Le riforme amministrative di Costantino

Enciclopedia Costantiniana (2013)

Le riforme amministrative di Costantino

Hartwin Brandt

Costantino il Grande non è solo l’imperatore della svolta cristiana, ma anche l’originario promotore di riforme innovative in ambito monetario e tributario, nell’amministrazione civile, di corte e nel settore militare, che segneranno profondamente il futuro Imperium Romanum tardoantico. A questo proposito, oltre a numerose questioni di dettaglio, uno dei maggiori argomenti di discussione è la misura della partecipazione di Costantino al rinnovamento promosso dal suo immediato predecessore Diocleziano, inventore del sistema tetrarchico, già attivo come riformatore impegnato negli ambiti menzionati1. Di seguito sono presentate le novità del periodo costantiniano emerse nelle ricerche più recenti e, in chiusura, è discussa la questione se sia possibile individuare linee di continuità chiare tra Diocleziano e Costantino oppure se Costantino – tornato alla monarchia universale dopo l’esperienza della tetrarchia – anche in qualità di riformatore si sia significativamente distinto da Diocleziano e dagli altri tetrarchi. Questo contributo intende concentrarsi sull’amministrazione in senso stretto, non prendendo in considerazione la legislazione promossa da Costantino e la fondazione di Costantinopoli.

Aurum pro aere. Riforme monetarie o innalzamento delle imposte?

Nel De rebus bellicis2, un testo molto discusso il cui autore è sconosciuto e la cui datazione è controversa (il IV o il V secolo d.C.), vengono attribuite a Costantino importanti riforme nell’ambito delle finanze:

Constantini temporibus profusa largitio aurum pro aere, quod antea magni pretii habebatur, vilibus commerciis assignavit; sed huius avaritiae origo hinc creditur emanasse. Cum enim antiquitus aurum argentumque et lapidum pretiosorum magna vis in templis reposita ad publicum pervenisset, cunctorum dandi habendique cupiditates accendit. Et cum aeris ipsius – quod regum, ut diximus, fuerat vultu signatum – enormis iam et gravis erogatio videretur, nihilominus tamen a caecitate quadam ex auro, quod pretiosius habetur, profusior erogandi diligentia fuit. Ex hac auri copia privatae potentium repletae domus in perniciem pauperum clariores effectae, tenuioribus videlicet violentia oppressis. Sed afflicta paupertas, in varios scelerum conatus accensa, nullam reverentiam iuris aut pietatis affectum prae oculis habens, vindictam suam malis artibus commendavit3.

A oggi l’interpretazione di questo difficile passo resta controversa. Da un lato molti eruditi seguono la lettura classica di Santo Mazzarino4 secondo la quale Costantino, in conseguenza dell’espropriazione di templi pagani5, avrebbe fatto coniare molte monete d’oro, che nel piccolo commercio avrebbero via via soppiantato la moneta di bronzo, cosa che a sua volta avrebbe svantaggiato in modo particolare la gente semplice e condotto a proteste e disordini. Dall’altro bisogna porre attenzione al fatto che già Diocleziano aveva introdotto il solidus aureo (che non equivaleva a 1/72 della libbra romana ma a 1/60) e che quindi le confische dei templi di Costantino (tuttora impossibili da quantificare) non possono essere state la ragione della coniazione costantiniana dell’oro6. Perciò appare plausibile anche un’altra interpretazione del testo dell’Anonimo, che risulta da una comparazione con un passo contro Costantino che si trova nella Storia nuova di Zosimo7, in cui si legge:

Costantino, dopo aver portato a termine queste cose, continuò a sperperare tributi con donazioni inopportune a uomini indegni e inutili; opprimeva chi pagava le imposte, arricchiva invece chi non poteva essergli di nessun vantaggio: riteneva infatti che la prodigalità fosse un titolo d’onore. Fu lui a imporre il tributo in oro e argento [chrysargyron] a tutti quelli che in ogni parte della terra si dedicavano ai commerci e mettevano in vendita ogni cosa nella città; anche i più umili erano soggetti alle imposte: non esentò neppure le sventurate prostitute. Così avvicinandosi la scadenza dei quattro anni, quando bisognava pagare il tributo, in ogni città echeggiavano pianti e lamenti; giunto il momento di pagare, frustate e torture venivano inflitte ai corpi di coloro che per l’estrema povertà non potevano sopportare una penale8.

Ci sono notevoli parallelismi tra le testimonianze delle fonti, anche nel dettato del testo: Costantino confonde «spreco e generosità» e suggerisce di assignare («imporre») un’imposta ai commercianti che esercitano solo vilia commercia. Di conseguenza nell’Anonimo e in Zosimo l’espressione Aurum pro aere potrebbe riferirsi all’imposizione della Collatio lustralis, perché nel corso del IV secolo questo tributo è stato sempre più spesso riscosso in oro.

Riforme tributarie

Gli autori tardoantichi tendono a considerare l’uso delle risorse finanziarie e la politica tributaria dell’imperatore come un importante criterio per valutare l’operato di un sovrano, e ciò vale anche per Costantino il Grande9. In questa prospettiva lo spreco e il saccheggio fiscale dei collatores sono reciprocamente legati. Così la Origo Constantini (30) gli rimprovera di avere «esaurito tutti i tesori e le entrare imperiali» per la costruzione di Costantinopoli («ut prope in ea omnes thesauros et regias facultates exhauriret»). E secondo l’epitome de Caesaribus (41,16) Costantino era oggetto di critica a causa della sua «smisurata profusione» («profusiones immodicae») – parole che ricordano alla lettera il rimprovero del De rebus bellicis (II 1) secondo il quale Costantino avrebbe praticato una «profusa largitio». Complementare a questo aumento di spesa è la moltiplicazione delle riscossioni imposta per legge, dovuta all’aumento delle tasse. Di particolare importanza fu probabilmente l’imposta sull’industria introdotta da Costantino, la Collatio lustralis, ovvero la chrysargyron. Le immunità presto concesse a determinati gruppi (come i veterani) documentano in modo inequivocabile che questa tassa veniva percepita come un peso schiacciante10.

