Le province europee dell'Impero romano. Le province greche: Macedonia, Epirus, Achaia, isola di Creta

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Le province europee dell'Impero romano. Le province greche: Macedonia, Epirus, Achaia, isola di Creta

Sergio Rinaldi Tufi

Graecia capta

Le province greche dell’impero romano: macedonia, epirus, achaia; l’isola di creta

Le province greche, come noto, costituiscono un caso particolare. A differenza di gran parte dei territori conquistati o annessi, queste terre avevano già conosciuto ben prima dell’impatto con Roma una notevolissima fioritura delle lettere, dell’architettura, dell’urbanistica, delle arti figurative e dell’alto artigianato, tanto che, come recita un verso oraziano fin troppo conosciuto, la Grecia conquistata (Graecia capta) finì per conquistare il fiero vincitore. L’attività costruttiva dei Romani consiste qui soprattutto nell’inserirsi in situazioni precostituite, di cui si colgono consistenti tracce anche quando la conquista stessa ha comportato distruzioni e danni di varia misura; e anche nella scultura rivive, attraverso molteplici differenti atteggiamenti, l’eredità del classico.

La prima provincia romana nel mondo ellenico è la Macedonia: alla sua costituzione si arrivò dopo lunghe guerre, che del resto erano forse “fatali” nel momento in cui Roma si affacciava nella parte orientale del Mediterraneo. Tre furono le guerre dette appunto “macedoniche”: quella scoppiata nel 215 a.C., dopo che il re Filippo V aveva stretto alleanza con Annibale e conclusa nel 205 a.C. con la pace di Fenice; quella (200-197 a.C.) risolta con la vittoria di Cinocefale dal generale romano T. Quinzio Flaminino, il quale l’anno successivo, durante i giochi Istmici tenuti a Corinto, proclamò la “libertà della Grecia” dalla monarchia macedone; e quella (171-168 a.C.) conclusa da L. Emilio Paolo con la vittoria di Pidna. Posta sotto stretto controllo e divisa in quattro distretti, la regione fu teatro nel 148 di una rivolta che provocò ancora un intervento romano, concluso nel 146 con la costituzione di una provincia che comprendeva, inizialmente, anche la Achaia e l’Epiro. Occupata successivamente da Mitridate VI re del Ponto, recuperata da Silla nell’85, teatro (battaglia di Filippi, 42 a.C.) della fase finale della lotta contro i “cesaricidi” Bruto e Cassio, la Macedonia fu definitivamente costituita in provincia, stavolta senza la Achaia, ma ancora con l’Epiro, in occasione del globale riassetto augusteo del 27 a.C. La romanizzazione fu alquanto profonda: si stabilirono nel territorio importanti insediamenti di veterani.

L’Epiro, territorio aspro e montuoso (prevalenza di boschi e pascoli, pianure poco estese, scarsi approdi sulle coste), fu staccato dalla Macedonia solo nel II sec. d.C. I Romani, che al momento della conquista avevano compiuto devastazioni e deportazioni, avviarono una riorganizzazione della regione, costruendo importanti strade, ma in genere limitando gli interventi urbanistici.

Con il nome di Achaia, infine, i Romani designarono inizialmente l’area attorno all’Istmo di Corinto, che aveva opposto l’ultima resistenza alla fine della guerra acaica, e quelle poste a sud, che furono successivamente assoggettate senza eccessivi sforzi; in seguito la definizione si allargò a tutta la Grecia comunemente intesa.

