Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Moesia Superior e Moesia Inferior

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Le province europee dell'Impero romano. Le province danubiano-balcaniche. Moesia Superior e Moesia Inferior

Sergio Rinaldi Tufi

Moesia superior e moesia inferior

Fra le province dell’Impero, la Moesia Superior e la Moesia Inferior rientrano nel gruppo delle più composite e differenziate dal punto di vista etnico. Dardani, Mesi, Triballi, Scordisci nelle zone montuose dell’Haemus (Balcani); Geti, Sarmati, Bastarni da oltre Danubio; Sciti nella zona detta oggi Dobrugia; Greci nelle antiche colonie sulla costa del Mar Nero: era un mosaico di popoli distribuiti su un territorio corrispondente molto grossolanamente all’attuale Bulgaria e (per quanto riguarda, appunto, la Dobrugia) a parte della Romania. La suddivisione in Superior e Inferior, peraltro, non è solo una divisione geografico-amministrativa fra l’area gravitante sulla grande catena montuosa e quella gravitante sulla foce del grande fiume, ma anche la presa d’atto di un’articolazione culturale profonda fra un territorio dove, dopo la conquista, si parla latino e uno dove invece già da secoli predomina il greco e anche dopo la conquista stessa continua a predominare, come in Acaia, Macedonia, Epiro, nelle province dell’Asia Minore e dell’Asia Anteriore.

Dopo interventi sporadici nel corso del I sec. a.C., volti a salvare la Macedonia dalle incursioni delle tribù tracie, è Ottaviano che promuove spedizioni più decise: nel 29 a.C. e poi ancora, divenuto Augusto, nell’11 a.C. e dopo la rivolta pannonica del 6 d.C.; lo scopo è sempre quello di evitare altri problemi ai territori già da tempo assoggettati. Dopo queste campagne, Tiberio (15 d.C.) affida a un solo governatore la Mesia, la Macedonia e l’Acaia, mentre resta indipendente il regno di Tracia, sotto la guida di un fedele alleato di Roma, Remetalce; Claudio nel 44 distacca la Macedonia e l’Acaia e nel 46 (morto nel frattempo Remetalce) annette anche il regno dei Traci; una definitiva sistemazione si ha con Domiziano, che deve però fronteggiare, sul fronte danubiano, l’espansionismo dei Daci guidati dal re Decebalo, senza venirne del tutto a capo. È lui, comunque, a dividere la Mesia in Superior, od occidentale, e Inferior, od orientale, disposte rispettivamente più a monte e più a valle sul corso del Danubio; la Inferior comprende non solo le antiche città greche alla foce del fiume (Tomis, Callatis, Mesembria, ecc.), ma anche colonie più lontane, come Tyras alla foce del Dniester, Olbia e il Chersoneso Taurico (Crimea), rispetto al quale vi era comunque una separazione rappresentata da un altro stato indipendente ma cliente, il regno del Bosforo.

Durante le guerre daciche di Traiano, il territorio della Moesia Inferior è teatro di un tentativo di diversione da parte di Decebalo e dei suoi alleati, volto a distogliere l’esercito romano, o almeno una sua parte consistente, dall’epicentro del conflitto, le montagne della Transilvania. Si è pensato di collegare questo episodio, risoltosi in favore dei Romani, con la costruzione in Dobrugia (cioè appunto in Mesia Inferiore) e non in Dacia di un notissimo monumento che celebra la conquista, il Tropaeum Traiani di Adamclisi. La conquista traianea, in ogni modo, sottrae buona parte della Mesia alla sua funzione di provincia di confine, assicurandole una certa maggiore tranquillità fin oltre la metà del III secolo; quando però nel 271/2 Aureliano rinuncia alla Dacia stessa, la Mesia non solo torna in prima linea, ma si vede sottrarre una parte del territorio per costituire, al di qua del Danubio, una nuova provincia che ricorda, anche se solo nel nome, quella perduta al di là: è la Dacia Ripensis. Con la riforma dioclezianea la Mesia Superiore è divisa in Moesia Margensis (o Prima) e Dardania, l’Inferiore in Moesia Seconda e Scythia. La posizione alquanto esposta della provincia e il suo trovarsi sulla strada di ogni tentativo di invasione che abbia per obiettivo Costantinopoli provocano tuttavia una precoce crisi e un altrettanto precoce distacco dall’Impero.