Nuove e decisive misure in relazione alla questione delle imposte erano già state introdotte da Diocleziano: soprattutto il passaggio della tassazione centrale a un sistema definito in base al possesso di immobili (iugatio), alla dimensione delle famiglie e alla forza lavoro (capitatio), che era stato aspramente criticato da Lattanzio11, almeno dal punto di vista teorico, ma che mirava all’introduzione di mutamenti nell’equità delle imposte e nella loro efficacia. L’ingiunzione (indictio) all’autodichiarazione e al pagamento dei tributi avveniva con cadenza regolare: dapprima, ai tempi di Diocleziano, ogni cinque anni, e, più tardi, a partire dal 312 e dal 314, ogni quindici anni. Anche in questo caso le fonti danno notizia di numerosi esoneri tributari per determinati gruppi, e i papiri egizi indicano che dopo il 310 in Egitto il sistema era stato ulteriormente raffinato con la classificazione del paese a cui venivano imposte le tasse in base a determinate categorie12.

Ulteriori tributi speciali documentano il crescente bisogno d’oro di Costantino, dovuto alla centralità che egli riservò alla moneta aurea (e d’argento) e alle consuete largitiones, attese in occasione di festività, vittorie, etc., che spesso venivano versate alle truppe proprio in oro e argento13. Secondo il Cronografo del 35414 Costantino avrebbe fatto dell’aurum coronarium, l’oro della corona – che in realtà veniva riscosso solo in determinate occasioni –, una tassa aurea generale e obbligatoria e, secondo Zosimo, anche la collatio glebalis (detta anche follis), la tassa senatoria speciale, può essere fatta risalire a Costantino, che «fece registrare i beni dei cittadini più illustri, istituendo un’imposta alla quale diede egli stesso il nome di follis»15. In generale in epoca costantiniana ha inizio la tendenza alla cosiddetta aderazione, cioè il passaggio da tributi in natura a tributi in denaro (spesso corrisposti in oro); ciò vale per la più importante tra le tasse in natura, l’annona, ma anche per tributi speciali come la tassa sui cavalli (equorum collatio), l’imposta sui coscritti (aurum tironicum) e quella sulle vesti dei soldati (vestis militaris)16. Nel complesso è dunque possibile affermare che, da molti punti di vista, Costantino sviluppò ulteriormente misure già adottate da Diocleziano, conferendo a esse la propria impronta.

Il quaestor sacri palatii e il praepositus sacri cubiculi

Quanto detto vale anche per l’ambito dell’amministrazione civile, e soprattutto per l’amministrazione di corte: già sotto la tetrarchia di Diocleziano erano state introdotte molte innovazioni istituzionali che Costantino conservò ma che, in larga misura, sviluppò e portò ulteriormente a compimento. A corte (comitatus) stabilì il proprio consiglio della corona (consistorium), i cui membri (comites) erano suddivisi in tre ordini (ordines)17. La distinzione dei tre gruppi corrispondeva ai ranghi dei senatori: viri illustres (oppure illustrissimi), spectabiles, clarissimi.

Anche il quaestor imperiale – che solo successivamente si incontra con regolarità con il titolo intero di quaestor sacri palatii18 – faceva parte del comitatus e, secondo Zosimo, fu Costantino il creatore di questa carica19. Nella Notitia Dignitatum20, un manuale sullo Stato corredato di immagini, quali insegne di questo funzionario si trovano il fascio di rotoli e un armadio di documenti che reca l’indicazione leges salutares. Da qui risulta chiaro quale fosse la principale attività del quaestor sacri palatii: accanto ad altre mansioni amministrative – per esempio la redazione dei documenti di nomina (probatoriae) per alcuni militari –, era suo compito redigere i decreti imperiali; a questo scopo aveva bisogno sia di competenze giuridiche sia di particolari competenze linguistiche, assommando in sé più funzioni che prima erano divise tra diverse posizioni: «il quaestor sacri palatii combinava tre funzioni che nell’Impero romano degli inizi erano separate: quella del quaestor Augusti, che leggeva i discorsi dell’imperatore nel senato romano, quella ab epistulis e quella a libellis»21. Considerato che Costantino, già a partire dal momento della sua ascesa al potere nell’estate del 306, aveva accesso alla cancelleria di suo padre e alla sua residenza centrale a Treviri, e che inoltre, nel periodo del suo regno, sviluppò un’attività legislativa estremamente ricca – Detlef Liebs ha calcolato che solo i testi tramandati risalenti al periodo tra il 312 e il 337 sono 361, tra Codices, testi letterari e documentazione epigrafica e papirologica22 –, non bisogna stancarsi di sottolineare l’importanza del capo della cancelleria imperiale. Solo a margine si noterà qui che la creazione di questa nuova carica fa parte di una riforma della giustizia più ampia, che non verrà descritta nel dettaglio in questa sede, comprendente non solo la creazione della audientia episcopalis, ma anche la nuova costituzione di istanze giuridiche, come per esempio i comites provinciarum23.

Va attribuita a Costantino anche l’istituzione di un tesoriere della camera alta, il praepositus sacri cubiculi, presso la corte; nella Notitia Dignitatum quest’ultimo viene considerato come uno dei membri di primo rango, viri illustres, e collocato tra i magistri militum e il magister officiorum24. Posto al vertice degli eunuchi di corte, era significativamente influente in ragione delle strette relazioni che intratteneva con l’imperatore, come già ai tempi di Diocleziano, quando era sorto il sacrum cubiculum, l’affollata e pomposa corte imperiale. Anche in questa prospettiva Costantino si pone significativamente nel solco di Diocleziano, alla cui corte – così come anche alle corti dei suoi pari grado – secondo Lattanzio erano attivi «eunuchi molto potenti»25. Per il periodo iniziale non è possibile farsi un’idea più precisa dei compiti concreti della carica, che per la prima volta nel 326 viene indicata con il titolo di praepositus sacri cubiculi26, poiché purtroppo sono andate perdute le pagine della Notitia Dignitatum dove era riportata l’immagine delle insegne di questa magistratura27. Senza dubbio il tesoriere vigilava sui numerosi cubiculari e silentiarii, controllando in questo modo un gruppo particolare del sacer comitatus, che nel decennio successivo avrebbe guadagnato un’importanza politica notevole. Già sotto il regno di uno dei figli di Costantino, Costanzo II, nel lungo periodo tra il 337 e il 361 un praepositus sacri cubiculi di nome Eusebio era giunto a essere il più importante funzionario nella cerchia più stretta intorno all’imperatore28.

