LEGATURA

Enciclopedia Italiana (1933)

LEGATURA (fr. reliure; sp. encuadernación; ted. Buchbinderae; ingl. bookbinding)

Tammaro DE MARINIS
Filippo ROSSI
Guido GIANNINI

Il vocabolo indica l'atto e l'effetto di legare i libri, il cucire insieme i fogli dei libri e fornirli di copertina.

Storia. - È probabile che da quando il libro cessò di avere la forma di rotolo o volumen per assumere quella che anche attualmente conserva, e cioè intorno al sec. V, si pensasse a dargli una legatura atta a contenerne la compagine, e che fin da allora si cercasse di farla più adorna e preziosa per i libri di qualche riguardo. Tale cura è attestata fino da Cassiodoro per i codici che egli faceva trascrivere dai monaci del suo cenobio di Vivario (Toesca). Di pergamena, di cuoio o di stoffa dovevano essere le legature semplici, più usuali; ma né di queste, né di quelle più preziose si conservano esemplari che si possano far risalire fino al sec. V; di quest'ultime l'esemplare più antico è quello aureo dell'evangeliario donato dalla regina Teodolinda al duomo di Monza e che risale al principio del sec. VII: lavoro probabilmente di orafo italiano che s'ispirò all'arte bizantina, adornando i piatti di cammei antichi, di croci, di gemme intomo a cui dispose altre gemme e lamelle di granato, racchiuse in alveoli, che decorano anche gli orli. In altre di queste legature più preziose i piatti di legno erano decorati invece con rilievi d'avorio, d'oro o argento sbalzato o inciso, con smalti, nielli, filigrane, perle; lo schema che prevale è quello di creare un campo centrale rettangolare incassato e incorniciato, che reca assai spesso immagini allusive al contenuto del libro; il piatto posteriore è meno accurato o addirittura semplicemente coperto di stoffa o di cuoio. Tra gli avorî più di frequente usati per legature sono i dittici consolari o cristiani, le cui valve occupano di solito la parte centrale del piatto, circondate da strisce d'avorio lavorate a giorno o da lamine d'oro sbalzato adorne di pietre preziose e smalti: da quello di Rufio Probiano che copre un manoscritto berlinese del sec. XI a quello del tesoro del duomo di Halberstadt, che copre un innario dello stesso secolo, da quello della Bibliothèque Nationale di Parigi, adoperato per un evangeliario del sec. IX, a quelli carolingi e della scuola di Metz, dei secoli IX e X, nella biblioteca del convento di San Gallo, in quella civica di Francoforte sul Meno, nella Bibliothèque Nationale di Parigi (sacramentario del vescovo Drogone, 826-855), a quelli bizantini del sec. XII, come il salterio di Melisenda al British Museum. Un solo esempio forse si ha di una coperta di libro in avorio creata appositamente come tale ed è quella di un evangeliario del sec. X, esistente nel convento di Eǧmiadzin in Armenia. Sculture d'avorio e lavoro di oreficeria concorrono a rendere preziosa un'altra legatura conservata nel tesoro di Monza, quella del sacramentario di Berengario I, del sec. IX, in cui gli ornati eburnei a traforo spiccano sull'argento dorato del fondo e dentro gli orli pure d'oro e d'argento tempestati di perle e lavorati a filigrana. Opera invece esclusivamente d'oreficeria bizantina o bizantineggiante sono cinque legature del tesoro di San Marco a Venezia che vanno dal secolo VIII al XII, in tavolette di legno rivestite di lamine d'argento dorato, decorate di castoni con pietre o paste vitree, perle e arricchite di smalti; l'evangeliario del Louvre della fine del sec. X o dei primi dell'XI con raffigurazione delle Marie al sepolcro e la coperta di evangeliario della Biblioteca comunale di Siena. Ad orafi carolingi appartengono l'evangeliario Ashburnham di Lindau, del sec. VIII, il salterio di Carlo il Calvo (842-869) alla Bibliothèque nationale di Parigi, l'evangeliario di S. Gauzlin vescovo di Toul nel tesoro del duomo di Nancy, del sec. X, il codex aureas del convento di S. Emmeramo a Ratisbona (Monaco, Staatsbibliothek) della fine del sec. IX, l'evangeliario di Echternach; compiutamente romanici invece quello di Enrico II per il duomo di Bamberga (1014), oggi nella Staatsbibliothek di Monaco; quello del monastero di Essen, del 1050; quelli del museo arcivescovile di Utrecht, quelli dell'arcivescovo Ariberto nel tesoro del duomo di Milano, della prima metà del sec. XI, con smalti di imitazione bizantina di vivo effetto cromatico, e quello della cattedrale di Vercelli (sec. XII). In altre legature romaniche le lamine d'argento sono sbalzate a rilievo assai forte (evangeliario dell'abbadessa Uta, della prima metà del sec. XI, Monaco, Staatsbibliothek; evangeliario di Euger, Berlino, Schlossmuseum; evangeliario del convento di Notre-Dame a Namur, di Hugo d'Oignies, della prima metà del sec. XIII; uno frammentario nel tesoro di San Marco a Venezia); mentre la filigrana predomina come ornamento esclusivo soltanto più tardi (legatura del sec. XIII nel tesoro del castello di Quedlinburg). Rammentano la tecnica speciale dell'opus interrasile, citata dal monaco Teofilo nella sua Schedula diversarum artium, alcune legature fatte di lamine metalliche ritagliate a contorno e incise, su fondo di seta o di cuoio: frequenti più che altrove nei paesi germanici (lezionario del sec. X della biblioteca del conte Schönborn a Pommersfelden, evangeliario di Enrico II a Monaco, evangeliarî del sec. XII nella biblioteca universitaria di Würzburg, legature dello stesso secolo nel tesoro del duomo di Hildesheim). Nel sec. XII e nel XIII oltre agli smalti ad alveoli rapportati (cloisonné) si trovano quelli ad alveoli incavati (champlevé) su fondo di rame, quali uscivano allora in quantità dalle officine prima renane e mosane, e poi limosine. Queste legature, che sono molto numerose, hanno un tipo di decorazione quasi costante: i simboli evangelici agli angoli, uno o più smalti più grandi al centro (crocifissione e Cristo in trono: per lo più sono in smalto i fondi e le vesti e le figure sono incise e dorate) e ornamenti lunghi e sottili negli orli. L'oreficeria, dopo essere stata per tanti secoli l'elemento principale della decorazione nelle legature, scompare quasi del tutto nel sec. XIV: riporti metallici cominciano ad apparire sui piatti rivestiti di cuoio impresso o intagliato; e rimangono in uso più frequente soltanto le legature in semplici lamine d'argento sbalzato o inciso (coperta in argento dorato nel monastero di San Biagio a San Paolo di Carinzia; epistolario del 1380 nel tesoro del duomo di Limburg a. d. Lahm; evangeliario di Niederaltaich del sec. XV, nella biblioteca di Monaco) o lavorato a giorno su fondo di velluto (evangeliario del sec. XIV nel Museo civico di Colonia). Ma prevale sempre più l'uso di limitare l'impiego del metallo anche prezioso a piccoli ornamenti e a borchie e le legature di maggior pregio si fanno di velluto e di stoffa (codice delle leggi spagnole, Biblioteca Nazionale di Madrid; codice minerario di Štiavnica) o di crioio liscio (antifonario del duomo di Győr). Formano un gruppo distinto che non ha riscontro altrove le legature in tavolette dipinte dei libri senesi della Gabella e della Biccherna, che dalla seconda metà del sec. XIII si estendono fino alla fine del XVII, e che recano il camerlengo in atto di contare il denaro, le armi dei provveditori e i loro nomi, cui poi si aggiungono nel sec. XV figurazioni sacre, allegoriche, o allusive a fatti della vita cittadina.