Episodi decisivi della conquista furono la battaglia di Leucopetra e la presa di Corinto da parte di Lucio Mummio nel 146 a.C.: è lo stesso anno della definitiva vittoria contro Cartagine, ma anche, come si è appena visto, della repressione della rivolta in Macedonia. Roma controlla così tutta la Penisola Balcanica, anche se almeno inizialmente alcune città, come Atene, mantengono la loro libertà. Impadronitasi della culla stessa della civiltà classica, Roma ne subisce a sua volta il fascino e l’influsso: le classi dirigenti vengono a contatto con la cultura greca, invitano nell’Urbe artisti e scrittori, importano (qualche volta acquistano, qualche volta saccheggiano) opere d’arte. Una fase di grave crisi si verifica quando alcune città greche appoggiano nella sua azione antiromana Mitridate, re del Ponto, che nell’88 a.C. è ispiratore in Asia Minore (trovando facilmente l’adesione delle popolazioni locali, esasperate dagli atteggiamenti aggressivi e speculativi dei governatori mandati dall’Urbe) di una tremenda strage di Italici. Fra tali città è Atene, che per ritorsione nell’86 è distrutta da Silla. Una ripresa si ha con Cesare: importantissima la rifondazione di Corinto, che diviene colonia romana e al cui rilancio provvede anche Augusto, che peraltro distacca la Achaia dalla Macedonia facendone una provincia a sé. Fra le altre città molte conservano, sia pure sotto il controllo romano, le magistrature tradizionali: tale situazione sarà enfatizzata dal gesto di Nerone, che nel 67 d.C. concederà a tutti i Greci la libertà e l’esenzione dai tributi (provvedimenti che per la verità saranno poi ridimensionati da Vespasiano). Sopravviveranno anche le leghe sacre, i santuari, i giochi: anzi Adriano, altro imperatore amante della tradizione greca, istituirà addirittura una nuova lega, il Panellenico.

La fioritura della Grecia romana dura fino alla seconda metà del III sec. d.C., quando si verificano invasioni di Alamanni, Goti, Eruli: questi ultimi saccheggiano Atene nel 267. Più tardi, nel 395, scende in Achaia Alarico, mentre sulle coste imperversano i pirati; malgrado tutto la provincia sopravvive fino al VI secolo, all’età di Giustiniano.

Nelle tre province gli interventi architettonici romani sono di natura e misura alquanto diverse. In Macedonia dovevano essere rilevanti in alcune città, più circoscritti in altre: in genere comunque gli impianti urbani non sono adeguatamente conservati o riconoscibili e quasi sempre conosciamo solo singoli monumenti. Alcune città erano disposte lungo la via Egnatia, la strada di oltre 530 miglia da Durazzo alla Tracia fatta costruire intorno al 130 a.C. dal proconsole Gn. Egnatius: ricordiamo soprattutto la capitale Tessalonica (Salonicco) con il suo porto sul Golfo Termaico.

Fondata dal re macedone Filippo II, la città sembra divisa dalla grande arteria (stando a quanto è stato possibile accertare da alcuni saggi effettuati sotto l’attuale Salonicco, che in gran parte la nasconde) in due parti distinte: piuttosto irregolare quella meridionale, gravitante verso il mare, tendenzialmente ortogonale quella settentrionale, che conosciamo un po’ meglio. In questo secondo settore gli interventi romani appaiono rilevanti. Conosciamo l’agorà, che si affacciava sulla Egnatia stessa, solo attraverso le sculture che decoravano uno dei portici: ma sono sculture notevolissime. O meglio: sono quattro pilastri (oggi al Louvre di Parigi) decorati su facciate contrapposte da figure ad altorilievo e cioè da Nike e Menade, Aura e Dioniso, Dioscuro e Arianna, Ganimede rapito da Zeus e Leda con il cigno. Questi pilastri, detti Las Incantadas (nome nato da una vecchia leggenda del ghetto di Salonicco, sede di Ebrei provenienti dalla Spagna), sono di datazione incerta (le ipotesi spaziano fra II e IV sec. d.C.): dovevano far parte di una serie ben più ampia, probabilmente di un portico che costituiva un passaggio monumentale fra l’agorà stessa e una vicina basilica.

Più a est è il celebre complesso fatto costruire da uno degli imperatori della Tetrarchia, Galerio, che occupa un settore assai esteso e che comprendeva un palazzo, un ippodromo e la Rotonda, edificio a pianta centrale poi trasformato nella chiesa di S. Giorgio, raccordato alla Egnatia da un’ampia strada porticata. Sul punto di incontro fra le due vie sorgeva un grande arco quadrifronte dedicato allo stesso Galerio, di cui restano due dei quattro pilastri, caratterizzati da una ricchissima decorazione scultorea: rilievi raffiguranti episodi delle guerre condotte dall’imperatore in Oriente e in particolare quelle in Armenia e nell’Adiabene (le altre campagne erano sui pilastri perduti). Le figure sono rese in maniera sommaria, ma con grande vivacità.