Il magister officiorum

La carica di corte più nota (e allo stesso tempo più significativa e di rango più elevato) istituita nel periodo di Costantino è senza dubbio quella del magister officiorum29, il cui nome era in origine tribunus et magister officiorum30. La sua creazione va probabilmente fatta risalire al famoso incontro tra Costantino e Licinio nel febbraio del 313, quando i due Augusti, secondo Lattanzio, si consigliarono tra loro e presero decisioni a proposito di tutte le questioni che riguardavano il bene e la sicurezza pubblici31.

La prima legge relativa contenuta nei Codices è di Costantino e risale all’anno 320; essa si rivolge al prefetto romano Massimo e si occupa della reazione dei funzionari statali alla caduta di fulmini sugli edifici pubblici; vi si fa menzione di uno scritto ad Heraclianum tribunum et mag(istrum) officiorum del praefectus urbi che il citato Eracliano aveva inoltrato all’imperatore32. È chiaro sin d’ora che il magister officiorum aveva soprattutto una funzione centrale per la trasmissione delle comunicazioni che partivano e arrivavano alla corte.

Ma l’ambito di competenza del magister officiorum andava ben oltre quello della comunicazione. Dipendeva da lui gran parte degli officia palatina, cioè le incombenze presso la corte imperiale33 (a eccezione del settore delle finanze, che costituiva una grossa branca a sé sotto il controllo del comes sarcrarum largitionum ovvero del comes rerum privatarum)34. Vanno innanzitutto citati gli scrinia (sezioni degli uffici) della memoria, delle epistulae e dei libelli, anche se non è possibile una suddivisione chiara di queste sottosezioni. Si trattava, tra le altre cose, di accogliere e rispondere a richieste di ogni genere, di raccogliere, archiviare e inoltrare rapporti, di preparare risposte e commentari (adnotationes), di stabilire comunicazioni con interlocutori stranieri (ragion per cui erano a loro disposizione interpretes diversarum gentium), inoltre di preparare verbali e di organizzare le admissiones, le udienze imperiali. Ulteriori ambiti di pertinenza del magister officiorum riguardavano il funzionamento della corte: dipendevano da lui anche gli agrimensori (mensores), i portatori delle fiaccole (lampadarii) e i messi (cursores), mentre non è certo se all’inizio del IV secolo d.C. l’attività dei notarii (gli stenografi del consistorium imperiale) fosse già un ambito di competenza del magister officiorum, ma già in un decreto di Costantino del 319 si incontrano gli agentes in rebus, oggetto di numerose ricerche35. Essi erano organizzati come unità militare in una schola, portavano emblemi dell’esercito e andavano a cavallo. Avevano assunto soprattutto il compito dei frumentarii, aboliti da Diocleziano, e il modo migliore per indicarli potrebbe essere ‘ispettori’. Cavalcavano per tutto l’Imperium Romanum, verificavano e controllavano le manifatture pubbliche e la posta (cursus publicus)36, ma non si sottraevano allo studio della corrispondenza di funzionari oggetto di sospetti e si ritrovano come testimoni nei processi.

Insieme alla schola degli agentes in rebus, tra i compiti e gli ambiti di pertinenza del magister officiorum è anche un’importante componente militare e ciò traspare chiaramente dalla sua funzione di comandante della guardia del corpo imperiale, la schola palatina37. Si trattava dell’organizzazione succeduta alle corti pretoriane, che Costantino aveva sciolto dopo la sua vittoria contro Massenzio nell’autunno del 312, ma probabilmente il magister officiorum fu promosso alla sua guida solo verso la fine del regno di Costantino.

Da ultimo bisogna citare brevemente le fabricae, le manifatture pubbliche per la produzione di armi, che nel corso del V secolo d.C. erano ricadute nell’ambito di competenza del magister officiorum. Al contrario di quanto si supponeva in precedenza – vale a dire che ciò accadesse già sotto Costantino –, Manfred Clauss38 ha chiarito che fino alla fine del IV secolo d.C. questa funzione di sorveglianza era svolta dai prefetti del pretorio e che ci sono testimonianze di un passaggio di competenza solo a partire dal 390 circa. Qui è ancora una volta chiaro che l’affermarsi del magister officiorum con le sue competenze varie e molto ramificate è legato a doppio filo alla nuova ridefinizione del ruolo del prefetto del pretorio, di cui si dirà a breve. Secondo Clauss l’ascesa del magister officiorum si è compiuta evidentemente «a spese del prefetto; anche in seguito l’ampliamento delle competenze del magister officiorum andava a scapito dei praefecti praetorio»39.

Praefecti praetorio e vicarii

I mutamenti intervenuti grazie a Diocleziano e Costantino nella carica e nella funzione dei prefetti del pretorio fanno parte dei temi più difficili e controversi della storia dell’amministrazione tardoantica40. Ciò dipende, da un lato, dalla lacunosità delle fonti (epigrafiche e letterarie) e, dall’altro, dalla mescolanza tra queste innovazioni e altri sviluppi difficili da chiarire nel dettaglio, che riguardano i vicarii e le diocesi ma anche, più in generale, l’amministrazione delle province.

Del tutto indiscusso è, innanzitutto, il fatto che, secondo l’elenco delle province, databile al 313-314, del Laterculus Veronensis, la loro dimensione sia diminuita rispetto al loro numero, raddoppiato fino quasi a cento. Inoltre, il raddoppiamento del numero delle province, avvenuto in maniera graduale, cade per lo più sotto il regno di Diocleziano. Lattanzio nel suo resoconto polemico inasprisce ulteriormente questa tesi, riferendo il fenomeno solo a Diocleziano. Secondo Lattanzio, infatti, sotto il suo regno «si sminuzzarono pure le province: una pletora di governatori e ancora più uffici presiedevano ogni singola regione e quasi ogni città»41. Diversamente da quanto sostiene Lattanzio – che riconduce a Diocleziano anche l’insediamento delle diocesi e dei vicarii42 – le diocesi, quali istanze intermedie tra le province e le prefetture del pretorio, sorsero certamente in periodo costantiniano43, forse, secondo una tesi recente, a seguito dell’incontro tra Costantino e Licinio a Milano nel febbraio del 31344. Secondo il Laterculus Veronensis furono istituite nel complesso dodici diocesi: Oriens, Asiana, Pontica, Thraciae, Moesiae, Pannoniae, Italia, Africa, Hispaniae, Viennensis, Galliae, Britanniae. Tutte le diocesi comprendevano più province ed erano fortemente diverse tra loro per dimensione. La nuova diocesi Oriens era composta da diciassette province, mentre la diocesis Britanniae era divisa in quattro. La loro direzione spettava ai vices agentes praefectorum praetorio ovvero ai vicarii, i cui compiti principali erano la giurisdizione e lo sgravio dei prefetti del pretorio, dei quali parleremo tra poco.

