MALATESTA, Leale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MALATESTA (de Malatestis), Leale

Anna Falcioni

Figlio naturale di Malatesta, detto Antico o anche Guastafamiglia, e di una Giovanna sconosciuta, nacque a Rimini, presumibilmente intorno al secondo decennio del XIV secolo.

La lacunosità delle notizie a lui relative è forse attribuibile alla stessa nascita spuria che, senza dubbio, determinò anche il ruolo subalterno, per quanto prestigioso, rivestito dal M. in seno alla famiglia. In realtà l'onta dei natali illegittimi fu cancellata tramite dispensa di papa Urbano V che, nel febbraio 1363, riscattò il M. nominandolo "legalem filium nobilis viri Malatestae de Malatestis" (Tonini, p. 322). La libera condizione di entrambi i genitori, rilevata dal documento, pare confermare l'ipotesi in base alla quale la nascita del M. sia da anteporre al matrimonio del padre con Costanza Ondedei, e risalga, pertanto, all'inizio del secondo decennio del Trecento. L'atto di legittimazione, inoltre, attesta che, all'epoca della sua redazione, il M. aveva già intrapreso la carriera ecclesiastica essendo titolare di alcune prebende presso la Chiesa riminese.

Nel luglio 1370 il M. assunse la guida dell'episcopato di Pesaro lasciata vacante dal vescovo Niccolò de' Merciari, trasferito alla diocesi di Fermo. La prestigiosa nomina consolidava la presenza malatestiana nella città sulla quale Pandolfo (II), fratellastro del M., esercitava, in vicariato apostolico, un dominio diretto e legittimo.

Il M. resse il vescovato marchigiano sino al dicembre 1373 ma, in un quadro pressoché privo di informazioni, la sua presenza in loco pare ridursi a un unico episodio, di pur considerevole rilevanza, certificato da un istrumentum rogato dal notaio pesarese Guido di Monaldino Sacuti. Il 24 settembre, nel palazzo vescovile, il M. radunò in assemblea, definita impropriamente "sinodo", l'intero clero della città e del contado di Pesaro per predisporre un piano di aiuti a sostegno del convento di S. Maria Maddalena, fortemente danneggiato da un incendio. Sollevate le suore da ogni responsabilità sull'accaduto, il M., con il consenso unanime del concilio ecclesiastico, accordò al convento, annesso al già monastero di S. Antonio Abate di Pesaro, l'esenzione perpetua da ogni decima e gabella e dall'espletamento di qualunque obbligo nei confronti di legati e nunzi apostolici, oneri di cui si sarebbero fatti carico i sacerdoti e il presule pesarese.

Trasferitosi nuovamente a Rimini sul finire del 1373, il 6 genn. 1374 il M. fu nominato vescovo della città da papa Gregorio XI e conservò la direzione della diocesi sino alla morte. Più consistente, per quanto sporadica, la documentazione sulla lunga attività nella diocesi riminese, a partire da una bolla d'indulgenza emanata il 20 sett. 1374 in favore dell'ospedale di S. Maria della Misericordia, nella contrada di S. Maria in Corte.

Al fine di incentivare le visite nel luogo di culto, assicurare fondi per la riparazione, o parziale ricostruzione, degli edifici e garantire l'acquisto di tutti gli arredi necessari, il M., indotto, forse, dal pagamento di alcuni legati vescovili, accordava indulgenze a chiunque, in determinate ricorrenze festive, presenziasse presso l'ospedale erogando elemosine. Il 14 nov. 1379 destinò alcuni lasciti pii per la fondazione di un nuovo ospedale nelle case in contrada S. Agnese appartenute al cronista Marco Battagli da Rimini. Le sue mansioni pastorali si esplicarono altresì nella riforma del monastero di S. Maria degli Angeli: il 16 dic. 1392 ordinò al suo vicario di trasferire in altre comunità le donne laiche e converse che, pur non seguendo alcuna regola, in quel frangente gestivano il cenobio, e di affidare il monastero all'amministrazione dei camaldolesi.