Anche Filippi si trovava sulla via Egnatia, alle pendici del monte Pangeo. La città sorse (come scrivevano alcuni autori di età imperiale) sulle macerie dell’antico insediamento macedone (di cui resta in effetti solo il teatro), provato da lunghe guerre: l’ultimo episodio bellico era la famosa battaglia qui vinta nel 42 a.C. da Antonio e Ottaviano contro Bruto e Cassio. I vincitori rifondarono la città, che Ottaviano rilanciò ulteriormente dopo aver battuto Antonio e assunto il titolo di Augusto (Colonia Iulia Augusta Philippensis iussu Augusti). Rispetto alla città macedone quella romana è più grande, mentre l’insediamento bizantino tornerà alle dimensioni originarie. L’impianto urbano e anche l’andamento della via Egnatia non sono molto regolari, condizionati dall’irregolarità del terreno, ma i principali edifici del centro monumentale, disposti a sud della grande via (che anche qui assume, nel suo tratto urbano, la funzione di asse del sistema stradale), sono ispirati a principi di ordine e simmetria: grande foro, due templi, una biblioteca, un portico, due fontane, in un complesso che viene ultimato nel II sec. d.C. Poco oltre, ancora a sud, sono orientati sui medesimi assi la palestra, il mercato e un ginnasio di età antonina, su cui fu costruita nel V secolo una basilica cristiana, detta Derekler; un’altra basilica era immediatamente a nord della Egnatia e del foro. La presenza di importanti chiese si spiega con la forte cristianizzazione di alcuni ambienti cittadini, avviata già in precedenza grazie all’apostolato di s. Paolo, che nel 49 d.C. aveva fondato proprio qui una comunità: prima iniziativa del genere sul continente europeo.

Lontano dalla via Egnatia e anzi all’estremità occidentale della Macedonia (presso l’odierna Pojani, in Albania, a soli 12 km dalla costa ionica), si trovava Apollonia, antica colonia di Corcira che si era sviluppata soprattutto sull’acropoli (terrazza porticata, templi, tempietti, edicole e, sulle pendici, un teatro). A est dell’acropoli era il sito dell’agorà, solo parzialmente nota: ma è proprio a est di questa, nell’ambito di un impianto urbano presumibilmente non troppo regolare, che si inseriscono i principali monumenti romani, vale a dire il cosiddetto Monumento degli Agonoteti, o meglio il bouleuterion e l’odeion. Il bouleuterion, sede delle riunioni del senato cittadino, presenta un vestibolo a pianta rettangolare che si apre all’esterno con un singolare pronao esastilo, che si potrebbe dire in antis (le colonne sono racchiuse alle estremità da due testate di muro), e con una piccola cavea. L’iscrizione sull’architrave dice che il monumento fu fatto erigere, in onore del fratello (ufficiale dell’esercito), da Quintus Viullius Furius Proculus, “pritano” e, appunto, “agonoteta”: cariche che confermano l’esistenza, qui come altrove, di un certo grado di autonomia formale rispetto ai normali ordinamenti romani. Meno significativi gli interventi romani a Pella, città che pure era stata sede dei re di Macedonia, con i palazzi attribuiti a Filippo e ad Alessandro Magno, con i bei mosaici a ciottoli rinvenuti in ricche dimore e con le non lontane tombe regali di Verghina.

In Epiro è da ricordare soprattutto Epidamnos, nota per i mosaici di tipo analogo a quelli di Pella: nel 229 a.C. gli abitanti chiamano i Romani in aiuto contro i pirati illiri e cambiano il nome in Dyrrachion (Durazzo). Della città che Cicerone definiva admirabilis, pur lamentandosi dei rumori del porto, restano (per quanto riguarda l’età romana) un complesso termale e, soprattutto, poco meno della metà della cavea di un cospicuo anfiteatro (uno dei pochissimi delle province greche, dove gli spettacoli gladiatori si svolgevano in genere nei teatri). A Bouthroton (Butrinto), dove esistevano mura con porte e torri, dei templi e un teatro, proprio il rifacimento di quest’ultimo è il più notevole intervento romano. Gli antichi e grandi santuari di Dodona e di Kassope sembrano perdere importanza; gli abitanti di Kassope vengono anzi trasferiti nella nuova città fondata da Ottaviano dopo la vittoria di Azio, Nikopolis: restano avanzi di un teatro, di un odeion e di un anfiteatro, ma numerose sono soprattutto le basiliche cristiane. Le mura sono attribuite a Giustiniano.

