Le prospettive demografiche dell'Africa

Il Libro dell'Anno 2015

Massimo Livi Bacci

Le prospettive demografiche dell’Africa

Le previsioni dell’ONU sulla crescita del continente africano, che secondo le stime nel 2014 avrà circa 4 miliardi di persone, più di un terzo dell’intero pianeta, aprono scenari preoccupanti sulla sua sostenibilità.

Ragazze somale

Verso la metà del secolo, la popolazione del pianeta si aggirerà attorno ai 9 miliardi e mezzo, tra 2 miliardi e 2 miliardi e mezzo in più di oggi. Benché la velocità della crescita stia diminuendo – si prevede che verso la metà del secolo il tasso annuale si sarà dimezzato rispetto a oggi (dall’1% allo 0,5%) – sono tanti e profondi i problemi che l’espansione demografica porta con sé. Nei prossimi 35 anni occorrerà provvedere spazio, nutrimento, manufatti, infrastrutture, cure e istruzione per più di 2 miliardi di persone, e fare sì che questo avvenga senza compromettere lo sviluppo del pianeta e i suoi equilibri sociali, economici o ambientali. Questa impresa, possibile ma ardua, è resa più difficile dal fatto che la crescita demografica non è diffusa equamente, ma è tutta concentrata nei paesi che oggi chiamiamo ‘in via di sviluppo’, e dal fatto che la metà di questa crescita avverrà in Africa, che oggi conta un sesto della popolazione mondiale.

Della popolazione dell’Africa si sapeva assai poco fino alla metà del secolo scorso, quando iniziarono le prime sistematiche raccolte censuarie. Non mancano però indizi che fanno ritenere che la popolazione africana sia rimasta approssimativamente stazionaria tra l’inizio del Settecento e la metà dell’Ottocento, anche in conseguenza della tratta degli schiavi verso l’America e verso destinazioni orientali. Poiché la popolazione mondiale cresceva, il peso demografico scese dal 15% degli inizi del Settecento all’8% degli inizi del Novecento; questa tendenza si è poi invertita e la proporzione è cresciuta all’attuale 16% e toccherà un probabile 25% nel 2050. Le previsioni a lungo termine delle Nazioni Unite – che scontano una crescente incertezza man mano che ci si allontana dall’attualità – parlano di oltre 4 miliardi di africani nel 2100, in un mondo con meno di 11 miliardi di abitanti.

Una parte – ma solo una parte – della velocità di crescita del continente africano deve ricercarsi nella sua arretratezza, maggiore e più diffusa che in altri continenti.

Secondo le valutazioni della Banca Mondiale, quasi la metà degli africani vive sotto la soglia di povertà estrema (cioè dispone di meno di 1,25 dollari al giorno), e in Africa si concentrano i due terzi dei poveri del pianeta.

Tuttavia altri fattori di natura storica (un’eredità coloniale disastrosa), politica (instabilità e corruzione) e ambientale (densità di agenti patogeni, comunicazioni difficoltose) vanno tenuti in considerazione nell’interpretazione delle complesse vicende demografiche del continente.

L’accelerazione della popolazione del continente – che ha sfiorato il 3% all’anno negli anni Ottanta del secolo scorso (e che implica un raddoppio della popolazione in 23 anni) – si deve al ritardo del processo di transizione demografica dall’alta alla bassa mortalità e dall’alta alla bassa natalità. Il processo è in genere avviato dal declino della mortalità (migliore nutrizione e igiene, controllo delle patologie, cure mediche), cui segue una diminuzione delle nascite per decisione delle coppie spinte a limitare il numero dei figli sopravviventi e non più falcidiati dall’elevata mortalità infantile.

Questa ‘transizione’, avvenuta nei paesi sviluppati nel 19° e nella prima parte del 20° secolo e iniziata nella seconda parte del secolo scorso nei paesi in via di sviluppo, tarda a maturare in Africa. Durante il processo di transizione occorre del tempo – qualche decennio – prima che la natalità si adegui al declino della mortalità, e in questa fase il tasso d’incremento accelera. Più questa fase è lunga, tanto maggiore è l’accelerazione demografica e la sua durata, ed è appunto quanto sta avvenendo in Africa.