Romanizzazione, militarizzazione, assetti urbani

Le situazioni riscontrabili all’interno delle due Moesiae sono assai diversificate: in estrema sintesi si possono contrapporre la realtà dell’Inferior, i cui maggiori poli di attrazione rimangono le città di antica fondazione greca sulle coste del Mar Nero, e quella della Superior, caratterizzata soprattutto dagli insediamenti fortificati lungo il Danubio, che costituiscono in pratica una prosecuzione della linea difensiva retico-noricopannonica. Mentre però lungo tale linea le fortificazioni tendono in genere a svilupparsi in città, in Mesia Superiore i centri civili non hanno grandi sviluppi (mancano progetti urbanistici di una qualche ambizione), neppure quando la conquista della Dacia determina lo spostamento del confine e quindi, sia pure non troppo a lungo, esigenze militari meno pressanti. Oltre alla riva del Ponto Eusino o Mar Nero e al corso del Danubio, quali che siano le differenze di qualità dell’urbanizzazione, un terzo cospicuo elemento di riferimento nella distribuzione dei centri abitati è il corso del fiume Margus (Nišava), affluente di destra del Danubio stesso: sul suo corso troviamo Naissus (Niš), unico centro realmente importante della Inferior interna.

Un caso a parte è costituito da Tropaeum Traiani, località nota prevalentemente per il già ricordato monumento che celebra l’impresa dacica, ma anche sede di un abitato che resta ben attivo fino a età molto tarda. Lungo il Danubio ricorderemo dunque Singidunum (Belgrado) alla confluenza della Sava, castrum nel I sec. d.C., municipio nel 169 e colonia nel 239 (restano, fra l’altro, avanzi di un tempio); Viminacium (Kostolac), castrum che diviene, ai tempi di Adriano, Colonia Aelia, importante anche e soprattutto per la sua funzione di base della flotta fluviale; Pontes presso le Porte di Ferro, dove il fiume si restringe repentinamente e dove fu costruito, all’epoca delle guerre daciche, un celebre ponte progettato da Apollodoro di Damasco e raffigurato nella Colonna Traiana (il centro corrispondente sulla sponda opposta era Drobeta, oggi Turnu Severin); e soprattutto (fondata da Traiano fra la prima e la seconda guerra dacica, forse sul luogo di un primitivo castrum, la Colonia Ulpia Traiana Ratiaria (nel sito detto oggi Arcar) su un terrazzo fluviale compreso fra il Danubio stesso e un suo piccolo affluente di destra, che probabilmente si chiamava anch’esso Ratiaria. Protetta da mura, sede anch’essa (come Viminacium) di un porto fluviale e inoltre di industrie metallurgiche e laterizie, conobbe sviluppo e benessere dopo lo spostamento del confine causato dalla conquista della Dacia, ma dopo l’abbandono di quest’ultima tornò a essere città di frontiera, anche se non priva di rilevanza in quanto divenne capoluogo della Dacia Ripensis. Lo scavo condotto negli ultimi decenni da una missione italiana ha rivelato soprattutto resti della cinta muraria (anzi, due cinte, una di età traianea di blocchi di pietra e una più tarda, di mattoni, con torri aggettanti) e, fuori di questa, avanzi di un acquedotto e di una notevole villa.

Nella Mesia Inferiore una simile successione di eventi si riscontra a Oescus (Gigen), anch’essa posta presso una confluenza nel Danubio, il fiume Iskar: inizialmente castrum, poi colonia con Traiano (“smilitarizzata” dopo la conquista della Dacia), poi (dopo l’abbandono di questa) di nuovo città di frontiera, inserita nella Dacia Ripensis. Anche qui si conoscono due cinte murarie, una traianea – in cui è stata individuata anche una porta – e una tardoantica, della quale si conoscono meglio l’impianto urbanistico e il centro monumentale. L’impianto è ortogonale, con strade lastricate fiancheggiate da marciapiedi a due gradini; in zona centrale, tangente l’incrocio fra cardo maximus e decumanus maximus, è il complesso forense, piuttosto ampio e insolitamente articolato. Vi sono infatti tre templi dedicati alla Triade Capitolina; adiacente a est, un grande edificio munito di impianto di riscaldamento; a sud-est un tempio dedicato alla Fortuna, che si affaccia sul decumano attraverso un atrio e un portico; ancora a sud un grande edificio pubblico, dove è stato rinvenuto un mosaico raffigurante una scena degli Achei di Menandro.