Del tutto diverse le situazioni e le dimensioni riscontrabili nella Achaia. Il caso più notevole è quello di Corinto, distrutta da Lucio Mummio nel 146 a.C.: la città fu abbandonata per un secolo. Quando Cesare ne ordinò la ricostruzione, con il nome di Laus Iulia Corinthiensis, la città aveva certo bisogno, rispetto ad altre, di interventi più estesi; questi ebbero un particolare incremento sotto Augusto e i Giulio-Claudi, poi (dopo un terremoto del 77 d.C.) sotto Vespasiano e infine all’epoca di Adriano. La rifioritura commerciale ed economica di Corinto è resa possibile dal rilancio dei porti (Lechaion, Kenchreai) e dal ripristino delle vie che a essi conducono e si accompagna con l’importanza del ruolo amministrativo e politico, dato che qui risiede il governatore della provincia. Si sviluppa un ambiente vivace e ricettivo, in cui (come a Filippi) trova terreno fecondo, intorno alla metà del I sec. d.C., la predicazione di s. Paolo.

Alcuni capisaldi della Corinto classica restano visibili nel panorama urbano: il tempio di Apollo, il teatro, la fonte Glauke, la fonte Peirene con annessa stoà, un’altra stoà più a sud, la cui costruzione era stata promossa da Filippo il Macedone dopo la battaglia di Cheronea che aveva posto fine all’indipendenza ellenica. Mentre il tempio di Apollo, un esastilo dorico del VI sec. a.C., viene lasciato praticamente immutato (si costruiscono però, a nord e a est, un mercato e una basilica), gli altri monumenti vengono notevolmente rimaneggiati. Il teatro, del quale sotto Augusto si ricostruisce la cavea e nel II sec. d.C. si aggiunge la scena, è inoltre affiancato da un odeion, costruito a cura di Erode Attico, amico di Adriano e poi di Antonino Pio, filosofo, mecenate e soprattutto ricchissimo proprietario di terre e di altri beni in Grecia e a Roma. Viene restaurata anche la fonte Glauke; l’altra celebre fonte della città, la Peirene, è a sua volta modificata in più momenti. Costituita in origine da quattro grandi bacini rettangolari, è integrata in un primo momento da un portico a due ordini, poi (ancora per iniziativa di Erode Attico) con la costruzione su tre lati (il quarto è quello di entrata) di absidi dall’interno riccamente decorato, che costituiscono così una struttura elegantemente trilobata.

L’area su cui la Peirene si affaccia costituisce un problema archeologico non indifferente. In età imperiale romana tale area è l’agorà; a nord essa è chiusa da un allineamento formato dalla Peirene e dalla stoà preesistenti, fra cui si inseriscono altre due strutture architettoniche di notevole effetto: un arco, con cui termina la strada proveniente dal porto del Lechaion, e una facciata monumentale decorata con statue di prigionieri dovuta, ancora una volta, a Erode Attico. A sud la stoà di Filippo II è sostituita da un lungo complesso, in cui figurano uffici, il bouleuterion, una basilica. Parte dal centro di questo lato, inoltre, una strada che conduce all’altro porto, Kenchreai. Il lato est è chiuso da una seconda basilica, quello ovest da una serie di tempietti aggiunti in vari momenti e da un monumento onorario a pianta circolare, alle spalle dei quali è un tempio: forse il Capitolium, forse la sede del culto imperiale. Nella grande piazza, il dislivello fra il settore nord (più basso) e quello sud (più alto) è dissimulato da una fila di botteghe, al centro delle quali è un bema, o tribuna per gli oratori: è qui che s. Paolo predicò e fu poi processato. Tutto potrebbe far pensare (e infatti questa ipotesi veniva data per probabile) che sotto l’agorà romana vi fosse una precedente agorà di età classica: ma le indagini condotte alla fine del Novecento non hanno individuato alcun resto di strutture del genere, tanto che gli scavatori pensano che la agorà originaria fosse altrove, forse presso il tempio di Apollo. Resta anche il problema di capire in funzione di che cosa fossero stati costruiti l’allineamento nord (Peirene e stoà) e quello sud (stoà di Filippo).