Il primo sistema di decorazione usato per legature in cuoio è quello dell'intaglio; si conosce infatti la legatura di un codice Bonifaziano della Biblioteca civica di Fulda, che risale fino al sec. VIII; un'altra dello Stonyhurst College nel Lancashire è del sec. XII. Questo tipo fu assai diffuso nei secoli XIV-V, arricchito anche di decorazioni a punzone e a sbalzo, e soprattutto nei paesi dell'Europa centrale: è usato di solito in cuoio di bue di color bruno e lo schema è quello di un campo centrale contenuto entro cornici ornate guarnite agli angoli di rapporti metallici. Le legature trecentesche hanno ornamenti di motivi vegetali o animali, talvolta stilizzati e fantastici, mentre sono rare le figure umane: sono frequenti nei manoscritti ebraici (fra le più antiche è la custodia di una Bibbia ebraica del 1331), ma non limitate a questi neppure nei tempi più antichi (Decretali del 1388 della Biblioteca civica di Norimberga). Quelle del sec. XV attestano una diffusione territoriale sempre maggiore che culmina soprattutto nella seconda metà del secolo, e mostrano un repertorio di motivi più ricco di quello delle precedenti, cui si sono aggiunte le armi dei possessori, figure di santi, scene di contenuto profano. Sono eccellenti per la tecnica specialmente quelle prodotte a Norimberga, notevoli anche per la varietà dei modelli in cui predominano le scene figurate, soprattutto di caccia. Se ne fecero anche in Italia e i più belli esempî sono offerti dal Poggio della Bibl. Marciana (circa 1485), da un Officium B. M. V. conservato nella Biblioteca Braidense a Milano, dalla custodia sforzesca della raccolta Figdor e dalla teca per l'atto di donazione della biblioteca del cardinale Bessarione, del 1468 (Venezia, Biblioteca Marciana). Questo tipo cessa del tutto con la fine del sec. XV.

L'altro tipo invece dell'impressione a freddo sul cuoio, attestato di non minore antichità nella legatura del codice Bonifaziano I a Fulda, che contiene un manoscritto dell'Armonia evangelica del vescovo Vittore di Capua (sec. VIII), raggiunge una diffusione molto maggiore e più duratura. Uno dei gruppi più antichi è quello inglese dei secoli XII-XIII, che copre i piatti di legno con cuoio bruno o rosso scuro decorato con ferri ripetuti in lunghe serie negli orli, e con ferri geometrici variati nel centro, disposti preferibilmente secondo un motivo circolare; ma non mancano neppure i motivi vegetali stilizzati, quelli puramente ormamentali o quelli figurati. La perfezione della tecnica è certo assai superiore alla bellezza dell'effetto d'insieme. Un'officina assai reputata era nel convento di Durham. Questo tipo scomparve in Inghilterra nel secolo XIV per risorgere solo col XV, che è il secolo d'oro di questa particolare tecnica decorativa della legatura. Nel Quattrocento si può dire anzi che questo divenga il tipo comune della legatura europea. Le pelli usate sono la bazzana rossa, il vitello bruno, il cuoio cosiddetto cordovano (pelle di capra) colorito in rosso e la pelle di porco; la pergamena bianca appare solo nel secolo successivo; il dorso è liscio, e il taglio colorito uniformemente; frequenti gli ornati metallici agli angoli e al centro. Lo schema decorativo è sempre quello di un campo centrale rettangolare con una o più cornici, diviso a sua volta in campi più piccoli. I ferri adoperati sono ripetuti in serie verticali, diagonali, incrociate o a losanga; e la superficie è talvolta divisa in triangoli, come nelle legature tedesche e inglesi, o ricoperta da un unico stampo, come in quelle olandesi, francesi e anche inglesi. Nelle cornici soprattutto i ferri sono ripetuti uno accanto all'altro e talvolta impressi mediante un rullo. I motivi dei ferri sono ornamentali (fiori stilizzati, nastri iscritti, ecc.) o figurati (animali reali e fantastici, scene di soggetto religioso o profano); le figurazioni maggiori sono impresse a stampo mediante un torchio (figure di santi, scene bibliche, figure araldiche ai lati degli stemmi) e continuano nelle loro forme gotiche fino al sec. XVI inoltrato, diffondendosi allora anche in Germania, dove più rare erano state nel secolo precedente. Gli artefici di queste legature sono assai spesso monaci: benedettini, cisterciensi, certosini, agostiniani, domenicani, ecc., specialmente in Germania (Conrad Forster, domenicano di Norimberga, 1433-57; Johan Richenbach di Geislingen nel Württemberg, 1467-75), ma ve ne furono anche di laici. Centri principali delle loro officine furono Erfurt (Johannes Fogel, 1456-59; Conradus de Argentina, Ulrich Frenckel, 1456-80), Ingolstadt, Ulma, Danzica (1460-1520), e, in Inghilterra, Oxford e Cambridge; e talune erano officine editoriali. Nei Paesi Bassi si suole adoperare anche più di uno stampo per la figurazione principale, facendogli girare intorno la leggenda; e lo stesso si fa in Francia e in Inghilterra, dove prevalgono gli stampi figurati disposti secondo schemi verticali o diagonali, prima che la decorazione si riduca a una pura funzione araldica. Anche in Italia questo tipo di decorazione fu diffuso, ma meno che nei paesi settentrionali; appare nel sec. XIV, con prevalenzz di motivi minuti (gigli, rosette ecc.), disposti entro una partizione a reticolato; e soltanto nella seconda metà del secolo XV appaiono motivi figurati (legature milanesi con cornici concentriche, fatte con un unico ferro raffigurante la biscia viscontea; una del British Museum, ms. add. 17.397, e due legature delle raccolte De Marinis e Martini; legatura veneziana circa del 1490, dell'Apuleio di Chantilly [VIII, H. 28] con caratteristica cornice di sirene affrontate) e dovuti all'influsso orientale, come trecce, nodi e nastri; soltanto nel sec. XVI si aggiungono dei veri e proprî arabeschi; pure cinquecenteschi sono i rarissimi esempî di decorazione a pannello. Questo influsso orientale è dovuto soprattutto alla presenza in Italia di artigiani orientali; ma non è il solo a determinare gli schemi decorativi dell'arte italiana, che subisce anche quello delle legature tedesche attraverso i numerosi tipografi di quella nazionalità che vi avevano preso stanza. Questo tipo ha il suo esempio più antico nel celebre Sant'Agostino del convento di Santa Giustina di Padova del 1410 (ora a Londra nella collezione E. P. Goldschmidt) e diviene comune soprattutto nella seconda metà del sec. XV: le legature vengono fatte con piatti di legno coperti di cuoio impresso a freddo con motivi annodati orientalizzanti, seminati di punti e di doppî circoli, talvolta di riporto, dorati o colorati. I centri maggiori di produzione furono Venezia, Firenze, Napoli e anche Roma: là fu preferito il cuoio scuro, qui quello rosso cupo: più semplice la decorazione delle legature napoletane, che preferiscono un motivo centrale a losanga e che subiscono fra le prime e assai direttamente l'influsso della decorazione islamica, favorito dalla dominazione aragonese.