Fino in epoca costantiniana la prefettura del pretorio, istituita da Augusto e riservata in origine ai cavalieri romani, era una carica militare cui, secondo Zosimo, nel corso del tempo era stata attribuita anche una componente civile:

I prefetti del pretorio erano due ed esercitavano insieme la carica; alla cura e all’autorità di costoro non solo erano affidate le truppe di corte, ma anche quelle che avevano il compito di difendere la città, nonché i contingenti che presidiavano tutti i confini; infatti i prefetti, che erano secondi soltanto all’imperatore, provvedevano alle donazioni di cibo e reprimevano con opportune punizioni le trasgressioni commesse nell’addestramento militare45.

Dopo la vittoria contro Massenzio a ponte Milvio (28 ottobre 312) Costantino sciolse le truppe d’élite delle coorti pretoriane e trasformò la funzione prevalentemente militare dei prefetti del pretorio nella più alta carica civile dell’Impero, con facoltà di agire in vece dell’imperatore. Nel V secolo Zosimo, autore pagano avverso a Costantino, pensando alla divisione e alla quadruplicazione delle prefetture e all’istituzione delle prefetture pretoriane regionali, scrive:

Costantino, variando quanto era stato ben stabilito, divise un’unica magistratura in quattro funzionari. A un prefetto infatti affidò tutto l’Egitto, con la Pentapoli di Libia, l’oriente fino alla Mesopotamia, e inoltre la Cilicia, la Cappadocia, l’Armenia e tutte la costa dalla Panfilia sino a Trapezunte e alle fortezze presso i Fasi; gli affidò pure la Tracia, limitata dalla Misia sino all’Asemo e dal Rodope, sino alla città di Topero, Cipro e le isole Cicladi, a eccezione di Lemno, Imbro e Samotracia. All’altro assegnò la Macedonia, la Tessaglia, Creta, l’Ellade e le isole circostanti, e i due Epiri; inoltre, l’Illiria, la Dacia, il territorio dei Triballi, la Pannonia sino alla Valeria, e in più la Mesia superiore; al terzo diede tutta l’Italia, la Sicilia e le isole vicine, e ancora la Sardegna, la Corsica e l’Africa, dalle Sirti alla Mauritania cesarense; al quarto toccò la Spagna oltre all’isola britannica46.

I pareri moderni circa la veridicità storica di questa notizia sono molto discordanti, e ci si limiterà a segnalare i lavori più recenti che informano in modo dettagliato circa la complessa storia di queste ricerche. Timothy Barnes sostiene che la situazione tratteggiata da Zosimo si riferisca in realtà all’epoca valentiniana (anni Sessanta e Settanta del IV secolo), che la regionalizzazione delle prefetture pretoriane non sia iniziata prima degli anni Quaranta del IV secolo, ma che la moltiplicazione delle cariche (supportata da prove epigrafiche) sia, viceversa, da ricondurre ai piani dei successori di Costantino e che tutti i figli previsti per la successione – Costante, Costantino II e Costanzo II – avessero conferito una propria struttura alla corte e ai propri prefetti del pretorio47. Nella sua voluminosa monografia sull’argomento, Pierfrancesco Porena propone un’altra ricostruzione48: nel periodo della tetrarchia di Diocleziano (284-305) ci sarebbero stati due prefetti del pretorio (uno per ciascun Augusto, Diocleziano e Massimiano), mentre i Cesari venuti in seguito (Galerio e Costantino) non avrebbero avuto una propria prefettura del pretorio. Questa osservazione è supportata da un’iscrizione rinvenuta a Brescia, una dedica in onore di Costanzo I che in Occidente svolgeva la funzione di Caesar49. Gli autori della consacrazione sono esclusivamente i due prefetti del pretorio degli Augusti, il famoso giurista Aurelius Ermogenianus e Julius Asclepiodotus – il Caesar Costanzo I non disponeva evidentemente di propri prefetti del pretorio50. Porena data la trasformazione in una carica fortemente regionalizzata, e con ciò l’aumento del numero delle prefetture, agli anni tra il 317 e il 337, ipotizzando cambiamenti decisivi nel periodo nel quale Costantino regnava da solo (dopo il 324)51. Altay Coşkun propone, invece, una via di mezzo, muovendo dall’idea di una coesistenza di prefetti regionalmente vincolati e di prefetti legati alla persona e alla corte dell’imperatore:

Non crea dunque difficoltà alcuna ammettere che i prefetti del pretorio ‘regionali’ e quelli ‘presentali’ avessero ugual natura: essi erano i sostituti di uno o più imperatori di rango più alto nelle faccende amministrative e giurisdizionali e ricoprivano incarichi ben precisi e operavano, come delegati imperiali, all’interno di un ampio spettro d’azione52.

È dunque chiaro che ci si trova di fronte a un processo lungo, di cui è difficile definire e datare le singole tappe. In questo contesto ci sono molte iscrizioni che è importante tenere presenti: innanzitutto una del Nordafrica che non può essere precedente al 331, e che sulla base delle integrazioni (necessariamente ipotetiche) di Timothy Barnes presenta una lista di cinque prefetti del pretorio53: Valerius Maximus, Iunius Bassus, Flavius Ablabius, Valerius Evagrius e Papius Pacatianus. Due dedicazioni successive54, che secondo Barnes risalgono al 335 e secondo altri al 336, testimoniano l’esistenza in diversi luoghi di cinque prefetti del pretorio, che potevano, ma non dovevano necessariamente rientrare nei piani dinastici di Costantino. È possibile che dica il giusto Christopher Kelly con la sua interpretazione mediana delle tre iscrizioni:

Importantly, unlike later fourth century inscriptions, the prefect’s names were not followed by an explicit reference to the region for which they were primarily responsible (Gaul, Italy, Illyricum, or the east). This lack of formal specification makes it clear – contrary to the claim of the late fifth century historian Zosimus – that ‘regional prefectures’ in the manner set out in the ‘Notitia Dignitatum’ were not officially established under Constantine. That said, it is equally clear that after 324 individual prefects in the exercise of their duties were often understood to have a particular expertise in the governance of certain dioceses55.