Mentre la città dei due porti, presso il celebre Istmo, recupera in età romana la sua funzione economicamente propulsiva, Atene mantiene in un certo senso la sua dimensione di capitale culturale. Qui più che altrove Augusto, fondatore dell’Impero, si misura con il retaggio della classicità, giovandosi anche degli scultori neoattici, ma soprattutto accostandosi con vari tipi di approccio alle zone più importanti della città, come l’acropoli e l’Agorà e creando inoltre un’altra agorà ex novo. Anche dopo Augusto la città che era stata distrutta da Silla (forse in maniera non totale) continua ad arricchirsi di importanti monumenti: il processo culmina con l’età di Adriano e si manifesta anche, qui come a Corinto, negli interventi di Erode Attico.

Gli interventi di Augusto sull’Acropoli sono pochi, ma qualificanti. L’Eretteo è oggetto di un doppio tipo di approccio: le celebri Cariatidi sono riprodotte per la decorazione dell’attico nel portico che circonda la piazza del Foro di Augusto a Roma, alternate con clipei contenenti teste di Giove Ammone, del dio celtico Taranis e di altre divinità (dando luogo a un programma figurativo che a sua volta sarà ripreso in importanti città nelle province, come ad Augusta Emerita, capitale della Lusitania); inoltre, la decorazione architettonica e i moduli delle colonne dell’Eretteo stesso vengono adottati in un nuovo edificio che si costruisce proprio davanti al Partenone, il tempietto circolare di Roma e Augusto. Nella grande e spettacolare struttura dei Propilei si inserisce anche un monumento onorario di Agrippa, riutilizzando in parte un preesistente analogo monumento di un dinasta asiatico.

A differenza di quanto avviene sulla sacra collina dell’Acropoli (interventi significativi ma contenuti), negli spazi preposti alla vita associata e all’animazione cittadina si opera con soluzioni di peso ben maggiore. L’ampia e irregolare Agorà situata ai piedi dell’Areopago, sulla via delle Panatenee, era circondata su tre lati da stoài o portici (la meglio conservata, grazie anche a un grandioso restauro degli archeologi americani, è quella a est, dovuta al re di Pergamo Attalo II: 159- 138 a.C.), mentre sul quarto si affacciava una serie di importanti edifici di culto. Dopo la distruzione di Silla e dopo l’avvio di qualche restauro in età repubblicana, le novità introdotte all’epoca di Augusto sembrano mirare a una sorta di occupazione degli spazi liberi: addirittura si sposta qui da una località dell’Attica, forse Acharnai, un grande tempio esastilo periptero dedicato ad Ares (sono gli stessi anni in cui, a Roma, si costruisce il tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto). Inoltre Agrippa, in occasione della sua visita intorno al 15 a.C., fa costruire a ridosso della stoà meridionale un notevole odeion; più tardi, dopo un incendio, interverrà Erode Attico, che trasformerà questo edificio in ginnasio, creando nel contempo un odeion nuovo accanto al Teatro di Dioniso, alle pendici dell’Acropoli. Inoltre, presso l’angolo sud-occidentale della stessa Agorà, all’estremità della Stoà di Attalo, si aggiunge attorno al 100 d.C. una biblioteca, per iniziativa (come dice l’iscrizione) di T. Flavio Pantainos e dei figli: evidentemente una ricca famiglia.

A seguito di varie aggregazioni scaglionate nel tempo, la vecchia Agorà, dunque, quasi non è più tale. Ma più a est, in un’area che doveva essere occupata da edifici di età classica e che fu liberata a prezzo di demolizioni, si crea fra fine I sec. a.C. e inizio I sec. d.C. una grande agorà ex novo (Agorà romana), di forma rettangolare tendente al quadrato, dotata di un ingresso a est e di uno a ovest: quest’ultimo prospetta all’esterno con quattro colonne doriche. Fra Agorà greca e Agorà romana era sorta attorno alla metà del I sec. a.C., per opera dell’architetto siriano Andronikos di Kyrrhos, la ottagonale Torre dei Venti, coperta da una cuspide piramidale. Un tritone-banderuola di bronzo, posto sulla sommità della cuspide, si orientava, a seconda della direzione del soffio d’aria, in corrispondenza di una delle otto personificazioni di Venti raffigurate nella parte alta delle otto facce del monumento. All’interno, inoltre, era il meccanismo di un orologio ad acqua.