Più a valle, all’estremità meridionale del Danubio, è Novae (Staklen). Campo fortificato in età claudio-neroniana, distrutto da Daci e Sarmati e poi ricostruito in età flavia, divenne municipio con Marco Aurelio. Importante nodo stradale nel sistema mesico-dacico, porto fluviale, centro economico e produttivo, Novae rimase però sempre essenzialmente un castrum e di tipo castrense sono in effetti le principali strutture rinvenute: mura e porte, principia (quartier generale), aeraria, valetudinarium. Vi sono però anche, nelle adiacenti canabae (abitazioni in origine precarie, per operatori civili di vario genere che seguivano l’esercito), edifici piuttosto importanti: un Mitreo, una domus con peristilio.

Il discorso potrebbe continuare per tanti altri insediamenti distribuiti fino alla foce del Danubio: sorti talvolta sul luogo di precedenti fortificazioni indigene, conoscono uno sviluppo urbano limitato. È il caso di Sucidava e – nelle ultime anse del fiume prima del delta – di Capidava e di Dinogetia; nel caso di Carsium, l’insediamento preromano era costituito da un oppidum (insediamento fortificato) indigeno grecizzato, mentre Troesmis, centro del regno tracio, fu annesso alla Mesia nel 46, adattato a castrum da Traiano e Adriano, elevato a municipio da Marco Aurelio ma semplicemente aggregando al castrum stesso le canabae che gli si erano sviluppate accanto. Il sito conobbe anche in età tetrarchica uno sviluppo con il nome di Heraclia o Herculia.

Importante dal punto di vista strategico è anche, su questo versante pontico, una linea di difesa continua, una sorta di lungo muro che collega con il mare l’ultima curva, quasi a gomito, che il Danubio descrive verso nord per percorrere il suo tratto finale. Purtroppo del singolare manufatto non restano tracce particolarmente consistenti.

Nel tratto di Mesia Inferiore disposto lungo il Mar Nero, incontriamo per la prima volta una situazione che ritroveremo, moltiplicata su larga scala, per le province greche e, in un successivo volume, per quelle asiatiche: la romanizzazione non si attua attraverso un’urbanizzazione ex novo, ma attraverso interventi di varia natura in città già da tempo esistenti. Un caso particolare è quello di Histria (a metà strada circa fra la foce del Danubio e la città romena di Constanüa), colonia milesia del VII sec. a.C., costituita da un’acropoli con santuario di Zeus, con più templi (cinta da mura in età ellenistica), e da una “città bassa”. In varie occasioni fu distrutta e ricostruita: l’ultima distruzione è della metà del I sec. a.C., opera delle tribù daco-getiche del re Burebista. In occasione dell’occupazione romana di età augustea si ebbe una sorta di seconda fondazione, di cui non conosciamo bene i dettagli: la presenza di varie insulae fa pensare a una certa densità demografica. Si sono rinvenuti anche i resti di numerose basiliche civili e di una cinta allestita frettolosamente in età tardoantica. Se la scarsezza di dati archeologici non consente di tracciare un quadro preciso dell’urbanistica di Histria, Polibio (IV, 41) ci informa che la vivacissima città commerciale greca, situata sul mare, in età romana a causa dell’interramento del porto fu costretta ad accentuare l’attività agricola.

Ma forse la più importante fra le città greche del Ponto era Tomis, presso la stessa Constanüa, altra fondazione milesia forse del VI sec. a.C., che in età ellenistica, a quanto sappiamo, fu contesa fra Histria e Bisanzio. Passata sotto il controllo di Mitridate, poi del già ricordato Burebista, con Ottaviano Augusto era già sotto il protettorato romano: vi fu mandato in esilio il poeta Ovidio. I giudizi negativi dell’esule sulla città sono frutto forse del suo comprensibile scoramento, ma in realtà Tomis divenne “metropoli” di tutta la riva occidentale del Mar Nero e in età tardoantica fu capitale della Scythia Minor, nonché sede vescovile. In epoca romana e più precisamente nel II sec. d.C. (ma fu più volte rifatta) si data la cinta muraria che chiude il promontorio su cui sorge la città; è noto inoltre un grande complesso commerciale su più piani con mosaici; nel IV secolo fu ricostruito il porto e allo stesso secolo e al successivo si datano quattro basiliche cristiane.