Nelle legature orientali, eccettuate quelle copte che sono le più antiche, prevale una decorazione di tipo geometrico, che si limita talvolta a occupare il centro e gli angoll del piatto; datano anche esse dal sec. XIV al più presto, e si diffondono poi molto nei due secoli successivi, avendo i centri principali della loro produzione in Herāt e a Samarcanda. La decorazione si ripete di solito nei due piatti e nei loro interni: generalmente costituita da motivi puramente ornamentali, vi appaiono di rado figure di animali (legature persiane) o anche motivi vegetali, o scene figurate (legature laccate persiane, turche e indiane dei secoli XVI-XIX). Le officine più antiche sono quelle dell'Egitto e della Siria, da cui uscirono legature impresse a freddo con linee e punti dorati, oppure decorate di un medaglione centrale e di angoli impressi a freddo, dorati e intagliati; più semplici quelle dello Yemen, con cornici iscritte; sontuose soprattutto quelle persiane del Cinquecento, in capretto bruno scuro con dorature a piccoli ferri o a stampi e interni intagliati a filigrana, caratteristiche per la mandorla ornata del centro il cui motivo si ripete negli angoli, sul fondo liscio e ornato di viticci fioriti di arabeschi, entro bordi molteplici di cui taluni anche iscritti. Finissima è soprattutto la tecnica di queste legature, in cui la doratura è data a polvere o a foglia e gl'interni sono in traforo a filigrana su fondo di cuoio o di carta.

Fu appunto dalle legature orientali che derivò quella particolare tecnica delle impressioni in oro, destinata a fiorire soprattutto in Italia nel Quattrocento, e di qui a diffondersi nelle altre regioni d'Europa. Artigiani moreschi, probabilmente di Cordova, dovettero avere occasione di contatto con il Mezzogiorno d'Italia, dominato dagli Aragonesi: e a queste regioni infatti appartengono gli esempî più antichi di tali legature (in marocchino, di provenienza per lo più cordovana) e anche le prime menzioni che se ne trovano nei documenti, che non sono però anteriori al 1480. Si risale con i primi fino agli anni intorno al 1450 (manoscritto delle Deche di Tito Livio già nella raccolta Holford, fatto nel 1446 per Alfonso d'Aragona) e si deve anzi supporre che l'abilità e il gusto in essi dimostrato non possano attribuirsi che ad artefici già provetti. La cura particolare con cui gli Aragonesi costituirono la loro famosa biblioteca, oggi dispersa, dovette certamente favorire lo sviluppo della legatura napoletana; e nei pochi esemplari che ce ne restano si può già notare il costituirsi di un repertorio di tipi e di motivi (cornici di volute fogliate, interni dorati o coloriti in azzurro, occhi, nodi, palmette, fogliami, romboidi a lati curvi iscritti entro losanghe, motivi geometrici striati, uso di lacche nere o rosso-scure) che permette di attribuire un'eguale origine a molte altre legature dello stesso tempo. Gli ultimi decennî del secolo debbono essere stati quelli del maggior fiorire delle officine napoletane: a essi appartengono, fra le altre, le legature fatte per Mattia Corvino re d'Ungheria, anche se eseguite materialmente nella capitale ungherese da artisti chiamativi appositamente da Napoli. Uno sviluppo non meno rapido ebbe l'arte della legatura a Venezia, dove già artefici orientali avevano portato nel Quattrocento una tecnica particolare, quella dell'impressione a freddo riempita d'oro liquido, che perdurerà fin oltre la metà del secolo successivo. Opera di legatori orientali devono essere alcuni esemplari assai raffinati, con interni decorati di nodi dorati a pennello, intarsî di cuoio e perle di pasta vitrea; in un altro gruppo anteriore al 1488, con decorazione a filigrana di cuoio su fondo di colore e motivi floreali coloriti anche a smalto, compaiono per la prima volta a Venezia delle cornici di ferri dorati. Verso il 1480 si può dunque fissare l'adozione di questa tecnica da parte dei legatori veneziani, che dagli orientali copiarono anche i disegni e le composizioni, specialmente i centri oblunghi e gli ornamenti angolari delicatamente incisi. Gli esempî più insigni di questi primi prodotti della legatura veneziana sono nella biblioteca di Gotha, dove sì conservano quattro volumi legati per Pietro Ugelheimer, socio di Nicola Jenson, nella cui decorazione appare chiara l'unione degli elementi orientali e occidentali. L'accostamento di motivi di puro tipo Rinascimento ad altri orientalizzanti appare anche in altre legature veneziane dello stesso periodo, che si distinguono tutte per una certa uniformità di motivi e per armonia e sobrietà di composizione decorativa: si possono identificare anche singole officine, di cui nessuna però può attribuirsi a questo o a quell'editore (forse non sono tali neppure le cosiddette aldine, in pelle scura, con sobrie inquadrature di filetti dorati e a freddo e di ferri a foglia, più tardi adorne al centro di un ornamento più grande). A Firenze la tecnica delle impressioni dorate non si diffuse altrettanto sollecitamente: limitata prima a pochi circoletti dorati sparsi fra gl'intrecci impressi a freddo, soprattutto nei lati minori della cornice (ms. viennese del card. Vitez, ms. Sassetti di Arato al British Museum), dovette essere d'uso abbastanza frequente solo negli anni intorno al 1470 (gl'inventarî estensi usano il termine stampado alla fiorentina per legature di questo genere), quando del resto tale foggia di decorazione appare anche in officine dell'Italia settentrionale, romane e napoletane. La più antica rilegatura sicuramente fiorentina, in cui la tecnica delle impressioni dorate appare del tutto sviluppata, è quella dell'Anthologia graeca (Firenze 1494) del British Museum, che reca nel centro due cammei impressi da forme d'intagli antichi con le teste di Filippo il Macedone e di Alessandro Magno. È quest'ultima una forma decorativa caratteristica della legatura italiana, introdotta intorno al 1480 e che troverà grandissimo favore nel secolo successivo: indice eloquente dell'influsso classico che si fa sentire anche in queste arti minori, con le frequenti riproduzioni di cammei, monete, medaglie o targhette, essa ha esempî quattrocenteschi anche in legature veneziane. Delle altre città italiane che possono vantare nel sec. XV officine di legature, Ferrara dovette essere la più importante; gli Estensi vi andavano infatti radunando dal principio del secolo la loro insigne biblioteca, nella quale fin dall'epoca di Niccolò III troviamo rammentate legature di libri; le impressioni in oro non vi appaiono però che nell'ultimo decennio, insieme con alcune legature decorate con silografie incollate sul cartone: prima vi furono assai frequenti le legature in stoffa che anche altrove (Milano, Firenze, Siena, ecc.) dovevano essere le più consuete per esemplari particolarmente sontuosi (Trattato di falconeria per Francesco Sforza, Milano 1459, ora a Chantilly; corali della Bibl. Laurenziana legati in velluto; Breviario francescano della Biblioteca comunale di Siena). Rarissime sono le legature bolognesi sicuramente quattrocentesche; notevole invece dovette essere l'attività dei legatori romani (legature per Pio II: alla Bibl. Vaticana, fondo Chigi), che appresero abbastanza presto la nuova tecnica e la praticarono con un gusto decorativo un po' eclettico, ma non indifferente. Tracce di una consimile attività si hanno anche in Lombardia, sia nei documenti della cancelleria ducale, sia in legature, come quella trivulziana della grammatica di Donato per Massimiliano Sforza, o in altre, di cuoio, di metallo o di velluto, fatte per chiese o per biblioteche principesche.