All’età di Traiano e più precisamente (grazie all’iscrizione) fra 114 e 116 d.C., si data un altro monumento assai singolare, posto su un’altura prospiciente l’Acropoli: è il monumento funerario di G. Giulio Antioco Filopappo, cittadino romano e, come tale, console e frater Arvalis, ma anche cittadino ateniese e, come tale, arconte, coreuta, agonoteta; inoltre “re”, o meglio discendente dalla famiglia reale di Commagene, figlio di Philopappos Epifane e nipote di Antioco IV Epifane, ultimo sovrano deposto da Vespasiano nel 72 d.C. e a sua volta discendente di quell’Antioco I di Commagene che si era fatto costruire un altro celeberrimo monumento funerario sulla collina detta oggi Nemrud Daõ, in Turchia. La struttura era a pianta quadrata, ma la facciata che guarda verso la città, l’unica conservata, è ricurva: qui nella parte inferiore è un rilievo con Filopappo sulla quadriga trionfale, mentre nella parte superiore lo vediamo seduto in trono fra Antioco IV Epifane e Seleuco Nicatore (la dinastia di Commagene costituiva un ramo distaccato della dinastia seleucidica).

Il principato di Adriano, imperatore filelleno, lascia sul tessuto urbano di Atene segni assai profondi. A sud-est dell’area centrale il santuario di Zeus Olimpio, l’Olympieion, è uno dei massimi complessi architettonici del mondo antico. La costruzione, avviata dai Pisistratidi nel VI sec. a.C., era stata numerose volte interrotta e ripresa. Il tempio, un ottastilo diptero di ordine corinzio (con 20 colonne sui lati lunghi), conteneva la statua crisoelefantina (di oro e di avorio) di Zeus, che probabilmente voleva rivaleggiare con le sculture eseguite con la medesima tecnica da Fidia nel Partenone e a Olimpia. Nel grandissimo santuario attorno al tempio (205 x 129 m), erano molte le statue dello stesso Adriano, in alcune iscrizioni definito anch’egli Olimpio: un’esaltazione, per non dire una divinizzazione, della figura dell’imperatore. Non lontano dall’Agorà romana Adriano volle creare una biblioteca, dotata anche di un enorme cortile bordato da portici: i muri di fondo dei portici nord e sud (i lati lunghi) presentano ognuno tre esedre (questa stessa soluzione è testimoniata in tutt’altra provincia, e cioè nella Hispania Baetica, in un altro edificio adrianeo provvisto di grande cortile, il Traianeum di Italica), destinate probabilmente a riunioni o lezioni. La biblioteca vera e propria aveva un grande ambiente centrale (sala di lettura?) e due laterali (ambienti di servizio?).

Consapevole della notevolissima rilevanza dei propri interventi urbanistici, l’imperatore parlava di una “città di Adriano” contrapposta alla “città di Teseo”. Queste definizioni vengono proposte nelle due iscrizioni greche che compaiono sulle facce di un arco-porta monumentale che si pone come confine fra i vecchi quartieri e i nuovi, fra il centro imperniato sull’Acropoli e l’area dell’Olympieion. L’arcoporta presenta due ordini ben distinti, l’inferiore caratterizzato da un ampio fornice arcuato (tipico, se vogliamo banalizzare, dell’architettura romana), il superiore da una struttura trilitica (tipica dell’architettura greca), con quattro coppie di colonne che inquadrano tre aperture o finestre che sostengono una trabeazione rettilinea; al centro è un frontoncino.

Al di fuori di Atene e Corinto bisognerebbe ricordare almeno il ninfeo di Erode Attico a Olimpia, i Piccoli Propilei (costruiti da Appio Claudio Pulcro, personaggio assai in vista ai tempi di Cesare) e i Grandi Propilei (aggiunti all’epoca di Antonino Pio) a Eleusi: ma gli interventi in questi centri (pur sede di culti antichi e radicatissimi) non sono commensurabili con quelli attuati nelle due città più importanti.

