GUERRA, Learco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUERRA, Learco

Lauro Rossi

Nacque il 14 ott. 1902 a San Nicolò Po, frazione di Bagnolo San Vito (nel Mantovano), da Attilio, manovale, e Pasquina Galusi. Con il fratello Ivano si avviò ben presto al lavoro del padre, sposandosi a vent'anni con Letizia Malavasi da cui ebbe due figli, Gino e Carla.

Appassionato delle corse in bicicletta, mezzo che usava quotidianamente per recarsi al lavoro, partecipò fin da giovanissimo a competizioni locali non ottenendo grandi risultati, nonostante fosse in possesso di una notevole forza fisica. Si dilettava anche di football, giocando come ala sinistra nella squadra del proprio paese natale. Trasferitosi con il padre a Mantova, in quanto impegnati entrambi nella costruzione del nuovo ospedale Carlo Poma, si allenava ogni giorno due ore in bicicletta prima di recarsi al lavoro.

Nel 1928 gli si presentò la grande occasione: prescelto a indossare la maglia della squadra della 23ª legione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, vinse l'eliminatoria lombarda della Coppa Italia. Subito dopo ottenne il primo posto al Giro della provincia di Ferrara, contro i migliori "indipendenti". Nello stesso anno si iscrisse, sempre come indipendente, al Giro di Lombardia, ma a Lecco fu costretto a ritirarsi per noie meccaniche. Ebbe, comunque, un ingaggio dalla prestigiosa squadra Maino per il successivo Giro del Piemonte, grazie al personale interessamento di C. Girardengo, alla ricerca di nuovi talenti da contrapporre ad A. Binda, allora all'apice della carriera. Il G., quindi (caso abbastanza anomalo nel mondo ciclistico e sportivo in genere), iniziava l'attività agonistica a livello professionistico relativamente tardi, a ventisei anni.

Affidato alle cure di B. Cavanna - massaggiatore di Girardengo, come poi di F. Coppi -, s'impose nel 1929 nel campionato italiano mezzofondo per stradisti e risultò primo nella Coppa Appennino, nella Coppa Diamante e in una tappa del Giro della Campania. L'anno successivo fu quello della sua consacrazione: vincitore di due tappe al Giro d'Italia, la Napoli-Roma e la Ancona-Forlì, dette soprattutto dimostrazione delle sue grandi capacità al Tour de France, dove, convocato nella squadra nazionale, conseguì tre successi di tappa e indossò otto volte la maglia gialla, risultando alla fine secondo nella classifica generale.

Perché il G. potesse continuare a correre senza assilli economici la Gazzetta dello sport, dopo il Tour, lanciò una sottoscrizione che fruttò oltre 115.000 lire. Ormai in piena ascesa il G. completò la stagione con altri successi, tra cui la Predappio-Roma e la cronometro di Vicenza, che gli permisero di indossare la maglia di campione d'Italia, titolo che mantenne per cinque stagioni consecutive. Di grande rilievo anche la sua partecipazione al Campionato mondiale su strada disputatosi a Liegi, dove giunse secondo dietro a Binda, che lo precedette in volata.

Nell'occasione, la già avviata, ben orchestrata campagna giornalistica che tendeva a creare il dualismo Binda-Guerra, trovò il suo definitivo suggello. Con il G. gli Italiani, appassionati di ciclismo, avevano trovato un nuovo, grande campione. Dalle pagine della Gazzetta fu coniato per lui l'efficace appellativo di "locomotiva umana", che si attagliava perfettamente alle caratteristiche del corridore: fortissimo in pianura, abile in discesa, ottimo velocista, aveva il suo punto debole nelle grandi scalate, soprattutto in relazione alla sua notevole mole. Ed era proprio per non essere sottoposto alle accelerazioni degli scattisti che il G., al principio di impegnative salite, si produceva in sostenute andature, che contribuirono a renderlo famoso. Alle capacità fisiche il G. univa doti caratteriali non meno significative: coraggio, lealtà, generosità, rara capacità di resistenza alla fatica. Di corporatura pesante, aveva bisogno di lavorare molto per trovare la condizione migliore, producendosi per questo, al principio di ogni stagione, in allenamenti quanto mai faticosi lungo le strade della Riviera presso Alassio, dove amava soggiornare.

Nel 1931, superato alla Milano-Sanremo dal solito Binda, il G. vinse cinque tappe del Giro d'Italia: al termine della prima, la Milano-Mantova, fu il primo corridore a indossare la maglia rosa, istituita da quell'anno come simbolo del primato. Ma, soprattutto, il G. riportò una clamorosa affermazione al Campionato del mondo che si disputava a cronometro (unica volta) a Copenaghen, lungo un percorso di ben 172 chilometri.

Nell'occasione inflisse quasi 9 minuti a Binda, giunto sesto. Quel trionfo ebbe grande eco anche sulla stampa estera e fruttò al G. notevoli gratificazioni dal punto di vista economico.