Nel sec. XVI Roma e Venezia soprattutto dominano nel campo della legatura artistica italiana. A Venezia è sempre vivo il tipo delle legature cosiddette aldine, che conservano ancora una notevole sobrietà nelle loro decorazioni geometriche impresse sulla pelle bruna che ricopre i piatti di cartone, e che furono imitate volentieri anche fuori di Venezia. Più evidente è il persistere dell'influsso orientale nelle altre legature veneziane, soprattutto nei consueti motivi centrali; assai diffuso l'impiego dei piccoli ferri dorati, fiori, foglie o arabeschi stilizzati, riuniti da filetti curvi e tracciati a semplice contorno o a fondo pieno e tratteggiato: quelli a fondo pieno talvolta formano una decorazione estesa a tutto il piatto, precorrendo la tecnica più semplice e meno raffinata dello stampo unico, che pure si affermerà notevolmente a Venezia. Con ferri pieni e tratteggiati sono fatti i fregi dei più varî motivi floreali che si ripetono uniformemente, specie nelle cornici; al centro dei piatti ricorrono simboli o ornamenti varî, che spesso servono a identificare la produzione di singole officine, e motivi sempre più complessi per i quali si comincia anche ad adoperare lo stampo (e allora il rilievo spicca sul fondo dorato) e, verso la metà del secolo, anche i colori di lacca che ne rendono sempre più efficace il valore decorativo. Di alcune di queste officine veneziane, che rimasero a lungo fedeli ai proprî schemi, possiamo rintracciare, per quasi tutto il secolo, l'attività che si esercitò anche per conto di principi italiani e stranieri, e che può essere più facilmente determinata nei suoi limiti cronologici soprattutto attraverso le numerose legature di commissioni dogali. Gli esempî più sontuosi di queste legature veneziane hanno ricchissimi interni in marocchino di più colori con impressioni dorate; in altre, più semplici ma non meno gustose e databili dalla metà del secolo o poco più tardi, spiccano sul marocchino rosso i contorni di una targa più o meno geometrica che racchiude un cammeo, uno scudo o un cartiglio con la data o delle iniziali. Le legature cosiddette dogali, appunto perché racchiudono quasi sempre commissioni e istruzioni dei dogi alle varie magistrature, costituiscono il gruppo più caratteristico: cominciano nella seconda metà del secolo e durano anche nei primi anni del successivo; i piatti coperti di pelle scura (più raramente di velluto) sono decorati a incassature che fanno emergere un disegno prestabilito sul fondo più basso; su tutto è distesa una decorazione prevalentemente orientalizzante, sostituita talvolta nei fondi da un colore nero o azzurro: al centro del piatto anteriore, il leone marciano in gazzetta e l'arme del magistrato al centro del posteriore.

Le legature romane del sec. XVI sono pure assai belle e numerose: molta varietà nei loro motivi, ma soprattutto una tendenza più accentuata a partizioni geometriche, entro ampie cornici, racchiudenti ornati a piccoli ferri naturalistici o stilizzati (qualcuno ancora orientalizzante) o riproducenti simboli sacri o classici caratteristici che indulgono assai presto ad una fastosa sovrabbondanza decorativa, specialmente nei numerosi esemplari di dedica a pontefici che si conservano nella Biblioteca Vaticana (cartelle ricche di mascheroni, volute e trofei; fondi seminati di trifogli, stelle o elementi araldici). Anche la decorazione a cammeo è in uso a Roma fino dai primi decennî del secolo: impronte di gemme o di monete classiche, di medaglie o di targhette del Rinascimento, con scene mitologiche o allegoriche, si vedono in legature degli anni intorno al 1520; e sono talvolta eseguite in pastiglia policroma, come se ne fecero anche per Jean Grolier. Più tardi il cammeo è tipico di alcuni gruppi di legature pertinenti a biblioteche d'insigni amatori, quali Apollonio Filarete e Pier Luigi Farnese (cosiddette legature Canevari). I registri della Depositeria pontificia (conservati nell'Archivio di stato in Romaj sono pure utilissimi a seguire lo sviluppo della legatura romana attraverso tutto il Cinquecento, e a documentare quella sempre maggiore ricchezza a cui già si è accennato.

Le legature fiorentine sono nel Cinquecento molto meno numerose e molto meno importanti come qualità di produzione: si continua a preferire il marocchino nero impresso a freddo con sobrî motivi dorati al centro e agli angoli (legature alla greca). La tecnica dell'impressione a freddo continuerà a essere usata insieme con l'altra per tutto il secolo: i piccoli ferri a motivi floreali prendono il posto degl'intrecci geometrici orientalizzanti, e si dispongono intorno alle iscrizioni o ai simboli che occupano il centro dei piatti, ma sempre con particolare sobrietà; si dovette fare anche qualche legatura a cammeo. Una tendenza a una maggiore ricchezza di ornamentazioni è soltanto nelle legature dei registri di governo alla fine del secolo, con i piatti ricoperti di finissime decorazioni in cui ritornano elementi tradizionali combinati con sempre nuova originalità. La produzione napoletana, per quanto scarsa, conserva nel primo quarto del secolo una particolare distinzione: di là provengono alcune delle più belle legature a cammeo con impronte di medaglie contemporanee (legatura per Andrea Matteo III d'Acquaviva duca d'Atri; Pontano dell'ediz. Summonte con la medaglia di Adriano fiorentino); ma anche l'Italia settentrionale produce esemplari assai cospicui di questo tipo. Officine di legatoria dovettero esservi anche nel sec. XVI a Milano, donde provengono assai probabilmente le legature a cammeo con riproduzioni di targhette fatte per Jean Grolier, e altre eseguite per Francesco I di Francia e per altri dignitarî al tempo dell'occupazione francese della Lombardia; a Bologna (legature per Damiano Pflug e Nicola Ebeleben, 1540-50, con intrecci geometrici a piccoli ferri), a Padova e a Ferrara; e per molte di queste città è attestata anche l'attività di officine tenute da artigiani stranieri, francesi, tedeschi, fiamminghi e anche greci e saraceni come, soprattutto a Venezia, abbiamo già visto anche nel secolo precedente. A Genova un'officina adotta il tipo non italiano della decorazione a pannello, che non ebbe tuttavia fortuna: due esempî se ne conoscono che recano la firma del legatore: Antonio di Tabia e Viviano de Varixio. Poche sono le legature in oreficeria del Cinquecento italiano: esempî cospicui, l'evangeliario di Isidoro della Biblioteca capitolare di Padova, opera di un Alvise (1529), e quella del breviario Grimani dovuta forse a Vittore Camelio.