Per quanto riguarda le arti figurative il fenomeno più rilevante è il “neoatticismo”, secondo una definizione (che poi ha avuto fortuna) introdotta da H. Brunn nel 1853: si definisce così la produzione degli artisti attici di età ellenisticoromana, che riprendono temi e stili propri della scultura dei secoli precedenti: severo, postfidiaco, arcaistico del IV sec. a.C. (si tratta in questo caso della ripresa di una ripresa), prassitelico e scopadeo, tardoellenistico. Sviluppatosi a partire dal II sec. a.C., poco prima della presa di Corinto, il neoatticismo incontra grande successo in età romana: diviene, per così dire, lo stile ufficiale della corte augustea e ha ancora un ruolo di primo piano nel clima ellenizzante del principato di Adriano, per poi proseguire fino all’invasione degli Eruli nel 267 d.C. Certo questi scultori erano consapevoli della loro funzione e determinati nel rifarsi all’Atene classica, dato che si firmavano come Athenaios, epiteto che intorno alla metà del II sec. a.C. sembra assumere più decisamente il significato di “scuola”, con due artisti chiamati Eucheir III ed Euboulides IV (all’interno delle famiglie specializzate si tramandavano e si ripetevano gli stessi nomi).

Successivamente, soprattutto con Augusto e Adriano, il classicismo si pone come rievocazione e idealizzazione di un passato illustre. Nel campo della scultura a tutto tondo, questi artisti si esercitano soprattutto nella riproduzione o rielaborazione di opere famose: rielaborazione consistente spesso nell’adattamento di tali opere a esigenze ritrattistiche con l’inserimento talvolta un po’ sconcertante di teste-ritratto su corpi ideali, pertinenti magari in origine alla raffigurazione di divinità. Oltre alle caratteristiche fisionomiche, possono essere aggiunte la toga e la corazza, elementi che simboleggiano le prerogative dell’imperatore nell’esercizio – rispettivamente – del potere civile e di quello militare. Proprio i ritratti imperiali sono talvolta organizzati in gruppi di famiglia destinati a importanti edifici pubblici: un esempio noto e di buon livello è quello delle statue giulio-claudie rinvenute nella basilica che chiude a est l’agorà di Corinto.

Nell’ambito del rilievo, i soggetti storici sono scarsamente rappresentati. Fra le eccezioni bisogna però ricordare il caso in cui Filopappo (cui è dedicato in età traianea il monumento ateniese di cui si è detto) è raffigurato sulla quadriga trionfale, in una composizione di grande equilibrio. Di età adrianea sono i rilievi che decorano la scena del rinnovato teatro di Corinto: temi largamente diffusi nel mondo greco-romano, come la Gigantomachia, l’Amazzonomachia, le Fatiche di Ercole, sono resi in maniera alquanto eclettica, con una pluralità di fonti di ispirazione fra cui sembra prevalere il modello dell’arte pergamena. Poco importante, tutto sommato, è la produzione di stele funerarie, che pure nel V e IV sec. a.C. aveva raggiunto in Grecia livelli di eccellenza.

Di straordinaria rilevanza, invece, è la produzione di sarcofagi, che si avvia in età adrianea (quando il rito dell’inumazione subentra, in genere, a quello dell’incinerazione) e si conclude con l’invasione degli Eruli.

Fabbriche di una certa rilevanza sono accertate in Laconia, in Arcadia, in Beozia, ma il principale centro di produzione è di gran lunga l’Attica, con in primo piano Atene. Le botteghe ateniesi erano numerose, ma strettamente collegate fra loro: a partire dalla fine del II secolo la loro preponderanza diviene quasi monopolio. I sarcofagi sono in genere di alto livello qualitativo, destinati a una raffinata clientela greca (Tebe, Corinto, Patrasso, Sparta) e non greca, anzi distribuita in tutte le province romane. Nei rilievi sono presenti soprattutto temi mitologici e figure divine: Greci e Amazzoni, Achille, Ippolito, Meleagro, corteggi dionisiaci. Le iconografie derivano, apparentemente, da modelli sia attici di età classica sia microasiatici di età ellenistica.

A partire dall’inizio del II sec. d.C. assumono notevole rilevanza in case, terme, teatri le decorazioni musive, che avranno la massima fioritura nella seconda metà dello stesso secolo e al principio del seguente. Più che di derivazione di schemi e motivi di tradizione greca sembra che per i mosaici di età romano-imperiale si possa parlare di ripresa, in un primo momento, di elementi italici, poi di temi asiatici.