La speranza di vita alla nascita sintetizza bene le condizioni di salute e di sopravvivenza di una popolazione. Il ritardo del continente africano è evidente: nel 2010-15 era pari a 58 anni, 20 anni meno del livello dei paesi sviluppati, e 10 anni meno dell’insieme dei paesi in via di sviluppo. Si deve notare poi il divario esistente tra i paesi del Nord Africa, che hanno una speranza di vita di 69 anni (la stessa dell’Italia nel 1960), e l’insieme della regione subsahariana, la cui speranza di vita è di appena 56 anni (toccata in Italia nel 1933). In alcuni paesi, come quelli colpiti da Ebola nell’Africa orientale, la speranza di vita è ancora inferiore, compresa tra i 40 e i 45 anni. Va anche aggiunto che in molti paesi dell’Africa subsahariana l’epidemia di AIDS ha fatto arretrare la sopravvivenza negli anni Ottanta e Novanta prima che la diffusione dei farmaci antiretrovirali moderasse la letalità della pandemia. Nelle popolazioni dell’Africa meridionale, dello Zambia e dello Zimbabwe la speranza di vita aveva superato i 60 anni verso il 1980, ed è oggi di 10 anni inferiore; arretramenti meno netti, ma in controtendenza rispetto al resto del mondo povero, si sono prodotti in altri importanti paesi, come il Kenya, la Repubblica Centrafricana, la Repubblica del Congo. L’Africa subsahariana concentra non solo la grande maggioranza delle persone con l’infezione HIV nel mondo, ma ha anche la maggiore proporzione di persone colpite da malaria e tubercolosi, due delle patologie più diffuse, penalizzanti e pericolose del mondo povero.

Infine, è nell’Africa subsahariana che sottonutrizione e malnutrizione colpiscono più fortemente i bambini sotto i 5 anni: si stima che nel 2012 il 21% fosse sottopeso.

Molti esperti ritengono che parte del ritardo della sopravvivenza in Africa, rispetto agli altri paesi in via di sviluppo, possa essere recuperato nei prossimi 30 anni, ma occorrerà un forte progresso degli standard nutritivi, delle condizioni igieniche, dell’accesso a fonti idriche sicure, delle strutture sanitarie.

A fronte di una sopravvivenza arretrata ma in miglioramento, sta una natalità ancora elevatissima. Il ricorso ai metodi di controllo delle nascite – sia quelli tradizionali sia quelli moderni – è limitato, e ovunque molto bassa è l’età relativa ai primi rapporti sessuali, alla prima unione e alla nascita del primo figlio. Nell’intera regione a sud del Sahara il numero medio di figli per donna è stato superiore a 6 fino agli anni Novanta ed è sceso a 5,1 nel quinquennio 2010-15. In alcuni paesi, come la Nigeria (il paese più popoloso del continente), il Niger, i due Congo, il Mali, la Somalia e il Ciad, le donne hanno 6 o più figli, il triplo di quanti ne occorre mettere al mondo perché la popolazione si mantenga stazionaria. In questi paesi la limitazione volontaria delle nascite è quasi inesistente. Diversa è la situazione nei paesi del Nord Africa e dell’Africa meridionale, nei quali la fecondità è per lo più compresa tra 2 e 3 figli per donna.

La persistenza dell’alta fecondità rende urgenti politiche sociali adeguate, una maggiore istruzione, la valorizzazione del lavoro della donna, l’introduzione di misure di welfare per sottrarre le generazioni più anziane alla completa dipendenza dai trasferimenti operati dai figli, l’introduzione o il rafforzamento di programmi di pianificazione familiare al fine di ridurre la proporzione delle donne che non hanno accesso ai metodi di regolazione delle nascite (o che addirittura non ne conoscono l’esistenza). Si è fatto riferimento alle proiezioni demografiche delle Nazioni Unite, basate su ipotesi che raccolgono il consenso della maggioranza degli esperti e che, nel passato, si sono rivelate assai affidabili. Tra il 2015 e il 2050, secondo un’ipotesi ‘media’ (che prevede una riduzione del numero dei figli per donna da 4,7 a 3,2 e un aumento della speranza di vita da 58 a 69 anni), la popolazione africana raddoppierebbe da 1,2 a 2,5 miliardi. Tuttavia molte sono le incertezze, come dimostra il caso della Nigeria, dove nonostante i piani del governo mirino a una sostenuta riduzione della fecondità questa risulta ‘inchiodata’ a oltre 6 figli per donna, senza segnali di riduzione. Se nulla cambiasse rispetto a oggi, la popolazione della Nigeria passerebbe dai 180 milioni di abitanti attuali ai 509 del 2050: una popolazione triplicata nel giro di 35 anni, con una struttura per età giovanissima (età mediana di 17 anni, perfino inferiore ai 18 di oggi!). Una dinamica del tutto simile, e del tutto insostenibile, contraddistinguerebbe l’intera regione a sud del Sahara. La geografia del popolamento, intanto, cambia rapidamente. Tra il 2015 e il 2050, tornando all’ipotesi media di sviluppo, la popolazione aumenterà del 121% nell’Africa subsahariana, del 58% nell’Africa del nord, del 24% nell’America centro-meridionale, del 20% in Asia e del 3% nelle regioni sviluppate. Nel 1990, tra i 10 paesi più popolosi del pianeta non c’era alcun paese africano; nel 2050 la Nigeria si troverà al quarto posto (dopo Cina, India e Stati Uniti), assieme alla Repubblica del Congo e all’Etiopia, rispettivamente al nono e al decimo posto.

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