Mentre in assenza di nuovi documenti è probabilmente impossibile giungere a considerazioni definitive riguardo alle questioni di dettaglio dibattute, rispetto ai compiti dei prefetti pretoriani la situazione è chiara, tanto più che molte leggi contenute nei codici tardoantichi erano indirizzate proprio a loro e consentono di fare affermazioni certe56. La funzione principale e decisiva per il potere e l’amministrazione dei prefetti pretoriani consisteva nell’organizzazione della riscossione dei tributi e nella distribuzione di quanto riscosso. Il presupposto di tutto questo era la fissazione di una quantità di imposte da riscuotere annualmente che poi veniva suddivisa tra le unità subordinate (province, città, contabili). Se i tributi riscossi non erano sufficienti a raggiungere l’introito fiscale indispensabile, venivano ordinati pagamenti aggiuntivi (superindictiones). I pagamenti riscossi in natura (annona) o in forma aderata servivano a provvedere all’esercito e ad alimentare gli impiegati civili. Compiti aggiuntivi, che ricadevano sotto le competenze dei prefetti pretoriani, riguardavano gli ambiti della giurisdizione, dell’organizzazione dei munera solida (i servizi obbligatori che la popolazione doveva svolgere) e della distribuzione delle autorizzazioni (evectiones) per l’utilizzo dei trasporti imperiali (cursus publicus). I prefetti del pretorio giunsero a essere i più importanti incaricati civili dell’Impero romano tardoantico e l’origine di questa trasformazione ha le sue radici senza dubbio nel periodo costantiniano. Ciò vale anche per il riordino delle più elevate cariche in ambito militare, di cui ci si occuperà oltre e la cui importanza non va mai sottovalutata.

I magistri militum e le riforme in ambito militare

Zosimo pone la nuova costituzione dei prefetti del pretorio a opera di Costantino in stretta relazione con il riordino delle cariche militari di spicco, divenute vacanti a causa della ‘civilizzazione’ della praefectura praetorii:

Suddiviso in questo modo il potere dei prefetti, fece di tutto per indebolirlo anche con altri mezzi. Dovunque infatti al comando dei soldati c’erano non solo i centurioni e i tribuni, ma anche i cosiddetti duces, che in ogni territorio avevano l’incarico di comandanti; Costantino, istituendo i cosiddetti magistri, dei fanti e dei cavalieri, e affidando a questi il potere di schierare i soldati e di punire i colpevoli, sottrasse ai prefetti anche questa prerogativa57.

Anche se i primi magistri equitum (per la cavalleria) e magistri peditum (per la fanteria), chiamati anche magistri militum, di cui si hanno testimonianze certe risalgono ai tempi del figlio di Costantino, normalmente si presta fede a Zosimo e si considera Costantino l’originario fautore del magisterium militum58. È possibile che anche questa moltiplicazione dei posti di comando, come quella delle prefetture del pretorio, vada connessa alla nomina a Caesar del figlio di Costantino, in modo che questi potesse disporre di militari di grande esperienza. Essi facevano parte sin dall’inizio del ceto senatorio in qualità di clarissimi e, solo a partire dal periodo di Valentiniano, li si trova anche indicati come illustrissimi:

Costantino fece anche qualcos’altro, che permise ai barbari di entrare nei domini romani. Infatti per la previdenza di Diocleziano tutto l’impero era stato diviso, come ho già detto, in città, fortezze e torri. Poiché l’esercito era stanziato dappertutto, i barbari non potevano infiltrarsi: dovunque le truppe erano pronte a opporsi agli invasori e a respingerli. Costantino abolì anche queste misure di sicurezza: rimosse dalle frontiere la maggior parte dei soldati e li insediò nelle città che avevano bisogno di protezione; privò dei soccorsi quelli minacciati dai barbari, e procurò alle città tranquille i danni provocati dai soldati: perciò ormai moltissime risultano deserte59.

Con il suo resoconto polemicamente tendenzioso Zosimo si riferisce alle riforme, gravide di conseguenze, che comprendevano la divisione delle truppe nel loro complesso in legioni mobili (comitatenses) ed esercito di confine più o meno stabilmente acquartierato (ripenses e limitanei). Queste innovazioni erano state introdotte e avviate tanto nel periodo di Diocleziano quanto sotto il dominio di Costantino; una distinzione temporale netta in questo caso è dunque impossibile60. Barnes dà grande peso alle prove che si ottengono anche grazie ai timbri sui mattoni risalenti al periodo galerico dell’area danubiana, secondo le quali già sotto la tetrarchia singole legioni erano suddivise in parti mobili (sotto la guida di un praefectus legionis) e in parti stabilmente collocate sulla linea di confine (capitanate da un praefectus ripae)61, ma questo conferma soltanto l’esistenza di una connessione salda tra le misure di Diocleziano e quelle di Costantino.

Ciò vale anche per il crescente reclutamento di soldati non romani, che Zosimo ha egualmente sottolineato e criticato. Nella regione del Danubio già Diocleziano aveva fatto stanziare dei non romani sul suolo imperiale, e Costantino continuò questa politica (anche nell’area reno-gallica), favorendo così quel processo di barbarizzazione dell’esercito romano nella tarda antichità, che avrà importanti conseguenze62. Circostanza, questa, che risulta evidente nei documenti antichi che attestano il contratto con i goti, sottoscritto da Costantino nel 33263. Nella sua Vita Constantini Eusebio di Cesarea scrive a questo proposito:

Fu Dio stesso a far prostrare i Sarmati ai piedi di Costantino, sottomettendo quegli uomini, superbi nella loro barbarica arroganza, nel modo che segue: quando gli Sciti mossero guerra contro di essi, i potenti, per difendersi dai nemici, armarono i propri servi; però gli schiavi, una volta che ebbero avuto la meglio, levarono gli scudi contro i padroni e li scacciarono tutti dalle loro proprietà. Essi non trovarono altro posto di salvezza se non Costantino, il quale sapendo bene come salvarli, li accolse tutti in territorio romano, e arruolò nei propri eserciti gli idonei, mentre agli altri di;stribuì terre coltivabili perché ne traessero sostentamento64.