A Callatis (oggi Mangalia, anch’essa passata sotto il controllo di Mitridate e di Burebista) e a Mesembria (ultima città della Mesia) si ripetono i casi di realizzazioni romane in tessuti urbani che già avevano avuto importanza in età classica ed ellenistica: teatro e terme nella prima, mura nella seconda. Singolare, infine, lo sviluppo di Tropaeum Traiani, la città sorta accanto al grande monumento commemorativo delle guerre daciche.

Poco a sud, sul sito di un antico centro tracio, era Abrittus (Razgrad), importante nodo stradale e insediamento fortificato che conobbe un discreto sviluppo fino a età tardoantica, quando però fu inquadrato nella provincia di Scythia Minor. L’impianto urbanistico era di tipo ortogonale (è uno dei pochi casi in cui, nella Mesia, questo tipo di schema si coglie con chiarezza); il foro e gli edifici annessi (fra cui ne è stato identificato uno con peristilio interno e portico esterno) erano, sembra, piuttosto grandi; sono stati individuati anche i resti di notevoli horrea (magazzini). Le mura, con notevoli porte fiancheggiate da grandi torrioni e con numerosissime torri semicircolari, sono di età tarda, ma ricalcano probabilmente, con qualche adattamento, quelle del castrum originario.

L’unico grande insediamento dell’interno (lontano cioè dal corso del Danubio e dalla sua foce) era Naissus (Niš), sul corso dell’affluente Margus (Nišava). Il sito, posto su un importante nodo stradale nel cuore della Penisola Balcanica, fu occupato dai Romani alla fine del I sec. a.C. dopo una spedizione contro i Dardani e successivamente inserito nella provincia di Moesia. Ebbe crescente importanza commerciale e militare, nonché come porto fluviale della flotta imperiale (classis Flavia Moesica). Capitale in età tardoantica dell’antica provincia di Dardania, diede i natali a Costantino e a Costanzo III: il primo, in particolare, tornò spesso a visitarla, fondandovi una grande residenza nel suburbio di Mediana.

Complessi monumentali

La situazione fin qui delineata non consente di formulare quadri molto ampi dell’edilizia pubblica e privata della Moesia, né di individuare tipologie monumentali ben rappresentate, eccezion fatta per quella delle residenze imperiali tardoantiche appena ricordate. Possiamo riesaminare, però, alcuni singoli complessi.

Molto articolata è l’area centrale di Oescus. Il foro (il cui lato sud è allineato lungo il decumano massimo e il cui lato ovest segue il cardine massimo) sembra costituire un unico insieme con una serie di monumenti adiacenti, per un totale complessivo di circa 200 x 98 m. Il foro vero e proprio, chiuso su tre lati da portici corinzi (con fregio a bucrani e ghirlande, come risulta da alcuni frammenti e, soprattutto, con figure di divinità inserite in girali vegetali), fiancheggiato a est da un grandissimo edificio provvisto di impianti di riscaldamento, si apre verso nord sull’area sopraelevata del Capitolium, cui è raccordato da una gradinata. Tale abbinamento foro-Capitolium, non certo sconosciuto altrove, non è invece finora attestato in altri casi né in Mesia né in Tracia; inoltre il Capitolium stesso, di età traianeo-adrianea, non è costituito da un unico tempio con cella tripartita, ma (come, ad es., a Sufetula, in Africa Proconsolare) da tre templi indipendenti, tutti di ordine corinzio. Il centrale, più grande, era dedicato a Giove Ottimo Massimo, gli altri due, più piccoli ma uguali fra loro, erano dedicati a Giunone e Minerva. All’estremità settentrionale del complesso e cioè insolitamente alle spalle dei tre templi, dalla parte opposta rispetto alla piazza, era la basilica a tre navate: la navata centrale, preceduta da un’anticamera, era a due ordini, con colonne corinzie nell’ordine inferiore e pilastri decorati da cariatidi nell’ordine superiore. All’angolo sud-est del complesso forense era il tempio della Fortuna, anch’esso entro spazio porticato, che, grazie a un’iscrizione, è datato al 190/1, quando è governatore della provincia Gn. Suellius Rufus. Un grande edificio in corso di scavo subito a sud presenta un mosaico policromo databile all’età di Settimio Severo, il cui emblema centrale raffigura una scena degli Achei di Menandro. Una curiosità: quando il mosaico fu scoperto (1948) quella commedia non era ancora nota; lo sarebbe divenuta successivamente grazie al ritrovamento di due papiri, il più importante dei quali, proveniente da Ossirinco, è al British Museum di Londra.