Quella carica di indiscusso rilievo offrì al M. l'opportunità di alimentare rapporti con influenti esponenti della casata e di partecipare ai giochi di potere dai quali, diversamente, sarebbe stato con ogni probabilità escluso. Del resto, poter confidare sul sostegno di un congiunto ai massimi ranghi della gerarchia ecclesiastica, era un'opportunità di sommo interesse per l'intera dinastia malatestiana. Particolarmente intense furono le relazioni con il cugino Andrea Malatesta, figlio di Galeotto (I), per il quale il M. assunse comportamenti di favore, scaturiti forse da sincero affetto o, più verosimilmente, da interessi contingenti. Dopo aver convalidato la presa di potere di Andrea Malatesta a Fossombrone, nel maggio 1390, il M. sottoscrisse la dispensa matrimoniale di primo e terzo grado di consanguineità che consentì al cugino di concludere il matrimonio con la pronipote Rengarda, figlia della nipote Elisa.

All'operato del M., tuttavia, si ricorreva anche per questioni che esulavano da legami interpersonali e che riguardavano le sorti dell'intera famiglia Malatesta. Assai delicato il suo ruolo nei rapporti con i Montefeltro che, nonostante la tregua concordata nel 1389, continuavano a rivelarsi critici. Pertanto, nel 1391, egli fu incaricato di un'ambasceria alla corte di Antonio da Montefeltro per ottenere dagli avversari la liberazione di un prigioniero, Giovanni di Francesco, e la rinuncia a ogni rivendicazione territoriale su Sassoferrato e Cantiano. Il tentativo di mediazione intrapreso dal M. fallì e il dissidio con i Montefeltro tornò a rinfocolarsi.

All'epoca della missione diplomatica, il M. aveva raggiunto un ragguardevole primato di longevità ma, benché afflitto da fastidiosi disturbi dovuti all'età, non depose la mitra vescovile. Significativa la petitio rivolta a papa Bonifacio IX nel 1397, nella quale, per lenire i malanni della vecchiaia, il M. chiedeva l'esenzione dal divieto di mangiare carne, uova e latticini nei giorni proibiti dalla Chiesa a eccezione del venerdì. Con un'altra petitio chiese che tutti i frati e preti della sua diocesi, esenti, per antichi privilegi apostolici, da qualsiasi giurisdizione, fossero sottoposti alla potestà giudiziale del vescovo. A entrambe le suppliche il pontefice applicò il fiat.

Il M. morì a Castel Leale (oggi Castelleale, frazione di San Clemente), residenza fatta erigere, come si evince dal toponimo, dallo stesso M. nel settembre 1400, fra il 13, data di redazione del testamento, e il 22, giorno della nomina del successore per obitum legalis.

Secondo le ultime volontà, il suo corpo fu trasferito nella chiesa di S. Francesco a Rimini e deposto, con ogni probabilità, in una cappella edificata appositamente, per la quale il M. riservò arredi preziosi: due croci d'argento dorato, un cospicuo patrimonio di libri e pregiati paramenti. Destinò inoltre alcuni legati pii al Comune di Rimini, distinguendosi per prodigalità nella donazione di un pregevole ostensorio, noto anche come tabernacolo d'argento dorato. L'elargizione del ricco arredo liturgico divenne effettiva alla morte di Carlo Malatesta (1429) e fu tabernacolo processionale per il Corpus Domini sino al 1581 allorché, trasformato in reliquario, accolse le spoglie della Sacra Spina offerta al vescovo Giovanni Battista Castelli da Enrico III di Francia. L'ostensorio, oggi parte del Tesoro della cattedrale di Rimini, dà un'immagine a tutto tondo del M. che, deposta la mitra e il pastorale, invoca in ginocchio s. Giorgio a cavallo, protettore dei Malatesta.

Fonti e Bibl.: Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Fondo diplomatico, pergg. 268 (24 sett. 1373), 269 (24 sett. 1373), 271 (30 ott. 1373), 280 (27 luglio 1375); L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, IV, Rimini nella signoria de' Malatesti, 1, Rimini 1880, ad ind.; M. Luchetti, Il "sinodo" di L. M. vescovo di Pesaro (1373), in Frammenti, II (1994), pp. 37-44; A. Turchini, Il tempio Malatestiano, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Leon Battista Alberti, Cesena 2000, pp. 105, 125 s., 130 s., 134-136, 140, 142, 218; C. Cardinali, La signoria di Malatesta Antico, Rimini 2000, pp. 133, 144, 196, 199, 201; Le arti figurative nelle corti dei Malatesti, a cura di L. Bellosi, Rimini 2002, pp. 134-136; Hierarchia catholica, I, pp. 107, 395.

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