Giordane nella sua Storia dei Goti della metà del VI secolo d.C. conferma che i goti alleati prestavano servizio in qualità di foederati nell’esercito di Costantino65 e che evidentemente già allora i non romani avevano accesso ai ranghi militari più elevati, come nel caso del franco Bonitus66. Con i barbari ammessi sul suolo imperiale (che venivano indicati con il temine dediticii) e i loro discendenti, a cui nelle fonti antiche a partire dal 297 ci si riferisce con il termine laeti67, i non romani erano diventati sempre più una parte irrinunciabile dell’esercito romano; la barbarizzazione dell’esercito, di cui si lamentano gli autori successivi durante il IV secolo d.C., non era iniziata in epoca diocleziano-costantiniana, ma in questo periodo era stata di certo fortemente favorita.

Continuità con la tetrarchia di Diocleziano o innovazioni rivoluzionarie?

Se dal punto di vista politico-religioso Costantino fu senza dubbio un rivoluzionario e un visionario che adottò misure nuove – tanto che si parla sempre, a ragione, di una ‘svolta costantiniana’68 –, per quanto riguarda la sua politica di governo e la concezione dell’esercizio del potere monarchico egli fu invece un conservatore; abolì l’innovazione della tetrarchia e tornò a rappresentazioni vetero-dinastiche. Eusebio di Cesarea ha conferito a questa restaurazione del potere imperiale un significato programmatico: «La monarchia eccelle su ogni altra forma di costituzione e di governo; infatti quando il potere è in mano a molti c’è anarchia e guerra civile, in quanto l’uguaglianza determina i conflitti»69. Se guardiamo, invece, alle misure nell’ambito delle finanze, dell’amministrazione e della politica militare, dobbiamo indicare Costantino come un riformatore pragmatico e, per certi versi, innovativo, che si ricollega per molti aspetti al suo predecessore Diocleziano.

Che Costantino percepisse se stesso come un riformatore energico e ambizioso si vede dalla sua ricca e già menzionata attività legislativa: gli fu rimproverato infatti, secondo Ammiano Marcellino, di avere agito come un novator turbatorque priscarum legum (come un innovatore e un perturbatore delle leggi antiche)70. Il bilancio critico scritto da Eutropio intorno all’anno 370 va nella stessa direzione: «Promulgò molte leggi, alcune buone e giuste, le più superflue, alcune severe»71. Di fatto, molti dei suoi editti, e in particolare le premesse esortative ed esplicative che vi sono contenute, suscitano l’impressione di un imperatore preoccupato di produrre miglioramenti fondamentali nelle condizioni della vita sociale e familiare – quanto e come la sua crescente vicinanza al cristianesimo abbia giocato un ruolo in tutto questo, nella maggior parte dei testi di legge resta molto difficile da chiarire72. Da questo punto di vista suscitano particolare impressione gli editti costantiniani relativi al fidanzamento e al matrimonio73, che hanno dei precedenti nella tradizione tetrarchica, perché già Diocleziano e il suo co-imperatore, nel molto discusso decreto sul matrimonio dell’anno 295, si dichiaravano enfaticamente a favore del valore della famiglia e del matrimonio74. Come sottolinea Arnaldo Marcone, i tentativi di Costantino di reprimere la corruzione dei funzionari e di combattere il maltrattamento della popolazione appartenente ai ranghi inferiori sono pervasi da un furore missionario paragonabile, per esempio, a quello che è proprio dell’editto dell’anno 325:

Se mai ci sia una qualche persona di qualsiasi posizione, rango o carica che ritenga di essere in grado di addurre delle prove in modo veritiero e inequivoco nei confronti di un mio giudice, conte o uomo del mio seguito o palatino, che qualcuno di loro ha compiuto qualche azione che risulti essere stata fatta senza integrità o giustizia, che costui si possa rivolgere a me e rivolgermi appello tranquillo e senza timore. Io stesso in persona presterò ascolto a tutto; io stesso condurrò un’indagine e, se l’accusa dovesse risultare provata, io in persona mi vendicherò. Che egli possa parlare con tranquillità e che egli possa parlare con chiara coscienza. Se sarà in grado di comprovare i suoi argomenti, come ho detto, io stesso mi vendicherò su quella persona che mi ha ingannato sino a questo momento con contraffatta integrità. Inoltre ricompenserò con onori e con ricompense materiali colui che avrà rivelato e provato l’ingiustizia. Possa per questo l’Altissimo essermi sempre propizio e tutelarmi senza danno, con lo Stato in condizioni di felicità e di prosperità75.

Per Marcone «la sincerità dell’impegno di Costantino nel sostenere la causa dei ceti più deboli» è fuori questione76, ma d’altra parte non si può ignorare il fatto che la sua legislazione testimonia un rigore e una «brutalità non dissimulata», e che nell’anno 326 Costantino, il «legislatore cristiano», non esitò a condurre epurazioni sanguinose nella sua cerchia familiare più ristretta77. Nel complesso, Costantino si rivela un politico freddamente calcolatore che agisce sulla base di una razionalità strategica e in modo pragmatico anche nei settori dell’amministrazione, della politica finanziaria, tributaria e militare, e che, laddove gli sembri sensato e necessario, segue le orme dei membri della tetrarchia che lo hanno preceduto e, altrimenti, sceglie da solo quale strada seguire.

1 Pressoché tutte le biografie di Costantino dedicano un capitolo alle sue riforme nei diversi campi della politica. Ci si limita qui a citare i lavori più importanti: A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Bari 2002, pp. 152-160; D. Vera, Costantino riformatore, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati, G. Gentili, Milano 2005, pp. 26-35; C. Kelly, Bureaucracy and Government, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 183-204; G. Depeyrot, Economy and Society, ivi, pp. 226-252; H. Brandt, Konstantins Reformen, in Konstantin der Grosse. Geschichte – Archäologie – Rezeption, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, pp. 31-38. Il contributo di B. Bleckmann, Konstantin der Große: Reformer der römischen Welt (in Konstantin der Große. Kaiser einer Epochenwende, hrsg. von F. Schuller, H. Wolff, Lindenberg 2007, pp. 26-68), si occupa soprattutto della trasformazione del sistema di potere e non dell’amministrazione, dell’economia e dell’ambito militare.