In quella stagione vinse ancora il Giro della provincia di Reggio Calabria, il Criterium degli assi, disputatosi a Milano, e la cronometro di Vicenza. Nel 1932 fu primo al Giro della Campania, al Giro della Toscana, alla Predappio-Roma e al Gran Premio di Mantova a cronometro, quarto al Giro d'Italia, dove vinse sei tappe. Rimase invece deluso dall'esito del Campionato del mondo, che si disputava in un circuito a Rocca di Papa, dominato da Binda. Nel 1933 riuscì finalmente a conquistare la sua prima, e unica, Milano-Sanremo, ma al Giro d'Italia fu costretto al ritiro alla sesta tappa in seguito a una caduta avvenuta sul traguardo di Roma, causata da una brusca manovra di Binda, che riportò la vittoria finale; il G. si rifece vincendo tre tappe e giungendo secondo in classifica generale. Il 1934 fu forse il suo anno migliore: riportò successi al Giro della Campania, a quello del Piemonte, al Gran Premio di Novi Ligure a cronometro, alla Milano-Modena, alla Roma-Napoli-Roma, al Giro di Lombardia, ma soprattutto si affermò al Giro d'Italia.

Il percorso non molto impegnativo, la flessione ormai evidente di Binda, ma soprattutto la consapevolezza che quella poteva essere per lui trentaduenne l'ultima opportunità furono gli elementi che gli consentirono di centrare l'obiettivo; nell'occasione strappò addirittura dieci successi di tappa.

Al Campionato del mondo disputatosi a Lipsia giunse secondo, sconfitto in volata, tra la sorpresa generale, dallo sconosciuto corridore belga K. Kaers. L'anno seguente fu secondo alla Milano-Sanremo, dietro Giuseppe Olmo, e quarto al Giro d'Italia; fu ancora primo al Giro della Campania, alla Milano-Modena, ai giri della Romagna, del Veneto e della provincia di Milano.

Nel 1936, avvertendo i segni del declino, volle con sé nella Legnano, maglia che aveva indossato dopo tanti anni trascorsi alla Maino, l'astro nascente G. Bartali, con il quale si dimostrò prodigo di consigli. In questa edizione, pur collezionando diversi ottimi piazzamenti, il G. non riuscì a ottenere neppure un successo. In coppia con Bartali vinse, invece, il Gran Premio Industria e il Giro della provincia di Milano. Nel 1937 vinse ancora una tappa al Giro d'Italia per dedicarsi poi quasi esclusivamente alle gare su pista, ottenendo nel 1942 il titolo italiano nella categoria mezzofondo, terminando così la carriera.

La straordinaria popolarità del G., uno dei ciclisti più amati dai tifosi italiani, più che agli indubbi valori tecnici, va fatta risalire ai suoi dirompenti valori atletici e al rapporto di particolare intensità che riusciva a stabilire con la folla. "Il tifoso di ciclismo decise a quel tempo che colui al quale affida simbolicamente messaggi di resistenza, di sopportazione, di gloria, deve essere della sua stessa pasta e deve accedere alla gloria attraverso sentieri difficili, non su strade troppo levigate" (Ormezzano, p. 76). Nella rivalità con Binda si evidenziavano soprattutto due modi di interpretare il ciclismo: "Binda aveva l'apparente freddezza e il naturale distacco dallo sforzo tipici dei fuoriclasse […] Guerra era impulsivo e audace, dava l'idea di strappare la vittoria, di andare a cercarla con furore. Aveva dei punti forti e dei punti deboli che lo rendevano semplicemente umano" (Uomini nella leggenda, p. 240).

Alla fine degli anni Trenta il G. aveva dato vita, insieme con l'ing. N. Tagliabue, a una casa costruttrice di biciclette. I suoi modelli ebbero un buon successo, anche perché il G. divenne direttore tecnico di numerose formazioni professionistiche.

Il G. morì a Milano il 7 febbr. 1963.

Fonti e Bibl.: Lo sport in regime fascista, Roma 1935, pp. 50, 53; Storia degli sport, a cura di A. Franzoni, I, Milano 1938, pp. 230 s., 263-266, 287; V. Baggioli, Storia aneddotica dello sport italiano, Firenze 1944, pp. 186 s.; A. Gardellin, Pagine di gloria del ciclismo italiano, Padova 1957, pp. 288-307; S. Jacomuzzi, Gli sport, I, Torino 1965, pp. 127-131; V. Varale, I vittoriosi, Milano 1969, ad ind.; G. Mottana, I campionissimi, Milano 1970, pp. 119-128; F. Fabrizio, Sport e fascismo, Firenze 1976, p. 56; G. Bartali, Tutto sbagliato, tutto da rifare, Milano 1979, pp. 24-30; G. Cerri, Le avventure di Binda, Roma 1980, pp. 53-58; G.P. Ormezzano, Storia del ciclismo, Milano 1980, pp. 64-82, 174; R. Negri, Ciclismo nel mondo, Legnano 1983, passim; M. Fossati, I giganti della strada, in L'uomo a due ruote, a cura di G. Vergani, Milano 1987, pp. 109-112; Uomini nella leggenda, Firenze 1988, pp. 218-252; R. Dall'Ara, Azzurro Mantova. Cento storie di uomini e sport, Mantova 1989, pp. 15-20; S. Picchi, Il Giro d'Italia. Storia illustrata, Firenze 1992, pp. 97-131; D. Marchesini, L'Italia del Giro d'Italia, Bologna 1996, ad ind.; La testa e i garun: A. Binda si confessa a D. Chiaradia, Portogruaro 1998, ad ind.; D. Marchesini, Coppi e Bartali, Bologna 1998, pp. 77, 79; L. Rossi, Solidarietà, uguaglianza, identità: socialità e sport in Europa, 1890-1945, Roma 1998, p. 173.

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