Isola di creta

Sede di una remota e fiorentissima civiltà che aveva preceduto quella greca, l’Isola di Creta costituisce in età romana un’unica provincia insieme con Cirene, città fondata sul versante settentrionale del continente africano nel VII sec. a.C. a opera di coloni provenienti da Thera. Abbinamento un po’ strano di due entità territoriali dalla storia assai diversa e che pure in maniera diversa erano venute in possesso dell’Urbe: Cirene come eredità (96 a.C.) di Tolemeo Apione, ultimo re di uno dei rami della grande dinastia ellenistica dei Tolemei; Creta in seguito a una campagna condotta da Q. Metello detto appunto Cretico e alla vittoria di Pompeo sui pirati, nel quadro di una serie di interventi che coinvolgono anche la Cilicia e altri territori di Asia Minore e Anteriore. Di Cirene e della Cirenaica si parlerà in un prossimo volume di questa stessa opera, dedicato all’Africa; per Creta, si può dire che l’età romana è un periodo, se non di straordinaria rifioritura, almeno di una certa prosperità, che si prolunga fino a età assai tarda – con una forte presenza di edifici ecclesiastici – fino al rovinoso terremoto del 670 d.C.

A Gortina, sede del governatore, rimane in uso un antico tempio sull’acropoli più volte restaurato in età classica, ellenistica e romana; rimangono in uso, a valle, due templi di età ellenistica, dedicati ad Apollo Pizio e a Iside e Serapide, anch’essi più volte rimaneggiati: il primo dei due sarà infine trasformato in chiesa, forse la più antica della città, mentre per quello dedicato alle divinità egiziane esiste l’iscrizione (fine I d.C.) di una tale Flavia Philyra, che dice di averlo fatto ricostruire, insieme con i figli, “dalle fondazioni”. Non si può dire molto dell’agorà, pur individuata ai piedi dell’acropoli, né di un adiacente tempio di Asclepio, di cui si conosce solo la statua di culto, conservata nel Museo di Iraklion; restano invece avanzi di due teatri, di un odeion e soprattutto del pretorio, o palazzo del governatore, ricostruito in grandi dimensioni nel II sec. d.C. sul sito di un precedente edificio augusteo. Il palazzo era dotato di numerosi ambienti attorno a un peristilio, fra cui un’aula per le udienze (più tardi vi si sarebbe impiantata una basilica cristiana), di un grande portico sul retro, di un impianto termale e di cisterne; all’edificio facevano corona un ninfeo e grandi fontane.

Notevoli le cisterne e in generale le grandi opere idrauliche, di Eleuthernai (città in magnifica posizione su un promontorio che si protende fra due fiumi) e di Aptera. A Cnosso, si impongono all’attenzione il rifacimento dell’antico santuario di Demetra e una ricchissima tomba a camera della seconda metà del I sec. d.C., situata in località Monasteriaki Kephala.

Il periodo di massima fioritura delle città cretesi nell’ambito della provincia romana sembra porsi nel II sec. d.C. e nella prima metà del III. In questo contesto si colloca anche la scultura: non mancano copie di opere classiche, raffigurazioni di divinità e personificazioni (Nike di Ierapetra), importanti ritratti (Druso Minore da Cnosso, dama di età traianea da Chania); ma il nucleo forse più consistente è costituito dalle numerose statue, intere o frammentarie, rinvenute nel pretorio e nel ninfeo di Gortina. Fra queste spicca il “ciclo” destinato a decorare l’aula per le udienze nel palazzo: solenni statue dei magistrati della città e forse, in qualche caso, di imperatori. Qualche interessante testimonianza riguarda la cultura materiale: sia per quanto concerne i grandi contenitori (anfore), sia per quanto concerne la ceramica da mensa sono abbondantemente attestate tanto le importazioni (Italia, Gallia, Spagna, Africa) quanto le produzioni locali, lungo un arco di tempo che, con diverse variazioni, giunge fino al VII sec. d.C.

Bibliografia

Su urbanistica, architettura e scultura architettonica si vedano, fra l’altro, le monumentali serie di volumi dedicati alla pubblicazione delle grandi missioni di scavo: The Athenian Agora; Corinth; Olympische Forschungen, ecc.

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