2 Cfr. H. Brandt, Zeitkritik in der Spätantike. Untersuchungen zu den Reformvorschlägen des Anonymus De rebus bellicis, München 1988; Anonimo, Le cose della guerra, a cura di A. Giardina, Milano 1989; F. Carlà, L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e sociali, Torino 2009, pp. 124 segg.

3 Anon. de reb. bell. 2, 1-5 (trad. it. A. Giardina, Le cose della guerra, Milano 1989): «Fu ai tempi di Costantino che la smodata largizione di denaro assegnò ai piccoli commerci l’oro al posto del rame, che prima era considerato di grande valore. È credibile che l’avidità abbia avuto origine dalle seguenti cause. Quando l’oro, l’argento e la grande quantità di pietre preziose che da epoca remota erano depositati presso i templi raggiunsero il pubblico, si accese in tutti la cupidigia di spendere e di acquisire. E sebbene l’erogazione del rame – che come dicevamo portava impresso il volto dei re – risultasse ormai enorme e difficile da sostenere, nondimeno, per non so quale cecità, ci s’impegnò smodatamente a mettere in circolazione oro, che è considerato più prezioso. Questa abbondanza d’oro riempì le dimore dei potenti, diventate sempre più belle a danno dei poveri, essendo i meno abbienti oppressi con la violenza. Ma i poveri, spinti dalle loro afflizioni a commettere vari atti scellerati, non avendo davanti agli occhi alcun rispetto per la legge né sentimenti di pietà, affidarono le loro rivendicazioni al crimine».

4 S. Mazzarino, Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, Roma 1952.

5 G. Bonamente, Sulla confisca dei beni mobili dei templi in epoca costantiniana, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1992, pp. 171-201.

6 Considerazioni più diffuse in H. Brandt, Zeitkritik in der Spätantike, cit., pp. 25-42; G. Depeyrot, Economy, cit., p. 236: «In reality, this new coin (sc. the solidus) represented no particularly great departure from earlier monetary policy: Constantine simply reduced the weight of Diocletian’s gold aureus from about 6 grams to about 4.5 grams». Cfr. F. Carlà, L’oro, cit., pp. 45-77.

7 F. Kolb, Finanzprobleme und soziale Konflikte aus der Sicht zweier spätantiker Autoren (Scriptores Historiae Augustae und Anonymus de rebus bellicis), in Studien zur antiken Sozialgeschichte. Festschrift für F. Vittinghoff, hrsg. von W. Eck, H. Galsterer, H. Wolff, Köln 1980, pp. 497-526; cfr. F. Carlà, L’oro, cit., pp. 125 segg.

8 Zos. II 38, 1-2, trad. it. F. Conca, Milano 2007, pp. 238-239.

9 H. Brandt, La politica fiscale di Costantino nelle opinioni tardoantiche, in G. Bonamente, F. Fusco, Costantino il Grande, cit., pp. 213-218.

10 Cod. Theod. VII 20,2, a questo proposito si veda G. Depeyrot, Economy, cit., p. 242.

11 Lact., mort. pers. 23; a questo proposito si veda H. Brandt, Geschichte der römischen Kaiserzeit. Von Diokletian und Konstantin bis zum Ende der konstantinischen Dynastie (284-363), Berlin 1998, pp. 89-91.

12 G. Depeyrot, Economy, cit., p. 243.

13 A questo proposito si veda il testo fondamentale di M. Beyeler, Geschenke des Kaisers. Studien zur Chronologie, zu den Empfängern und zu den Gegen;ständen der kaiserlichen Vergabungen im 4. Jahrhundert n.Chr., Berlin 2011.

14 Chronica Minora, I, hrsg. von T. Mommsen, Berlin 1892, p. 148.

15 Zos. II 38, 4, trad. it. F. Conca, cit., p. 239.

16 A. Cerati, À propos de la conlatio equorum dans le Code Théodosien, in Latomus, 29 (1970), pp. 988-1025; H. Brandt, Zeitkritik in der Spätantike, cit., pp. 61-87; J.-M. Carrié, Observations sur la fiscalité du IVe siècle pour servir à l’histoire monétaire, in L’«inflazione» nel quarto secolo d.C., Atti dell’incontro di studio (Roma 1988), a cura di S. Sorda, Roma 1993, pp. 115-154; H. Brandt, “All the King’s Horses…”. Imperial Legislation Concerning the ‘collatio equorum’ in Late Antiquity, in Bulletin of the Institute of Classical Studies, 49 (2006), pp. 221-230.

17 Comitatus. Beiträge zur Erforschung des spätantiken Kaiserhofes, hrsg. von A. Winterling, Berlin 1998; A. Demandt, Die Spätantike. Römische Geschichte von Diocletian bis Justinian 284-565 n.Chr., München 20072, pp. 277 segg. La riforma della corte imperiale è accompagnata da una riformulazione del cerimoniale di corte e della rappresentazione di sé dell’imperatore, cfr. F. Kolb, Herrscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001, pp. 117 segg.

18 J. Harries, The Roman Imperial Quaestor from Constantine to Theodosius II, in Journal of Roman Studies, 78 (1988), pp. 148-172.

19 Zos. V 32,6; cfr. A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 281 segg.

20 G. Clemente, La Notitia Dignitatum, Firenze 1968; P.C. Berger, The Insignia of the Notitia Dignitatum, Oxford 1981; M. Kulikowski, The Notitia Dignitatum as a Historical Source, in Historia, 49 (2000), pp. 358-377.

21 T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Oxford 2011, p. 157. A differenza di Barnes, A. Demandt (Spätantike, cit., p. 278) pensa che almeno una parte di queste cariche della prima età imperiale si sia conservata nella nuova funzione del magister officiorum.

22 D. Liebs, Konstantin als Gesetzgeber, in A. Demandt, J. Engemann, Konstantin der Große, cit., pp. 97 segg. Nel complesso bisognerebbe calcolare un numero maggiore di decreti di Costantino poiché, secondo Liebs (ivi, p. 98), «sono andate perdute non solo tutte le costituzioni redatte tra il luglio del 306 e ponte Molle (ottobre 312) – incluso un dubbio rescritto privato – ma anche una parte non trascurabile del successivo Codex Theodosianus, la nostra fonte principale, del quale è rimasto un terzo dei cinque libri».