Un monumento quasi unico, arduo perciò da inserire in una tipologia, è situato nella Mesia Inferiore: il Trofeo di Traiano ad Adamclisi. Se è vero dunque che questa provincia non ci consente rilevanti osservazioni tipologiche in quanto la casistica non è molto estesa, è anche vero che alcuni di tali casi sono di grande importanza.

Arti figurative

Ancora una volta la scultura della Mesia romana ha nelle figurazioni del Trofeo la sua manifestazione più significativa. Mentre l’altra grande opera che ricorda le guerre daciche, il fregio della Colonna Traiana a Roma, è un rilievo ininterrotto che narra per episodi l’intero conflitto, qui la decorazione è articolata in metope e merli e si è a lungo discusso se si riferisca al conflitto stesso nel suo insieme o non piuttosto a un singolo evento.

Adamclisi a parte, il quadro della scultura della Moesia, soprattutto per quanto riguarda la Inferior, è comunque piuttosto complesso. Fra le statue di culto è da ricordare quella di Tomis (conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Costanza) raffigurante la Tyche, o Fortuna, della città con cornucopia, elegantemente panneggiata, ai cui piedi una figura maschile barbata con timone è interpretabile come personificazione del Ponto Eusino, oppure del porto. L’impostazione della figura è classicheggiante; il modo in cui sono resi gli occhi (iride fortemente segnata) e le chiome (uso calligrafico del trapano) suggerisce una datazione all’età di Settimio Severo, contemporanea al rilancio della città. Più singolare un’altra opera, peraltro assai accuratamente eseguita, rinvenuta nella stessa città e raffigurante il serpente Glykon compostamente avvolto nelle sue spire: una “divinità” priva di reali tradizioni e consistenza, il cui culto ebbe tuttavia una certa diffusione in età imperiale, grazie anche all’operosità e al proselitismo un po’ truffaldino di disinvolti “sacerdoti”.

A Oescus (ma probabilmente anche altrove) lavorarono scultori di provenienza asiatica. In particolare, alcuni elementi della decorazione del foro, conservati sia pure in maniera frammentaria nel Museo Archeologico Nazionale di Sofia, sembrano confrontabili con i celebri rilievi che ornano i pilastri della basilica severiana di Leptis Magna, opera degli scultori di Afrodisia: nettissime le analogie riscontrabili in una figura femminile nuda, identificabile probabilmente come Afrodite- Venere, che emerge da girali vegetali.

Nei rilievi funerari, fra i temi più frequenti è il banchetto, che talvolta è reso in forma quasi classicheggiante, come nella stele funeraria di Dionisogeno rinvenuta a Odessos (Varna) e conservata nel Museo della stessa Varna, altre volte con toni decisamente provinciali o con linearismi di gusto vagamente celtizzante. Per quanto riguarda la pittura, la Moesia Inferior presenta un caso isolato, ma di inconsueto interesse: a Durostorum (Silistra), sulla sponda destra del Danubio, una piccola tomba a camera, alquanto tarda (seconda metà del IV sec. d.C.), ha rivelato un ciclo di figure piuttosto complesso. Sulla parete di fondo, inquadrati in una sorta di pannello centrale, sono rappresentati i due coniugi cui il monumento è evidentemente dedicato; intorno sono pannelli con figure di servi offerenti; sul soffitto a volta, entro cassettoni, è una serie di animali e di cacciatori. Lo stile è quasi “impressionistico”, con probabili influssi, se non addirittura con la presenza sul posto, di pittori provenienti dal centro dell’Impero.

Bibliografia

In generale:

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Città:

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L. Bianchi, Il programma figurativo del Trofeo di Adamclisi. Appunti per una nuova interpretazione, in StRom, 38 (1990), pp. 1-18.

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