Jean Grolier (v.) può considerarsi come colui che introdusse in Francia il tipo della legatura italiana del Rinascimento. Le legature fatte in Francia per questo insigne bibliofilo sono tutte in marocchino o in vitello; hanno il titolo sul piatto anteriore e il motto su quello posteriore e sono decorate con intrecci geometrici che ricoprono tutto il piatto, laccati in nero o in colori, con arabeschi nel centro, agli angoli o sugli orli e con motivi continui impressi mediante una rotella. Tutte le sue legature si fanno notare per l'estrema varietà dei motivi, la sobrietà con cui sono adoperati, e l'armonia risultante dal felice concorso del disegno e del colore. Gl'intrecci delle legature Grolier derivano da quelli delle legature così dette aldine; il disegno è quello di doppie linee dorate che si intrecciano a semicerchio nel centro di ciascun lato, oppure di una losanga iscritta in un rettangolo con arabeschi e nodi dorati agli angoli e al centro. Contemporaneo e connazionale di Grolier fu quel Tommaso Maioli per il quale si fecero alcune fra le più belle legature francesi del Cinquecento; piene anch'esse di riflessi della legatura italiana sono però, salvo eccezioni, meno sobrie di quelle del Grolier, che imitano nella disposizione del titolo e del motto; meno fini sono i colori degl'intrecci e degli arabeschi, più mossi e variati e talora disposti a formare il cartiglio per il titolo, su fondo punteggiato d'oro. La legatura francese ebbe subito agevolato il suo sviluppo dal favore dei re e dei dignitarî: già sottoposta all'influsso italiano negli ultimi esempî di impressioni a freddo della fine del sec. XV e del principio del successivo (legature di Guillaume Eustace per Luigi XII), è quasi esclusivamente modellata sugli esempî italiani e su quelli del Grolier sotto Francesco I (legature con iniziali coronate o armi al centro, talvolta in un seminato di gigli e di F, più tardi in cartigli di intrecci e di volute: Étienne RoffetLe Faulcheur). Sono di questo tempo anche le legature per Geoffroy Tory, a stampo, con l'impresa del pot cassé. Il periodo migliore può dirsi quello di Enrico II, cui appartengono anche le legature per Caterina de' Medici e per Diana di Poitiers. Quelle di Enrico II hanno tutte l'arma in un quadrilobo al centro, e le iniziali del re, della regina o della favorita, cui si aggiungono intrecci e arabeschi alla Grolier, e simboli allusivi soprattutto a Diana. Quelle di Caterina hanno l'arma dei Medici e di Francia e le iniziali fra intrecci alla Grolier e in cartigli colorati; in quelle del periodo vedovile appaiono lagrime e simboli di lutto e di morte. Lo stesso legatore che aveva lavorato per Enrico II lavorò per il successore Francesco II. Intorno al 1550 si affermano le officine lionesi con legature meno raffinate, con intrecci coloriti e sempre ispirati ai motivi italiani, con volute argentate e fondi punteggiati d'oro. Lo stampo diviene allora d'uso comune nel centro e agli angoli, a imitazione delle legature musulmane. Sotto Carlo IX cominciano le decorazioni esclusivamente a seminati (piccoli ferri uguali disposti in file orizzontali: legature dì Claude de Picques). Nicolas Ève lavorò per Enrico III e per Enrico IV: e adopera gigli, fiamme, armi, cifre, simboli (statuti dell'ordine dello Spirito Santo) e divise di morte; a lui sarebbe dovuta anche l'invenzione dello stile à la fanfare, che copre tutto il piatto con motivi vegetali entro comparti polilobati. Gli successe Georges Drobet prima, e poi Clovis Eve che lavorò anche per Luigi XIII: le legature per Enrico IV hanno le armi al centro in un. fondo liscio o seminato di gigli; quelle per la prima moglie del re, Margherita di Valois, sono à la fanfare con margherite; quelle per Maria de' Medici hanno le iniziali o dei monogrammi, lo stemma o dei gigli. Degli altri paesi d'Europa, la Spagna seguì i modelli italiani e francesi; la Germania fu sensibile subito a tali influssi, ma rimase inferiore assai a quei modelli. Si usano i piatti di legno fino a dopo la metà del secolo, con guarnizioni e fermagli di metallo e coperti di pelle di porco o di vitello bruno; continuano le impressioni a freddo di ornamenti vegetali di tipo gotico e solo più tardi figurati intorno a uno stampo centrale con scene bibliche, allegoriche, mitologiche, ritratti e armi. Centro massimo di produzione di queste legature fu Wittenberg in Sassonia; molte di esse furono fatte per gli elettori e i duchi di Sassonia della linea albertina (legatorì Joachim Linck, Thomas Krüger). Intorno al 1550 s'introdusse la decorazione di tipo italiano e francese e anche si attinse ai modelli orientali: e con quella venne anche la tecnica delle impressioni in oro, la cui introduzione è dovuta soprattutto all'elettore Augusto di Sassonia che chiamò nel 1566 Jakob Krause da Augusta, e nel 1578 Caspar Meuser. La decorazione di queste prime legature tedesche del nuovo stile è assai varia e ricca; al centro dei piatti spiccano le armi dell'elettore e dell'elettrice oppure il ritratto dell'elettore; ma si usarono anche stampi ornamentali per i centri e gli angoli, a intrecci e arabeschi, tratteggiati o pieni. Con i successori di Augusto lavorano Christoph Weidlich, Mathias Hauffe, Bastian Ebert e Kaspar Krafft: gli stampi centrali si fanno sempre più grandi e finiscono col coprire tutto il piatto. Un altro principe che commise legature di questo tipo fu Ottone Enrico, conte palatino ed elettore del Reno: sono fatte a Heidelberg e hanno il ritratto e l'arma del possessore. Il duca Alberto di Prussia fece invece allestire legature in oreficeria per la sua Silberbibliothek di Königsberg, e si valse prima dell'opera di orefici di Norimberga e di Münden su cui furono modellate quelle fatte poi a Königsberg: la decorazione non è molto originale e si ricollega assai da vicino alle silografie e alle targhette del tempo. A Norimberga si fecero anche legature in velluto con ornamenti d'argento. Analogo processo ha lo sviluppo della legatura inglese nel Cinquecento: alle legature impresse a freddo in stile gotico succedono quelle di tipo Rinascimento solo verso la metà per opera di Thomas Berthelet, legatore di Enrico VIII. L'impressione in oro diviene d'uso comune sotto Edoardo VI: Berthelet introdusse allora la decorazione alla Grolier. La tecnica e il disegno si sviluppano sempre più sotto Elisabetta, il cui gusto per le belle legature passò anche nei suoi dignitarî (Matthew Parker, arcivescovo di Canterbury, e Thomas Wotton, conte di Arundel). Nella decorazione non mancano mai le armi; i motivi sono prevalentemente di tipo orientale. Anche Giacomo I favorì la legatura artistica (lavorarono per lui John Gibson in Scozia e John e Abraham Bateman in Inghilterra). Si usarono però ancora le legature in velluto con ornamenti d'oro e d'argento, cui poi si aggiunsero quelle ricamate, preferite da Elisabetta.

I paesi scandinavi seguono sostanzialmente la legatura tedesca, mentre nei due secoli successivi sottostanno a quella francese.

