risulta da Cicerone (De nat. deor., III, 30, 74) il quale, parlando di quaestio testamentorum, ne limita l'originario contenuto; 19. nummaria, la quale colpiva le falsificazioni e la spendita di false monete. La distinzione risulta dal testo ciceroniano (In Verr., II, 1, 42, 108) ove si dice che la legge Cornelia testamentaria, la nummaria e altre non costituivano ius aliquod novum ma disciplinavano la necessità di rimettere al popolo il giudizio di ciò che semper malum facinus fuerit; 20. de Captivis o de confirmandis testamentis eorum qui in hostium potestate decessissent, come scrivono il Cuq (in Daremberg e Saglio, s. v. lex, p. 1142) e il Rotondi (op. cit., p. 356), dimenticando che la ragione principale, onde è da rigettarsi la congettura su indicata, è che il giureconsulto Giuliano (Dig., XLIX, 15, de captivis, 22 pr.) parla di bona eorum, qui in hostium potestatem pervenerint atque ibi decesserint, sive testamenti factionem habuerint sive non habuerint, cioè di successioni testamentarie e ab intestato. Incerti sono l'età e il nome del proponente, ma, in mancanza di dati precisi, non può ripudiarsi la comune opinione. E se quella denominazione è desunta da un testo (Dig., XXVIII, 3, de iniusto rupto, 15) di Giavoleno, il quale è il più antico giureconsulto che ne tratta, non perciò è da dimenticarsi l'antica disciplina del postliminium e l'istituto della capitisdeminutio, cui la lex de captivis si riferisce.

Bibl.: H. Dessau, Inscriptiones latinae selectae, Berlino 1892-1906; C. G. Bruns, T. Mommsen, O. Grandenwitz, Fontes iuris romani antiqui, Lipsia-Tubinga 1909; L. Lange, Römische Alterthümer, Berlino 1876-1879; E. Herzog, Geschichte u. System der röm. Staatsverfassung, Lipsia 1884-87; Th. Mommsen, Röm. Staatsrecht, Berlino 1887; P. Willems, Le droit public romain, Lovanio-Parigi 1884; E. Costa, Storia del diritto romano pubblico, 2ª ed., Firenze 1920; id., Crimini e pene da Romolo a Giustiniano, Bologna 1922; id., Storia del diritto romano privato, 2ª ed., Torino 1925; id., Storia delle fonti del diritto romano, Torino 1909; P. Bonfante, Storia del diritto romano, 3ª ed., Milano 1923; G. Rotondi, Leges publicae populi romani, Milano 1912; Fritzsche, Die sullanische Gesetzgebung, 1899; Fröhlich, L. Cornelius L. f. P. n. Sulla Felix, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, col. 1522 segg.; F. Stella Maranca, Fasti praetorii, 1927; É. Cuq, Leges Corneliae, s. v. Lex, in Daremberg e Saglio, Dict. des ant. grecques et romains, III, ii, p. 1137 segg.

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