23 A.H.M. Jones, The Later Roman Empire 284-602. A Social, Economic, and Administrative Survey, Oxford 1964, pp. 479 segg.

24 A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 288 segg.

25 Lact., mort. pers. 15,2.

26 D. Schlinkert, Ordo senatorius und nobilitas. Die Konstitution des Senatsadels in der Spätantike. Mit einem Appendix über den praepositus sacri cubiculi, den ‚allmächtigen’ Eunuchen am kaiserlichen Hof, Stuttgart 1996, p. 245.

27 RE VIII (Supplement), W. Ensslin, s.v. Praepositus sacri cubiculi, p. 557.

28 D. Schlinkert, Ordo senatorius, cit., pp. 251-261.

29 Fondamentale a questo proposito M. Clauss, Der magister officiorum in der Spätantike (4.-6. Jahrhundert). Das Amt und sein Einfluß auf die kaiserliche Politik, München 1980.

30 Cod. Theod. XVI 10,1; cfr. T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 91.

31 Lact., mort. pers. 48,2: «universa quae ad commoda et securitatem publicam pertinerent» (trad. it. M. Spinelli, Roma 2005, p. 124: «tutte le questioni che riguardano il bene e la sicurezza pubblici»).

32 Cod. Theod. XVI 10,1.

33 M. Clauss, Der magister officiorum, cit., pp. 15-23.

34 A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 282-288.

35 Cod. Theod. VI 35,3; M. Clauss, Magister officiorum, cit., pp. 23-40.

36 A. Kolb, Transport und Nachrichtentransfer im Römischen Reich, Berlin 2000, pp. 282-284.

37 M. Clauss, Der magister officiorum, cit., pp. 40-45.

38 Ivi, p. 52.

39 Ivi, p. 116.

40 A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 292 segg. Fondamentale su questo tema P. Porena, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, Roma 2003; si vedano inoltre A. Coşkun, Die Praefecti praesent(al)es und die Regionalisierung der Praetorianer;praefecturen im vierten Jahrhundert, in Millennium, 1 (2004), pp. 279-328; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 158-163.

41 Lact., mort. pers. 7,4: «provinciae quoque in frusta concisae: multi praesides et plura officia singulis regionibus ac paene iam civitatibus incubare» (trad. it. M. Spinelli, cit., p. 53).

42 Lact., mort. pers. 7,4: «et vicarii praefectorum».

43 C. Zuckerman, Sur la liste de Vérone et la province de Grande Arménie, la division de l’Empire et la date de la création des diocèses, in Mélanges Gilbert Dagron, Paris 2002, pp. 617-637.

44 Ivi, pp. 636 segg.; con lui concorda T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 92 segg.

45 Zos. II 32,2, trad. it. F. Conca, p. 227.

46 Zos. II 33,1-2, trad. it. F. Conca, p. 229.

47 T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 158-163.

48 P. Porena, Le origini, cit.

49 AE 1987, 456. L’iscrizione risale probabilmente agli anni 298-302: S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government A.D. 284-324, Oxford 2000, pp. 87-89.

50 Perciò è da scartare l’ipotesi di A. Coşkun, Die Praefecti praesent(al)es, cit., p. 280, che si spinge a sostenere che «forse Diocleziano aveva affiancato un prefetto pretoriano anche a ciascuno dei Cesari».

51 P. Porena, Le origini, cit., pp. 510 segg.

52 A. Coşkun, Die Praefecti praesent(al)es, cit., p. 285.

53 AE 1981, 878; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 160 seg.; viceversa A. Coşkun, Die Praefecti praesent(al)es, cit., p. 287, n. 12, data l’iscrizione al periodo 333-334.

54 AE 1925, 72; 1985, 823.

55 C. Kelly, Bureaucracy, cit., p. 186.

56 A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 294-296.

57 Zos. II 33,3, trad. it. F. Conca, pp. 231-233.

58 Fondamentale in proposito RE XII (Supplement), A. Demandt, Magister militum, cc. 553-790.

59 Zos. II 34, 1-2, trad. it. F. Conca, pp. 231-233.

60 A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 304 segg.

61 T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 154.

62 A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 380 segg.

63 H. Brandt, Geschichte, cit., pp. 112-118.

64 Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Milano 2009, pp. 351-352.

65 Iord., Get. XXI 112.

66 Amm. XV 5,33; cfr. T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 155.

67 Paneg. 8,21,1; cfr. A. Demandt, Spätantike, cit., pp. 381 seg.

68 Si veda da ultimo K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende. Voraussetzungen und geistige Grundlagen der Religionspolitik Konstantins des Großen, Darmstadt 2006.

69 Eus., l.C. III 6, trad. it. M. Amerise, Milano 2005, p. 118.

70 Amm. XXI 10,8.

71 Eutr. X 8,1: «Multas leges rogavit, quasdam ex bono et aequo, plerasque superfluas, nonnullas severas» (trad. it. P. Bortoluzzi, Seregno 2001, p. 202).

72 Marcone è più ottimista nel giudizio (Costantino, cit., p. 154): «Ci sono tuttavia altri aspetti della legislazione di Costantino che forniscono una testimonianza importante per comprendere lo spirito che animava la sua azione di governo. Le novità in essa presenti sono molteplici e, almeno in parte, riconducibili all’influenza del cristianesimo». Cfr. H. Brandt, Konstantin der Große. Der erste christliche Kaiser, München 2006, pp. 80-84.

73 A. Marcone, Costantino, cit., pp. 155-158.

74 Mos. et Rom. Legum Collatio VI 4 = FIRA, a cu;ra di S. Riccobono, II, Firenze 1940, pp. 540 seg.; cfr. H. Brandt, Geschichte, cit., pp. 92 seg.; S. Corcoran, Empire, cit., pp. 173 seg.

75 Cod. Theod. XI 1,4; si cita da A. Marcone, Costantino, cit., p. 159.

76 Ibidem.

77 D. Liebs, Unverhohlene Brutalität in den Gestzen der ersten christlichen Kaiser, in Römisches Recht in der europäischen Tradition, hrsg. von O. Behrends, Ebelsbach 1985, pp. 89-116. Recentemente sono state formulate ipotesi davvero plausibili sugli omicidi dei membri.

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