Nei secoli XVII e XVIII infatti la Francia tenne il primato nell'arte della legatura: fu usato quasi esclusivamente il marocchino rosso con ornamenti dorati a piccoli ferri. Sotto Luigi XIII, intorno al 1620, appaiono i primi ferri pointillés a filigrana: le sue legature hanno le armi di Francia e di Navarra e un seminato di doppie λ o di L coronate o di gigli, talvolta anche di una doppia A (Anna d'Austria): suo legatore fu Macé Ruette. Negli angoli appaiono i ferri pointillés, nell'uso dei quali eccelsero soprattutto Le Gascon (v.) e Florimond Badier (v.). Del primo si possono distinguere due maniere: quella dei piatti coperti d'intrecci con ferri a fiori negli spazî intermedî e fondo a spirali punteggiate; e quella con le armi al centro tra quattro mazzi di rami punteggiati. Di Florimond Badier si conoscono tre legature firmate, con interni a ferri punteggiati e con l'emblema di una testina virile a contorni analoghi. Le Gascon lavorò per Nicolas Claude Fabri de Peiresc, per sir Kenelm Digby, per il cardinale Mazzarino, per Anna d'Austria. Per quest'ultima lavorarono pure i due Ruette, Macé e Antoine: questi fu legatore di Luigi XIV, per cui si attenne a tipi più semplici: una doppia cornice di gigli, con gigli agli angoli e le armi al centro. Queste legature (dette anche gianseniste per la loro semplicita) furono anche care ai cortigiani del Re Sole, e compensano la nudità dell'esterno con la sontuosità degli interni. Intorno al 1620 appare il tipo à l'éventail che si diffonde, anche più che in Francia, in Italia, in Germania (legatoria palatina di Heidelberg) e in Svezia.

Il Settecento vede in Francia l'introduzione dei fers à la dentelle, che appaiono già negli ultimi anni del regno di Luigi XIV: questi motivi desunti dall'imitazione dei merletti finiscono con l'estendersi dagli orli agli angoli. Sotto Luigi XV e Luigi XVI si ebbero famiglie di legatori insigni: i Padeloup, i Derôme, i Le Monnier. Padeloup il Giovane lavorò per Luigi XV e per la marchesa di Pompadour, per il conte di Hoym; egli è assai vario nella sua decorazione in cui appaiono, accanto ai motivi à la dentelle, altri desunti da stoffe e da tappeti, e fa anche delle legature in mosaico di cuoio. Più fini ed eleganti sono le dentelles di Derôme il Giovane, a piccoli ferri, con l'emblema di un uccellino ad ali aperte negli angoli. Degli altri legatori francesi di questo tempo si possono citare Fournier, che lavorò per la casa di Francia, Pierre Paul Dubuisson successo a Padeloup come legatore di corte, Le Monnier il Giovane, legatore del duca di Orléans. Per Luigi XVI e Maria Antonietta lavorarono Jean Pierre-Jubert e Pierre Vente: le dentelles divengono sempre più ampie e seminate di punti d'oro. L'Italia segue anch'essa in questi secoli l'influsso francese (lo prova in primo luogo la diffusione dei ventagli), ma i legatori italiani non seppero mantenere quella sobrietà e quell'armonia che sono così caratteristiche della legatura italiana dei secoli XV e XVI. Officine notevolmente attive dovettero essere a Roma, come provano i libri della Depositeria papale; vi abbondano i seminati di motivi araldici o di stelle, i ventagli, i motivi a losanga, le armi dei pontefici sono sempre nella parte alta del piatto anteriore. Finì però col prevalere anche in Italia il tipo più semplice della legatura con le armi al centro dei piatti e gli orli dorati; e di simili se ne conoscono fatte, per es., a Napoli nel sec. XVII. A Venezia si continuò anche a produrre legature decorate con paste vitree al modo orientalizzante già veduto nel Quattrocento; ma anche qui prevalse l'imitazione francese soprattutto con i motivi a dentelles; e lo stesso si può dire delle legature fiorentine, dove riappaiono i seminati e le dentelles, e di quelle piemontesi, più vicine ai modelli francesi; fra le legature sabaude sono assai frequenti quelle fatte addirittura in Francia.

La legatura tedesca dei secoli XVII e XVIII ha forme più pesanti, pur attenendosi allo schema comune degli orli assai ricchi e delle armi al centro: fra i monarchi che favorirono quest'arte si possono rammentare Augusto III di Sassonia re di Polonia e Federico il Grande, che ebbe varie biblioteche nei suoi castelli e si valse di varî legatori (Krafft a Berlino, Rochs a Potsdam). Nella Germania settentrionale appare un tipo di legature in pergamena con impressioni in oro e a freddo arricchite di colori; lo stesso tipo troviamo in Olanda, dove nel sec. XVII appaiono anche i ferri punteggiati per opera di Jacques Magnus legatore degli elzeviri. Forme più originali e distinte ebbe la legatura in Inghilterra, dove ai tipi con iniziali coronate fra due rami di palma, di Samuel e Charles Mearne per Carlo II, ne succedono ben presto altri che si differenziano da quelli continentali: lo stile rettangolare, con un rettangolo al centro e fiori negli angoli esterni, il Cottage style, con un motivo a tetto sopra e sotto al campo centrale, e l'Alloverstyle, con piatti pieni di decorazioni svariate, naturalistiche e fantastiche e ricche di colori; il Harleian style, in pelle rossa, con piccolo centro nero e ampie cornici di fiorami (Eliot e Chapman). Motivi floreali stilizzati sono caratteristici anche delle legature scozzesi del principio del Settecento: Roger Payne, invece, che lavora a Londra nella seconda metà del secolo, ritorna ai motivi dei Mearne pur cambiandone gli elementi e riprendendo quello rinascimentale del cammeo al centro. Non rare sono nei secoli XVII e XVIII le legature metalliche in argento sbalzato o in filigrana, e in ottone dorato; ma si limitano quasi esclusivamente ovunque ai libri di preghiere, per cui si fanno volentieri anche legature in velluto con fermagli e trafori d'argento (Germania meridionale, Baviera, Tirolo).

Con il sec. XIX appare lo stile impero che, diffuso in tutta Europa (legature di Hering in Inghilterra), presenta ancora una certa ricchezza nelle cornici e si compiace di ornamenti classicheggianti; così le legature dell'epoca romantica ritornano volentieri alle impressioni a freddo e a motivi goticheggianti o addirittura egittizzanti. In Francia soprattutto continuò a fiorire quest'arte nel periodo romantico; e si hanno i nomi di molti legatori: Simier, i due Bozerian, Vogel, Duplanil, Thouvenin, Purgold, Deforge; legature romantiche si conoscono però anche in Italia e in Inghilterra. Con la seconda metà del secolo la decorazione delle legature finisce con l'essere circoscritta per lo più ai dorsi, e solo nei primi decennî del secolo XX si sono fatti e si fanno tentativi per fare risorgere quest'arte. I più felici sono quelli di Parigi, dove un'eletta schiera di appassionati artisti mantiene attiva la grande tradizione.

Il deposito più importante di legature artistiche si trova alla Bibliothèque Nationale di Parigi; negli Stati Uniti le maggiori raccolte sono a New York: prima quella della J. P. Morgan Library, poi quelle di Cortland Bishop e di Mortimer-Schiff. Esse offrono esemplari sceltissimi, da Grolier e Maioli fino alle moderne legature a mosaico di Trautz-Bauzonnet. Della raccolta Mortimer-Schiff, con circa 500 legature firmate ariteriori al 1850, è alla stampa un sontuoso catalogo compilato da Seymour De Ricci.

V. tavv. XCV-CII e tavv. a colori.

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Esposizioni: Burlington Fine Arts Club, Exhibition of Bookbindings, Londra 1891, con 113 tavole a colori; List of Mss. and examples of metal and ivory bindings from the Bibliotheca Lindesiana exhibited by Lord Crawford, in Trans. of the Bibliographical Society, 1898, p. 213 segg.; Catalogue of ornam. leather Bookbinding executed in America prior to 1850 exhib. at the Grolier Club, New York 1907; K. K. Hofbibliothek Wien, Katalog der Ausstellung von Einbänden, Vienna 1908; Mostra storica della legatura artistica in Palazzo Pitti (organizzata da T. De Marinis), Firenze 1922, con tavv. (catalogo di 1106 numeri compilato da Filippo Rossi); Musée des Arts décoratifs, catalogue de l'exposition du livre italien (organizzata da T. De Marinis), Parigi 1926, con tavv.; G. D. Hobson, Thirty Bindings selected from the "First edition Club's" seventh exhibition, Londra 1926, con 31 tavv.; Cento belle legature italiane esposte nella Biblioteca Marciana di Venezia, Venezia 1929; Bibl. Royale de Belgique, Exposition de reliures, XIIe-XVIe siècle, Bruxelles 1930, con tavv.; Esposizione internazionale di Anversa del 1930, V, Mostra di legature fiamminghe, Anversa 1930 (testo in lingua fiamminga).

Per il resto della letteratura sull'argomento si rinvia al libro di W. Meier, Bibliographie der Buchsbindereiliteratur, Lipsia 1925.

Tecnica. - La nomenclatura di un libro legato è la seguente:1. Piatti: sono le due parti solide di una copertina di libro; quello davanti è detto piatto anteriore, quello di dietro piatto posteriore. 2. Dorso: è la parte su cui si applica la cucitura e, a libro legato, il titolo del libro stesso. 3. Rialzi (detti anche nervature): sono quelle sporgenze situate a intervalli regolari lungo il dorso di una coperta di libro. 4. Spigolo o morso: è l'angolo vivo lungo il dorso di un libro ove appoggiano i cartoni della coperta. 5. Cassa o unghiatura: è la sporgenza, più o meno larga, all'infuori del libro, dei cartoni che formano la coperta. 6. Anima: è una strisciola di cartone leggiero che va, a misura esatta del dorso, da un'estremità all'altra dei capitelli. 7. Capitelli: sono quelle piccole venature di seta o di cotone, tessute in uno o più colori, che stanno alle due estremità del dorso del libro. 8. Testata: è la parte superiore di un libro. 9. Sotto o piede: è la parte inferiore di un libro in corrispondenza con la testata. 10. Davanti: è la parte verticale, ove si apre il libro. 11. Guardie: sono quelle pagine bianche che precedono e seguono il libro. 12. Sguardie o risguardie (fogli di riguardo) sono le fodere interne di una copertina di libro; esse coprono da una parte il cartone della coperta e dall'altra il primo foglio di guardia. 13. Specchi: sono quelle strisciole di tela o di pelle che nelle legature di una certa importanza, o di volumi di qualche mole, stanno come rinforzo interno lungo il giuoco di apertura e chiusura della coperta (v. figg. in questa colonna).

I tipi più comuni di legatura sono: legatura alla rustica (broché) o con semplice copertina di carta; legatura completa in tela, in pelle, in pergamena, in stoffa e in velluto; mezza legatura in tela, in pelle e in pergamena. La legatura in tela, al pari della legatura in pelle, può essere solida, cioè con copertina costituita da cartone duro, oppure flessibile, cioè con copertina costituita da cartone o carta flosci e sottili.

Le principali operazioni della legatura del libro sono le seguenti:

Il libro è costituito da fascicoli o quaderni, in numero maggiore o minore. Un libro esce dalla stamperia in fogli distesi; ciascun foglio, piegato a regola della numerazione e del formato delle pagine, dà un quaderno. La prima operazione del legatore è quella della piegatura dei fogli per formare i quaderni. Poi si procede alla raccoglitura, cioè alla riunione dei quaderni che devono formare il libro, quindi alla pressatura, mediante pressa speciale, infine alla cucitura.

Le operazioni che seguono alla cucitura sono: indorsatura, raffilatura, coloritura o doratura dei tagli, incartonatura, copritura, decorazione della coperta.

La cucitura è la base prima e stabile di una legatura di libro. Essa è praticata in varî modi, a seconda anche del genere di copertina con cui si vuole ricoprire il libro. La legatura alla rustica si ottiene semplicemente passando due punti di filo per ciascun quaderno. (Tutto il libro poi viene contenuto dall'incollatura di una copertina di carta). Una buona cucitura si compie attualmente tracciando in principio sul dorso di un libro, con una piccola sega, 4, 5 0 più solchi a distanze regolari prestabilite. Questi solchi sono destinati a ricevere gli spaghi, cioè pezzi di cordicella sulle quali viene assicurata la cucitura che attraverserà i fascicoli del libro lungo il dorso. Per eseguire a mano questa cucitura si usa uno speciale telaio al quale vengono tesi gli spaghi, posti a distanza l'uno dall'altro in rapporto ai solchi tracciati sul dorso del libro. Questi spaghi formano come tante colonne di resistenza e sono veramente il caposaldo di ogni buona legatura. Anticamente non si usava praticare il solco nel dorso del libro e lo spago restava così sporgente o in rilievo sul dorso stesso, formando quei rialzi che sono un grazioso ornamento del dorso e che oggi si mettono finti applicando sull'anima dei pezzetti di cordicella. La cucitura si può fare anche sostituendo agli spaghi strisce di nastro, e in questo caso non si pratica il solco sul dorso del libro. La cucitura su nastri è principalmente usata per libri ai quali si vuole applicare una copertina flessibile. Macchine ingegnosissime esistono oggi per la cucitura dei libri e sugli spaghi e sui nastri e anche su strisce di garza; ma una buona legatura richiede sempre una cucitura a mano al telaio.

Dopo la cucitura il libro viene spalmato di colla sul dorso, e quando la colla è asciutta viene posto nel torchio per l'arrotondatura del dorso e lo sviluppo dello spigolo, cioè per l'indorsatura.

Il torchio è l'arnese indispensabile al legatore di libri. Gli attuali torchi sono composti di tre panconi o ganasce, due delle quali stanno fisse e la terza, quella centrale, si muove avanti e indietro per mezzo di una vite mossa da una ruota azionata a mano. Il torchio serve per il lavoro d'indorsatura, del taglio dei margini dai tre lati del libro, per praticare i solchi della cucitura, per fare i tagli colorati e dorati, e anche come pressa per l'applicazione delle copertine. Vi sono anche macchine indorsatrici speciali e torchi destinati alla sola coloritura e doratura dei tagli, e macchine per tagliare i margini: ma pon sono indispensabili.

La coloritura e la doratura dei margini di un libro si fa appena eseguito il taglio. La coloritura si ottiene con tinte usuali sciolte nell'acqua, colorando il margine con una piccola spugna imbevuta della tinta stessa. Quando è asciutta si passa sulla parte colorata un pannolino unto di cera vergine e quindi con una pietra agata, movendo in senso regolare avanti e indietro, si brunisce e leviga la coloritura. Per dorare i tagli il lavoro è più lungo e difficile. Occorre rendere il taglio molto liscio, e ciò si ottiene con un'affilata rasiera. Vi si passa poi sveltamente poca pasta di farina, quindi, con un pennello, del bianco d'uovo diluito nell'acqua, al quale viene aggiunta una piccola quantità di polvere di bolo (argilla rossastra d'Armenia). Quando il margine è ancora umido, con una speciale pennellessa vi si applica la foglia d'oro e si lascia poi asciugare tutto. Si ripete allora l'operazione usata per il margine colorato. Anticamente si usava anche marmorare i margini del libro con un processo assai lungo e complicato, oggi fuori di moda. Si usa però anche ora, per legature di valore, cesellare e miniare i tagli del libro. La cesellatura può essere fatta con un bulino o anche con gli stessi punzoni che si usano per la decorazione delle coperte; la miniatura si ottiene con colori a tempera, grattando l'oro nei punti sui quali va posto il colore.

Tagliati e coloriti, o dorati, i margini del libro, e fatto il dorso col relativo spigolo, si applicano i cartoni, o piatti della coperta. I cartoni vengono assicurati al libro mediante il passaggio degli spaghi, su cui il libro venne antecedentemente cucito, attraverso fori praticati nei cartoni stessi.

Preparata poi l'anima a giusta misura del dorso, il libro è pronto per ricevere qualsiasi legatura a cui è destinato. Se dev'essere ricoperto di tela basterà tagliare a misura il pezzo della tela calcolando un adeguato rimbocco. Incollato il pezzo di tela si attaccherà al centro l'anima e quindi si poggerà su essa il libro dalla parte del dorso, portando poi sveltamente sui piatti le due parti, sinistra e destra, della tela e rimboccando con cura tutto in giro la parte sovrabbondante del pezzo di tela. L'operazione è identica per la pergamena e per la pelle, la stoffa e il velluto. La pergamena deve però essere prima foderata di carta bianca, perché trasparente, e la pelle ha necessità di venire scarnita o assottigliata ai bordi per facilitare la rimboccatura. E tanto per la pergamena quanto per la pelle si usa pasta di farina invece di colla. Sulla stoffa e sul velluto non si deve mettere la colla, che si dispone invece sul cartone dei piatti.

Per le mezze legature, sia in tela sia in pelle o in pergamena, il lavoro è identico fino a quanto riguarda l'applicazione del pezzo di tela o di pelle lungo il dorso; poi vanno applicati separatamente i pezzetti triangolari che coprono gli angoli e infine la carta che deve ricoprire i piatti. Dopo la copertura esterna occorre fare quella interna, cioè l'applicazione delle sguardie e, se necessario, degli specchi. L'applicazione dello specchio è semplice: preparata la strisciola a precisa lunghezza dell'altezza del libro e per la larghezza dai 3 ai 5 centimetri, sempre secondo le dimensioni del libro stesso, la si applica incollandola o impastandola lungo lo spigolo del libro, appoggiandone una metà sul cartone e l'altra metà sul foglio di guardia. Per le risguardie basterà aver preparato quattro pezzi di carta, due per ogni parte del libro, delle dimensioni del libro stesso: se ne incollerà un pezzo sul cartone della coperta, internamente s'intende, e un pezzo sul foglio di guardia. Le risguardie possono essere di carta unita colorata, oppure arabescata o silografata, e possono essere anche di seta o di altra stoffa e, per legature di gran lusso, anche di pelle con decorazioni in oro come sulla parte esterna della coperta.

Per le legature editoriali, cioè legature fatte in serie per una stessa pubblicazione, andanti e a buon prezzo, esistono anche macchine ben congegnate che eseguiscono con esattezza e sveltezza copertine di libro per legature in tela. Ma per l'applicazione di queste copertine eseguite a parte bisogna procedere un po' diversamente da quella che è la legatura classica propria. Non si possono cioè infilare gli spaghi della cucitura nel cartone della coperta, ma questa viene applicata al libro con un sistema più semplice e svelto, benché meno resistente. Dopo applicato il capitello s'incollerà sul dorso una striscia di garza, che verrà a distendersi fin sui piani del libro per un paio di centimetri montando sulle guardie, o anche sulle risguardie (che in questo caso vengono applicate in antecedenza). Questa striscia di garza è la maggiore garanzia di resistenza della legatura. La copertina viene poi incollata, per tutta la dimensione dei piatti, sulle risguardie. Anche per quest'ultima operazione, per sé stessa facile e svelta, sono state inventate macchine ingegnose. Questa legatura è detta "a coperta staccata" o "alla Bradel", dal nome del suo primo ideatore (1830). È necessario praticare il sistema della coperta staccata anche per le legature di maggior riguardo, quando queste siano flessibili, cioè senza cartone. Il libro è così legato e pronto per la decorazione e per l'applicazione del titolo sul dorso.

La decorazione di una legatura di libro costituisce la vera e propria arte della legatura. A parte le diverse varietà di decorazioni provenienti da altre applicazioni artistiche, quali la bulinatura e la pirografia sul cuoio, e la pittura, o miniatura, sulla pergamena, la tecnica principale della decorazione di una legatura su pelle, e anche su tela, è quella eseguita usando foglia d'oro e punzoni incisi impressi a caldo. L'uso di questo sistema sembra sia dovuto agli Arabi e importato in Italia per la prima volta attorno al sec. XIV. Il numero dei punzoni incisi che si possono usare è infinito. I punzoni per eseguire le lunghe filettature, e anche certe bordure, che sono venute in uso in tempi moderni, hanno forma di rotella imperniata in una forcella e assicurata a un lungo manico di legno. Per le filettature e le bordure dei dorsi si usano invece punzoni a forma di ventola o di paletta, detti appunto palette, e per tutte le altre parti della decorazione i punzoni sono comuni, più grandi o più piccoli a seconda della parte di fregio che contengono, e sempre fissati in manichi di legno. Prima di eseguire la decorazione si spalma la pelle, la pergamena o la tela di bianco d'uovo talvolta puro, tal'altra misto ad aceto, a seconda della qualità della pelle che si deve decorare. Asciugato il bianco d'uovo, per mezzo di un piccolo batuffolo unto d'olio che si passa sulla superficie da decorare, si applica la foglia d'oro, usando per il trasporto di questa una semplice strisciola di carta, detta presa. La foglia d'oro viene fornita in speciali libretti e da questi si toglie sveltamente per depositarla su un apposito guancialetto di pelle e per tagliarla con un coltello speciale nelle misure desiderate. Le impressioni dei punzoni e delle filettature sull'oro sono sempre eseguite a caldo, scaldando cioè il punzone, la rotella o la paletta a un giusto calore. Questa del giusto calore è una delle difficoltà maggiori per il legatore-decoratore. Impresso il punzone, con un po' di cotone idrofilo si toglie l'oro non impresso, e se calore e pressione furono giusti resterà nitida l'impressione del fregio. Per legature editoriali in serie vi sono macchine apposite (prese a dorare), con le quali si può imprimere in una sola volta sulla coperta e sul dorso, in oro e a colori, tutto il fregio decorativo. Per queste macchine, invece dei semplici punzoni e delle rotelle, si usano placche incise della dimensione del libro che si vuole decorare, le quali vengono scaldate dalla macchina stessa che le imprime.

Bibl.: J. Hannet, The art of bookbinding, Londra 1848; O. Uzanne, La reliure moderne, Parigi 1887; L. Derome, La reliure de luxe, Parigi 1888; É. Bosquet, Traité de l'art du relieur, Parigi 1890; H. Scheibe, Die moderne Grossbuchbinderei, Vienna 1910; D. Cockerell, Bookbinding and the care of books, Londra 1911; J. W. Zaehnsdor, The art of bookbinding, Londra 1912; P. Colombo, Il legatore di libri, Torino 1913; A. Bailey, Library bookbinding, New York 1916; G. G. Giannini, Il dilettante legatore di libri, 2ª ed., Milano 1918; Es-Sofiani, Art de la reliure et de la dorure du XVIIe siècle, Parigi 1925; G. L. Colombini, La rilegatura del libro, Sampierdarena 1926-27, voll. 3.